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quelle organizzazioni che sono in grado di mobilizzare le loro abilità tecniche ed il loro patrimonio di
conoscenza ed esperienza in modo da innovare prodotti, processi e servizi
Le giovani imprese ad alta tecnologia (New Technology Based Firms) ricoprono in questo senso un
ruolo fondamentale nelle moderne economie industrializzate. Esse rappresentano il veicolo principale
con cui innovazioni tecnologiche radicali irrompono sul mercato, sfidando paradigmi tecnologici
consolidati dominati dalle grandi imprese. In tal modo, esse aprono nuovi segmenti di mercato con
grandi prospettive di sviluppo e promuovono l’efficienza dinamica dell’intera economia. La capacità
innovativa e la competitività del sistema economico sono dunque fortemente condizionate
dall’attivismo e dalla performance delle nuove imprese operanti nei settori ad alta tecnologia. In
particolare, le imprese che riescono a sostenere crescita elevata per periodi di tempo lunghi sono
descritte come Gazzelle.
In questo lavoro ci proponiamo di analizzare dopo una breve rassegna di letteratura sull’innovazione in
generale, un’indagine condotta dall’Osservatorio RITA del dipartimento di Ingegneria Gestionale del
Politecnico di Milano sulle Gazzelle Italiane dell’High Tech, prendendo in considerazione le loro
caratteristiche, la loro capacità innovativa, i loro tassi di uscita dal mercato, con riferimento alla loro
distribuzione settoriale e territoriale.
Particolare attenzione sarà poi destinata ad uno specifico sottogruppo delle stesse: le cosiddette start up
accademiche, derivanti da spin-off di origine universitaria.
Prenderemo poi in considerazione le potenzialità innovative della regione Veneto, considerando i
principali indicatori di innovazione e la presenza di giovani imprese ad alta tecnologia.
Nel mio percorso di studi il tema dell’innovazione è stato toccato molteplici volte, tuttavia mai in modo
organico. L’obiettivo di questa tesi è proprio quello di fornire un approfondimento in questo senso, con
la speranza che possa diventare anche un utile strumento per i prossimi studi.
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CAPITOLO I :
L’IMPRESA E LA PERFORMANCE
INNOVATIVA
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1.1 L’innovazione
L’innovazione è “un processo che ha come oggetto la produzione di un nuovo bene o l’apertura di un
nuovo mercato, la conquista di una nuova fonte di materie prime o la riorganizzazione della struttura
dell’offerta” (Schumpeter 1919).
Benchè l'invenzione sia un bene accessibile a tutte le imprese la capacità "imprenditoriale” appartiene
solo ad alcune che, anticipando i concorrenti, riescono a tradurre l’invenzione in innovazione. Essa è
infatti il primo tentativo di metter in pratica l’invenzione. Spesso il confine tra i due è molto labile e
difficilmente si risce a distinguere l’una dall’altra. A volte tra le due passa un enorme periodo di tempo.
Mentre l’invenzione può essere svolta ovunque l’innovazione viene realizzata per lo più nelle aziende;
tuttavia può essere realizzata anche in altre istituzioni (Fagerberg et al.,2005).
Per essere in grado di trasformare un’invenzione in un’innovazione l’impresa ha generalmente bisogno
di mettere insieme diversi tipi di conoscenza, capacità, abilità e risorse.
Per questo il ruolo dell’innovatore, cioè della persona o dell’entità organizzativa responsabile di
mettere insieme i fattori necessari è molto diversa da quella dell’inventore.
Il cambiamento derivante dalla messa in atto del processo innovativo crea degli squilibri nella struttura
competitiva a causa del temporaneo controllo monopolistico, da parte dell’imprenditore, dei vantaggi
derivanti dall'innovazione.
La posizione di rendita di cui gode l'innovatore è temporanea e viene riassorbita attraverso l'imitazione
da parte della concorrenza della specifica ricombinazione di scienza-tecnologia-tecnica realizzata
dall’innovatore.
Gli esempi di innovazione presi in considerazione da Schumpeter sono i seguenti: nuovi prodotti, nuovi
processi, nuovi fornitori, lo sfruttamento di nuovi mercati e nuovi modelli organizzativi d’impresa.
Egli definisce l’innovazione come la ricombinazione di risorse esistenti. Individua una distinzione
basata sulle differenze nelle strutture di mercato e sulle dinamiche industriali dei settori.
Nel suo primo lavoro (Schumpeter Mark I) i settori sono caratterizzati da una distruzione creativa con
una facilità di entrata nel mercato a livello tecnologico e un ruolo più importante svolto dagli
imprenditori e dalle nuove imprese in attività innovative (Fagerberg et al. 2005).
Nel suo secondo lavoro (Schumpeter Mark II) i settori sono caratterizzati da un avanzamento
tecnologico cumulativo con la presenza di grandi imprese e barriere all’entrata per i nuovi innovatori.
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Questo regime si caratterizza per la presenza stabile di poche grandi imprese con possibilità di entrata
limitata.
Vi sono stati diversi tentativi di classificare i settori o i diversi tipi di industrie in base al grado di
sofisticazione tecnologica, o di innovatività .La distinzione più comunemente usata è quella tra settori
high tech, medium tech e low tech, sebbene non siano del tutto chiare le caratteristiche di ognuno di
essi. Spesso ci si riferisce alla alta, media o bassa intensità di attività di R&S dell’impresa, sia essa
svolta direttamente dall’azienda o incorporata nei macchinari o negli altri input. Sulla base di questo
criterio industrie come quelle dell’aerospazio, dei computer, dei semiconduttori, delle
telecomunicazioni, della strumentazione, e la farmaceutica sono definite high tech, mentre il settore
medium tech include tipicamente i macchinari elettrici e non elettrici, le attrezzature per il trasporto, e
alcune parti di industrie chimiche. La categoria delle low tech invece, cui è associata un basso livello di
R&S, comprende industrie quali il tessile, l’abbigliamento, la produzione della pelle, del mobile, della
carta e l’industria alimentare.
L’attività di ricerca e sviluppo è un’importante fonte di innovazione ma al giorno d’oggi non è l’unica.
Focalizzarsi solo su questo aspetto porta infatti ad ignorare attività innovative svolte attraverso
personale qualificato, learning by doing, l’uso, l’interazione tra gli attori e così via.
Questo problema condusse Pavitt (1984) a sviluppare una tassonomia che prendesse in considerazione
questi aspetti. Egli identificò due settori high tech, un settore basato sulle economie di scala e e un
ultimo insieme di industrie che ricevono la maggior parte della tecnologia da altri settori.
I primi due sono rispettivamente:
- il settore science based, caratterizzato da un elevato tasso di innovazione di prodotto e di
processo. In esso l’attività di R&S è condotta internamente mentre la ricerca scientifica è svolta nelle
università e nei laboratori di ricerca pubblici. L’appropriabilità dell’innovazione avviene tramite
brevetti, lead time, curve di apprendimento,e segreto industriale.
- il settore degli specialized suppliers (ad esempio i produttori di attrezzature), in cui
l’innovazione si concentra sul miglioramento della performance, l’affidabilità e la personalizzazione.
Le fonti di innovazione sono sia interne che esterne (anche attraverso l’interazione produttore-utente) e
l’appropriabilità deriva dalla natura della conoscenza localizzata e interattiva.
Vi sono poi:
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- il settore scale intensive (es. autombili, acciaio), in cui il processo innovativo è rilevante e le
fonti di innovazione sono sia interne (R&D e learning by doing), che esterne (es. produttori di
attrezzature). Qui la protezione dell’innovazione avviene tramite i brevetti ed il segreto
industriale.
- il settore supplier dominated (ad esempio tessuti, servizi), in cui le nuove tecnologie sono
incorporate in nuovi macchinari o attrezzature ed in cui la diffusione della tecnologia e
l’apprendimento avvengono attraverso un processo d’uso e di learning by doing.
Oggi, un innovatore importante, soprattutto nei settori meno science based, è colui che riesce ad unire i
due tipi di innovazione schumpeteriana, ossia l’imprenditore che investe in ricerca.
L’invenzione viene unanimemente indicata quale motore economico indispensabile sia a livello di
singola impresa, sia a livello di intero sistema economico. Tale considerazione costituisce un impulso
per la ricerca di metodologie e strumenti empirici utili alla rilevazione degli aspetti quantitativi e
qualitativi caratterizzanti il livello di innovazione presente sul territorio. Un oggettivo e affidabile
monitoraggio delle potenzialità e delle lacune dei sistemi di innovazione locali appare un presupposto
indispensabile per la definizione di efficaci politiche per lo sviluppo industriale.
1.2 Gli indicatori di innovazione
L’evoluzione della teoria economica riguardo l’interpretazione sistemica del cambiamento tecnologico
ha attraversato successive fasi a partire da un approccio lineare, introducendo in seguito più complesse
dinamiche di interazione basate su feedback tra gli agenti economici coinvolti, sino alla visione attuale
basata sul concetto di networking. L’evoluzione del processo innovativo appare essere declinabile
attraverso almeno tre differenti modelli.
La prima generazione di modelli, collocabile temporalmente tra gli anni cinquanta e i primi anni
sessanta appare ben rappresentata dal paradigma technology push. L’innovazione è interpretata come
un processo sostanzialmente lineare in cui un fattore chiave è la ricerca di base. Invenzione,
innovazione e commercializzazione di un prodotto sono intesi come fasi separate e sequenziali. Alle
informazioni provenienti dai mercati viene attribuito un valore marginale.
La linearità del modello non viene alterata dall’introduzione a cavallo degli anni sessanta e settanta del
concetto di market pull o demand pull, secondo cui le forze di mercato influenzano in modo
determinante la direzione e il tasso di cambiamento tecnologico in una specifica area scientifica.
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I successivi modelli superano la dimensione lineare e unidirezionale del processo di sviluppo
tecnologico. Le potenzialità di innovazione di un certo sistema economico sono espresse dalle sue
capacità di attivare canali di trasferimento e acquisizione di conoscenza rispetto ad agenti interni ed
esterni.
Passiamo ora ad esaminare nel dettaglio gli indicatori.
Indicatori di input-output del processo innovativo
1. Spese in ricerca e sviluppo.
Formulare una chiara e operativa definizione delle spese per la R&S appare un esercizio assai
difficoltoso. Non vi è infatti la certezza di poter distinguere a livello di impresa la conoscenza
generatasi internamente, finanziata monetariamente dalle spese in R&S e quella di origine esterna
ottenuta attraverso la cooperazione, l’acquisto di licenze e il ricorso a strategie imitative. Si è arrivati
quindi alla definizione di Innovation expenditure per indicare l’ammontare complessivo delle risorse
dedicate ad una singola impresa ad attività innovative, non includendo, quindi, soltanto i costi sostenuti
per la ricerca in house.
Le analisi economiche sono suddivisibili in due principali categorie: finanziamento pubblico per le
attività di R&S e le spese per la ricerca sostenute dai privati. La prima si caratterizza per affidabilità e
coerenza, che rappresentano invece la criticità della seconda.
Infatti, le informazioni in merito a tali spese vengono solitamente raccolte attraverso questionari inviati
alle aziende e gli importi rischiano di essere artificiosamente gonfiati per effetto di politiche di sgravi
fiscali, in quanto non è prevista nella maggior parte dei paesi europei di una dichiarazione in bilancio
relativa a tali spese.
Emerge inoltre il rischio di sottostimare in modo sistematico l’attività innovativa condotta da imprese
di minori dimensioni, incorporata generalmente nelle procedure innovative delle imprese stesse e
difficilmente tracciabile dal punto di vista finanziario.
I parametri generalmente utilizzati dalle statistiche Eurostat sono :
- spese in R&S / Pil
- spese in R&S / numero di lavoratori
- spese in R&S / popolazione
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- spese in R&S settore privato / totale spese in R&S
Questi parametri sono solitamente criticati perchè rapportati ai parametri correnti di redditività
dell’impresa, mentre le risorse vengono impiegate per lo sviluppo di prodotti futuri.
Gli indicatori adottati generalmente da parte delle singole imprese sono:
- spese in R&S / fatturato
- spese in R&S / personale
- spese in R&S / totale asset.
2. Attività brevettuale.
Mentre gli indicatori delle spese in R&S sono delle misure di input , quelli basati sulle misure
brevettuali forniscono delle informazioni più legate all’effettivo output innovativo prodotto. Essi
rispondono ai requisiti di misurabilità, reperibilità e oggettività. Per tale motivo sono dei parametri utili
per l’analisi comparata tra differenti realtà geografiche ed economiche. Il ricorso alla brevettazione è
un indice di aspettative da parte delle imprese relativamente alla possibilità di positivi ritorni economici
derivanti dallo sfruttamento commerciale dell’invenzione brevettata. Nonostante ciò permangono delle
criticità in merito alla affidabilità dei brevetti come misure di output innovativo. Infatti non sono
chiaramente identificabili le differenze intrinseche di qualità presenti tra i diversi brevetti. Un altro
limite consiste nella non brevettabilità di alcune invenzioni e nella scelta di ricorrere a forme
alternative di difesa verso i competitori, come ad esempio l’uso di mezzi utili per il mantenimento del
segreto industriale. Accade poi che l’attività di registrazione non sia l’atto conseguente ad una nuova
reale invenzione, ma un’operazione mirata a consolidare la protezione su precedenti brevetti. Viene
dunque a mancare una diretta correlazione tra il numero dei brevetti e l’effettivo livello di innovazione.
Gli indicatori generalmente utilizzati dall’Unione Europea nelle statistiche Eurostat per misurare
l’innovazione su base territoriale sono:
- numero di brevetti locali / popolazione.
- numero di brevetti locali / forza lavoro.
- numero di brevetti locali / numero di impiegati in attività di R&S.
- numero di brevetti locali / quota del Pil locale.
Tuttavia, l’elevata concentrazione di attività brevettuale riscontrabile in particolari distretti tecnologici
caratterizzati da ridotti valori di popolazione e di generica forza lavoro potrebbe costituire una
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distorsione interpretativa. Per quanto riguarda l’innovazione a livello di singola impresa gli indicatori
generalmente proposti sono i seguenti:
- numero di brevetti / spese in R&S.
- numero di brevetti / personale impiegato in R&S.
- numero di brevetti / fatturato.
Un indicatore che merita particolare attenzione è sicuramente l’indice di specializzazione. Esso è
definito come il rapporto tra la percentuale di patent applications effettuate dall’unità geografica i in
esame su un settore j e la percentuale di applications effettuate su tale settore a livello locale.
IS
ij
= D
ij
/ D
dove: D
ij
=N
ij
/ N
i
D
i
= NT
j
/ NT
N
ij
:numero di applicazioni dell’unità i sul settore j; N
i
: numero totale di applicazioni dell’unità i su
tutti i settori; NT
j
: numero totale di applicazioni sul settore j; NT: numero totale di applicazioni su tutti
i settori. Il precedente indicatore assumerà valore pari a uno se l’unità in esame presenta sullo specifico
settore, individuato tramite la selezione di opportune classi brevettuali, la stessa incidenza di
applicazioni presente a livello globale. In alternativa è possibile utilizzare come termine di paragone
per la definizione del grado di specializzazione l’aggregato di brevetti nazionali. In questo caso,
l’indice fornisce informazioni riguardo al fatto che una certa regione sia sovra/sotto specializzata
rispetto alla media nazionale su una specifica area geografica.
3. Pubblicazioni scientifiche.
Gli effetti dell’attività di ricerca scientifica costituiscono delle entità intangibili. Ciò che può essere
misurato direttamente sono le varie espressioni, manifestazioni e embodiments della conoscenza
innovativa maturata, quali il numero di pubblicazioni scientifiche, di testi specialistici o di conference
proceedings. Esistono diverse prospettive di analisi: la misurazione dei volumi di attività attraverso il
conteggio delle pubblicazioni e la misurazione del grado di networking tramite l’analisi congiunta di
citazioni e co-autorships.
I principali indicatori da considerare sono:
- numero di pubblicazioni / popolazione locale
- numero di pubblicazioni / finanziamento pubblico locale per R&S
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- numero di pubblicazioni / personale impiegato in R&S
- numero di pubblicazioni / ricercatori accademici.
- numero di pubblicazioni locali / numero di brevetti locali.
- numero complessivo di citazioni ricevute / numero di pubblicazioni.
4. Misurazione diretta del numero di innovazioni.
L’obiettivo principale degli indicatori diretti di innovazione è quello di proporre una metodologia di
analisi che aggiri le limitazioni delle analisi brevettuali. Il vantaggio sta nel fatto che per questi
parametri non esistano nè il differimento temporale tra il momento dell’application e quello del grant
per la registrazione di un nuovo brevetto, né il rischio che l’innovazione brevettata non sia
commercialmente rilevante.
Per offrirne una breve panoramica possiamo rifarci al lavoro di Kleinknecht et al. (1993) in cui
vengono proposti i seguenti indicatori:
- total innovation rate: numero di innovazioni / numero di addetti.
- numero di innovazioni / spese in R&S.
- Numero di innovazioni / brevetti registrati.
L’impiego di indici di tipo innovation count presenta diversi aspetti critici sia dal punto di vista
metodologico che concettuale. In primo luogo il metodo non appare in grado di rappresentare in modo
opportuno le innovazioni definibili di processo (l’innovazione di processo include, secondo il manuale
di Oslo tecnologie di produzione, metodi di fornitura di servizi e il risultato deve avere un impatto sul
livello di output, qualità o costi di produzione e distribuzione nuovi o significativamente migliorati).
Un secondo limite consiste nella costruzione di un dataset iniziale che sia sufficientemente coerente ed
esaustivo.
5. Bilancia tecnologica dei pagamenti.
La registrazione dei flussi di tecnologia permette di redigere un bilancio i cui risultati forniscono utili
informazioni sul ruolo, di importatore piuttosto che di esportatore, complessivamente rivestito dagli
operatori economici appartenenti al sistema.
Anche questi dati presentano delle limitazioni: possono venire giudicati statisticamente poco accurati a
causa degli errori di stima derivanti dall’inclusione di asset non strettamente tecnologici e innovativi
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nei flussi monitorati. Inoltre, una parte consistente dei flussi registrati deriva da accordi per la cessione
di licenze risalenti sino a 10 o 15 anni prima e rischia pertanto di essere poco rappresentativo della
situazione realmente presente. Un risultato positivo nel bilancio dei flussi tecnologici può essere il
riflesso di un elevata propensione delle imprese nazionali a produrre all’estero piuttosto che una forte
capacità di innovazione tecnologica interna. Non è dunque automatico un giudizio positivo o negativo
semplicemente in base al segno rilevato per la bilancia dei pagamenti.
Indicatori ambientali di innovatività
6. Progetti europei.
Per la valutazione quantitativa della capacità di interazione nell’attività di ricerca è possibile ricorrere
all’osservazione dei progetti europei assegnati, nel corso degli anni a istituzioni o imprese localizzate
all’interno dell’area geografica che si intende esaminare. I principali vantaggi di tale metodo di analisi
sono riassumibili nei seguenti punti: i dati sono di dominio pubblico e sono riassumibili in serie storica
sul numero di progetti finanziati ed infine è possibile misurare la competitività su differenti aree
tecnologiche attraverso la selezione di specifici programmi di ricerca proposti dall’Unione Europea. Un
evidente limite all’analisi consiste nel fatto che è possibile valutare unicamente i progetti che sono stati
acquisiti e non le applications. Gli indicatori più significativi sono i seguenti:
- numero di progetti europei assegnati a contractors residenti in una specifica area geografica.
- numero di progetti attivi negli anni.
Gli indicatori precedenti, per la maggior parte possono indicare la presenza di innovazioni sia secondo
il primo che il secondo Schumpeter. Vi sono inoltre degli indicatori che possono andare ad individuare
quegli innovatori che riassumono in sé elementi del primo e del secondo.
7. Risorse umane.
La misurazione della qualità media delle risorse umane può fornire una importante stima delle
potenzialità innovative presenti in ambito locale. Gli indicatori più frequentemente utilizzati sono i
seguenti:
- percentuale di nuovi laureati in materie scientifiche sulla popolazione.
- percentuale di nuovi laureati in materie scientifiche su tutti i laureati.
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- percentuale di impiegati in imprese manifatturiere ad alta tecnologia.
- percentuale di impiegati in imprese di servizi ad alta tecnologia.
- borse di dottorato su aree scientifiche presenti localmente rispetto al totale nazionale.
- entità del finanziamento degli atenei per progetti di ricerca.
- composizione industriale/istituzionale dei finanziamenti ricevuti.
8. Diffusione delle ICT
Lo sviluppo e l’adozione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione vengono indicati
come fattori fondamentali per lo sviluppo economico sia a livello nazionale che regionale. Gli
indicatori correntemente impiegati per rilevare l’entità del fenomeno in analisi sono:
- utilizzo domestico di Internet.
- spese complessive per l’ICT / Pil.
- incidenza dell’ICT sull’intero settore privato in termini di valore aggiunto.
- incidenza dell’ICT sull’intero settore privato in termini di occupazione.
- rapporto tra spese in R&S del settore ICT e valore aggiunto.
- bilancia dei pagamenti per i prodotti ICT.
- numero di brevetti su classi riconducibili all’ICT.
- numero di telefoni cellulari per 100 abitanti.
- numero di secured web servers per 1000 abitanti.
9. Start up
L’ingresso sul mercato di nuove imprese può essere adottato quale indicatore di potenzialità innovativa
sotto alcuni importanti vincoli metodologici e concettuali. È necessario considerare l’esistenza di una
reale correlazione tra nascita di nuove imprese e impulso innovativo. A tal fine è indispensabile
esaminare la tipologia di prodotti e servizi forniti dalle nuove imprese, e osservare l’origine della nuova
impresa, escludendo dall’analisi le imprese derivanti da altre già esistenti. È inoltre opportuno
controllare la presenza di effetti imitativi, perché in questo caso le imprese avrebbero l’unico effetto di
diffondere l’adozione di una nuova tecnologia piuttosto che di contribuirne la creazione. In particolare
possiamo analizzare:
- numero di nuove imprese high tech in una specifica area geografica.
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- composizione settoriale delle nuove imprese.
Oltre a ciò, il finanziamento attraverso equity viene riconosciuto essere uno strumento particolarmente
adatto per le imprese altamente innovative. Si considerano a tal fine:
- il numero di quotazioni su nuovi mercati da parte di imprese localizzate all’interno di un’area
geografica.
la capitalizzazione complessiva del mercato dopo la quotazione
10. Venture capital
La diffusione sul territorio di particolari soggetti finanziatori quali i venture capitalist è un importante
elemento di supporto alle attività innovative, in particolar modo nel caso di start-up. Infatti i
finanziamenti erogati da questi operatori finanziari convergono su attività caratterizzate da elevati tassi
di innovatività e potenzialità di crescita nel breve periodo.
Si considerano a tale scopo:
- investimenti da parte di venture capital / Pil
- investimento early stage / totale investimenti.
In questa analisi sono stati tralasciati alcuni indicatori di attività innovativa. Abbiamo infatti voluto
presentare solo alcuni di tali indici, strettamente necessari per comprendere quanto verrà detto nei
successivi capitoli.