Introduzione
Il fenomeno delle fusioni bancarie infragruppo ha assunto in Italia un’importanza crescente, attirando
l’attenzione di studiosi, banchieri e policy makers; in Italia le principali tipologie di operazioni straordinarie tra
banche sono sei: fusioni, incorporazioni, cessioni di attività e di passività, cessione di sportelli per liquidazione,
acquisizioni del controllo e formazione di holding.
Con una fusione, una o più banche danno luogo a un nuovo intermediario e devono essere autorizzate ai sensi
dell’art 57 del Testo Unico Bancario; con l’incorporazione un istituto assorbe una o più banche, mentre con le
cessioni di attività e di passività, le banche acquisiscono in blocco i rapporti giuridici di un’altra banca e per le
operazioni rilevanti, vi deve essere l’autorizzazione della Banca d’Italia.
Inoltre le banche possono acquisire punti vendita di istituti liquidati e acquisire il controllo di altri intermediari
nella forma d’influenza dominante, quando esiste un soggetto che ha il diritto di nominare o di revocare la
maggioranza degli amministratori, ovvero dispone da solo della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea
ordinaria e può nominare o revocare la maggioranza dei membri del Consiglio di amministrazione.
Infine attraverso la formazione di holding, si controllano due intermediari o due gruppi creditizi in passato
indipendenti: un esempio è stata la costituzione nel 1998 della capogruppo holding Banca Intesa.
Un gruppo bancario può essere definito come un aggregato di imprese giuridicamente autonome facenti capo a
un unico soggetto economico che esercita una direzione strategica unitaria; la regolamentazione dei gruppi
creditizi muove dalla volontà di tutelare la stabilità del sistema bancario, evitando che l’insolvenza o la cattiva
amministrazione di un’istituzione operante con forti legami con una banca si riproduca sulla gestione di
quest’ultima, diffondendosi ad altri istituti di credito.
Processi di fusioni infragruppo sono legati al più ampio fenomeno della ristrutturazione dei gruppi bancari
italiani, avviata dagli Anni Ottanta/Novanta, per via delle diverse condizioni del mercato e della crescita della
tensione concorrenziale; accanto al fenomeno della ristrutturazione infragruppo, sempre in quegli anni, è
avvenuta una forte concentrazione bancaria, definita anche consolidamento, in base alla quale molti intermediari
bancari e finanziari sono stati interessati da processi di fusione e di acquisizione.
La realizzazione del processo di ristrutturazione dei gruppi bancari ha avuto luogo attraverso operazioni di vario
tipo, tra loro sovente combinate ma con impatti profondamente diversi sulle realtà preesistenti:
Alienazione di società: ciò è avvenuto in primo luogo nel caso in cui la banca capogruppo abbia deciso
di cedere partecipazioni di minoranza considerate non strategiche, oppure di ripiegare sul core business,
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e quindi di ridurre la diversificazione della gamma di attività condotte ed eseguite attraverso società
controllate. In alcuni casi le alienazioni hanno obbedito a una strategia di ridimensionamento della
presenza del gruppo in alcune specifiche aree geografiche, mentre in altri casi l’alienazione si è avuta in
presenza di duplicazione di società con medesima attività (società operanti nel leasing e nel factoring);
Fusioni tra società: anche con questo tipo di operazioni, si è voluto in primo luogo porre rimedio a
situazioni di duplicazione operativa; in alcuni casi la fusione è avvenuta tra società con attività contigue;
Creazione di subholding di settore/prodotto: tale tipo di operazione ha l’obiettivo di definire
responsabilità di gestione e di coordinamento per attività omogenee, in senso geografico o in relazione
alla tipologia di business. Spesso le subholding vengono però eliminate per consentire un più efficace
controllo sulle società controllate da parte della capogruppo;
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Creazione di service companies comuni a più aziende del gruppo: ha avuto un notevole rilievo il
fenomeno dell’outsourcing, che consiste nel non produrre più alcuni servizi all’interno della banca, ma
di esternalizzarli verso altre società. Nel caso italiano si è operato prevalentemente nel senso di
concentrare alcune funzioni, di solito tecniche o dell’area della formazione, in società ad hoc, che
offrono i propri servizi alle diverse società del gruppo e in alcuni casi anche a operatori esterni; gli
obiettivi di queste operazioni sono principalmente due: risolvere il problema della duplicazione di
competenze nel medesimo servizio, presenti in diverse società del gruppo, razionalizzandone quindi
l’offerta, con evidenti risparmi sui costi e vendere ove possibile tali servizi ad operatori di dimensioni
minori, per ottimizzare l’utilizzo delle risorse umane e tecniche disponibili.
Incorporazioni di società: alcune società sono state assorbite dalla capogruppo; in alcuni casi tale
processo è stato suggerito dall’esigenza da parte della capogruppo di esercitare un maggior controllo
sulle attività svolte dalle controllate. In presenza di contiguità dei prodotti della controllata con quelli
della capogruppo, emergono possibilità di produzione congiunta, che consentono di ottimizzare sia i
processi produttivi, sia i flussi informativi; tanto più è elevato il grado di differenziazione, tanto più
difficilmente l’attività viene incorporata.
I problemi di ristrutturazione dei gruppi bancari vanno ricondotti da un lato alla tipologia di rapporti che
s’instaurano tra capogruppo e controllate e dall’altro lato al grado di accentramento, ovvero di decentramento dei
processi decisionali e di controllo che la holding attua nei confronti delle controllate.
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Bottiglia R: “Ristrutturazione dei gruppi bancari e rapporti tra capogruppo e società controllate” Egea 1995 pag 74
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Sono tre le principali macro-aree gestionali apparse cruciali nell’ambito dei processi di ristrutturazione:
1. I sistemi di programmazione e controllo;
2. La gestione delle risorse umane;
3. I sistemi informativi.
Per quanto riguarda il primo punto, i processi di ristrutturazione vedono il ripensamento della struttura di gruppo
a favore dell’incorporazione nella banca holding di alcune attività correlate con l’attività creditizia e in
precedenza svolte da società controllate, come il factoring, il leasing, e il credito al consumo: gli obiettivi
principali della ristrutturazione sono di perseguire una riduzione dei costi organizzativi e conseguire una
migliore efficacia della funzione di controllo; tale strategia ha un limite nel tipo di attività svolte dalle
controllate, nel caso in cui queste svolgano attività iperspecializzate o non correlate con il core business della
banca, vale a dire l’attività creditizia.
In particolare alcune attività sono accentrate ad hoc, all’interno del gruppo per motivi di efficienza, per risolvere
nodi di natura tecnica/tecnologica, ovvero riguardanti la gestione del personale nella fase di ristrutturazione; i
casi più frequenti di costituzione di società ad hoc riguardano i servizi informatici, come per esempio la
progettazione e costruzione di pacchetti software e l’elaborazione dati per le diverse società del gruppo, e per
quanto riguarda l’area della formazione.
In diversi casi si è affrontato il tema dell’accentramento del marketing presso la capogruppo, che è tanto più
rilevante quanto le sinergie del gruppo si esplicano attraverso un’unica rete commerciale; un ulteriore esempio di
servizio accentrato è quello della gestione delle informazioni relative alla clientela affidata, con la costituzione
della centrale rischi del gruppo, con un unico data base.
Per quanto concerne l’accentramento delle funzioni operative, il caso più frequente riguarda l’attività di funding
sui mercati internazionali: si opera con spread minori, sfruttando la reputation e il potere contrattuale della
capogruppo su tali mercati; un altro possibile accentramento riguarda le operazioni di hedging.
I processi di ristrutturazione dei gruppi bancari si sono dovuti misurare con il problema della gestione delle
risorse umane, nelle sue diverse fattispecie: possibile perdita del posto di lavoro, trasferimenti nell’ambito della
ristrutturazione organizzativa, modifiche svantaggiose nel percorso carriera, ne sono solo degli esempi;
nell’ambito dei processi di ristrutturazione si manifesta il rafforzamento della gestione strategica delle risorse
umane nel comparto creditizio.
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Per quanto riguarda i processi di ristrutturazione dei gruppi, il mantenimento dei diversi contratti di lavoro tra le
varie società rallenta l’obiettivo di amalgamare la gestione del personale e di superare le precedenti vicende
aziendali; le resistenze al cambiamento sono poi indubbiamente più forti quando si tratta di società con attività
diverse rispetto a quella bancaria della capogruppo, come nel caso di società operanti nel parabancario.
Il numero di banche in Italia è sceso radicalmente, passando da oltre 1200 a circa 800 unità nel periodo dal 1990
ai primi anni del 2000, per effetti di operazioni di fusione e acquisizione e di fusioni infragruppo, cioè all’interno
di un gruppo bancario, in larga prevalenza di tipo domestico (si noti che buona parte delle operazioni vede
coinvolte banche in crisi).
Numerosi contributi hanno sottoposto a verifica empirica due diverse ipotesi teoriche: la prima sostiene che i
processi di fusione all’interno del gruppo bancario costituiscono la risposta del mercato a carenze gestionali di
almeno una delle banche coinvolte (la banca incorporata) con l’obiettivo di massimizzarne il valore attuale; la
seconda ipotesi, più attenta ai rapporti di agenzia tra proprietari e manager sostiene invece che specie nei mercati
finanziari i processi di aggregazione non soddisfano tanto criteri di efficienza, quanto interessi privati del
management, o più in generale scelte di policy.
Nell’ambito delle modalità di articolazione dei gruppi bancari, permangono le forme organizzative tendenti a
coniugare l’accentramento presso la capogruppo di funzioni produttive e di governo, con la valorizzazione del
radicamento territoriale delle aziende incorporate.
Il potenziale impatto macroeconomico delle aggregazioni bancarie in Italia è maggiore che all’estero, date le
peculiarità del sistema produttivo, in ampia misura costituito da imprese di piccole dimensioni dipendenti dal
credito bancario, e la struttura del sistema finanziario, che vede gli intermediari creditizi in un ruolo di
preminenza nella raccolta del risparmio, nell’intermediazione mobiliare e nei servizi finanziari.
E’ fondamentale rilevare come il cambiamento normativo – regolamentare ha favorito un notevole abbassamento
delle barriere all’entrata e ha generato condizioni di maggiore contendibilità dell’attività di intermediazione
finanziaria.
Il cambiamento del settore dei servizi finanziari è stato prevalentemente avviato dalla combinazione interattiva
di quattro fattori esogeni: la deregolamentazione dell’attività finanziaria, la globalizzazione delle relazioni
finanziarie, l’innovazione della tecnologia dell’informazione e della comunicazione (ICT), e il progresso delle
modellistiche finanziarie per la gestione delle decisioni e la quantificazione dei valori o dei prezzi (si pensi ai
modelli di asset pricing e di gestione dei portafogli).
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Appare sempre più significativo il classico rapporto tra strategia e struttura, nel senso che il forte orientamento
che il gruppo bancario trae dalle dinamiche del mercato richiede la continua metamorfosi della struttura
aziendale, e di conseguenza i mutamenti della strategia si ripercuotono anche sul modello di business; la
strategia è un piano e sequenza di azioni volta a dirigere l’attività a un obiettivo finale, anche mediante obiettivi
strumentali entro determinati riferimenti temporali.
In alcuni casi si parla di strategia di business quando è utile approfondire le problematiche di strategia dentro una
certa area strategica di affari (come ad esempio il corporate banking, il private banking o il retail banking) e il
carattere distintivo di tale strategia è di essere relativamente focalizzata; in altre situazioni è impiegata la nozione
di strategia di portafoglio che assume come punto focale la definizione e la realizzazione del portafoglio delle
attività aziendali, secondo i criteri di convenienza e vantaggio competitivo, mediante la ricerca, identificazione,
analisi, valutazione e scelta delle diverse e singole aree strategiche di affari utilmente combinabili nella stessa
impresa.
La nozione di struttura identifica poi tutto quanto può essere combinato (fattori delle combinazioni produttive e
distributive) per realizzare una data strategia; il rapporto tra strategia e struttura è di tipo bidirezionale, in quanto
la fattibilità di una strategia di posizionamento dipende dalla disponibilità delle risorse specifiche necessarie di
cui è dotata la struttura.
Le operazioni di fusione infragruppo sono oggi realizzate per razionalizzare e ottimizzare la struttura dell’intero
gruppo bancario, per focalizzare meglio i business, per migliorare l’efficacia distributiva, per sfruttare al meglio
le variabili tecnologiche.
Il vero obiettivo di un’operazione straordinaria consiste nella creazione di valore e oggi siamo consapevoli che le
migliori operazioni di razionalizzazione creano vantaggi concreti anche per i mercati ove si realizzano e
forniscono un reale miglioramento per l’intero sistema economico.
Le fusioni per incorporazione infragruppo si sono affiancate quindi alle operazioni di fusione per unione
tradizionali, e sono il frutto di nuove tappe dei processi d’integrazione nell’ambito del modello federale; ad una
fase volta all’espansione dimensionale e a modelli di tipo sostanzialmente imitativo, sembra quindi seguire un
periodo di ripensamento degli elementi di vantaggio competitivo alla base del posizionamento di mercato e di
ricerca dell’identità strategica della singola banca.
In particolare le fusioni infragruppo nascono da una particolare esigenza di ristrutturazione delle strutture
aziendali ridondanti, e il loro vero obiettivo consiste nella ricerca dell’ottimizzazione della struttura bancaria;
queste fusioni sono attuate per rispondere alle strategie e agli interessi che il gruppo nel suo insieme persegue.
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Sono spesso giustificate dal bisogno di effettuare un riassetto organizzativo o ristrutturazioni finanziarie; esse
non sono valutabili con riguardo alla singola impresa, in quanto il maggior valore che le integrazioni dovrebbero
creare nel caso di fusioni infragruppo risulta già presente nel gruppo bancario, ed è compreso nel valore delle
partecipazioni iscritte nel bilancio della capogruppo.
La capogruppo ricopre il ruolo diretto di interlocutore della Banca D’Italia nell’esercizio della vigilanza su base
consolidata: la vigilanza strutturale si pone l’obiettivo di determinare la configurazione di mercato (numero di
imprese, quote di mercato, campo di attività di ogni impresa) più idonea a perseguire gli obiettivi propri della
vigilanza, proponendosi quindi di regolare la struttura dell’offerta in un determinato mercato; tra gli strumenti di
intervento ricordiamo quelli che toccano le seguenti aree: l’entrata nel mercato, l’assetto organizzativo degli
intermediari operanti, la gamma di attività che ogni categoria di intermediari può svolgere, e gli interventi
amministrativi sulle quantità e sui prezzi degli intermediari.
La richiesta di una fusione infragruppo o comunque di una ristrutturazione del gruppo bancario, deve essere
formalizzata nei confronti della Banca D’Italia; il rilascio dell’autorizzazione da parte della Banca D’Italia è
subordinato alla verifica dell’adeguatezza dei profili tecnici e organizzativi del gruppo, risultante dal processo di
ristrutturazione. L’assetto strutturale del gruppo deve essere inoltre idoneo a garantire il rispetto della normativa
e lo svolgimento dei controlli di vigilanza.
Dalla seconda metà degli anni 70 i maggiori paesi nell’ambito del G10 iniziarono una riflessione sulle finalità
che le autorità di vigilanza dovevano perseguire e quindi sulle modalità con le quali realizzarle; la vigilanza di
tipo strutturale è più orientata verso la stabilità del sistema bancario e così il nuovo orientamento politico di
stampo liberale cercò di assegnare all’efficienza un ruolo primario, da perseguire attraverso la concorrenza,
determinando in questo modo una sorta di trade off stabilità/efficienza.
Accanto alle fusioni infragruppo, nel processo di razionalizzazione dei gruppi bancari in atto dobbiamo ricordare
anche la tendenza all’eliminazione di strutture intermedie tra holding e controllate e il complessivo riordino delle
partecipazioni, ivi comprese quelle di minoranza; quanto al primo aspetto, riguarda solo quei grandi gruppi in cui
le strutture sono presenti assumendo la forma di sub holding: sembra emergere la volontà di eliminare tali
strutture, ponendo le partecipazioni detenute direttamente in mano alla capogruppo.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, in particolare riguardante le partecipazioni di minoranza, ossia quelle in
cui la capogruppo o altra società del gruppo detiene una modesta quota di capitale, si presta al perseguimento di
obiettivi coerenti con quelli che ispirano la ristrutturazione dei gruppi creditizi; in particolare sembra oggi
emergere una tendenza a ridimensionare, ove possibile, gli investimenti in partecipazioni non direttamente
connesse al business dell’intermediazione o dei servizi finanziari.
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Ciò appare dovuto sia alla scarsa utilità dimostrata da tali investimenti in termini di capacità di servizio nei
confronti delle partecipanti, sia alla limitata redditività degli investimenti stessi.
Sono diverse le motivazioni che portano un gruppo bancario a una ristrutturazione o comunque una
razionalizzazione, in particolare per quanto riguarda le fusioni infragruppo, ossia il caso in cui la holding
incorpori la controllata, oppure il caso di fusione tra due controllate, ricordiamo:
La revisione del modello di business complessivo del gruppo, che in alcuni casi particolari deve essere
modificato;
La semplificazione del gruppo, per favorire lo sviluppo e fronteggiare momenti di crisi;
La specializzazione del gruppo stesso su specifiche attività o su determinate fasi di processo;
La riorganizzazione della struttura interna di gruppo;
Un ulteriore consolidamento della banca nel territorio in cui opera, nel caso in cui ad esempio il
patrimonio della controllata sia più solido di quello della controllante;
Un migliore presidio del rischio e una limitazione del grado di dispersione;
Il conseguimento di particolari economie, in particolare di scala e di scopo, attraverso particolari sinergie
operative, grazie alle quali si riescono ad evitare le duplicazioni;
L’offerta di prodotti qualitativamente e commercialmente validi alla clientela con un brand name più
conosciuto;
Un miglioramento della capacità competitiva;
Un più attento controllo della redditività del core business del gruppo bancario;
La dotazione di una visione strategica per i gruppi bancari e un rafforzamento del sistema di
pianificazione e di controllo;
Riposizionamento.
La fusione è in assoluto un’operazione frutto della strategia aziendale, e come tale, per essere vincente, deve
nascere da un’idea imprenditoriale o da un progetto manageriale, che sconta il rapporto tra vantaggi e rischi,
ovvero tra costi e benefici.
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Il compiuto svolgimento di tutti questi processi di razionalizzazione infragruppo trova nelle singole realtà
aziendali modalità di realizzazione peculiari, richiedono tempi presumibilmente non brevi, e non c’è dubbio che
le strutture di gruppo siano destinate a permanere, come del resto avviene in alcuni paesi in cui è maggiormente
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radicato il modello di universal banking e dove le grandi banche gestiscono partecipazioni in svariati settori di
attività.
A differenza del gruppo la banca universale, nella sua forma pura, può essere definita come un intermediario
finanziario in grado di operare direttamente su tutta la gamma di prodotti/servizi finanziari, e in alcune attività
strumentali alle precedenti, senza vincoli temporali e in presenza di un forte collegamento con le imprese clienti,
consistente nel finanziamento del capitale di rischio delle stesse.
I vantaggi del gruppo bancario rispetto alla banca universale sono molteplici:
Una maggiore snellezza operativa: la presenza di società distinte consente di semplificare i compiti di
direzione e di gestione del processo produttivo e distributivo;
Una più elevata flessibilità nell’impostazione delle politiche di mercato: in particolare per quanto
riguarda l’acquisizione o la cessione di società partecipate;
La possibilità di realizzare accordi equity o non equity, ovvero con o senza scambio di partecipazioni
azionarie, anche per singoli business;
La limitazione entro confini più precisi di eventuali conflitti emergenti, con la conseguente limitazione
dei conflitti d’interesse a danno del consumatore;
Una maggiore efficacia competitiva, dovuta alla capacità di adattamento del gruppo;
La possibilità di sfruttare un’unica immagine pubblicitaria e la medesima rete distributiva;
L’elevata forza contrattuale sul mercato dei capitali e la riduzione dei costi di transazione.
Certamente anche il gruppo bancario presenta degli svantaggi, in particolare per quanto riguarda i costi di
coordinamento, i costi di integrazione, i costi di controllo dei rischi, la minore opportunità di realizzare
economie nei costi di produzione: per questo motivo la struttura dei gruppi bancari deve essere razionalizzata, in
particolare attraverso processi di fusioni infragruppo.
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De Angeli S: “Banca universale o gruppo creditizio?” Bancaria Editrice 2005 pag 30
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E’ pressoché certo che le capogruppo bancarie svolgeranno una gamma sempre più ampia di attività, come del
resto testimoniano i processi di riorganizzazione in atto, acquisendo più spiccati tratti di banca a rete, nella quale
si sviluppano soprattutto relazioni negoziali tra i poli di competenza, anche se diverse tipologie di attività
continueranno ad essere esercitate da soggetti controllati o collegati.
Nel lavoro che presento, vorrei analizzare gli effetti che hanno prodotto le operazioni di fusione infragruppo nel
sistema bancario, realizzate negli ultimi anni, sul grado di concorrenza del settore creditizio e i possibili
cambiamenti in termini di efficienza, redditività, dimensione, grado di rischiosità delle banche interessate dalle
aggregazioni, soffermandomi in particolare ad analizzare un caso di interesse nazionale, ossia la fusione per
incorporazione avvenuta nel 2008, e operata da parte di Monte Dei Paschi Di Siena nei confronti di Banca
Antonveneta.
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Capitolo 1
Il fenomeno delle fusioni bancarie infragruppo
Definizioni
Anche se le forme tecniche attraverso cui la ristrutturazione infragruppo può avvenire sono molteplici, le fusioni
infragruppo per incorporazione e il conferimento dell’azienda o di alcuni suoi rami, sono quelle che hanno un
maggiore impatto in termini economici e giuridici, attraverso l’internalizzazione di numerose attività da parte
della capogruppo o della maggiore banca del gruppo.
La fusione infragruppo può avvenire per via diretta, ossia mediante incorporazione della controllata nella banca
capogruppo, oppure in via indiretta, attraverso la fusione di diversi soggetti che svolgono attività più o meno
analoghe.
Secondo l’Art 2501 del codice civile, la fusione di più società, quindi anche di banche, può eseguirsi mediante la
costituzione di una nuova società, o mediante l’incorporazione in una società di una o più altre.
Quindi vi possono essere due tipologie di fusioni: per incorporazione o per unione; la prima è il tipo di fusione
normalmente utilizzata, data la sua minore onerosità rispetto alla fusione per unione. In particolare i costi legali
(spese notarili e di cancellazione della società assorbita) sono in questa ipotesi ridotti.
Le fusioni infragruppo sono una tipologia di operazioni straordinarie, che avvengono all’interno di un
determinato gruppo bancario, in base al quale una banca (solitamente la holding) decide di incorporare una o più
banche, appartenenti al medesimo gruppo; quest’ultimo è un’impresa commerciale avente la struttura di una
holding di capitali, composta da una banca italiana capogruppo e dalle società bancarie, finanziarie e strumentali
da questa controllate.
La fusione è un’operazione che consente la realizzazione di progetti di sviluppo strategico, e in genere di crescita
della banca nel caso in cui essa sia stata razionalmente concepita e attuata nel rispetto delle condizioni di
equilibrio economico, finanziario e patrimoniale, che non devono mancare anche dopo le premesse di carattere
istituzionale.
Il gruppo viene iscritto in un apposito albo tenuto dalla Banca D’Italia; la capogruppo ha funzioni di vigilanza e
di controllo sulle controllate e il controllo sussiste nei casi previsti dall’Art 2359 del Codice Civile, nella forma
di controllo azionario, influenza dominante, ovvero in caso di vincoli contrattuali o statutari sussistenti tra le
banche del gruppo e la controllante; nella capogruppo sono concentrate in genere tutte le attività di
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