IV 
 
INTRODUZIONE 
 
Nel panorama economico e giuridico vige un’opinione 
ampiamente condivisa che fra gli elementi per valutare la bontà di un 
sistema fiscale, il grado di semplicità, trasparenza, e correttezza della 
sua applicazione pratica occupi un posto di rilievo. 
A differenza di quanto avviene negli altri Paesi europei, in Italia 
l’amministrazione dei tributi è stata a lungo trascurata ed ha camminato 
di pari passo con la continua complicazione dell’ordinamento tributario. 
Il combinarsi di questi due elementi – normativa fiscale caotica e 
spesso incomprensibile e prassi applicativa ancora più confusa – ha 
favorito il continuo espandersi fra le maglie del sistema del fenomeno 
dell’evasione fiscale, che ha raggiunto ormai livelli intollerabili. 
In questo processo di profondo cambiamento, lo Statuto dei Diritti 
del Contribuente rappresenta una tappa importante poiché per il suo 
tramite sono stati recepiti e disciplinati nell’ordinamento tributario i 
principi costituzionali di trasparenza, imparzialità e correttezza 
dell’azione amministrativa. 
La sua applicazione, però, non è né scontata né semplice, come 
dimostrano le relazioni dei Garanti dei contribuenti, nelle quali sono 
evidenziate come punti di maggior criticità ad esempio le procedure
V 
 
relative, all’esecuzione dei rimborsi, alle verifiche fiscali o 
all’applicazione dell’autotutela, spesso disattesa dall’Amministrazione
1
. 
In ogni caso, passi avanti importanti sono stati fatti, basti pensare 
al cambiamento delle regole per il controllo delle dichiarazioni ed al 
ruolo riconosciuto al contribuente come titolare di diritti, oltre che di 
doveri. 
La strada da percorrere per dare attuazione concreta ai principi 
dello Statuto però è ancora lungi dall’esser completata.  
Credo che per dare uno stimolo in tal senso ogni contribuente 
debba essere a conoscenza dei propri diritti per poterne esigere il 
rispetto, restituendo in tal modo tutta la sua dignità ad uno strumento di 
civiltà giuridica introdotto per semplificare e rendere trasparente 
l’intero sistema tributario, in coerenza con i principi costituzionali della 
solidarietà e dell’equità. 
Con la legge n. 241 del 1990, da un lato sono introdotti in capo 
all’Amministrazione obblighi quali la motivazione dei provvedimenti, la 
conclusione del procedimento entro termini prefissati, la pre-
determinazione dell’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria, 
dall’altro vengono riconosciuti diritti degni di tutela a vantaggio del 
cittadino come il diritto di accesso agli atti o quello di partecipazione al 
                                                           
1
“I diritti del contribuente: come risparmiare le imposte e tutelarsi nei confronti del 
fisco”, UIL – Servizio Politiche Fiscali (www.uil.it/fisco/diritti_contribuente.pdf).
VI 
 
procedimento. Tale legge assume carattere generale che rafforza il 
principio della certezza giuridica e, conseguentemente, dà attuazione ai 
diritti fondamentali del contribuente. 
Il mio lavoro, che si compone di tre capitoli, assume come 
obiettivo principale quello di stabilire e mettere in luce le garanzie che il 
contribuente può e deve far valere durante la fase della riscossione dei 
tributi. Prima di arrivare a tale importante obiettivo, mostrerò nel primo 
capitolo le norme e i principi dello Statuto poi nel secondo esporrò le 
caratteristiche della fase della riscossione soffermandomi sul tema delle 
cartelle di pagamento e sul tema delle compensazioni. Nel terzo e ultimo 
capitolo cercherò di approfondire il tema dell’accertamento tributario e 
delle sue garanzie per il contribuente soffermandomi sul nuovo 
accertamento esecutivo.
1 
 
 
Capitolo Primo 
LO STATUTO DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE: 
NORME E GARANZIE 
 
 
1. L’introduzione dello Statuto nell’ordinamento italiano 
 
La legge 27 luglio 2000, n. 212
1
, recante “Disposizioni in materia 
di Statutodei diritti del contribuente”, entrata in vigore il primo agosto 
del 2000, ha segnato la conclusione dei lavori parlamentari seguiti 
all’approvazione del d.d.l. n. 4818, in data 8 agosto 1996, da parte del 
Consiglio dei Ministri. 
In realtà l’intento del legislatore di consacrare i diritti del 
contribuente in un unico testo normativo ha origini più remote, che 
possono farsi risalire al 1990, quando fu presentato il primo disegno di 
legge intitolato “Rapporti Amministrazione Finanziaria – cittadini, uno 
Statuto a difesa del contribuente”. 
Il travagliato iter parlamentare che ha accompagnato 
l’elaborazione della legge e la sua successiva approvazione mostra come, 
con la denominazione “Statuto dei diritti del contribuente”, si sia inteso 
                                                           
1
 Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 31 luglio 2000, n. 177, è entrata in vigore il giorno 
successivo alla data di pubblicazione in forza dell’espressa disposizione di cui all’art. 21 del 
testo normativo.
2 
 
 
sempre fare riferimento ad un corpo normativo recante l’insieme dei 
diritti del soggetto passivo del rapporto giuridico d’imposta, con il 
dichiarato intento di dare ad essi concreta attuazione. 
Lo Statuto completa la riforma della Pubblica Amministrazione 
iniziata nei primi anni novanta con alcune importanti leggi, come la 
legge 7 agosto 1990, n. 241
2
sul procedimento amministrativo e 
proseguita con le norme di semplificazione del diritto amministrativo (le 
cosiddette leggi Bassanini). Esso nasce dall’esigenza di una totale 
realizzazione dei “diritti” dei contribuenti, diritti e doveri che stanno alla 
base del rapporto fiscale tra Stato e cittadino. 
La carta italiana si differenzia dalla gran parte delle “Carte” degli 
stati aderenti all’OCSE, poiché disciplina tout court il diritto tributario 
non solo elencando i diritti del contribuente nel procedimento 
amministrativo d’imposizione e a garantirli, ma anche ponendo dei 
vincoli all’attività del legislatore e a quella amministrativa, e 
ridisegnando il rapporto fra Fisco e contribuente. Cioè la “Carta” 
dell’ordinamento italiano disciplina “anche il modo di legiferare in 
                                                           
2
 Intitolata “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso 
ai documenti amministrativi” come modificata ed integrata dalla Legge 11 febbraio 2005 n. 
15 e dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35 convertito con modificazioni dalla Legge del 14 Maggio 
2005, n. 80.
3 
 
 
materia tributaria, costituendo il primo passo verso la codificazione 
fiscale
3
”. 
Infatti, nell’emanare la legge si è tenuto conto che il legislatore 
tributario ha un ruolo più delicato rispetto a quello che ha in altri settori 
dell’ordinamento, infatti, il dettato costituzionale sottrae la materia 
fiscale ai referendum popolari, e la Corte Costituzionale ha affermato 
che sono escluse dalla consultazione popolare tutte le disposizioni 
produttive di effetti nell’ambito di operatività delle norme tributarie
4
. 
Tale Statuto, attraverso la garanzia del puntuale rispetto dei vincoli 
posti dalla Costituzione alla formazione delle leggi anche nel settore 
tributario, intende rappresentare un primo passo verso una disciplina per 
principi, stabile nel tempo, trasparente e affidabile, che garantisca al 
contribuente – maggiormente coinvolto nella realizzazione dell’obbligo 
tributario – un’agevole conoscenza delle disposizioni legislative e 
amministrative vigenti in materia fiscale, e delle conseguenze dei propri 
comportamenti. 
 
                                                           
3
 Deve osservarsi che dall’esame dei principi propri dell’Europa comunitaria emerge la 
prospettiva di un vero e proprio modello generale di attuazione del tributo in grado di essere 
applicato, in quanto tale, nei singoli ordinamenti. (Così G. MARONGIU, Lo Statuto Dei 
Diritti Del Contribuente, Seconda edizione, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, p. 44). 
 
4
 In particolare si fa riferimento alla sentenza n. 11 del 12 gennaio 1995 nella quale la stessa 
Corte dichiara inammissibile la richiesta di referendum abrogativo del decreto del Presidente 
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 recante "Disposizioni comuni in materia di 
accertamento delle imposte sui redditi" e successive modificazioni, limitatamente agli artt. 
23 e 25, primo comma”.
4 
 
 
2. Le disposizioni rivolte al legislatore (artt. 1, 2, 3, 4) 
 
È possibile individuare una prima parte dello Statuto in cui 
s’intravede come il destinatario delle norme sia lo stesso legislatore. 
L’obiettivo dello Statuto dei diritti del contribuente è quello di 
definire i principi generali dell’ordinamento tributario e, allo stesso 
tempo, dare attuazione agli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione 
(principi di eguaglianza, di legalità, di capacità contributiva e di 
efficienza della pubblica amministrazione). 
Infatti, le disposizioni dello Statuto, poiché dichiarate principi 
generali, assumono una particolare posizione nella generalità delle fonti 
del diritto; inoltre, le stesse possono adempiere ad ausilio interpretativo 
nella lettura degli stessi articoli della Costituzione richiamati e “i suoi 
principi possono e debbono rivestire la funzione di un orientamento 
ermeneutico vincolante per l’interprete
5
”. 
L’articolo 1 comma 1 dello Statuto fa comprendere come 
eventuali deroghe o modifiche a tali disposizioni possono essere attuate 
“solo espressamente e mai da leggi speciali”, quindi qualora non siano 
                                                           
5
 Lo stesso G. MARONGIU, nell’opera citata, pag. 53, soggiunge che le disposizioni dello 
Statuto, esprimendo una valutazione del legislatore, un giudizio di valore, rafforzato 
dall’autoqualificazione dello Statuto stesso come legge di attuazione costituzionale, 
comportano che eventuali deroghe a tali disposizioni, qualora non siano sufficientemente 
giustificate, possono essere censurate sul piano della loro costituzionalità. Inoltre, i principi 
determinati dal legislatore rappresentano il parametro per l’interpretazione di altre 
disposizioni normative che devono essere sorrette dalla regola espressa dallo stesso 
principio. Infine, i principi statutariamente fissati esprimono precetti la cui forza espansiva 
trova fondamento nella volontà del legislatore.
5 
 
 
sufficientemente giustificate, possono essere censurate sul piano della 
loro costituzionalità. 
In quest’ottica, la giurisprudenza, insieme con una parte della 
dottrina, ha affermato la superiorità assiologica delle disposizioni dello 
Statuto e il richiamo agli artt. 3, 23, 53, 97 Cost. “sta a significare che le 
prescrizioni dello Statuto  rappresentano, per espresso e autorevole 
riconoscimento del legislatore ordinario, il necessario ed equilibrato 
contemperamento delle contrapposte esigenze di rango costituzionale 
che si fronteggiano in materia tributaria
6
”. 
Un rafforzamento di tale peculiare caratteristica dello Statuto è 
dato dalla disposizione contenuta nel comma 2 dell’art.1, la quale 
introduce un limite alla legislazione d’interpretazione autentica 
prevedendo che “l’adozione di norme interpretative in materia tributaria 
può essere disposta solo in casi eccezionali e con legge ordinaria, 
qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica”. 
Questa norma sembra porre un duplice limite all’attività interpretativa 
                                                           
6
Cassazione, sezione tributaria, 30 marzo 2001, n. 4760, nella quale la stessa precisa che 
all'art. 44, comma primo, DPR n. 602/73, che prevede per il pagamento degli interessi, 
soltanto "la data dell'ordinativo emesso”, il senso da attribuire è quello che soltanto con la 
notifica del provvedimento il contribuente ha effettiva conoscenza del contenuto del suddetto 
ordinativo e, quindi, fino a quella data devono essere corrisposti gli interessi. Occorre 
riportare integralmente il concetto esposto dai giudici di legittimità per la chiarezza e la 
lucidità dimostrata . "La volontà legislativa deve essere ricostruita in ragione dei canoni 
costituzionali di razionalità, uguaglianza e buon andamento della Pubblica Amministrazione 
(ai quali si richiama anche il recente Statuto del contribuente, art. 1, comma 1, Legge 27 
luglio 2000 n. 212); la norma, quindi, deve essere esaminata non soltanto nell'ottica degli 
interessi erariali ma anche in quella degli interessi del contribuente”.  Anche quando, come 
nella specie, si tratti di leggi in senso sostanziale emanate dal Governo su delega 
parlamentare. Anzi, proprio quando si tratti di "leggi di parte", la lettura costituzionale deve 
essere più penetrante .
6 
 
 
del legislatore, in quanto, la consente solo in casi eccezionali e con legge 
ordinaria e inoltre prevede che il testo della norma d’interpretazione 
autentica sia espressamente rubricato come tale. Il fine sembrerebbe 
quello di contenere l’uso delle norme interpretative costringendo il 
legislatore ordinario ad assumersene la responsabilità perché di esse oggi 
se ne fa molto abuso. 
Nei commi 3 e 4 dell’art. 1 lo Statutorichiede alle regioni, 
province e altri enti locali di adeguare i propri ordinamenti, statuti e atti 
normativi ai principi e alle norme dettate dallo stesso. 
 
L’articolo 2 impone l’osservanza di numerose regole riguardanti la 
tecnica redazionale delle norme tributarie (quali la menzione, nel titolo, 
della legge, dell’oggetto della stessa, e, nella rubrica, delle partizioni 
interne, degli articoli, dell’oggetto delle singole prescrizioni), vietando di 
inserire in leggi non aventi un contenuto tributario disposizioni di tenore 
tributario e prevedendo l’indicazione, in caso di richiamo, del contenuto 
sintetico della norma di rinvio, ovvero quella del testo novellato, in caso 
di sopravvenute modificazioni.  
Questo articolo nasce dal problema che molto spesso le norme 
tributarie sono incomprensibili a causa di rinvii (a volte troppi) a leggi 
precedenti che, quasi sempre, si trovano inserite in provvedimenti che 
non fanno parte dell’insieme delle norme di natura tributaria. Si inserisce
7 
 
 
così un obbligo per il legislatore, il quale deve garantire, ai destinatari 
delle norme fiscali, la loro identificazione e lettura. 
Tale obbligo viene assicurato statuendo che i precetti fiscali non 
possono essere contenuti in provvedimenti non tributari; inoltre, come 
ulteriore garanzia di chiarezza, si afferma come i richiami di altre 
disposizioni legislative devono indicare sinteticamente il contenuto della 
disposizione richiamata, mentre le norme che modificano le leggi 
tributarie debbono riportare il testo modificato. 
L’articolo 2 vuole garantire non solo norme chiare e intellegibili 
ma anche individuabili e reperibili da parte di chi a quei precetti è 
chiamato a dare ampia applicazione, com’è per il contribuente
7
. 
Alla luce di queste considerazioni ci si pone il problema su cosa 
potrebbe accadere quando il legislatore violi tale articolo dello Statuto. 
In merito, Varazi
8
, sostiene che tale inosservanza non costituisce di per 
sé una violazione della Costituzione; soggiungendo, però, che “sembra 
possibile ritenere che una violazione dell’art. 2 fornisca elementi per 
valutare se vi sia una violazione dell’art. 3 Cost. e come tale possa 
essere causa di incostituzionalità della normativa tributaria”. Inoltre, un 
precetto tributario che non rispetti questo articolo potrebbe contrastare 
                                                           
7
 Significativamente la direttiva del Ministero delle finanze del 21 settembre 2000 esige che 
“d’ora in avanti particolare attenzione sia riservata alla qualità dei testi normativi perché è 
evidente che lo Statuto in questa parte si rivolge sia al Governo che al Parlamento” (Così G. 
MARONGIU, opera citata, p. 63). 
 
8
Così F. VARAZI, Contributo alla certezza della norma tributaria, in Lo Statuto, Milano, p. 
87.
8 
 
 
con l’art. 23 della Costituzione perché ogni prestazione personale e 
patrimoniale può essere imposta solo con una legge conoscibile. 
Nonostante la sistemazione della norma all’interno dello Statuto 
del contribuente, non sono venuti meno i difetti della tecnica redazionale 
delle norme tributarie, resi ancora più evidenti insede di approvazione 
delle leggi finanziarie o delle altre disposizioni di fine anno a volte 
sopraffatte dai cosiddetti “maxiemendamenti”. In questo caso la dottrina 
costituzionalistica è concorde nel dichiarare l’illegittimità costituzionale 
del fenomeno degli emendamenti. 
 
L’art. 3 dello Statuto statuisce un successivo principio, che “le 
disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo” e che 
“relativamenteai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano 
solo a partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla 
data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono”. In questo 
modo viene accolto il disposto della Corte Costituzionale per la quale “il 
divieto di retroattività della legge costituisce fondamentale valore di 
civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento, cui il legislatore 
deve, in linea di principio attenersi, sicché il legislatore ordinario può 
emanare norme retroattive purché esse trovino adeguata giustificazione 
sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri 
valori e interessi costituzionalmente protetti così da incidere
9 
 
 
arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi 
precedenti
9
”. 
In particolare, secondo la Corte di Cassazione, l’irretroattività 
della legge disposta dall’art. 11 dellepreleggi, è una regola generale che 
può essere derogata solo per due ordini di motivi: se risulta l’espressa ed 
univoca dichiarazione del legislatore; se la nuova norma appaia emessa 
per precisare il significato di norme preesistenti ed imponga una variante 
che risolva, con intervento chiarificatore del legislatore, un precedente 
contrasto interpretativo, fornendone interpretazione autentica, purché 
compatibile con il loro tenore letterale. 
È palese, quindi, che questo principio abbia l’obiettivo, 
importante, di precludere l’emanazione di norme tributarie retroattive a 
danno del contribuente. Si vuole garantire l’affidamento del cittadino 
nella sicurezza giuridica che non può essere leso da norme retroattive. 
Infatti, il comma 2 dello stesso articolo precisa che “le disposizioni 
tributarie non possono prevedere adempimenti a carico del contribuente 
la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla 
                                                           
9
 Cfr. Corte Costituzionale, 13-10-2000, n. 419 in cui si afferma che “la conversione in legge 
del decreto […] ha, pertanto, sanato ogni eventuale vizio attinente al procedimento di 
formazione del decreto stesso e porta ad escludere l’asserita violazione, nella specie, dell’art. 
77 Cost.”. Nella stessa direzione la sentenza n. 376/2001, ove si afferma che “una violazione 
dell’art. 77 Cost. […] comunque risulterebbe sanata dall’intervenuta conversione in legge del 
decreto”, nonché la sentenza n. 29/2002, in cui si dice che “eventuali vizi attinenti ai 
presupposti della decretazione d’urgenza devono ritenersi sanati in linea di principio dalla 
conversione in legge”.