V
INTRODUZIONE
Con il presente lavoro ci si è voluti soffermare sull’analisi di un tema molto
attuale, ovvero l’integrazione tra le Borse Valori, con particolare riferimento alla
fusione tra Borsa Italiana e London Stock Exchange avvenuta nel 2007.
Negli ultimi due decenni la stock exchange industry nel mondo ha ampliato in
modo considerevole le proprie dimensioni operative, ma è stato solo nel terzo
millennio che la morfologia del settore in esame ha subito una profonda
trasformazione a seguito principalmente dei processi aggregativi, fortemente
stimolati dai cambiamenti nella regolamentazione e dall’innovazione tecnologica,
combinate con le mutate esigenze dei clienti. A fronte di queste considerevoli
evoluzioni, le Borse hanno cercato di difendere il proprio business e di migliorare
il proprio funzionamento nel settore, per lo più attraverso strategie di crescita. Le
Borse, come ogni altra azienda, possono programmare una crescita interna,
possono cooperare e stringere alleanze con altre aziende dello stesso settore e,
infine, possono procedere a fusioni con aziende simili, estendendo il proprio
business lungo una data catena del valore o andando oltre la catena stessa. In
questi ultimi anni nessuna delle grandi Borse europee è riuscita, attraverso la
crescita interna, a raggiungere una posizione di leadership a livello continentale;
ne consegue che la crescita esterna, attraverso acquisizioni e fusioni, è l’unica
strada percorribile per raggiungere delle economie di scala e generare valore per
gli azionisti delle Borse. È proprio questo il percorso che ha scelto Borsa Italiana
per ovviare alla crescente concorrenza creatasi negli ultimi anni.
Il lavoro si articola in quattro capitoli.
In particolare, il primo capitolo si propone di fare un’analisi della legislazione dei
mercati finanziari, con specifica attenzione al mercato mobiliare.
La trattazione di qualsiasi contesto legislativo non può assolutamente prescindere
dal contesto storico politico in cui è stato elaborato e, tanto meno, può
prescindere dalle esperienze passate che lo hanno preceduto. Di conseguenza la
prima sezione è stata dedicata alla storia della regolamentazione dei mercati
finanziari.
VI
Nella fattispecie, l’analisi si è articolata nell’arco temporale compreso tra il 1861
e il 2007, anno in cui è entrata in vigore la direttiva MiFID sui mercati degli
strumenti finanziari. Sono state analizzate le tappe intermedie più significative,
che hanno condotto alla stesura della direttiva 2004/39/CE, con particolare
riferimento alle prime esperienze del Codice di Commercio del 1865 e del 1882,
alla riforma della Borsa del 1913, alla normativa del 1974 per l’istituzione della
Consob, alla legge n. 77 del 1983 con cui è stata introdotta per la prima volta la
nozione di valore mobiliare, per poi giungere agli anni ’90, in cui si è evidenziato
il ruolo primario della “legge SIM” n. 1/1991, della conseguente direttiva
‘93/22/CEE e dal Decreto legislativo di recepimento n. 415 del 1996. Si è inoltre
preso in considerazione il Testo Unico delle Disposizioni in Materia di
Intermediazione Finanziaria del 1998 (D.Lgs. n. 58 approvato il 24 febbraio
1998), dal momento che ha segnato il punto di partenza per l’attuale
regolamentazione del comparto mobiliare. Un approfondimento particolare è
stato dedicato infine alla MiFID che rappresenta il culmine di un procedimento
avviato già in epoca storica.
Il secondo capitolo mira ad identificare in particolar modo i possibili percorsi
evolutivi che conducono i mercati mobiliari europei verso un’integrazione dei
processi di intermediazione mobiliare.
Il percorso effettuato ha previsto un’analisi della letteratura esistente sul tema
dell’integrazione tra mercati e, contemporaneamente, l’osservazione delle
tendenze in atto nei mercati mobiliari. A tal proposito sono stati sinteticamente
riportati i progetti d’integrazione messi in atto dalle Borse europee.
Identificati i principali fattori del cambiamento, le motivazioni che spingono le
Borse ad aggregarsi e le problematiche inerenti l’efficienza del mercato (alla luce
soprattutto del trade-off con la tutela dell’investitore), le difficoltà collegate
all’integrazione di mercati strutturalmente diversi (in termini di dimensioni del
mercato, natura degli intermediari, vantaggi tecnologici preacquisiti e liquidità) e
il rischio di comportamenti monopolistici, si è ricostruito il processo produttivo
delle borse, identificando nel listing, nel trading, nel clearing e nel settlement i
momenti fondamentali della filiera produttiva della borsa.
Ci si è poi soffermati sull’analisi delle possibili forme di integrazione tra i mercati
evidenziando anche i possibili modelli di implementazione di un mercato
VII
mobiliare integrato a livello europeo. Definiti in linea teorica i possibili percorsi
evolutivi del mercato mobiliare europeo, si sono considerati gli effetti che le
diverse soluzioni hanno sui diversi portatori di interessi. L’analisi ha riguardato
nel dettaglio i comportamenti delle società di gestione dei mercati, quelli degli
intermediari attivi sui mercati stessi, degli emittenti di valori mobiliari, degli
investitori e dei fornitori di tecnologia. La diversa propensione al cambiamento
dei vari soggetti ed in particolare la preferenza per alcune forme di integrazione
rispetto ad altre, rappresenta infatti un fattore di forte condizionamento dei modi e
dei tempi del cambiamento.
Infine, per meglio interpretare i fenomeni di integrazione tra Borse, sono stati
approfonditi gli aspetti di governance e gli assetti proprietari dei mercati. Le
Borse infatti, intese come società di gestione di mercati organizzati, possono
caratterizzarsi per diversi assetti proprietari ed essere organizzate secondo diversi
modelli di governance. A tal proposito, si sono riportati alcuni modelli puramente
teorici che sono stati poi confrontati nel lavoro con i risultati di studi empirici che
hanno indagato il legame tra la governance e le performance delle Borse.
Dopo aver approfondito questi temi a livello generale, nel terzo e nel quarto
capitolo si è analizzata la fusione tra Borsa Italiana e London Stock Exchange
avvenuta nel 2007.
In particolare, nel terzo capitolo si sono analizzate separatamente le strutture delle
due società, sottolineandone la storia, le società che ne fanno parte, i mercati
gestiti e i principali indici che vengono calcolati per misurare le performance dei
mercati.
Il quarto capitolo si è concentrato sulla fusione analizzandone nel dettaglio gli
obiettivi dell’operazione, l’offerta pubblica di scambio lanciata da LSE nei
confronti di Borsa Italiana e le sinergie derivanti dalla fusione. Si è esaminata la
composizione della governance del nuovo gruppo e la sua struttura proprietaria,
tenendo conto dei pareri sia favorevoli sia contrari che tale operazione ha
scatenato.
L’analisi è proseguita con l’individuazione e l’esame delle società appartenenti al
gruppo che collaborano per il miglior funzionamento dell’exchange.
Successivamente un focus è stato fatto sulle principali novità che hanno
interessato i mercati di LSE e/o Borsa Italiana dopo la fusione.
VIII
Infine, è stata presentata un’analisi dei principali risultati econonomico-finanziari
del nuovo gruppo e il posizionamento dello stesso in ambito internazionale dopo
la fusione.
In particolare, ci si è soffermati sulle quotazioni del titolo LSE Group, sui ricavi,
sui costi e sull’utile operativo per vedere se il nuovo gruppo ha rispettato o meno
i risultati stimati attesi.
Sotto il profilo aziendale infatti, perché una aggregazione abbia successo, occorre
tenere in considerazione il valore economico delle società e le sinergie che si
conseguono in termini di maggiori servizi offerti agli utenti e di riduzione dei
costi dei servizi stessi. Occorre sottolineare però che, per realizzare le citate
sinergie, in generale i progetti di consolidamento richiedono tempi lunghi e
talvolta risultano più onerosi di quanto inizialmente previsto, andando a
deprimere i risultati che si attendono gli azionisti delle società che gestiscono i
mercati di Borsa. Essendo LSE Group costituito da poco quindi tutti gli effetti
positivi derivanti dall’operazione sono da considerarsi come appena iniziati.
In ultima analisi, si sono verificati gli aspetti di mercato e di competitività legati
all’operazione di fusione in ambito internazionale. Si è fatto quindi un confronto
con altre due grandi operazioni di fusione avvenute nel 2007, ovvero le fusioni tra
Nyse ed Euronext e tra Nasdaq e OMX. Utilizzando alcuni indicatori di
dimensione quali la capitalizzazione, il numero delle società quotate, il volume e
il valore degli scambi dei dieci maggiori mercati azionari al mondo, si è voluto
valutare l’impatto delle suddette concentrazioni sullo scenario internazionale
prima e dopo le avvenute fusioni. Per gli anni 2008 e 2009 si sono infine valutati
gli effetti provocati dalla crisi finanziaria in atto su capitalizzazione di borsa,
numero di società quotate e volume degli scambi delle principali borse
internazionali.
1
Capitolo I
L’EVOLUZIONE NORMATIVA DEI MERCATI DI
BORSA
1.1 La normativa italiana sui mercati regolamentati: evoluzione
della disciplina
Le prime Borse Valori si sono sviluppate a partire dal XVI secolo quando, con
l’intensificarsi dei commerci marittimi e le crescenti esigenze di finanziamento
delle imprese commerciali e di navigazione, divenne sempre più necessario
rendere compartecipe dei rischi d’impresa un pubblico molto vasto di
risparmiatori. A tal fine nacquero le prime rudimentali forme di società per azioni
e si diffusero in gran quantità anche i titoli azionari. In Italia la nascita della prima
Borsa risale al XVII secolo con sede a Venezia; successivamente, nel 1775,
nacque la Borsa di Trieste, nel 1801 quella di Roma, nel 1808 quella di Milano e
negli anni seguenti, rispettivamente, quelle di Napoli, Torino, Genova, Bologna e
Palermo.
Tali Borse sorsero per atto imperativo delle Autorità, le Camere di Commercio
1
, e
potevano prendere la forma di Borse pubbliche (è il caso di Milano) o di Borse
private, costituite per accordo tra privati e, in base a tale diverso carattere,
assumevano un’evoluzione normativa distinta.
Venendo al caso dell’esperienza regolamentare italiana, un primo riferimento può
essere fatto al Codice di Commercio del 1865 e al modello Francese da cui traeva
ispirazione. In tal senso, le Borse di Commercio, al cui interno venivano trattati
sia titoli che merci, dovevano essere istituite con decreto reale
2
. La Borsa aveva,
pertanto, un’organizzazione di stampo pubblicistico, dove gli agenti di cambio,
pubblici ufficiali anch’essi nominati con decreto reale, detenevano formalmente il
monopolio delle negoziazioni e della stipula dei contratti
3
. Le Camere di
1
Le camere di commercio erano enti pubblici locali ma non territoriali e non economici, che
godevano di una certa autonomia del potere governativo: avevano il potere di istituire nuove borse di
commercio previo decreto reale autorizzativo e predisponevano autonomamente i regolamenti di borsa
con cui disciplinavano l’attività di borsa.
2
Si ricorda che nel marzo 1861 nacque il nuovo Regno d’Italia.
3
Gli Agenti di cambio sono stati i primi intermediari finanziari autorizzati a concludere contratti in
borsa. La definizione, mutuata dal codice di commercio francese introdotto in Italia nel 1808, sostituì
Martina Retis
2
Commercio, organismi controllati in gran parte da banche e imprese, svolgevano
funzioni di vigilanza e di organizzazione strutturale del mercato borsistico.
Questo tipo di regolamentazione, vedeva preclusa agli agenti, la possibilità di
operare in proprio o di organizzarsi in qualche forma di società, per cui, nasceva
una sorta di complicità tra banche e tali soggetti, che consentiva al settore
bancario medesimo, di controllare pienamente anche il mercato borsistico del
finanziamento alle imprese.
A fronte dell’aspetto caotico del nostro mercato, nel 1882 fu emanato il nuovo
Codice di Commercio, con il quale le Camere di Commercio si trovarono a dover
condividere il potere governativo con il legislatore, il quale disciplinava, in via
generale, l’attività di amministrazione e direzione delle borse con il regolamento
di esecuzione del nuovo Codice (regio decreto 27 dicembre 1882 n. 1139).
Differentemente dall’esperienza del 1865, il Codice traeva spunti dal contesto
anglosassone della Borsa Valori, allontanandosi dal modello pubblicistico
francese: gli agenti di cambio abbandonavano la veste di funzionari pubblici per
assumere il ruolo di veri e propri commercianti per l’attività di mediazione,
autorizzati dalle Camere di Commercio ad agire anche per conto proprio e a
realizzare forme di autoregolamentazione, in base ai requisiti di moralità e
onorabilità
4
. Questa svolta normativa, se da un lato faceva crescere enormemente
il volume delle negoziazioni e garantiva la nascita di banche specializzate e
società finanziarie, dall’altro, il mercato diveniva difficilmente controllabile,
lasciando spazio a gravi crisi, come quella verificatasi nel 1906-07.
Infatti la Borsa, negli anni tra la fine del XIX secolo ed i primi del XX, aveva
attraversato un periodo di straordinario sviluppo, che aveva in gran parte celato il
grado di instabilità creatosi contemporaneamente. Una crescita, ancora, che
tendeva a ridurre la decifrabilità dei listini e, dunque, a renderli meno vincolati ad
quella di sensali di cambio. Qualificati come pubblici ufficiali dal 1925, gli agenti di cambio ebbero
l'esclusiva sui contratti di borsa fino al 1992, quando furono affiancati dalle Sim. Nel decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, le disposizioni riguardanti gli agenti di cambio si trovano all’art.
201, e in particolare il comma 1 recita che “Sono sciolti, a cura del Consiglio Nazionale degli Ordini
degli agenti di cambio, gli Ordini professionali previsti dall’art. 3 della legge 29 maggio 1967, n. 402,
a eccezione degli Ordini professionali di Milano e di Roma”.
4
R. Costi, Il mercato mobiliare, Giappichelli, Torino, 2006, p. 21 : “La possibilità concessa agli
agenti di cambio di operare anche per proprio conto e, più in generale, il principio della libertà di
mediazione consentirono la nascita di banche specializzate e di società finanziarie le quali, insieme
alle grandi banche miste, promossero l’emissione e il collocamento in borsa delle azioni e delle
obbligazioni societarie; una borsa ormai nazionale ed unitaria grazie anche ai collegamenti che le
trasmissioni telegrafiche assicuravano tra le varie borse locali. Tutto ciò fece sì che negli anni 1903-06
la massima parte del capitale azionario italiano fosse rappresentato da azioni quotate in borsa”.
La normativa italiana sui mercati regolamentati: evoluzione della disciplina
3
un’attenta analisi dei rendimenti, dipendendo in maniera rimarchevole da
elementi di genere emotivo, i quali assumevano un carattere assai rilevante, anche
alla luce della scarsissima trasparenza delle operazioni borsistiche e di
un’accentuata vena speculativa. Nei primi anni del nuovo secolo, infatti, i titoli
ammessi a quotazione, erano saliti al 72% dell’intero capitale azionario, un valore
così alto che in futuro non si sarebbe mai ripetuto. A Milano la crescita delle
società quotate ebbe un’impennata impressionante, passando dalle 30 del 1897,
alle 72 del 1903, fino alle 169 del 1907; si stava assistendo ad un processo di
modernizzazione fin troppo veloce e che trovava forti contraddizioni soprattutto
nel fatto che le Borse realmente efficienti, erano soltanto quella del capoluogo
lombardo e quella di Genova, peraltro facilmente manipolabili da grandi gruppi
bancari; inoltre, l’accesso alle negoziazioni, non era più sottoposto a ferrei
controlli da parte delle Autorità
5
. Nel 1907, si verificò l’inevitabile “tracollo”
6
del
sistema finanziario italiano, al quale, in ambito borsistico, si tentò di porre
rimedio con la legge 20 Marzo 1913, n. 272
7
e regolamento di attuazione 4 agosto
1913, n. 1068. Questa si può definire come la prima vera legge organica
sull’ordinamento delle Borse e i relativi contratti
8
.
Tale ordinamento, che per decenni avrebbe costituito l’ordinamento basilare della
Borsa, era incentrato sulla necessità di assicurare al mercato mobiliare maggiore
stabilità
9
.
La legge constava di una parte nella quale si indicavano i modi per l’istituzione
delle Borse di commercio, per l’ammissione a quotazione, per l’accertamento dei
prezzi e i compiti degli organi locali di Borsa; nella sezione successiva,
l’attenzione era concentrata nella disciplina dei mediatori, gli agenti di cambio,
considerati soggetti esercenti attività privata a mezzo di libera professione
10
. Essi
5
Vedi A. Volpi, Breve storia del mercato finanziario italiano. Dal 1861 ad oggi, Carocci, Roma,
2002, p. 37 .
6
Per approfondimenti vedi G. Siciliano, Cento anni di borsa in Italia, Il Mulino, Bologna, 2001, pp.
19 e ss.
7
Intitolata per esteso: “Approvazione dell’ordinamento delle Borse di commercio, dell’esercizio della
mediazione e delle tasse sui contratti di borsa”.
8
Il regolamento di attuazione del 4 agosto 1913 n. 1068, sebbene non fornisse una definizione di
borsa, riservava la denominazione di “borsa di commercio”, “borsa valori”, “mercato di valori” od
altro vocabolo simile, alle borse istituite ai sensi della legge organica, ed a queste ultime riservava
altresì la formazione dei listini di prezzi.
9
Vedi R. Costi, Il mercato mobiliare, Giappichelli, Torino, 2006, p. 22 .
10
Vedi F. Di Pasquali, La disciplina italiana dell’intermediazione finanziaria e dei mercati, in A.
Banfi (a cura di), I mercati e gli strumenti finanziari, Disciplina e organizzazione della borsa, ISEDI,
Torino, 2004, p. 31
Martina Retis
4
erano gli unici intermediari autorizzati alla negoziazione di valori pubblici, cioè i
soli che potevano partecipare alle aste di Borsa, in quanto conformi ai requisiti
imposti dalle Autorità competenti.
Tale intervento normativo da un lato, ribadiva il carattere pubblicistico della
Borsa Valori, ponendo un freno ai crescenti fenomeni di autoregolamentazione e
pluralismo, ma dall’altro aumentava l’ingerenza dell’autorità governativa
riservando ad essa il potere di istituire nuove Borse su proposta della Camera di
Commercio, e conferendo al Ministro la funzione di vigilanza anche ispettiva e
regolamentare
11
(da esercitarsi congiuntamente a quella espletata dalle camere di
commercio e degli organi di borsa).
L’obiettivo della stabilità, indicato dal legislatore del 1913, doveva dunque essere
perseguito anche a costo del sacrificio del buon funzionamento del mercato.
Attraverso la legge 20 Marzo 1913, n. 272 si dava avvio ad un procedimento di
distinzione tra regime delle Borse Merci e quello delle Borse Valori; ne sarebbe
derivata una fase di “disarticolazione degli elementi costitutivi
dell’organizzazione del servizio”
12
, ovvero, una vera e propria scissione tra
organizzazione giuridica e logistica del mercato, che ha avuto seguito fino alle
riforme del 1974-75, protese verso una fase di riaggregazione parziale
dell’attività di gestione, in capo a nuovi complessi organizzatori.
È stato proprio nel 1974, con il decreto legge n. 95 dell’8 agosto 1974 e la relativa
legge di conversione 7 giugno n. 216 (e regolamento di attuazione d.p.r. 31 marzo
1975 n. 138), che si attuò il passaggio delle residuali funzioni spettanti alle
Camere di Commercio in materia di organizzazione giuridica delle Borse,
all’organismo collegiale a carattere nazionale di nuova istituzione, la
Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob)
13
. La promulgazione di
11
I regolamenti speciali adottati dalle singole borse vennero conformati sulla base del regolamento
tipo emanato dal Ministero dell’Industria con circolare 16/1/1954 n. 673/C.
12
Vedi ABI, La legislazione italiana sulle Borse Valori, in Bancaria, Roma, 1984.
13
In base all’art 1 della legge 216/74, la Consob veniva istituita con sede a Roma e sede secondaria
operativa a Milano.
L’art. 1 del D.P.R. 31 marzo 1975 n. 138 attribuiva alla Consob “la titolarità dei poteri e delle
attribuzioni relativi all’organizzazione ed al funzionamento delle borse valori nonché all’ammissione
dei titoli a quotazione”.
L’art. 1 c.2 della l. 216/74 stabiliva che la Consob “ha personalità giuridica di diritto pubblico e piena
autonomia nei limiti stabiliti dalla legge” e provvede all’autonoma gestione delle spese per il proprio
funzionamento nei limiti del fondo stanziato a tale scopo nel bilancio dello Stato.
Con tale legge quindi si è passati dall’autotutela dell’investitore alla creazione di un organo di
controllo e si è introdotto il principio della “trasparenza” informativa nella securities industry. Tale
principio è stato sviluppato e rafforzato dagli interventi successivi.
La normativa italiana sui mercati regolamentati: evoluzione della disciplina
5
tale legge segnò l’apertura ad una normativa speciale che avrebbe caratterizzato
la produzione legislativa in materia di valori mobiliari sino ai nostri giorni.
Le finalità della legge n. 216/1974 e dei connessi decreti erano riassumibili
nell’esigenza di restituire all’investimento azionario la fiducia dei risparmiatori,
di assicurare un’adeguata informazione del mercato, di esercitare un’efficace
vigilanza sulle società quotate e di riattivare il flusso degli investimenti nei settori
produttivi maggiormente provati dalla congiuntura del tempo.
Un’ulteriore tappa del processo evolutivo della normativa in tema di mercati
mobiliari è individuabile nella legge 23 febbraio 1977, n.49, che istituì un nuovo
mercato regolamentato italiano rappresentato dal Mercato Ristretto
14
. Ad essa ci
si deve riferire, oltre che per l’istituzione della figura del secondo mercato, per
l’ulteriore passo che consentì di compiere nel processo volto alla trasparenza:
avviato con la legge n. 216/1974, esso proseguì con l’introduzione nel nostro
sistema dell’obbligo di redazione del prospetto informativo contenente dati e
notizie che le società (i cui titoli erano ammessi alla quotazione) erano tenute a
pubblicare prima della data di inizio delle negoziazioni
15
.
Alla fine degli anni Settanta il complesso normativo sembrava però mettere in
luce come mercato mobiliare e borsa valori tendessero a sovrapporsi. È stato
quindi con la legge n. 77 del 23 marzo 1983 che si compì il salto di qualità che
avrebbe portato verso la realizzazione di un sistema informativo organico,
costruito attorno alla nozione di valore mobiliare e di sollecitazione del pubblico
risparmio. In particolare con valore mobiliare si identifica ogni documento o
certificato - che direttamente o indirettamente rappresenti diritti di società,
associazione, imprese o altri enti (anche fondi comuni di investimento italiani o
esteri); - rappresentativo di un credito o in interesse negoziabile e non; -
rappresentativo di diritti relativi a beni materiali o proprietà immobiliari; - idoneo
a conferire diritti di acquisto di uno di questi valori mobiliari.
Si può affermare, nonostante ciò, che il nucleo normativo dal quale ha preso
avvio un generale processo di ristrutturazione e di grande riforma organica del
14
Trasformato successivamente in Mercato Expandi. Inoltre, a seguito della fusione tra Borsa Italiana
spa e London Stock Exchange, il 29 giugno 2009 è stato previsto l’accorpamento di tale mercato e
MTA sulla base delle Modifiche del Regolamento dei Mercati e delle Relative Istruzioni di Borsa
Italiana approvate da Consob con delibera n. 16848 del 25 marzo 2009.
15
Vedi F. Di Pasquali, La disciplina italiana dell’intermediazione finanziaria e dei mercati, in A.
Banfi (a cura di), I mercati e gli strumenti finanziari, Disciplina e organizzazione della borsa, ISEDI,
Torino, 2004, p. 33.
Martina Retis
6
mercato mobiliare è costituito dalla legge 2/1/1991, n.1 titolata Disciplina
dell’attività d’intermediazione mobiliare e disposizioni sull’organizzazione dei
mercati mobiliari (legge SIM).
Con tale dettato normativo il legislatore, raggiungendo i fondamentali obiettivi
propostisi, fissò le regole generali per la specifica attività di intermediazione nel
campo dei valori mobiliari e per i soggetti abilitati al suo svolgimento. Nacque
così una nuova figura di intermediario che sostituì la categoria, ormai in
estinzione, degli agenti di cambio
16
: la SIM (Società di Intermediazione
Mobiliare)
17
, soggetto polifunzionale, cui è riservata in via esclusiva tale attività,
pur essendo previste rilevanti eccezioni a favore di aziende di credito, agenti di
cambio e società fiduciarie; vigeva però un regime di riserva all’attività esclusiva,
e cioè che doveva essere autorizzata da un’autorità di vigilanza pubblica
18
.
Inoltre, per assicurare una sempre maggiore trasparenza alle negoziazioni, il
legislatore affermava il principio della concentrazione degli scambi in borsa, cioè
l’obbligo di negoziare i valori mobiliari trattati nei mercati regolamentati solo ed
esclusivamente in detti mercati.
Tale provvedimento istituì anche, nell’interesse degli investitori e del pubblico
risparmio, il Fondo Nazionale di Garanzia per il recupero dei crediti vantati dai
clienti nei confronti delle SIM insolventi.
Infine, le competenze rimaste alle Camere di Commercio e agli organi locali di
borsa, cioè la predisposizione ed amministrazione dei locali e del personale di
borsa, vennero attribuite al Consiglio di borsa, organismo istituito dalla stessa
legge e nominato dal Ministro del tesoro.
La legge n. 1 del 1991 si inseriva in un contesto che vedeva il servizio di borsa
oggetto del dibattito in materia di privatizzazione dei servizi pubblici, dibattito
cominciato sul finire degli anni ottanta e che avrebbe portato, di lì a poco, alle
prime leggi sulla trasformazione in società degli enti pubblici.
Una spinta al processo di privatizzazione di tale servizio derivò dall’adozione
delle direttive n. 6 del 15 marzo 1993, e n. 22 del 10 maggio 1993
(rispettivamente in materia di adeguatezza patrimoniale delle imprese di
16
Infatti l’art. 19 della legge recita: “Dalla data di entrata in vigore della presente legge non sono più
banditi concorsi per la nomina di agenti di cambio”.
17
In base alla legge n. 1 del 2/1/1991, le SIM dovevano essere costituite sottoforma di spa o sapa e
avere sede legale nel territorio dello Stato.
18
Cfr. Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, Linee di progetto per una riforma del
mercato borsistico, Roma, aprile 1987
La normativa italiana sui mercati regolamentati: evoluzione della disciplina
7
investimento e degli enti creditizi e di servizi di investimento)
19
.
In attuazione della delega contenuta nella legge comunitaria 1994
20
il Governo
emanava il DLgs. 23 luglio 1996, n. 415 (decreto Eurosim), con il quale si
abrogava quasi integralmente la Legge n. 1 del 1991, e che, all’art. 46,
riconosceva finalmente carattere imprenditoriale all’attività di organizzazione e
gestione di mercati regolamentati su strumenti finanziari e ne rimetteva
l’esercizio a società per azioni di diritto speciale (la specialità derivava dai
requisiti richiesti per ottenere l’autorizzazione da parte della Consob e
dall’esigenza stessa dell’autorizzazione). A tal fine gli articoli 56 e 57
disponevano e delineavano la procedura per la privatizzazione dei mercati
regolamentati esistenti in Italia (borsa valori, mercato ristretto e mercati dei titoli
di Stato di cui al d.m. 24 febbraio 1994
21
).
Da sottolineare è il fatto che la nozione di mercato regolamentato dove si
svolgevano le negoziazioni, è stata recepita, per la prima volta dal legislatore
italiano, con la legge 6 febbraio 1996 n. 52, recante disposizioni per
l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità
europee (legge comunitaria 1994), con cui veniva delegato al Governo il compito
di “disciplinare … l’istituzione, l’organizzazione ed il funzionamento dei mercati
regolamentati, prevedendo organismi di natura privatistica, che siano espressione
degli intermediari ammessi ai singoli mercati e siano dotati di poteri di gestione,
autoregolamentazione ed intervento”.
Nella accennata prospettiva di autoregolamentazione, il decreto Eurosim si
limitava ad un’enunciazione dei principi più o meno generali, rimettendo alle
società di gestione del mercato l’adozione di regole relative alla c.d.
microstruttura della borsa, compito prima spettante esclusivamente alla Consob.
Quest’ultima, tuttavia, manteneva (e mantiene ancora oggi) delicati compiti in
materia di vigilanza, sia iniziale (attraverso l’autorizzazione all’esercizio dei
mercati regolamentati quando la società di gestione possieda i requisiti previsti
dal regolamento emanato dalla stessa Consob), sia continua (attraverso
l’approvazione delle modifiche al regolamento, la richiesta di dati e notizie, la
possibilità di ispezioni e di provvedimenti di necessità ed urgenza).
19
Tale argomento verrà approfondito nel paragrafo 3 del presente capitolo
20
E’ da notare che la direttiva 93/22 lasciava liberi gli Stati circa la forma da adottare per la gestione
dei mercati mentre la legge comunitaria 1994 opta espressamente per la forma privatistica.
21
Si tratta del mercato telematico dei titoli di Stato e garantiti dallo Stato, quotati e non quotati in
borsa, e del mercato telematico dei contratti uniformi a termine sui titoli di Stato.
Martina Retis
8
Successivamente i mercati regolamentati italiani sono stati disciplinati al livello
di normativa generale, dal Testo Unico sull’Intermediazione Finanziaria d.lgs.
58/98 (TUF), il quale recava una disciplina dei mercati che, nell’intenzione del
legislatore, doveva ricalcare ed integrare “le disposizioni del decreto Eurosim in
relazione a specifiche e motivate esigenze di completamento della disciplina”
22
.
Resta ferma la scelta di affidare l’organizzazione e gestione di mercati
regolamentati a società per azioni (anche senza scopo di lucro) rispondenti a
determinati requisiti in materia di capitale minimo, onorabilità e professionalità
degli esponenti aziendali e partecipazioni rilevanti.
Detto decreto ha segnato il punto di svolta della legislazione in tema di mercati
finanziari in quanto ha dato una sistemazione organica alla precedente
regolamentazione frammentata in numerosi atti normativi. Infatti sono state
riunite in un testo le disposizioni relative alle società di investimento, alla
gestione collettiva del risparmio (con l’introduzione delle società di gestione del
risparmio), alla disciplina dei mercati finanziari, alla gestione accentrata degli
strumenti finanziari, alla disciplina degli emittenti di strumenti finanziari, alle
sollecitazioni all’investimento e alle offerte pubbliche di acquisto.
Il TUF, però, conservava il modello di autoregolamentazione nell’ambito di
principi fissati dalla legge già sperimentato nel decreto Eurosim col risultato che,
ormai, la disciplina dei mercati regolamentati emergeva da un complesso di
regole, di natura normativa o privatistica, adottate da diversi soggetti (legislatore,
Consob, società di gestione del mercato)
23
.
22
Così la relazione di sintesi allo schema del provvedimento.
23
Si potevano, al riguardo, individuare quattro livelli di regolamentazione:
1) il TUF dettava le disposizioni generali e conferiva poteri di disciplina specifici alla Consob, al
Ministero del tesoro del bilancio e della programmazione economica ed alle società di gestione dei
mercati;
2) il regolamento della Consob in materia di mercati (delibera n. 11768 del 23 dicembre 1998)
determinava, tra l’altro, i requisiti patrimoniali delle società di gestione, le attività connesse e
strumentali, gli obblighi di esecuzione delle negoziazione nei mercati regolamentati e gli obblighi di
registrazione delle operazioni. Su questo stesso livello si ponevano i regolamenti del Ministro del
tesoro, del bilancio e della programmazione economica in materia di requisiti di onorabilità e
professionalità degli esponenti aziendali e di onorabilità dei partecipanti al capitale;
3) il regolamento del mercato, deliberato dall’assemblea ordinaria della società di gestione del
mercato ed avente il contenuto minimo fissato dall’art. 62 TUF. Il contenuto minimo riguardava, tra le
altre, le condizioni di ammissione ed esclusione degli operatori e degli strumenti finanziari, le
modalità per lo svolgimento delle negoziazioni e gli eventuali obblighi degli operatori e degli
emittenti, le modalità di accertamento, pubblicazione e diffusione dei prezzi, i tipi di contratti
ammessi alle negoziazioni etc..
4) le disposizioni di attuazione del regolamento del mercato (Istruzioni) emanate dal consiglio di
amministrazione della società di gestione, al quale il regolamento del mercato abbia conferito tale
potere (cfr. art. 62, co. 1 TUF). Le istruzioni avevano la natura di “regole tecniche” tant’è che non
La normativa italiana sui mercati regolamentati: evoluzione della disciplina
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Una vera e propria rivoluzione in ambito di mercati finanziari si è attuata il 21
aprile 2004, quando è stata approvata dal Parlamento Europeo la direttiva
2004/39/CE (MiFID– Markets in Financial Instruments Directive), che nel nostro
ordinamento è entrata in vigore il 1° novembre 2007.
Nelle intenzioni della Commissione, le norme contenute nella Direttiva
costituiscono un passo importante verso la costruzione di un mercato azionario
europeo integrato: le imprese di investimento godono ora effettivamente di un
"passaporto unico" e gli investitori beneficiano del medesimo livello di
protezione, a qualsiasi sistema di intermediazione mobiliare europeo decidano di
rivolgersi. La direttiva inoltre stabilisce per la prima volta un quadro
regolamentare completo che disciplina l'esecuzione delle transazioni degli
investitori da parte dei mercati regolamentati (exchanges), sistemi di
negoziazione alternativi (Multilateral Trading Facilities) oppure ancora
intermediari (imprese di investimento) eventualmente operanti in qualità di
internalizzatori.
La direttiva MiFID, di cui si parlerà più nello specifico nel sesto paragrafo di
questo capitolo, si pone quindi come un ulteriore passo in avanti nel processo di
adeguamento normativo all’evoluzione del contesto economico all’interno del
quale si svolgono i servizi d’investimento.
dovevano neppure essere approvate dall’assemblea degli azionisti.
Martina Retis
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1.2 La Direttiva 93/22/CEE sui servizi d’investimento
All’inizio degli anni ’90 la situazione nazionale ed europea era molto diversa da
quella attuale. Le economie, anche all'interno della CEE, erano molto meno
integrate e quindi gli investimenti erano basati sul concetto di diversificazione
geografica e non settoriale. In molti mercati azionari (incluso quello italiano) le
negoziazioni avvenivano ancora fisicamente e quindi non era possibile
l'integrazione tra i sistemi di negoziazione. Il settore finanziario era molto più
frammentato e le dimensioni medie degli intermediari erano inferiori. Le borse
erano pubbliche oppure basate su sistemi di governance di tipo mutualistico.
Infine, la regolamentazione dei servizi finanziari era nazionale e molto
differenziata nei diversi paesi membri della CEE.
Per tali ragioni era necessario disciplinare la legislazione dei mercati a livello
europeo. A tal proposito è stata stilata la direttiva n. 22 del 10 maggio 1993,
concernente i servizi d’investimento nel settore dei valori mobiliari (Instruments
Services Directive).
Tale direttiva ha innescato il più importante processo di regolamentazione mai
sviluppatosi a livello europeo in materia di mercati finanziari.
L’effetto del provvedimento è stato una semplice ed ulteriore omologazione dei
mercati europei, ma soprattutto la nascita di un nuovo contesto molto coordinato
e concorrenziale.
Fin dal 1981 il Parlamento europeo aveva sottolineato “la necessità di creare
mediante una crescente interpenetrazione dei mercati, un effettivo sistema di
mercato europeo per i valori mobiliari”
24
, per favorire la nascita e lo sviluppo
dell’Unione Europea. Ovviamente, la frammentazione politica ed economica si
rispecchiava anche nella presenza di diverse borse, una per ciascuno Stato della
Comunità e, spesso, più numerose anche a livello nazionale (in Francia, ad
esempio, erano 5, in Italia 10, anche se quelle operative erano solo 4), ma fu
immediatamente scartata come inopportuna l’ipotesi estrema di «instaurare una
borsa unica».
Il Parlamento si soffermò sulla necessità di eliminare gli ostacoli riguardo
l’accesso in borsa, il libero stabilimento degli intermediari
25
, la trasparenza del
24
Risoluzione adottata dal Parlamento europeo il 31 ottobre 1981
25
Con tale espressione si sta ad indicare la possibilità, per un qualsiasi intermediario europeo
La direttiva 93/22/CEE sui servizi d’investimento
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mercato e la connessione dei sistemi automatici di contrattazione.
Riguardo quest’ultimo aspetto l’obiettivo era di realizzare un’apposita struttura
informatica e telematica che collegasse tutte le Borse europee, per permettere
l’esecuzione degli ordini provenienti dai clienti sul mercato borsistico che in quel
momento offriva le condizioni migliori
26
. Il progetto prevedeva la realizzazione,
entro il 1990, di una rete telematica che avrebbe fornito a tutti gli intermediari
ammessi alle Borse europee e agli investitori informazioni ufficiali.
Successivamente, tale circuito si sarebbe trasformato in strumento negoziale
dando la possibilità di immettere ordini di acquisto e di vendita relativi ai titoli
quotati in tutte le Borse della Comunità. La Borsa di Londra si oppose
fermamente a tale progetto
27
e quella di Francoforte rifiutò qualsiasi contatto
convinta della superiorità del proprio sistema operativo.
Definitivamente accantonata l’ipotesi di una connessione tecnica dei mercati,
l’integrazione riprese seguendo i due classici principi dell’armonizzazione
minima degli ordinamenti e della libera concorrenza tra operatori ed mercati.
L’armonizzazione degli ordinamenti finanziari europei, prima dell’emanazione
della direttiva del ’93, era stata estesa gradualmente dalle Autorità comunitarie e
disciplinava i requisiti di quotazione, l'informativa societaria, gli organismi
d'investimento collettivo, le operazioni su pacchetti rilevanti di titoli, i prospetti
delle offerte pubbliche di vendita e l’insider trading
28
. Non erano ancora stati
autorizzato dal proprio paese d'origine, di operare in tutti i mercati finanziari della comunità.
Vedi Cattaneo, “Armonizzazione e concorrenza nella securities industry”, in Banche e banchieri,n. 7,
1994, p. 495 .
26
Si era pensato ad un sistema di quotazione unico, noto con il nome di Eurolist. Tale sistema non ha
mai raggiunto lo scopo che si prefiggeva, ossia la creazione di una borsa unica europea.
27
Infatti la Borsa di Londra prospettava l’opportunità che tutte o le principali borse della Comunità
aderissero al suo sistema telematico, il SEAQ INTERNATIONAL, nato nel 1985 come sezione dello
Stock Exchange Automatic Quotation (SEAQ) per la quotazione delle azioni non inglesi. Si tratta di
un circuito telematico all’ingrosso di tipo quote driven che espone le quotazioni dei titoli quotati,
mentre gli scambi vengono effettuati tramite telefono. Recentemente si è deciso di trasformare il
sistema di negoziazione delle azioni più liquide da mercato telefonico centrato sui market makers e
assistito da un sistema di diffusione delle loro quotations (SEAQ) ad un mercato di esecuzione
automatica degli ordini, esposti liberamente dagli intermediari su un book centrale.
Vedi M. Berlanda, Nuova disciplina dei mercati e concorrenzialità della Borsa italiana, in G.
Ferrarini, P. Marchetti (a cura di), La riforma dei mercati finanziari, Edibank, Milano, 1998, pp. 438-
440
28
Tale termine, di origine anglosassone, sta ad indicare la compravendita di strumenti finanziari da
parte di un insider, cioè di una persona che, in virtù della posizione che ricopre, è a conoscenza di
informazioni privilegiate che vengono utilizzate per ottenere un profitto. Le informazioni sono
privilegiate se sono specifiche e di contenuto determinato, non sono a disposizione del pubblico, sono
concernenti strumenti finanziari e sono idonee, se rese pubbliche, a influenzare sensibilmente il prezzo
degli strumenti finanziari cui si riferiscono. L’Insider Trading consiste quindi nel porre in essere
operazioni su strumenti finanziari sulla base di informazioni chiave prima che esse divengano di