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Soprattutto si discute di quale tipo di innovazioni sia rilevante ai fini della spiegazione dei
processi di crescita e di come queste possano essere introdotte concretamente nei nostri
modelli. Dobbiamo continuare a pensare alla tecnologia come ad un fattore esogeno, oppure
possono essere formulate ipotesi attendibili che consentano di endogenizzare il processo
innovativo?
Più recentemente, l‟attenzione di alcuni autori si è appuntata su quelle che Bresnahan e
Trjtenberg (1995) hanno per primi definito general purpose technologies. Si tratta di
tecnologie pervasive dell‟intero sistema economico, che possono accrescere l‟efficienza
produttiva in molteplici settori; esse determinano cambiamenti strutturali del sistema
economico, trasformandolo dall‟interno e imponendo nuovi paradigmi tecnologici. La loro
influenza a livello macroeconomico si dispiega su vari decenni, lungo i quali gli incrementi
di produttività da esse prodotti vanno aumentando sempre di più a mano a mano che esse
vengono perfezionate ed adattate e vengono sviluppate innovazioni complementari che ne
favoriscono l‟applicazione nel settore produttivo.
Questa impostazione risulta per molti versi più aderente all‟osservazione della realtà, in
quanto non produce un modello di crescita lineare, bensì ciclico: a seguito dell‟introduzione
di una nuova GPT, si registra una momentanea caduta del Pil e della produttività, che poi
tornano a salire al di sopra dei livelli precedenti non appena la nuova tecnologia sia messa in
condizione di dispiegare appieno le sue potenzialità. In un primo momento, infatti, parte
delle risorse a disposizione del sistema è distolta dalle finalità produttive e impiegata nel
settore della ricerca per lo sviluppo di input complementari, senza i quali la nuova GPT non
può trovare applicazione.
Vari esempi storici sembrano suffragare le ipotesi sottostanti questi modelli: le general
purpose technologies più importanti che si usa in genere ricordare sono la macchina a
vapore, l‟elettricità e i computer.
In questo lavoro si è cercato di evidenziare il loro ruolo nei processi di crescita. A tal fine,
partendo dal primo modello di Bresnahan e Trajtenberg (1995), mi sono soffermata
maggiormente su quello di Helpman e Trajtenberg (1998) e sulle osservazioni sollevate da
Aghion e Howitt (1998).
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PARTE I
IL MISTERO DELLA CRESCITA ECONOMICA E IL RUOLO DEL PROGRESSO
TECNOLOGICO
CAPITOLO 1
I CONCETTI FONDANTI
“That the creat ion and diffus ion
of technological kno wledge i s at the
hear t o f modern economic gro wth i s
now widely accepted”. (Schmookler ,
Invent ion and Economic Growth )
I.1.1 Invenzione, innovazione, imitazione e diffusione
Il primo a stabilire una netta ditinzione fra questi tre termini – invenzione, innovazione,
imitazione - fu Schumpeter (1939). L‟invenzione si colloca in un contesto scientifico: la sua
comparsa produce degli avanzamenti nella conoscenza intellettuale e nel sapere
dell‟umanità, ma non è detto che assuma rilevanza dal punto di vista pratico. Essa ha un
impatto economico soltanto quando trova applicazione in campo produttivo, trasformandosi
in innovazione.
Così come non è detto che ad un‟invenzione faccia seguito la relativa innovazione, vale
anche l‟affermazione contraria: non è detto che l‟innovazione segua necessariamente
l‟invenzione. Molte innovazioni sono state introdotte in risposta ad esigenze emergenti dal
sistema produttivo ancora prima che fossero chiari i principi fisici su cui esse si basavano.
Un esempio è dato dall‟industria aeronautica e aerospaziale, dove la costruzione di
apparecchi in grado di volare e la sperimentazione del loro funzionamento è avvenuta
nonostante la scienza non avesse ancora fornito spiegazioni adeguate riguardo alle modaliltà
con cui questo potesse avvenire. In questi casi, sono le innovazioni e indurre progressi nel
sapere scientifico, in quanto aprono nuove frontiere di ricerca prima inesplorate e addirittura
impensabili fino a poco tempo prima.
Un‟innovazione viene adottata da una determinata impresa quando questa ritiene che possa
essere profittevole, il che potrebbe anche avvenire con un certo ritardo temporale. In seguito,
altre imprese potranno imitare la nuova tecnologia e dar corso ad un processo diffusivo la
cui velocità ed estensione dipendono da vari fattori:
1. rapporti commerciali fra i vari paesi e quantità di merci che incorporano i
miglioramenti tecnologici che sono oggetto di scambio a livello internazionale
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2. necessità che i lavoratori acquisiscano le abilità necessarie al suo utilizzo non
tanto attraverso un‟istruzione formale, quanto tramite un sapere veicolato
nell‟ambito lavorativo (spostamento di personale specializzato). Questo fenomeno
prende il nome di “effetto Horndal”, dal nome dell‟acciaieria svedese in cui fu
rilevato un incremento di prodotto per ora-uomo pari al 2% annuo in un arco di 15
anni malgrado gli impianti e le tecniche produttive fossero rimaste invariate. Gran
parte dei miglioramenti di produttività che si registrano nelle imprese derivano da
piccole innovazioni che si configurano come processi di apprendimento graduale: si
tratta del “learning by doing” e del “learning by using”.
3. sviluppo di input complementari: per manifestare adeguatamente tutto il loro
potenziale, determinate innovazioni richiedono di essere supportate da altre. Ad
esempio, la macchina a vapore di Watt ebbe il suo massimo sviluppo quando fu
migliorato il metodo di lavorazione dei metalli per la costruzione dei cilidri.
4. interazione con le tecnologie esistenti: ogni nuova tecnologia deve confrontarsi con
quelle esistenti e stabilisce con essi rapporti di sostituibilità o di complementarità.
Essa, infatti, può collaborare con le tecnologie esistenti oppure porsi in competizione
con esse. Un esempio del primo caso riguarda la collaborazione dell‟industria
siderurgica con la macchina a vapore nello sviluppo del sistema ferroviario a partire
dalla seconda metà del XIX secolo. La stessa macchina a vapore, invece, dopo
essersi affiancata al tradizionale sistema di velatura sui vascelli che compivano le
trasversate transoceaniche, entrò in competizione con essi fino a diventare l‟unica
forza motrice.
La presenza di tecnologie alternative senza dubbio rallenta il processo di diffusione
suscitando maggiori resistenze: anzi, la comparsa dell‟innovazione può indurre
incrementi di produttività e perfezionamenti anche nella vecchia tecnologia nel suo
tentativo di competere con la nuova, fino al momento in cui quest‟ultima si afferma
definitivamente.
5. riluttanza, spesso causata da fattori irrazionali, ad aderire alle novità. Talvolta il
peso di una tradizione consolidata crea delle resistenze interne che frenano il
processo innovativo: alcune delle innovazioni più importanti possono essere
considerate tali proprio per il cambiamento di prospettiva che hanno prodotto e per le
maggiori resistenze che hanno dovuto superare per affermarsi.
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In questa sede è utile rilevare come la distinzione fra invenzione e innovazione – benché
ormai di uso comune – non sia condivisa da tutti gli autori. Usher (1954) e Ruttan (1959), ad
esempio, preferirebbero un approccio unitario. La loro teoria mira a fornire un quadro di
riferimento unitario dei processi sociali attraverso cui “nuove cose” vengono ad esistenza.
I.1.2 Il concetto di innovazione: la mancanza di una definizione e classificazione
condivisa
I vari autori forniscono raramente la definizione del concetto di innovazione di cui si
accingono a parlare. Tuttavia, quando si passa all‟analisi delle sue caratteristiche nonché dei
suoi effetti sul sistema economico, ci si rende conto che il fenomeno a cui essi fanno
riferimento può assumere connotazioni anche molto diverse. Per questo ritengo importante
riportare in questa sede le principali interpretazioni che sono state date di questo concetto.
Kuznets (1972) definisce l‟innovazione come un‟applicazione di un nuovo metodo per
raggiungere uno scopo utile. Il fatto che si collochi nell‟ambito applicativo, distingue
l‟innovazione dall‟invenzione e dal sapere astratto; essa deve poi riguardare una conoscenza
di tipo nuovo, e non semplicemente un perfezionamento di un metodo già precedentemente
in uso e, infine, deve servire ad uno scopo produttivo, di interesse economico. Sempre
Kuznets rileva come possano essere operati vari tipi di classificazione delle innovazioni,
concentrandosi su elementi differenti a seconda dello scopo dell‟analisi che si intende
condurre:
A. distinzione tra innovazioni che riducono i costi (spostano verso il basso la curva di
costo) e innovazioni che fanno sorgere una domanda per un nuovo prodotto che
prima non esisteva (creano una nuova funzione di produzione). Mentre le prime si
avvicinano molto alla definizione di innovazioni di processo, le seconde sembrano
rientrare nella tipologia delle innovazioni di prodotto, una distinzione – quest‟ultima
– spesso utilizzata. In senso più ampio, possiamo anche parlare di innovazioni nel
campo manageriale e organizzativo.
B. le innovazioni di prodotto spesso dipendono dalla domanda dei consumatori,
mentre quelle di processo – che entrano come input nelle funzioni di produzione
abbassando i costi – sono guidate dalle decisioni degli imprenditori.
C. distinzione tra innovazioni maggiori e minori: le prime (ad esempio la macchina a
vapore o l‟elettricità) impiegano molto tempo a manifestare tutto il loro potenziale
perché richiedono il contestuale sviluppo di numerosi input complementari. Inoltre,
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sono generalmente legate alla ricerca di base (ad esempio l‟impego di nuove fonti di
energia) ed agiscono soprattutto riducendo i costi di produzione; però, dal momento
che modificano la struttura industriale e financo il modo di vivere delle persone,
inducono per via indiretta anche modificazioni nella domanda dei beni di consumo.
Riguardo all‟ultima distinzione introdotta, possiamo rilevare come spesso si usi operare una
classificazione più dettagliata delle innovazioni a seconda del loro impatto sul sistema
economico e sulla profondità delle trasformazioni da esse indotte.
Ad esempio, Freeman e Perez (1988) distinguono tra:
1. innovazioni incrementali: si registrano continuamente in ogni industria o servizio
anche se con diversa frequenza e dipendono dalla combinazione di pressioni dal lato
della domanda, fattori socio-culturali, opportunità tecnologiche.
2. innovazioni radicali: si presentano con discontinuità e sono il prodotto finale
dell‟attività di R&S (ad esempio, il nylon non poteva emergere dal miglioramento
nel processo di produzione delle piante di rayon o dell‟industria laniera). Si
distribuiscono in modo diseguale nel tempo e fra settori. In termini di impatto
economico aggregato, sono importanti ma possono anche rimanere piccole e
localizzate se non sono collegate fra loro.
3. cambiamenti del “sistema tecnologico”: riguardano la combinazione di innovazioni
radicali e incrementali, insieme a trasformazioni manageriali e organizzative che
riguardano più industrie.
4. cambiamenti nel paradigma tecno-economico (rivoluzioni tecnologiche):
consistono nella confluenza di vari gruppi di innovazioni radicali e incrementali e
possono incorporare un certo numero di sistemi tecnologici. Si caratterizzano per il
loro effetto pervasivo in tutta l‟economia perché quando si realizzano instaurano un
nuovo regime tecnologico che può durare per alcuni decenni. I cicli schumpeteriani
trarrebbero origine dalla successione di tali paradigmi tecno-economici che
emergono soltanto dopo un travagliato processo di cambiamenti strutturali.
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I.1.3 Il processo innovativo
Prima di passare alla descrizione delle caratteristiche che può assumere il progresso
tecnologico nella visione dei diversi autori, può essere utile soffermarsi brevemente sulle
modalità in cui essi intendono possa dispiegarsi il processo innovativo stesso.
È evidente, infatti, che l‟approccio adottato rispetto all‟evoluzione dinamica del progresso
tecnologico e alle forze che lo muovono, condiziona la sua descrizione dal punto di vista
statico e determina gli attributi che si ritiene esso debba possedere. Ad esempio, se si ritiene
che il processo innovativo proceda solamente attraverso le intuizioni di alcune personalità
geniali la cui apparizione in un determinato periodo storico risulta del tutto casuale e
imprevedibile, sarà vano ogni tentativo di endogenizzare il progresso tecnico e
presumibilmente questo presenterà caratteristiche di discontinuità nel tempo.
A poli opposti si collocano, rispettivamente, la teoria trascendentalista e quella
deterministica. La prima attribuisce un ruolo preponderante a uomini dotati di un‟intuizione
particolarmente viva e di capacità intellettuali superiori che, soli fra i loro contemporanei,
sarebbero in grado di partorire quelle invenzioni1 da cui dipende il progresso della nostra
civiltà.
La teoria deterministica (cfr. Merton, 1961), per contro, ritiene che le invenzioni siano in
un certo senso inevitabili: esse scaturiscono da fattori sociali, cioè derivano da un‟adeguata
conoscenza di base che riceve l‟attenzione di un numero sufficiente di innovatori. In questa
prospettiva, i fattori personali possono influire sui tempi in cui certe invenzioni vengono ad
esistenza, ma non sulla loro riuscita. Tuttavia – fa notare Schmookler (1966) – quest‟ultima
affermazione basta da sola a smentire la teoria deterministica, ponendola in contrasto con le
sue stesse premesse: se si ammette che la tempistica secondo cui sono state prodotte
determinate invenzioni sarebbe potuta essere diversa, si deve coerentemente concludere che
la storia stessa del progresso tecnologico avrebbe potuto seguire strade diverse (ciò
soprattutto in coseguenza del fatto che molte invenzioni hanno potuto svilupparsi solo in
seguito ad altre e che non sarebbe possibile modificarne l‟ordine di apparizione).
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Si rende necessario un caveat: nel prosieguo di questo paragrafo parlerò piuttosto indifferentemente di
invenzioni e innovazioni. La distinzione precedentemente introdotta fra questi due termini assume significato
soprattutto in riferimento al momento in cui il progresso tecnico manifesta i suoi effetti nel settore produttivo e
viene pertanto riflesso nelle statistiche di crescita di un dato sistema economico. Ai fini dell‟indagine sulle
origini e modalità di menifestazione del processo innovativo, tale distinzione appare meno importante e spesso
non viene utilizzata dagli autori che si occupano di questo genere di questioni.
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Lungo lo spettro che si stende fra gli estremi di queste due teorie si dischiudono altre
possibilità interpretative che si collocano in posizione intermedia, non rinnegando né
l‟apporto del “fattore umano” né quello del “fattore storico-sociale”.
In particolare Usher (1929) rifiuta sia l‟approccio trascendentalista – secondo il quale
un‟invenzione emerge a seguito di un atto di pura intuizione da parte di una personalità
geniale – sia quello deterministico – in base al quale il processo inventivo è sempre
innescato dai bisogni e l‟inventore è semplicemente uno strumento dei processi storici. Egli
si schiera dalla parte della teoria della sintesi cumulativa: le invenzioni maggiori
emergono dalla sintesi cumulativa di invenzioni relativamente semplici, ciascuna delle quali
richiede un atto intuitivo (act of insight) per giungere ad esistenza.
L‟innovazione si configura come un processo di apprendimento, che si fonda sulla
tradizione ma contiene in sé numerosi elementi creativi: essa è l‟assimilazione costruttiva di
elementi preesistenti in nuove sintesi, nuovi schemi, nuove configurazioni e stabilisce
relazioni prima inesistenti. L‟attività creativa è svolta da scienziati e innovatori che sono
stimolati dai loro desideri irrealizzati: per questo l‟invenzione non scaturisce solo dal
pensiero razionale ed analitico, comportando un coinvolgimento anche della sfera
emozionale.
Certamente è innegabile che, rispetto al passato, oggi l‟attività di ricerca avvenga per lo più
in laboratorio e abbia assunto un carattere più sistematico. Usher, tuttavia, ritiene che ciò
non abbia comportato un cambiamento nella natura dell‟atto inventivo in sé, quanto
piuttosto nella percezione degli scopi che si intendono raggiungere. Poiché ci si fissa degli
obiettivi che vanno al di là della capacità inventiva del singolo, si rende necessaria
l‟organizzazione di strutture apposite che li perseguano consapevolmente e possano operare
su orizzonti temporali più lunghi.
Schmookler (1966) afferma che le determinanti di un‟invenzione sono:
a) i desideri che questa soddisfa
b) gli ingredienti intellettuali di cui si compone (stato della conoscenza)
c) il caso
Tralasciando il terzo elemento sui cui chiaramente non c‟è molto da dire, il nostro autore
puntualizza un concetto solo apparentemente banale. Cosa inventiamo è il prodotto
congiunto di ciò che vogliamo e di ciò che sappiamo: non inventiamo tutto ciò che sappiamo
e non possiamo inventare tutto ciò che vogliamo.
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Detto questo, Schmookler attribuisce un‟importanza maggiore al lato della domanda. Non è
vero che sono le innovazioni a creare la propria domanda: ciò emerge solamente in un
contesto statico, in cui necessariamente un prodotto non può essere venduto se non c‟è un
mercato in cui può essere scambiato. In un contesto dinamico, è la domanda (vendite attese
ai diversi prezzi possibili) a precedere l‟invenzione: le stesse risorse che finanziano l‟attività
di R&S sono allocate in base alla profittabilità attesa delle invenzioni che da essa potrebbero
scaturire. In conclusione, possiamo affermare che sono le preferenze dei consumatori –
rispetto alle quali lo stato delle conoscenze e la dotazione di risorse appaiono come vincoli –
a determinare l‟allocazione delle risorse fra la produzione di conoscenza (e quale tipo di
essa) e la produzione di altri beni.
Pertanto il fattore determinante di un investimento di ricerca in un determinato settore è il
suo valore – misurato dalla domanda attesa – piuttosto che il suo costo (offerta); lo stesso
andamento delle invenzioni (e dei guadagni di produttività da esse generati) in una data
industria – tipicamente crescente e poi declinante – dipende dal fatto che inizialmente la
domanda presenta un trend positivo fino a quando il mercato non giunge a saturazione.