di operazione, considerata la maggiore professionalità ed esperienza che essi presentano rispetto alle
diverse categorie di soggetti coinvolti.
Il secondo capitolo ha invece lo scopo di inquadrare il fenomeno dell’M&A all’interno del
contesto macroeconomico europeo: a tal fine, con l’aiuto di dati provenienti da studi e da papers delle
maggiori istituzioni europee, la tesi descrive caratteristiche e peculiarità delle diverse ondate di fusioni
ed acquisizioni che hanno interessato l’Europa a partire dai primi anni Novanta tentando di fornire un
quadro organico e aggiornato dell’argomento.
Il terzo capitolo si sofferma sulla valutazione delle operazioni di fusione, attività principale su cui
si concentra il lavoro delle corporate and investment banks: dopo la disamina del concetto di “valore” e
di “capitale economico”, la tesi passa in rassegna dal punto di vista teorico le principali metodologie di
valutazione di un’azienda stand alone, con particolare riferimento ai criteri utilizzati nel caso pratico
bancario oggetto di studio. Tali metodi risultano funzionali alla successiva definizione del rapporto di
concambio, che costituisce l’informazione più importante desumibile dalla valutazione.
L’ultimo capitolo, infine, ha l’obiettivo di ripercorrere e studiare le varie tappe della fusione
Intesa - Sanpaolo, grazie alla disamina dei documenti societari e della copiosa emerografia in merito:
esso si apre con una rassegna dei vari player coinvolti nell’operazione e dei vari momenti che hanno
caratterizzato il progetto, e prosegue con l’esame delle problematiche e delle difficoltà incontrate nel
suo sviluppo. Questa parte si concentra soprattutto sulla comprensione delle delicate questioni pratiche
legate alla valutazione di Banca Intesa e Sanpaolo e alla determinazione finale del rapporto di
concambio, compiti portati a termine dalle corporate ed investment banks, che, in veste di advisor,
hanno lavorato affinché le fasi della fusione potessero essere condotte al meglio.
6
LE OPERAZIONI DI FUSIONE
1 LE OPERAZIONI DI FUSIONE
1.1 La letteratura e gli studi teorici sulle fusioni
Le operazioni di fusione ed acquisizione in generale sono state da sempre oggetto di numerosi
studi, per lo più concentrati sul mercato anglosassone e statunitense. Con riferimento al caso italiano, il
fenomeno si è infatti manifestato con un notevole ritardo: solo negli anni ’80 l’ondata di fusioni ed
acquisizioni che ha caratterizzato precedentemente tutte le altre economie capitalistiche occidentali si è
registrata con modalità ed intensità simili anche nel nostro Paese. Con riferimento specifico al settore
bancario, ad esempio, uno studio condotto da Focarelli, Panetta e Salleo approfondisce le motivazioni e
le conseguenze delle operazioni di concentrazione, analizzando le operazioni realizzate in Italia proprio
tra il 1984 e il 1996
1
. In particolare, le determinanti sono state studiate sulla base delle caratteristiche
delle banche prima delle operazioni (analisi ex-ante), e gli effetti sono stati analizzati sulla base dei
cambiamenti prodotti dalle aggregazioni nei bilanci degli intermediari coinvolti (analisi ex-post).
Visto l’elevato numero di studi ed esami condotti sull’argomento, questa parte del lavoro
cercherà innanzitutto di dare voce ai contenuti espressi dalla letteratura meno recente, che ha cercato
nel corso della storia di teorizzare ed investigare le principali motivazioni ed i principali effetti
caratterizzanti le operazioni di fusione ed acquisizione; a conclusione di tale rassegna, si provvederà
inoltre ad evidenziare alcuni contributi più recenti con particolare riferimento al caso bancario.
Rif. FOCARELLI D., PANETTA F., SALLEO C., “Why do banks merge?”, Temi di discussione del Servizio Studi Banca
d’Italia, Dicembre 1999. Con esclusivo riferimento alle fusioni, gli autori concludono la propria analisi evidenziando come
le banche incorporanti presentino generalmente dimensioni elevate, una alta quota di ricavi da servizi e una posizione
creditoria netta sull’interbancario più contenuta rispetto agli altri intermediari. Di converso, le banche incorporate risultano
poco redditizie perché caratterizzate da forti costi per il personale e da una bassa capacità di vendere servizi finanziari. I
risultati dell’analisi sugli effetti, invece, indicano che dopo le fusioni si registra un aumento dei ricavi da servizi; l’effetto
positivo che ne deriva è però vanificato dall’aumento dei costi operativi, in particolare di quelli per il personale. I profitti
rimangono pertanto immutati. Le operazioni si associano nondimeno a un innalzamento della redditività del capitale, dovuto
principalmente a una razionalizzazione nell’utilizzo dei mezzi propri.
7
LE FUSIONI BANCARIE: IL CASO INTESA SANPAOLO
Si tenga infine presente che, nonostante il grande interesse dimostrato per l’argomento,
l’interpretazione del fenomeno delle fusioni resta tutt’altro che univoca, e il dibattito sul tema rimane
sempre molto acceso.
1.1.1 Lo studio delle motivazioni
Da lungo tempo la letteratura economica si interroga su quali possano essere le motivazioni che
spingono le imprese a crescere esternamente, cioè tramite fusioni ed acquisizioni. Dennis Mueller, in
un suo scritto del 1969
2
, arriva addirittura a definire tali operazioni “a sort of enigma in the theory of
the firm”.
La dottrina sembra aver individuato tre principali filoni per analizzare le motivazioni di una
fusione:
Un primo filone mette in evidenza motivazioni di tipo reale: le acquisizioni sarebbero attuate per
ottenere un maggiore profitto; condizione necessaria sarebbe allora l’esistenza di particolari sinergie tra
acquirente ed acquisita che permettano di sfruttare efficienze di costo (economie di scala o di scopo), la
presenza di costi di transazione, o la possibilità di aumentare a seguito della fusione il potere di
mercato. L’effetto sulla redditività, dunque, viene a dipendere da specifiche condizioni di costo e di
domanda, ma nella generalità dei casi esso si mostra positivo sia per l’incorporata che per
l’incorporante.
Una seconda impostazione, portata avanti dallo stesso Mueller, si incentra sulla separazione tra
proprietà e controllo, individuando nella massimizzazione della funzione di utilità dei manager il vero
motivo delle acquisizioni: essendo tale funzione composta di elementi pecuniari e non (quali, ad
esempio, il prestigio e il potere), direttamente legati alla dimensione del gruppo gestito, le acquisizioni
2
Cfr. MUELLER D.C., “A theory of conglomerate mergers”, in Quarterly Journal of Economics, vol. 83, , Novembre 1969.
8
LE OPERAZIONI DI FUSIONE
sarebbero condotte al mero fine della crescita, nel rispetto di una “minima” redditività
3
. D’altro canto,
un ulteriore studio tenderebbe invece a considerare le fusioni e le acquisizioni come un modo, non
necessariamente profittevole, per investire i cosiddetti free cash flow
4
: i manager, dunque, una volta
esauriti i progetti che creano valore, non andrebbero a distribuire dividendi agli azionisti, come
farebbero se fossero perfettamente controllati, ma indirizzerebbero tali risorse verso attività con
rendimenti anche inferiori al costo del capitale (ad esempio, le acquisizioni)
5
. Tale teoria postula
dunque che le imprese acquirenti abbiano una particolare vocazione alla crescita e che le acquisizioni
siano dirette verso imprese che presentano andamenti correlati negativamente con quelli delle
acquirenti. A seguito dell’operazione, poi, le imprese partecipanti non subirebbero cambiamenti
apprezzabili.
Infine, una terza impostazione si rifà invece al concetto, elaborato nel mondo anglosassone di
market for corporate control
6
. Secondo tale impostazione, le imprese acquisite sarebbero quelle gestite
in modo inefficiente, per le quali l’acquirente suppone, mediante la sostituzione del precedente team di
manager, di poterne migliorare la gestione. In base a questa teoria, poi, le imprese acquisite dovrebbero
presentare una minore redditività rispetto alle altre imprese operanti nel medesimo settore, ed esse,
3
Cfr. MUELLER D.C., op. cit.:“[...] managers maximize, or at least pursue as one of their goals, the growth in physical
size of their corporation rather than its profits or stockholder welfare […]”, e, ancora “[…] the prestige and power which
managers derive from their occupations are directly related to the size and growth of the company and not to its
profitability […]”.
4
Cfr. JENSEN M.C., “Agency costs of free cash flow, corporate finance, and takeovers”, in American Economic Review,
vol. 76 n°2, Maggio 1986. L’autore definisce tali valori come “cash flow in excess of that required to fund all projects that
have positive net present values when discounted at the relevant cost of capital”.
5
Cfr. JENSEN M.C., op. cit. Infatti “acquisitions are one way managers spend cash instead of paying it out to
shareholders. Therefore, the theory implies managers of firms with unused borrowing power and large free cash flows are
more likely to undertake low-benefit or even value-destroying mergers”.
6
Cfr. MANNE H.G., “Mergers and the market for corporate control”, in Journal of Political Economy, vol. 73 n°2, Aprile
1965. Introducendo il lavoro, l’autore specifica: “the basic proposition advanced in this paper is that the control of
corporations may constitute a valuable asset; that this asset exists independent of any interest in either economies of scale
or monopoly profits; that an active market for corporate control exists; and that a great many mergers are probably the
result of the successful workings of this special market”.
9
LE FUSIONI BANCARIE: IL CASO INTESA SANPAOLO
poiché gestite al di sotto delle loro potenzialità, dovrebbero registrare un miglioramento delle
performance a seguito del cambiamento di proprietà.
Per quanto riguarda l’Italia, le teorie analizzate in precedenza sembrano poco coerenti con la
situazione del nostro paese. Da un lato, infatti, la separazione tra ownership e control è minima, e per di
più limitata alle grandi aziende pubbliche, di modo che sembra difficile pensare che le motivazioni
manageriali possano essere quelle predominanti per la spiegazione del fenomeno delle fusioni e delle
acquisizioni; dall’altro, il mercato azionario è notoriamente poco efficiente, rendendo così impossibile
l’implementazione della terza delle teorie enunciate. Resterebbero così plausibili solo le motivazioni di
carattere reale, quali la ricerca di una riduzione dei costi o di un aumento del potere di mercato.
1.1.2 Lo studio degli effetti
Per quanto riguarda l’analisi degli effetti delle fusioni e delle acquisizioni, un cospicuo numero di
lavori econometrici riferiti principalmente alla realtà degli Stati Uniti e del Regno Unito hanno rivolto
la loro attenzione su quali fossero le conseguenze di tali operazioni, sia a livello di performance delle
imprese coinvolte (ad esempio prezzi, redditività, costi) che di benessere collettivo degli azionisti e
degli stakeholders interessati. Inoltre, stante un effetto positivo delle fusioni sulla redditività
dell’impresa e sul corso delle sue azioni, tali studi tentano poi di trovare la fonte di tali guadagni, cioè
di comprendere se vi sia stata una creazione di valore (e quindi un guadagno sociale) ovvero un
trasferimento di valore (e quindi un mero guadagno privato).
Tali argomenti sono stati differentemente affrontati dai due filoni che, storicamente, a partire
dalla fine degli anni ‘60, hanno studiato il fenomeno usando differenti tipi di dati e diverse
metodologie.
10