7
Altro studioso che deve essere assolutamente posto in rilievo è Paolo Alatri, autore di un’ampia
biografia dannunziana e di un basilare testo sulla questione adriatica, in cui sono tracciate in modo
assai esauriente le linee che ne hanno caratterizzato gli avvenimenti, descritti in modo accurato e
sulla base di numerosi documenti.
Particolare rilevanza - e non poteva essere altrimenti - va data all’analisi dell’intera opera di
d’Annunzio: poesie, romanzi, drammi, orazioni, annotazioni varie. Il “vate” ha lasciato
praticamente in quasi ogni suo scritto traccia del proprio pensiero socio-politico. Estrapolando brani
da ogni singola opera letteraria e riunendoli in un unico volume sarebbe possibile riassumere le idee
politiche di Gabriele d’Annunzio. Idee che hanno mantenuto sempre una propria base nazionalista
ed elitaria, ma che comunque, attraverso il passare degli anni e il contatto con esponenti di correnti
politiche diverse, si sono avvicinate maggiormente al mondo dei lavoratori, senza per questo mai
giungere a una reale svolta a sinistra.
Il lavoro è stato affrontato partendo proprio dalla lettura degli scritti dannunziani, nella
convinzione che sia necessario studiare prima quanto prodotto direttamente dal “vate” e solo dopo
ciò che hanno scritto gli altri su di lui.
Ruolo centrale - come già accennato - hanno avuto le biografie sul Comandante: in primis quella già
citata di Paolo Alatri; ma anche quelle di Guglielmo Gatti e di Piero Chiara, autore quest’ultimo di
un libro molto dettagliato. Successivamente sono stati affrontati testi più specifici, riguardanti cioè
il ruolo politico svolto da d’Annunzio. A tale proposito vogliamo citare le opere di Renzo De
Felice, di Michael A. Ledeen, di Emilio Mariano e di Guglielmo Salotti.
Gli studi di De Felice (in particolare la sua biografia mussoliniana) sono stati indispensabili per
l’indagine del complesso legame che univa il “duce” al Comandante.
Proprio per giungere a tale comprensione, ancora più centrale è stato però il carteggio curato
sempre da De Felice con Mariano. Il loro volume raccoglie - suddivisi per anni - quasi seicento
pezzi tra lettere e telegrammi scambiati a partire dal 1919 fino al 1938.
L’esame del rapporto d’Annunzio - Mussolini è stato esposto seguendo un ordine prettamente
temporale. L’epistolario è stato suddiviso in sette periodi che racchiudono ciascuno vari anni
collegati fra loro da particolari eventi politici, come ad esempio l’impresa fiumana.
In effetti tutta l’analisi si fonda essenzialmente su base cronologica: è stata infatti presentata l’intera
vita del poeta, mettendo man mano in evidenza gli accadimenti politici che l’hanno accompagnata e
segnata.
Durante lo svolgimento della ricerca si sono presentate alcune piccole difficoltà: non è stato
sempre facile presentare con imparzialità le gesta e il pensiero di d’Annunzio, soprattutto quando si
è narrato della tragica esperienza bellica, così tanto esaltata dal poeta-soldato.
Tenendo presente i valori universalistici e umanitari trasmessi dalla civiltà contemporanea, non si
può non provare disagio e non si può condividere quanto il “vate” ha espresso nei suoi discorsi alle
truppe, nei suoi scritti propagandistici.
Forse la complicazione maggiore è stata presentare ‘asetticamente’ d’Annunzio, senza attribuire una
forzata collocazione a chi, per sua intima natura, una collocazione ha sempre rifiutato. Egli non è
stato né fascista né antifascista. Il “vate” è un personaggio a se stante, non inquadrabile in un
precisa categoria politica. E proprio questa sua ‘anarchia’ di fondo si è mostrata non agevole
argomento da esprimere, spiegare e comprendere.
8
I CAPITOLO
LA FORMAZIONE IDEALE E POLITICA DI GABRIELE D’ANNUNZIO
Bisogna fare la propria vita, come si fa
un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo
d’intelletto sia opera di lui. La sua superiorità
vera è tutta qui.
G. D’ANNUNZIO, Il Piacere
Questo primo capitolo tratterà della formazione ideale e politica di Gabriele d’Annunzio, del suo
percorso di crescita da giovane poeta a “modello di vita” per la sempre più forte classe borghese.
La sua figura - contraddittoria e complessa - caratterizzerà per circa mezzo secolo la vita
culturale, sociale e politica italiana, con le sue opere letterarie al limite dell’osceno secondo i canoni
dell’Ottocento, con i suoi comportamenti anacronistici da signore rinascimentale, con il suo
antiparlamentarismo e la sua antidemocraticità.
Centrale in qualsiasi studio su Gabriele d’Annunzio è il suo rapporto con il filosofo tedesco
Friedrich Nietzsche, un legame interessante ed articolato. Pertanto nel presente capitolo si
analizzerà l’influenza nietzscheana sul poeta e la formazione e maturazione del superuomo
dannunziano. Tale aspetto dell’arte e della vita stessa di d’Annunzio non può assolutamente non
essere esaminato, in quanto il lato superomistico dell’autore sarà fondamentale durante l’intero
corso della sua esistenza e delle sue imprese, sia letterarie sia politiche. Il velleitario superuomo
dannunziano accompagnerà il suo creatore dalla “Roma Bizantina” di fine Ottocento, alla “città di
luce”, fino al totale ritiro a Gardone.
Essenziale per tentare di comprendere le idee politiche del poeta sarà l’analisi del suo legame con
il nazionalismo e l’imperialismo. D’Annunzio desidera ardentemente un ritorno del suo paese a un
ruolo di primo piano in campo internazionale. Il poeta sogna per l’Italia un futuro di gloria e
grandezza, mentre è costretto a assistere a una politica debole e incerta da parte del governo.
La fine del capitolo vede d’Annunzio esaltato dall’impresa libica, alla quale presterà tutto il
proprio appoggio, malgrado si trovi già “esiliato” in Francia. Il poeta sarà il portavoce del
colonialismo come pochi anni dopo sarà quello dell’interventismo italiano nella grande guerra.
1.1 Brevi cenni biografici
Gabriele d’Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863 da Francesco Paolo Rapagnetta (il quale,
adottato dallo zio Antonio, nobile marchigiano, ne assume il cognome d’Annunzio) e da Luisa De
Benedictis, appartenente ad una facoltosa famiglia di Ortona. Il padre, agricoltore ed enologo, é un
notabile di Pescara, di cui è stato consigliere comunale e anche sindaco.
Alla fine dell’Ottocento Pescara è solo un paese di poche migliaia di abitanti, soprattutto
pescatori; d’Annunzio cresce quindi in un ambiente ristretto, ancor meno che provinciale, fin
quando nel 1874 è inviato al Reale Collegio Cicognigni di Prato dal padre, il quale ambisce a una
promozione sociale dell’intera famiglia e comprende inoltre la necessità di liberare il figlio dal
provincialismo abruzzese.
Dopo la fine del liceo d’Annunzio si iscrive a Roma all’università nel 1881: non sosterrà alcun
esame. Frequenta invece assiduamente le redazioni de “Il Fanfulla”, della “Cronaca bizantina” e del
“Capitan Fracassa”, con le quali inizia a collaborare, senza però abbandonare totalmente i
divertimenti e gli sport a quali ama dedicarsi. Inizia così la sua carriera letteraria che non sarà mai
disgiunta dalla politica, sempre presente nei suoi scritti. D’Annunzio è infatti un letterato la cui
9
produzione è in gran parte finalizzata all’affermazione di un’ideologia. Egli non vuole essere un
semplice poeta, ma intende dare un’espressione politica al proprio pensiero attraverso i suoi scritti e
la sua stessa vita.
Così dichiarerà in un’intervista rilasciata allo scrittore Edmondo De Amicis (Oneglia,1846-
Bordighera,1908):
Arte e politica non furono mai disgiunte nel mio pensiero, né compresi mai come si potessero disgiungere
1
L’iniziale produzione dannunziana si rifà però al grande maestro Carducci, anche se nelle poesie
del giovane poeta abruzzese sono presenti forti tinte sensuali e naturalistiche, certamente non
appartenenti allo stile carducciano. Il riferimento in tal caso va alle poesie Primo vere (1879-1880).
Il filone verista si rintraccia inoltre nelle Novelle della Pescara (1902), nelle quali è presente
l’influsso verghiano.
D’Annunzio subisce poi una prima svolta ideologica nell’aprile 1892 quando su “Il Mattino” è
pubblicata la Commemorazione di Percy Bisshe Shelley. Qui il poeta per un verso esalta l’amore
shelleyano per l’umanità e presenta Shelley come il precursore degli evangelici slavi, per l’altro si
basa su di un motivo diverso e addirittura antinomico: l’ammirazione per il poeta eccezionale
nell’arte come nella vita, in lotta perpetua con la società.
L’articolo termina con la profezia di una non ben precisata rinascita, attesa in sdegnosa e sublime
solitudine da pochi eletti fedeli al «Sogno» e «assorti nella contemplazione del loro turbine
interno».
2
D’Annunzio proietta su Shelley il problema che lo assilla, cioè superare la sfera della
sensitività attraverso l’acquisizione di un punto di vista generale, attraverso una precisa concezione
del mondo.
3
Dal tono magniloquente di questo scritto emerge con chiarezza un’attenzione nuova
per la vita quotidiana, spia del graduale spostarsi dell’autore verso nuove prospettive letterarie e
ideologiche, passaggio rintracciabile anche negli articoli scritti per l’Arte letteraria in Italia apparsi
su “Il Mattino” il 22-23 settembre 1892.
4
Questa ricerca spinge d’Annunzio verso l’umanitarismo evangelico; scrive difatti il romanzo
Giovanni Episcopo (1891), nel quale possiamo ritrovare chiarissimi riferimenti all’opera di
Dostoievskij.
L’umanitarismo non può essere la corretta risposta alla problematica di d’Annunzio, in quanto
quella corrente di pensiero non corrisponde alla natura del poeta e inoltre non è adatta alla realtà
italiana. L’esperimento dura infatti solo due anni e dopo l’incontro diretto con Nietzsche nel 1893
sarà totalmente accantonato, portando d’Annunzio verso la creazione del suo superuomo. Questo
precedente umanitarista è però determinante, perché dimostra
la diversa qualità dell’esperienza superomistica, perché anche questa nasce dalla medesima esigenza (esigenza
evidentemente assai vitale se riusciva a sopravvivere anche a un tentativo abortito come quello della bontà): e perché,
contrariamente a questo tentativo, non si esaurisce nel giro di pochi anni, ma rimane come una costante fino alla morte
del poeta.
5
1
Intervista apparsa su “La Tribuna” il 20 giugno 1902.
2
G. d’Annunzio Commemorazione di Percy Bisshe Shelley, in L’allegoria dell’autunno, in Prose di ricerca, di lotta, di
comando, di conquista, di tormento, d’indovinamento, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di
liberazione, di favole, di giochi, di baleni, Milano, Mondadori, 1950, vol. III, p. 372.
3
Cfr. C. Salinari, Miti e coscienza del decadentismo, Milano, Feltrinelli, 1962, p. 93.
4
Cfr. E. Scarano Lugnani, Gabriele D’Annunzio, in La letteratura italiana, storia e testi, vol. IX, Il Novecento dal
decadentismo alla crisi dei modelli, tomo I, Bari-Roma, Laterza, 1976, p. 156.
5
C. Salinari, Miti e coscienza del decadentismo, cit., p. 94.
10
1.2 La scoperta di Nietzsche
Voi siete come me convinto - soggiunsi
- come ogni eccellenza del tipo umano
sia l’effetto di una virtù iniziale che per
innumerevoli gradi, d’elezione in
elezione, giunge alla sua intensità
massima e si manifesta ultimamente
nella progenie col favore delle
congiunture temporanee.
G. D’ANNUNZIO, Le Vergini delle rocce
Conoscendo, analizzando le opere e le azioni compiute da d’Annunzio durante la propria vita, si
può cogliere immediatamente in esse un impronta nietzscheana.
In realtà il rapporto con Friedrich Wilhelm Nietzsche (Röcken,1844-Weimar,1900) non è così
semplice come invece appare ad uno primo sguardo: il filosofo influenza certamente d’Annunzio, il
quale è però già un nietzscheano senza sapere d’esserlo.
Prima della conoscenza diretta di Nietzsche il poeta presenta caratteri della propria personalità che
risultano essere in sintonia con l’ideologia nietzscheana, anche senza averne una diretta conoscenza.
Nietzsche, partito dalla concezione di Arthur Schopenhauer (Danzica,1788-Francoforte sul
Meno,1860) della vita come dolore e lotta, ne rovescia la soluzione e contro la rinuncia difende
invece l’accettazione totale ed entusiastica della vita come essa é.
Nietzsche entra in contatto con l’opera di Schopenhauer intorno al 1865 - in occasione del suo
trasferimento a Lipsia - e la filosofia gli si rivela allora nel suo significato più drammatico, cioè
come un’intensa esplorazione dell’enigma della personalità e dell’esistenza.
Con Nietzsche si apre nel pensiero moderno uno dei varchi del grande filone irrazionalistico ed
esistenziale, avviene la ribellione al panlogismo, all’intellettualismo, al conformismo.
Secondo il filosofo una vera razionalità è sempre in rapporto correlativo con l’irrazionalità,
soprattutto nella sua filosofia che pone al centro di sé il mistero della vita. Coerentemente con
questa visione le sue opere sono scritte con uno stile aforistico e sono prive di qualsiasi
articolazione sistematica.
La polemica del filosofo contro il presente si sviluppa nelle Unzeitgemässe Betrachtungen del
1873-76 (Considerazioni inattuali) e soprattutto nella Die fröhliche Wissenschaft del 1882 (La gaia
scienza) dove il sapere è invocato come liberazione dai pregiudizi.
Nietzsche vede il suo tempo contraddistinto da uno spirito meschino e conformista, egli invece è
contro la democrazia del gregge, la religione della rinuncia, lo statalismo livellatore, la morale dei
pregiudizi. I supremi valori sono quindi la gioia, la forza, la guerra, la volontà di potenza dell’uomo.
La morale nietzscheana trova nel superuomo la sua massima incarnazione; a tale figura si
contrappone il gruppo informe dei dominati, necessario in ogni caso alla costituzione di un nuovo
mondo.
Secondo Nietzsche l’uomo è limitato nel suo agire da una serie di freni: la tradizione, le norme
etiche, religiose, politiche; sono questi i confini che ogni persona deve di continuo oltrepassare per
realizzare la propria verità, la quale non è oggettivamente fissata a un ordine di valori rivelato una
volta per tutte, ma è mutabile.
La forma lirica e profetica è forse l’unico modo in cui possa esprimersi una filosofia della volontà,
che è volontà di potenza, di superumanità, d’affermazione decisa dei valori della vita, dell’uomo,
della natura contro il loro assorbimento nel sistema. Per esattezza, ciò che deve essere superato non
sono tanto le categorie con cui la gente impone ordine ed armonia a quello che la circonda, ma è
11
l’uomo stesso che - diventano superuomo - deve avere il coraggio (Der Wille zur Macht, La volontà
di potenza) di accettare il caos, cioè la vita per quello che è, fino a far coincidere il destino con la
propria volontà, la necessità con la propria libertà. Per giungere a tanto è però fondamentale il
capovolgimento di tutti i valori. Infatti la tradizione, soprattutto quella cristiana, ha considerato
valori tutti quelli che convergono nella rinuncia al mondo; invece per Nietzsche è proprio
l’incondizionata accettazione del mondo l’unico vero valore.
Questa visione è illustrata dal filosofo nella sua opera Jenseits von Gut und Böse del 1886 (Al di là
del bene e del male). Nietzsche partendo da questi presupposti conduce una dura polemica contro
ogni forma di democrazia e di educazione delle masse, diventando la guida del pensiero
decadentistico e individualistico del periodo dell’imperialismo, fino a essere utilizzato dal fascismo
e dal nazionalsocialismo come precursore.
L’opera del filosofo tedesco é naturalmente in feroce polemica con il cristianesimo («la morale
degli schiavi»). Nietzsche appoggia infatti la tesi di un cristianesimo eroico, formulata dal teologo
protestante Franz Camille Overbeck (Dresda,1837-Basilea,1905), mettendo in evidenza nella figura
di Cristo il momento di rottura con tutti i valori del suo tempo, con il conservatorismo giuridico
della tradizione giudaica, con lo spirito scientifico, con l’etica sociale della civiltà ellenico-romana.
6
Tuttavia il Cristo prevalso nella Chiesa, sin dai tempi di San Paolo, sarebbe un altro, il negatore
della vita, come afferma in Der Antichrist, Fluch auf Christenthum (L’anticristo) del 1884.
Figura fondamentale nel pensiero nietzscheano è quindi Cristo, rappresentante dell’amore
caritativo, affiancato da Socrate, rappresentante invece della ragione, entrambi secondo Nietzsche
capostipiti della civiltà moderna.
L’opera più nota di Nietzsche è sicuramente Also Sprach Zarathustra (Così parlò Zarathustra)
(1883-84 e 1892), nella quale il filosofo descrive la sua utopia del superuomo: egli è l’uomo totale,
l’uomo diverso da opporre alla borghesia per un ritorno alla purezza dell’idealismo. Secondo il
filosofo la persona stessa è una dimensione dell’universo e per questo deve essere posta in rapporto
con esso; Zarathustra, personificazione dell’essere consapevole di sè e conoscitore del bene e del
male, è colui che «la conoscenza misterica spinge a divenire completamente libero e signore di se
stesso, a collocare la propria esistenza nella circolarità universale, nel ritmo vitale e divino delle
cose.»
7
Ciò che a Nietzsche sta veramente a cuore, in modo particolare, è il superamento della repressione
degli istinti, della spontaneità vitale, dell’incoscienza primordiale. Tali forme di repressione sono
connesse, dal filosofo, a una morale classica fondata sulla repressione della coscienza. Il superuomo
per lui non è tanto il dominatore quanto l’uomo psicologicamente liberato da quegli atteggiamenti
ritenuti contro natura, contro la vita, connessi allo spirito del cristianesimo.
Egli mirava all’oltrepassamento dell’uomo tradizionale, intimamente scisso, tanto che oggi diversi
studiosi, come Gilles Deleuze,
8
preferiscono infatti parlare di “oltreuomo”. Ma la sua vis polemica
contro l’uomo tradizionale lo induce spesso a contrapporsi ai valori democratici, in nome dello
“spirito libero”. Questo appello del suo pensiero, nonostante il proposito di liberazione dello spirito
umano, è ripreso dalle tendenze antidemocratiche emergenti nella cultura alla fine del XIX secolo,
nel cui ambito va annoverato lo stesso d’Annunzio.
Il poeta scopre Nietzsche attraverso gli estratti della sua opera, mediante il musicista Richard
Wagner (Lipsia,1813-Venezia,1883), Joris-Karl Huysmans (Parigi,1848-Parigi,1907) e altri
decadenti. La concezione nietzscheana del superuomo sarà espressa da d’Annunzio nel romanzo
che proprio in quel periodo sta completando: il Trionfo della morte (1894).
Ma il vero primo richiamo di d’Annunzio a Nietzsche si ha quando il 25-26 settembre 1892 su “Il
Mattino” di Napoli il poeta pubblica La bestia elettiva. L’articolo è scritto dopo aver letto un brano
di Jean de Néthy, Nietzsche-Zarathustra, pubblicato nell’aprile del 1892 dalla “Revue Blanche”, dal
6
F. Piga, Il mito del superuomo in Nietzsche e D’Annunzio, Firenze, Nuovedizioni Vallecchi, 1979, p. 29.
7
Ibid., p. 48.
8
Cfr. G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Milano, Feltrinelli, 1992.
12
quale d’Annunzio trae spunto per la sua prima affermazione di disistima per il sistema parlamentare
ed il suffragio universale.
Ne La bestia elettiva troviamo riferimenti ai temi della Zur Genealogie der Moral (Genealogia
della morale) del 1887, come ad esempio nell’origine del termine buono da identificarsi con nobile
di spirito, temi utilizzati da d’Annunzio per denunciare lo stato di decadenza etica e politica
dell’Italia. Contemporaneamente il poeta auspica la nascita di una nuova aristocrazia, che deve
trarre la propria ispirazione dall’energia pura della volontà, una nuova élite sociale in grado di
restaurare il sentimento di potenza e di esercitare la sua forza. È proprio quest’ultima a essere
esaltata in questo articolo dannunziano, essa è destinata a dominare sulle masse, le quali non
meriterebbero altro destino.
È come se d’Annunzio trovasse nelle opere di Nietzsche le proprie idee, concepite fino ad allora
solo vagamente, esposte invece ora con chiarezza e con quella base filosofica che a lui manca.
D’Annunzio quindi recepisce l’ideologia nietzscheana rielaborandola e riuscendo a trarne un
proprio pensiero, grazie anche alla sua ‘all’attitudine’ al superomismo.
Come dirà direttamente il poeta, egli contiene già in sé in nuce alcuni tratti del superuomo, fin dai
tempi di Canto Novo (1882). In una lettera del 23 ottobre 1895 a Vincenzo Morello, d’Annunzio
afferma
Se tu ti ricordi certe odi del Canto Novo, convieni con me che là sono i germi dell’idea di potenza e di predominio, i
quali si svilupperanno in Cantelmo [protagonista de Le Vergini delle rocce] con un resultato di pura poesia e in Stelio
Effrena [protagonista de Il Fuoco] con un resultato di azione e di elevazione.
9
Tale connaturazione dell’ideologia superomistica in d’Annunzio è naturalmente evidenziata dai
diversi studiosi che hanno ‘affrontato’ la personalità dannunziana. Come il tedesco Mosse, secondo
il quale il poeta
si ritenne capace di qualsiasi impresa molto prima di aver letto Nietzsche ”Io assisteva in me medesimo alla continua
genesi d’una vita superiore in cui tutte le apparenze si trasfigurano come nella virtù di un magico specchio.” Questa vita
più bella era dominata dal mito e dal simbolo, con lui al centro.
10
Come Gatti, che nella sua biografia dannunziana dichiara come il poeta
non avesse avuto bisogno di attingere alla teoria nietzschiana del superuomo, perché quella teoria era già sua, (…).
11
Tipica di d’Annunzio è infatti fin dall’adolescenza la forte volontà di emergere, di vincere,
superarsi e superare, senza sentirsi obbligato a seguire una qualsiasi legge d’ordine: già dalla
giovinezza quindi si presenta come un possibile prototipo del superuomo. Molti aspetti
dell’ideologia nietzscheana saranno riutilizzati, modificati, da d’Annunzio nelle sue opere sia di
prosa sia di poesia.
Del pensiero di Nietzsche il poeta sceglie infatti solo quegli aspetti che meglio si adattano alla sua
sensibilità, alle particolari condizioni dell’epoca in cui vive: la polemica antidemocratica, il senso
della decadenza del mondo contemporaneo, l’esaltazione della virtù della stirpe, la bellezza della
guerra e della violenza, oltre a ulteriori elementi che possono esser definiti egotistici, come
l’esaltazione della vita e dei sensi, l’insindacabilità dell’azione dell’individuo superiore, che si pone
al di fuori di ogni limite sociale. Attraverso tali acquisizioni, d’Annunzio riesce a desumere - a
proprio modo - la conferma della propria personalità di artista superiore e di uomo libero nell’agire,
forte e senza condizionamenti, incarnando così la figura dell’eroe caro alla società reazionaria di
9
Citazione tratta da N. F. Cimmino, Poesia e poetica in Gabriele D’Annunzio, Firenze, Centro Internazionale del libro,
1959, p. 175.
10
G. L. Mosse, L’uomo e le masse nelle ideologie nazionaliste, Bari, Laterza, 1982, p. 100.
11
G. Gatti, Vita di Gabriele d’Annunzio, Firenze, Sansoni, 1988, p. 130.
13
fine Ottocento, in cerca di potenza, grandezza e prestigio. L’esperienza del superuomo dà a
d’Annunzio
la rivelazione definitiva di se stesso, e in modo tale che sarà impossibile (..) distinguere le immagini della sua umanità
sensuale dal segno di Zarathustra (…)
12
Si ha pertanto una volgarizzazione di Nietzsche da parte di d’Annunzio, che scopre nel filosofo
una mitologia dell’istinto, un repertorio di gesti e di convinzioni che permettono al dandy di trasformarsi in
superuomo e fanno presa immediatamente in un mondo di democrazia fragile e contrastata, (…)
13
Saranno i borghesi a essere particolarmente influenzati dalle immagini romanzesche di
d’Annunzio, che diventeranno come una sorta d’oppio per non vedere la mediocrità della loro
esistenza.
In comune con il filosofo d’Annunzio possiede il concetto musicale dell’arte, l’idea che la
moralità della bellezza risieda nella bellezza stessa e soprattutto che la conquista del vero senso
della vita coincida con quello del mondo greco. Per entrambi l’ideale della perfezione estetica
diventa missione sociale. Come un novello Zarathustra, d’Annunzio si considera l’uomo colto che
con il proprio sapere può aiutare la società italiana a iniziare quel processo di rinnovamento
assolutamente necessario per poter far ritornare il paese una grande potenza internazionale.
Ma prima del contatto diretto con Nietzsche, è però Wagner che influisce con le proprie opere
sulla vita di d’Annunzio. Tale influsso comincia a sentirsi quando il poeta, ossessionato sempre
dall’insoddisfazione personale, comincia a interessarsi alla rigenerazione nazionale. D’Annunzio fa
propri gli ideali del musicista, ritenendo che Wagner sia in grado di conseguire con le sue opere la
rigenerazione spirituale, fondendo insieme mito, simbolo e bellezza.
14
Nei tre articoli del 1893, apparsi su “La Tribuna” il 23 luglio, il 3 e il 9 agosto e dedicati a Il caso
Wagner, è documentata la prima - e forse più spontanea - risposta di d’Annunzio a Nietzsche,
soprattutto quando, nel primo di questi articoli, presenta ai suoi lettori il filosofo (praticamente
sconosciuto al pubblico italiano)
15
definendolo come «uno dei più originali spiriti che sieno
comparsi in questa fine di secolo, ed uno dei più audaci.»
16
In Nietzsche d’Annunzio trova la propria medesima convinzione della necessità di una nuova
aristocrazia, «lentamente e implacabilmente formata per selezione».
17
Recupera quindi temi già svolti ne La bestia elettiva, infatti prosegue descrivendo quello che per
Nietzsche sarebbe il vero nobile, il superuomo: «Ma il vero nobile secondo Nietzsche, non somiglia
in nulla agli slombati eredi delle antiche famiglie patrizie. L’essenza del ‘nobile’ è la sovranità
interiore. Egli è l’uomo libero, più forte delle cose, convinto che la personalità supera in valore tutti
gli attributi accessorii. Egli è una forza che governa, una libertà che si afferma e si regola sul tipo
della dignità.»
18
Questa definizione del nobile riprende alcuni aspetti della figura nietzscheana del Frei-Geist
(Spirito libero), che rappresenta l’uomo impavido, amante della conoscenza, pronto a rinunciare a
tutto per essa. Ma in d’Annunzio manca proprio questa dimensione conoscitiva, il suo Frei-Geist è
12
E. Raimondi, I sentieri del lettore, III. Il Novecento: storia e teoria della letteratura, Bologna, Il Mulino, 1994, p.
189.
13
Ibid., p. 158.
14
Cfr. G. L. Mosse, L’uomo e le masse nelle ideologie nazionaliste, cit., p. 101.
15
«Federico Nietzsche! Chi è costui? chiederanno moltissimi dei miei lettori, (…)», citazione tratta da G.d’Annunzio, Il
caso Wagner, a cura di P. Sorge, Roma-Bari, Laterza, 1996, p. 49.
16
Ibid., p. 50.
17
Ibid., p. 51.
18
Ibid., p. 53.
14
espresso in termini prettamente volontaristici come una forza esuberante, è la traduzione politica di
quello nietzscheano.
19
I tre articoli di d’Annunzio apparsi su “La Tribuna” seguono un pamphlet scritto da Nietzsche nel
settembre 1888 che ha il medesimo titolo degli articoli dannunziani (Der Fall Wagner. Ein
Musikanten-Problem; Il caso Wagner. Un problema musicale), nel quale il filosofo tedesco attacca
Wagner, perché passato dalla musica aristocratica ed eroica del Sigfrido a quella cristiana e
decadente del Parsifal. Nietzsche scrive: «il grande successo, il successo di massa, non sta più dalla
parte dei genuini - si deve essere commedianti per averlo! - Victor Hugo e Richard Wagner -
significano una sola e identica cosa: che in culture di decadenza, ovunque la decisione cada in mano
alle masse, la genuinità diventa superflua, svantaggiosa, mette in secondo piano».
20
Nietzsche definisce poi il musicista come «un tipico décadent che si sente necessario nel suo
gusto pervertito, che con esso rivendica un gusto superiore, che sa di valorizzare il suo
pervertimento come una legge, un progresso, un adempimento.»
21
Nietzsche nel pamphlet contro
Wagner prevede quindi la degenerazione decadentistica dell’artista e del suo ruolo.
Con il passare degli anni la stessa definizione di Wagner data da Nietzsche potrà essere trasportata
(non necessariamente con valenza negativa) alla figura dannunziana: sarà d’Annunzio il seduttore
degli spiriti, l’incantatore delle masse, il brillante pubblicista, promotore della vita come spettacolo,
dello spettacolo come vita.
D’Annunzio nel suo Caso Wagner prende le difese del musicista
22
(il poeta scoprendo Wagner
contemporaneamente a Nietzsche coglie da entrambi lo slancio per la creazione di una nuova arte,
l’arte totale, la Gesamtkunstwerk), anche se questo non gli impedirà di propendere per
l’accettazione della filosofia nietzscheana; va comunque tenuta sempre presente la sua posizione
critica nei confronti di Nietzsche. D’Annunzio infatti - come già esposto in precedenza - si
appropria solamente di determinati aspetti del pensiero nietzscheano, che gli permettono di esaltare
la forza creatrice, il ruolo dell’artista, essere superiore alla media degli altri uomini. È forse più
giusto dire che questi articoli di d’Annunzio sono in un certo senso il manifesto del suo
superomismo, la presentazione ufficiosa del superuomo dannunziano.
Tale accettazione dell’ideologia nietzscheana è presente negli articoli, pubblicati sempre su “La
Tribuna” il 3, 10 e 15 luglio 1893 su La morale di Zola, nei quali il poeta respinge la pietà, la
speranza, la fraternità che caratterizzano invece il Docteur Pasteur zoliano.
In questo articolo d’Annunzio pone il problema dell’inquietudine e dell’ansia che travaglia i
giovani di quegli anni. Secondo il poeta è necessaria una nuova arte:
Perché un’arte nuova fiorisse, perché una nuova credenza cangiasse il cammino dell’umanità, sarebbe necessario un
nuovo terreno che a questa credenza permettesse di germogliare e di elevarsi.
23
Zola e il naturalismo hanno fallito e con essi le altre dottrine che cercano di superarlo - come il
pessimismo schopenhaueriano e dei romanzieri francesi, l’evangelismo degli scrittori russi - perché
19
Cfr. L. Battaglia, Un superuomo troppo umano, in D’Annunzio e il suo tempo, a cura di F.Perfetti, Genova, SAGEP,
1992, vol. II, p. 104.
20
F. W. Nietzsche, Opere di F. Nietzsche - Il caso Wagner, Edizione italiana diretta da G. Colli e M. Montinari, Vol.
VI, tomo III, Milano, Adelphi, 1970, p. 34.
21
Ibid., p. 16.
22
Possiamo infatti leggere nell’articolo in questione: «Il musico, come il pittore, come il romanziere, come il poeta,
come tutti gli artisti che educano e affinano le nostre sensazioni non è se non un fenomeno irresponsabile. L’opera
d’arte è determinata dalle condizioni generali dello spirito e dei costumi presenti nell’epoca. V’è un legame necessario e
una corrispondenza costante tra i fatti della vita reale e le finzioni che l’arte produce sotto l’influsso di quei fatti (…) Il
secolo mette su tutti gli artefici la sua impronta. Non è possibile resistere alla pressione dello spirito pubblico. Sempre
lo stato generale dei costumi determina la specie delle opere d’arte, tollerando soltanto quelle che gli son conformi ed
eliminando le altre per una serie di ostacoli interposti e di assalti rinnovati ad ogni grado del loro sviluppo.»
Per d’Annunzio è inevitabile che un artista rientri nel suo tempo, egli è un riflesso irresponsabile della società. Secondo
il poeta proprio in questo sta l’errore di Nietzsche: scegliere di porsi fuori dalla propria epoca.
23
G. d’Annunzio, Pagine disperse: cronache mondane, letteratura, arte, a cura di A. Castelli, Roma, Lux, 1913, p. 564.
15
non in grado «di conoscere il gran flutto d’idee, di sensazioni e di sentimenti nuovi che si agita alla
soglia del nuovo mondo.»
24
Secondo d’Annunzio
Tanto il pessimismo sistematico degli scrittori di Francia quanto la recente predicazione tolstoiana, tendono ambedue
a un effetto distruttivo. L’uno dimostra l’inutilità di tutti gli sforzi e la spaventosa vacuità della vita; l’altro rinnega ogni
civiltà e ogni progresso a beneficio delle idee di rinunzia. Ambedue procedono da una medesima impotenza speculativa
d’innanzi al mistero.
25
Cosa debbono allora fare i nuovi artisti secondo il poeta?
Ora ci sembra che i nuovi artisti a punto abbiano per compito la reazione contro le due dottrine e l’esposizione di un
concetto della vita più profondo. (…). Una semplice e virile parola venga dopo tanta severità, dopo tanta pietà; venga
infine la parola che tutti credono di aver su le labbra e che nessuno ancora ha mai proferito.
26
Questa parola - forte, virile - secondo d’Annunzio non è certo quella che fa riferimento alla
morale del lavoro di Tolstoij o a quella della scienza di Zola. Lo scrittore italiano oppone alla
saggezza di tali idee la natura della civiltà contemporanea, della quale fornisce una definizione
fortemente nietzscheana:
Ora appunto la mancanza di equilibrio è il principale carattere dell’uomo moderno. Secondo la formula di Federico
Nietzsche, l’uomo moderno rappresenta «un sistema eterogeneo di valori morali». Tutti, senza saperlo, senza volerlo,
abbiamo dentro di noi una gran quantità di elementi di origine opposta; e inoltre apparteniamo a un’epoca di vita
discendente. L’estetica e la morale sono legate in modo indissolubile a queste premesse biologiche.
27
Si comprende quindi come d’Annunzio, accettando l’interpretazione nietzscheana della vita
moderna la ponga in stretta relazione con l’arte, in particolare con la propria. Di qui l’esigenza di
un’attività letteraria che
s’innesti sulla situazione della vita e della civiltà contemporanea, che egli [d’Annunzio] vede, attraverso la definizione
di Nietzsche, deterministicamente connesse alla crisi di certi valori.
28
Questa radicale critica alle correnti allora in voga della prosa mostra come d’Annunzio sia alla
ricerca di una direzione nuova che segni uno stacco deciso dal passato naturalista.
1.2.1 Il superuomo dannunziano
La situazione socio-politica in cui vede la luce il superuomo dannunziano è caratterizzata da una
crisi di grandezza europea che scava un solco profondo nel mondo conservatore e apre una
dialettica tra avanguardia e conformismo, tra solitudine dell’individuo come specchio della crisi e
impegno militante degli studiosi. L’intellettuale assiste in tutta Europa al declino della fede
“positiva”, crollano i miti liberali del mondo piccolo-borghese e con essi la sicurezza dell’artista, la
sua coscienza di guida di una società in crescita. Inoltre la rapida ascesa industriale, con il
conseguente sviluppo economico, scatena in Europa una frattura insanabile tra proletariato e grande
capitale, portando così a una lotta aperta e in genere al trionfo della reazione. Unica possibile
soluzione alla crisi che interessa l’intera Europa pare essere il ristabilire e consolidare il privilegio
borghese, anche attraverso l’ideologia superomistica.
In questo momento storico di transizione nasce l’ideologia superomistica di d’Annunzio.
24
Ibidem.
25
Ibid., p. 561.
26
Ibid., p. 562.
27
Ibidem.
28
E. Scarano Lugnani, Dalla “Cronaca Bizantina” al “Convito”, Firenze, Vallecchi, 1970, pp. 80-81.
16
La potenza e la capacità di agire del superuomo dannunziano crescono con il passare degli anni e
lo svolgersi delle vicende descritte nei romanzi composti dall’autore. I protagonisti maturano, si
sviluppano, aumentano le loro forze, diventano personaggi sempre più saldi e vigorosi. Il percorso
di nascita e di sviluppo del superuomo parte dal titubante e perdente suicida Giorgio Aurispa,
29
-
non in grado di vincere l’ossessione della sensualità - passa attraverso Claudio Cantelmo
30
-
aristocratico corrotto, decadente - fino a giungere a Stelio Effrena,
31
il superuomo perfetto, creato
da d’Annunzio stesso per potersi adeguatamente rappresentare. Nei precedenti romanzi la
coincidenza tra d’Annunzio e il protagonista della vicenda è solo parziale e indiretta, in Stelio
invece il poeta si rispecchia: è un esteta e un superuomo, quindi rappresenta puntualmente la
personalità dannunziana o almeno quella che d’Annunzio stesso si attribuisce.
Vero e proprio trionfatore è anche Paolo Tarsis,
32
che, una volta spezzato il legame carnale che lo
trattiene, vola libero e vincente nel cielo. Raggiungiamo così l’apoteosi del superuomo: ormai ha
conquistato la giusta forza, è pronto a vivere la propria vita con coraggio, spregio del pericolo e
perfino della stessa morte. Il suo unico scopo da ora sarà la vittoria in ogni campo, dal volo,
all’amore, alla guerra. Tutto sarà subordinato ai desideri e alle necessità del superuomo; tutto dovrà
essere in funzione del suo pensiero e della sua azione.
La morale superomistica ha un’enorme forza trascinatrice perché si inserisce in un tessuto storico
idoneo a sfruttare i miti del superuomo: la forza guerriera, la concezione antidemocratica e
strettamente individualistica della vita, i miti della razza e del destino glorioso, la fede nel culto
della Bellezza e della potenza creatrice del genio.
Ma il superuomo possiede anche un preciso programma politico basato su componenti
strettamente nazionaliste: crisi della democrazia italiana, quindi opposizione sempre più decisa della
borghesia nazionalista al cauto riformismo giolittiano, esaltazione della guerra come purificazione
dell’individuo, affermazione della razza e della patria sul palcoscenico internazionale, negazione
violenta di una realtà sociale da risolvere sul piano della giustizia.
Il superuomo dannunziano vede nelle tristi condizioni dell’Italia democratica il fallimento degli
ideali risorgimentali e risolve nei miti della razza e della potenza nazionale tutti i problemi che
angustiano la classe sociale di cui si è fatto interprete supremo.
Finora è stato esposto il quadro generale nel quale d’Annunzio vive il suo incontro con l’ideologia
nietzscheana e nel quale il poeta inizia a esprimere il proprio particolare superomismo. Per
comprendere le caratteristiche e il ruolo del superuomo di d’Annunzio è ora indispensabile
analizzare almeno sinteticamente i protagonisti dei suoi romanzi.
Essi sono tutti appartenenti a quell’élite di “superuomini” a cui tutto sarebbe dovuto; sono al di
sopra di ogni cosa e persona, le loro azioni, i loro voleri vengono preposti a qualsiasi sentimento e
giustizia grazie alla loro intelligenza superiore. Il superuomo è quindi una creatura privilegiata che
vive in una propria dimensione diversa dalla normalità.
Tali personaggi creano il culto della propria rarità di esseri intellettuali ed etici, sono
nietzscheanamente convinti dell’impossibilità di una comunione col prossimo, la loro vita interiore
è in continuo movimento, senza riuscire a placarsi mai.
Il segno di Nietzsche è riconoscibile fin dal primo romanzo di d’Annunzio, Il Piacere (1888-89),
scritto prima della conoscenza diretta con il filosofo. L’autore mostra infatti il proprio cammino di
ricerca di un mito, di un’ideologia che sia in grado di rappresentare la sua visione della vita,
rinvenendola nella teoria nietzscheana dell’Übermensch e interpretandola - come già è stato
spiegato - a modo proprio. D’Annunzio esalta la vitalità, la sensualità, il principio della completa
libertà d’azione per il superuomo, principio affiancato dal culto della bellezza e dell’arte, tutte
tematiche che rappresenteranno una costante nell’opera e nella vita del poeta.
29
Protagonista de Il trionfo della morte (1894).
30
Protagonista de Le vergini delle rocce (1895).
31
Protagonista de Il fuoco (1900).
32
Protagonista de Forse che sì forse che no (1910).
17
In Andrea Sperelli - protagonista de Il Piacere - d’Annunzio proietta le proprie aspirazioni e in lui
rappresenta la malattia della volontà e il “dangereux esprit d’analyse” di Paul Bourget, tipico
dell’epoca. Nasce così - secondo le parole di Oliva - un uomo privo di coscienza, che antepone il
senso estetico a quello morale.
33
Questo romanzo può essere interpretato come la storia fallimentare del tentativo di «fare la
propria vita come si fa un’opera d’arte». La raffinata cultura e le capacità artistiche di Sperelli
(«…quel colore ch’egli ha quando parla di cose belle, con quell’entusiasmo d’arte, ch’è una delle
sue più alte seduzioni»
34
) si trasformano in fattori di corruzione e strumenti di una lussuria che
corrode progressivamente le stesse facoltà intellettuali di Andrea, impedendo loro di realizzarsi, e
che distrugge il piacere stesso cui esse sono finalizzate: al termine del romanzo, Sperelli
soccomberà al vizio, giungendo alla totale aridità morale.
È però nella dedica del Trionfo della morte (1894) all’amico pittore Francesco Paolo Michetti
(Tocco da Casauria,1851-Francavilla al mare,1929) che troviamo la prima esplicita citazione di
Nietzsche da parte di d’Annunzio, con la quale l’autore proclama l’arrivo dell’ideologia
nietzscheana nelle proprie opere.
Noi tendiamo l’orecchio alla voce del magnanimo Zarathustra, o Cenobiarca; e prepariamo nell’arte con sicura fede
l’avvento dell’Uebermensch, del Superuomo.
35
Così si conclude la dedica, con un richiamo diretto a Zarathustra, nell’attesa dell’arrivo del
superuomo.
Nel Trionfo della morte la concezione nietzscheana del superuomo sarà però sconfitta, per essere
poi richiamata nuovamente ne Le Vergini delle rocce (1895) e finalmente resa vincitrice ne Il Fuoco
(1900) e nel Forse che sì forse che no (1910).
Per riprodurre la vicenda di Zarathustra d’Annunzio creerà il personaggio di Claudio Cantelmo -
protagonista de Le Vergini delle rocce - ma già nel Trionfo della morte Giorgio Aurispa si richiama
alla figura nietzscheana, anche senza essere un vero superuomo, ma solamente un aspirante a tale
condizione, in quanto non possiede che connotati incerti di quell’immagine. Egli rappresenta invece
l’insuccesso nella vita, dei suoi ideali, delle sue aspirazioni: più Giorgio cerca il dominio e la
potenza, più egli è debole, senza volontà e forza per agire.
Più che un dominatore, Giorgio si rivela un dominato; il vero “Invincibile” è Ippolita
(protagonista femminile), la “nemica”, la donna che è allo stesso tempo amante e tiranna. Nello
schema narrativo, come spiega De Michelis
il Superuomo vorrà essere un’altra aspirazione nostalgica del fallito Aurispa (…); non per nulla la disgressione
nicciana si chiude sull’allegoria di settembre dove i cipressi michelangioleschi delle Terme di Diocleziano appaiono
eroi colpiti dall’«ingiuria delle forze cieche,» (…). In realtà, anche ripercorrendo la dottrina di Zarathustra, Giorgio
Aurispa continua ad essere, non personaggio che lo scrittore giudichi in vitro, l’alter-ego di lui; di qui il risentimento
d’enfasi in tutto il capitolo, che sottolinea la concezione eroica, non la nostalgia di essa concezione eroica; (…)
36
Il limite di Aurispa è quindi costituito dalla donna amata («ella è giunta a poco a poco a limitare la
mia attività materiale nelle cose dei sensi (…) Ella si compiace di impormi la sua opera voluttuosa
(…) Conoscendo tutte le predilezioni del suo maestro, ella par felice di coltivarle e di appagarle. Ma
le mie predilezioni son le sue?»),
37
dalla sofferenza che deriva dalla schiavitù dei sensi e dal
contemporaneo desiderio di liberarsene. Per questo il romanzo terminerà con il suicidio-omicidio
dei due protagonisti: Giorgio si getterà da una rupe trascinando con sé Ippolita.
33
Gianni Oliva, Introduzione a D’Annunzio prosatore, G. D’ANNUNZIO, Il Piacere-Giovanni Episcopo-L’Innocente,
Roma, Newton Compton, 1995, p. XIX.
34
Ibid., p. 159.
35
G. d’Annunzio, Il Trionfo della morte-Le Vergini delle Rocce, Roma, Newton Compton, 1995, p. 12.
36
E. De Michelis, Tutto D’Annunzio, Milano, Feltrinelli, 1960, p. 145.
37
G. d’Annunzio, Il Trionfo della morte-Le Vergini delle Rocce, cit., p. 131.
18
Foscanelli dà un’illuminante descrizione di Aurispa nel suo libro Gabriele d’Annunzio e l’ora
sociale, definendolo così:
Aurispa non è l’uomo che ha superato il bene e il male, ma colui che ricerca se stesso ansiosamente nelle scaturigini
della sua stirpe. La folla miserabile dei fanatici religiosi lo atterrisce e lo riempie di sgomento; si rifugia fra le braccia di
Ippolita, (…) e ha la visione del Trionfo della Vita, mentre fantastica di Zarathustra. Ma è un affanno senza
conclusione, agli effetti della teoria del superuomo; il doppio suicidio è antinicciano; (…)
38
Per combattere le sue debolezze Aurispa domanda ‘aiuto’ a due «intercessori per la vita». Il primo
è Maurice Barrès (Charmes-sur-Moselle,1862-Parigi,1923), il teorico del culto dell’io. A lui chiede
un metodo per dominare il senso di interiore inconsistenza che è poi l’”io” schopenhaueriano. Il
secondo intercessore è - naturalmente - Nietzsche, al quale Giorgio si ispira presentandosi nelle
vesti di superuomo.
Nel Trionfo della morte appaiono diverse citazioni da Così parlò Zarathustra, tutte tradotte alla
lettera dall’Antologia di Lauterbach e Wagnon. Tali richiami rappresentano il primo momento
dell’adesione, sempre del tutto personale, di d’Annunzio alla dottrina nietzscheana dopo La bestia
elettiva.
Normale è chiedersi il perché della scelta di d’Annunzio di rappresentare - e per la prima volta - il
suo superuomo attraverso un decadente, un uomo debole e incapace di creare, mentre Zarathustra
dichiara proprio come scopo precipuo del superuomo la creazione.
Questo perché Aurispa rappresenta ancora la visione - possiamo dire - privata del superuomo.
D’Annunzio svilupperà poi nei successivi romanzi e drammi il mito collettivo dell’Italia e del
primato latino a lui tanto caro, ma per il momento Giorgio è solamente un riflesso del d’Annunzio
uomo e delle sue aspirazioni personali. Il cammino di formazione del superuomo dannunziano è
solo all’inizio. Oltre tutto bisogna tener presente come questo romanzo sia scritto a partire dal 1889,
quando cioè l’ideologia nietzscheana non è ancora assorbita da d’Annunzio; Nietzsche è già stato
letto - infatti nell’opera sono presenti espliciti riferimenti al filosofo tedesco - ma l’esperienza del
superuomo non agisce ancora sul piano ideologico, ma solamente come suggestione letteraria.
Inoltre più forte di Nietzsche è l’influenza estetico-decadente del tempo. Il ‘perdente’ è più
‘bello’, più ‘giusto’ in quel momento storico e d’Annunzio non può che rappresentarlo così nel suo
romanzo.
Nel Trionfo della morte troviamo le principali tematiche dannunziane che saranno poi alla base
degli scritti successivi: la repulsione per la plebe, la visione della Storia come campo d’azione per
pochi eletti, il rifiuto della democrazia, l’idea che lo Stato debba favorire l’elevazione graduale di
una casta di privilegiati verso una forma ideale d’esistenza.
Come già dichiarato, il Trionfo della morte è quindi la prima opera di d’Annunzio nella quale egli
dà inizio alla creazione del proprio superuomo, utilizzando e modificando alcune caratteristiche
dell’Übermensch nietzscheano. Sarà però con Le Vergini delle rocce (1895) e con il suo
protagonista Claudio Cantelmo che d’Annunzio rappresenterà a modo proprio la vicenda di
Zarathustra.
Mariano - nella sua biografia dannunziana - chiarisce perfettamente il punto di partenza de Le
Vergini delle rocce, cioè l’affermazione del sogno aristocratico e superumano attraverso i tre precisi
compiti che spettavano a Cantelmo:
1° Giungere metodicamente a formare anima e corpo, secondo la “perfetta integrità del tipo latino
2° rappresentare la più profonda visione dell’universo “in una sola e suprema opera d’arte”,
3° fare un figlio (superumano), allo scopo di “preservare le ricchezze ideali della stirpe” e “le conquiste” del
superuomo-padre.
39
38
U. Foscanelli, Gabriele D’Annunzio e l’ora sociale, Milano, Casa Editrice Carnaro, 1952, p. 71.
39
E. Mariano, Sentimento del vivere ovvero Gabriele D’Annunzio, Milano, Mondadori, 1962, p. 244.
19
Il tutto in nome del principio a metà carlyliano e a metà paretiano secondo il quale
(…) il mondo è la rappresentazione della sensibilità e del pensiero di pochi uomini superiori, i quali lo hanno creato e
quindi ampliato e ornato nel corso del tempo e andranno sempre più ampliandolo e ornandolo nel futuro.
40
In questo romanzo l’autore racchiude pienamente ed esplicitamente l’ideologia conservatrice,
borghese, antidemocratica. D’Annunzio infatti descrive il mondo come
la rappresentazione della sensibilità e del pensiero di pochi uomini superiori, i quali lo hanno creato e ornato nel corso
nel tempo e andranno sempre più ampliando e ornandolo nel futuro. Il mondo, quale oggi appare, è un dono magnifico
largito da pochi ai molti, dai liberi agli schiavi, da coloro che pensano e sentono a coloro che debbono lavorare.
41
Cantelmo è l’esponente di una nuova oligarchia nata per governare sui deboli; in lui si concretizza
l’aspirazione alla grandezza tanto agognata dalla borghesia italiana ed europea, mentre il diffuso
senso di insoddisfazione nei confronti della vita italiana individua come fonte di tale male
l’inferiorità naturale della massa e l’impotenza di chi la dovrebbe invece dominare.
Possiamo così leggere:
Come un rigurgito di cloache l’onda delle basse cupidige invadeva le piazze e i trivii, sempre più putrida e più gonfia,
senza che mai l’attraversasse la fiamma di un’ambizione perversa ma titanica, senza che mai vi scoppiasse almeno il
lampo d’un bel delitto. La cupola solitaria nella sua lontananza transtiberina, abitata da un’anima senile ma ferma nella
consapevolezza de’ suoi scopi, era pur sempre il massimo segno, contrapposta a un’altra dimora inutilmente eccelsa
dove un Re di stirpe guerriera dava esempio mirabile di pazienza adempiendo l’officio umile e stucchevole assegnatogli
per decreto fatto dalla plebe.
42
In questo brano del romanzo però è possibile notare - contemporaneamente al disprezzo per la
plebe - una critica alla stessa borghesia arricchita. Infatti Claudio vede la capitale romana come una
città corrotta, con politici inadeguati e deboli e una classe borghese capace solamente di vivere della
propria brama, sollazzandosi nell’avarizia, senza preoccuparsi minimamente dello stato delle cose
italiane. Nessun moto, nessuna insurrezione per cambiare la situazione del paese. D’Annunzio
critica la borghesia per spronarla a rinnovarsi, a divenire la classe sociale che può spingere la
nazione verso grandi mete.
A questo proposito si rileva però come l’autore sia in un certo senso contraddittorio. Se da un lato
si pone quale difensore della borghesia, pur criticandola, comprendendo il ruolo chiave che essa
svolge e svolgerà nella società moderna, da un altro esalta l’aristocrazia quale esempio della passata
gloria italiana. Questa classe è posta al centro di un sistema sociale gerarchico fondato sulla
subordinazione del ‘servo’ all’uomo ‘libero’; il primo svolge una funzione prettamente manuale,
mentre il secondo si dedica ad attività contemplative, potendo contare sui benefici derivanti proprio
dal lavoro delle classi inferiori. La borghesia invece si caratterizza per la sua attenzione e il suo
favore nei confronti di chi, utilizzando la propria intraprendenza, il proprio lavoro, riesce a
migliorare la sua situazione socio-economica, senza adagiarsi completamente - come invece fanno
gli aristocratici - sulle persone loro sottostanti gerarchicamente. D’Annunzio si colloca tra queste
due diverse visioni, in bilico tra il rispetto per la vecchia classe nobile e la giovane classe borghese,
intuendo l’importanza che questa ultima andrà sempre più a rivestire.
L’individualismo di Cantelmo - cioè quello dell’autore stesso - è tipico dell’Ottocento; esso è
caratterizzato dal timore di un’avanzata democratica sotto forma di socialismo. Allo stesso tempo
però, forte della scienza, preannuncia il proprio trionfo nel nuovo secolo, una volta esaurita la
ventata democratica.
40
G. Tosi, D’Annunzio à Georges Hérelle, correspondance accompagnée de douze sonnets cisalpins, Paris, Denoël,
1946, p. 105.
41
G. d’Annunzio, Il Trionfo della morte-Le Vergini delle Rocce, cit., p. 299.
42
Ibid., p. 304.
20
Attraverso Cantelmo d’Annunzio descrive la democrazia come un falso egotistico individualismo.
Quando essa avrà sommerso l’intera società appariranno le individualità superiori. Tornerà il Re, un
Re che regna su di uno stato
adatto a favorire la graduale elevazione d’una classe privilegiata verso un’ideal forma di esistenza.
43
Le aristocrazie saranno al vertice dello stato e lo guideranno non tanto con principi quanto con
forza.
44
Per capire realmente la figura di Claudio è necessario affidarsi direttamente alle parole di
d’Annunzio
Egli si rammarica che l’inettitudine della sua casta non gli consenta di condurre alcuna impresa civile; e, non potendo
manifestarsi com’ei vorrebbe, concentra nel suo proprio spirito la forza della sua volontà e crea un interno mondo di
poesia. Ora la poesia è azione.
45
Ed è proprio su di quest’ultima frase che vogliamo porre l’attenzione: la visione dannunziana
dell’azione come opera d’arte. La vita deve essere vissuta totalmente, senza rinunce, con mete
sempre più alte e grandi. Rischiando tutto per innalzarsi al di sopra del ’comune’, delle masse.
Anche la stessa impresa fiumana sarà per d’Annunzio un’enorme, la più bella, realizzazione
artistica. Claudio è consapevole che il proprio ceto non riuscirà a compiere quell’azione necessaria
per riportare l’Italia ai suoi antichi splendori; per questo - da vero rappresentante decadente -
preferisce ritirarsi nella Bellezza, nell’arte. Infatti il culto della Bellezza, valore che solo gli eletti
possono comprendere, rappresenta la vera linea discriminante tra essi e la plebe.
Cantelmo, per colpa dei tempi, non è però uomo d’azione e di iniziativa politica. Egli è un
visionario, crede che il mondo debba essere comandato da «pochi uomini superiori», in grado di
ricostruire un mondo dei «valori»; un desiderio quindi per niente superumano e che non esige un
gesto politico. L’ambizione di Claudio è «di portare un qualche ornamento, di aggiungere un
qualche valor nuovo a questo umano mondo che in eterno s’accresce di bellezza e di dolore».
46
Il protagonista di questo romanzo si richiama quindi esplicitamente a Nietzsche, ma soprattutto a
Socrate, Dante e Leonardo da Vinci. Il sogno di Cantelmo è quello di una restaurazione utopica, che
si traduce in un’auto-esortazione alla poesia:
Poiché un tal giorno sembra lontano, tu cerca per ora, condensandole [le antiche forze barbare], di trasformarle in viva
poesia.
47
Claudio non è quindi un superuomo, non crede nemmeno di esserlo, si limita a immaginarlo, a
sognarlo nel proprio figlio non ancora concepito.
Lo studioso Petronio fa risaltare come in questo romanzo d’Annunzio si sia - possiamo dire -
‘diviso’. L’autore compie infatti con Le Vergini delle rocce
un’opera polivalente. Dà sfogo al suo snobismo, sociale e letterario, di temi e di stile; continua a lusingare
quell’aristocrazia che gli era cara nella vita e che nella finzione letteraria aveva ancora un posto di rilievo; ma intanto
manda i primi segnali a quella “classe dei dotti”, a quei poeti ed artisti, tutti borghesi, ai quali annunzia, anticipando il
“Leonardo” ed “Il Marzocco” il loro diritto a guidare il Paese; più mira inoltre ad attirare alle sue tesi quel tanto di
pubblico alto e medio borghese che ora lo legge, pur con tutti i suoi affatturamenti di stile: forse proprio per quelli.
48
43
Ibid., p. 312.
44
Cfr. G. Volpe, Gabriele d’Annunzio, L’Italiano, il Politico, il Combattente, Roma, Volpe, 1981, p. 25.
45
Citazione da “Il Giorno” Roma, Anno II, giovedì 29 marzo 1900.
46
G. d’Annunzio, Tutti i romanzi, cit., p. 299.
47
Ibid., p. 304.
48
G. Petronio, L’autore e il pubblico, Padova, Studio Tesi, 1981, p. 162.