Le funzioni penali del Giudice di pace
2
rinnovamento e di uno sfoltimento che renda più agevole
l’amministrazione della giustizia, in particolare di quella giustizia
“minore” (inerente per lo più ad una conflittualità privata e
ampiamente diffusa) che sempre più spesso viene ad essere
considerata d’intralcio e destinata ad essere smaltita con gli
strumenti della depenalizzazione o della prescrizione, col risultato
di generare malcontenti e contrasti ben più profondi e radicati di
quelli originari che si intendeva sedare. Come opportunamente
osserva Padovani
1
«è noto infatti come le procure, subissate e
sommerse dalle notizie di reato, finiscano con l’adottare criteri di
priorità nella trattazione dei procedimenti, sacrificando le violazioni
più intensamente connotate da un conflitto “privato”, a vantaggio
di quelle socialmente più rilevanti (o reputate tali) o di maggiore
allarme sociale». ( Padovani, 2000, p. 287)
E’ a fronte di una tale situazione e nell’ambito di simili
considerazioni che ha trovato origine, in campo giudiziario e più
specificamente processuale, una riforma che ha portato al
conferimento di competenze penali ad una figura già assodata,
soprattutto nella sua efficienza, in ambito giuridico ma fino ad ora
tenuta fuori dalla sfera del penale: il giudice di pace.
Si tratta del tentativo di affiancare all’apparato giudiziario
principale, rappresentato dalla magistratura professionale e dotato
di meccanismi sempre più sofisticati di esercizio della giustizia, un
nuovo motore più semplice e circoscritto sia per le professionalità
coinvolte che per i procedimenti e gli ambiti di pertinenza; ma si
tratta anche e soprattutto di creare un sistema giudiziario che si
caratterizzi per una maggiore prossimità al cittadino, sia da un
punto di vista territoriale che umano. Pertanto, come evidenzia
Genovese, al fianco di «una magistratura professionale di alto
1
Tullio Padovani è presidente della Commissione ministeriale incaricata della
stesura del decreto legislativo.
Introduzione
3
profilo, addetta alla risoluzione di conflitti di alta responsabilità
politico-sociale, che non può che essere localizzata in poche sedi
accentrate, necessarie per socializzare le esperienze pratico-
applicative, comunitarizzare il sapere, mantenere un continuo
confronto di risultati, assicurare ricambio, alternanza e rotazione
nei ruoli più difficili e delicati», si propone «una magistratura
onoraria pienamente efficiente e rispondente alle richieste di
giustizia minore che deve assicurare una copertura istituzionale
più ampia e diffusa sul territorio, costituendo – con le giudicature
di pace – la prima rete dell’organico giudiziario dove si offre
risposta credibile ad una prima fascia di contenzioso fra i privati
litiganti e si assicura una prima forma di controllo delle richieste
punitive da parte dello Stato». (Genovese, 2001, pp. 173-74) Tutto
ciò, come detto, nell’ottica di una giustizia più vicina al cittadino
anche da un punto di vista umano; il che significa riconoscere che
ci si trova di fronte ad una svolta culturale grazie alla quale
finalmente anche la persona che si trova nel ruolo di vittima del
reato riceve pieno riconoscimento e viene elevata al rango di attore
principale della vicenda giudiziaria, mentre si prospetta la
possibilità di una giustizia più mite per coloro che del reato stesso
si rendono autori, pur senza che ciò si traduca in un
atteggiamento depenalizzante.
Questo orientamento trova massima esplicazione, nell’ambito
della riforma oggetto di questo lavoro, soprattutto attraverso
l’assunzione di istituti tipici della cosiddetta “giustizia riparativa”
(diversion) finora riservata prevalentemente all’ambito penale
minorile e sulla quale si investe nella speranza di poter superare i
limiti e ovviare ai fallimenti di altri due modelli di esercizio della
giustizia: quello punitivo-retributivo e quello riabilitativo o
rieducativo-trattamentale, sinora dominanti sulla scena giuridica.
Infatti, mentre al primo viene negata la capacità di costituirsi come
strumento di deterrenza e prevenzione di conflitti, sia al livello
Le funzioni penali del Giudice di pace
4
generale di società sia in ambiti più specifici, del secondo si
evidenzia il fallimento del mito rieducativo che si pensa possa
essere in parte recuperato nel modello riparativo, il quale viene a
proporsi come sintesi dei due precedenti. Peculiarità del modello
riparativo è infatti quella di considerare il reato come conflitto tra
parti (o consociati), risolvibile attraverso la conciliazione tra le
stesse e la restituzione e/o riparazione, da parte dell’autore del
reato, del danno arrecato alla vittima; tutto ciò nella logica della
responsabilizzazione del reo (e non solo di esso) e della assunzione
della vittima come referente privilegiato dell’intero intervento.
Il conferimento al giudice di pace di funzioni penali in aggiunta a
quelle civili, sebbene con le specificità evidenziate nella riforma,
sottende un recepimento di tutte queste istanze e si propone come
una scommessa per il futuro del sistema giudiziario.
Nelle pagine che seguono verificheremo quali sono i tratti più
significativi della riforma della giurisdizione di pace analizzandola
secondo diverse prospettive. Il primo capitolo affronta l’aspetto più
prettamente giuridico; in esso vengono infatti analizzate la Legge
delega n. 468 del 1999, che ha dato una prima impronta alla
riforma, e il Decreto legge n. 274 del 2000 che ne costituisce la
sostanza, passando in rassegna quelle che sono le principali novità
da questi introdotte: a) la peculiarità dei reati scelti dal legislatore
per la competenza penale del giudice di pace; b) la specificità del
procedimento e la possibilità per il giudice e le altre figure coinvolte
(reo e vittima) di ricorrere a definizioni alternative dello stesso; c) la
singolarità dell’apparato sanzionatorio creato ad hoc per il giudice
di pace; d) la particolare attenzione rivolta alla persona offesa dal
reato e le opportunità che il legislatore ha messo a sua disposizione
per poter far sentire la propria voce.
Nel secondo capitolo la giurisdizione di pace viene collocata in
modo più specifico nell’ambito della giustizia riparativa. In esso
sono infatti delineati i principi e gli strumenti caratteristici di
Introduzione
5
questo nuovo paradigma giudiziario con l’aiuto degli autori che
maggiormente se ne sono occupati e ne hanno sostenuto e
promulgato lo sviluppo e con un particolare riferimento alle
disposizioni internazionali del Consiglio d’Europa e delle Nazioni
Unite su questo tema. Partendo dall’assunzione dell’intento
conciliativo come obiettivo prioritario dell’ufficio del giudice di pace
viene analizzato lo strumento della mediazione, i suoi tratti
caratteristici, le istanze di natura soprattutto sociale che ne hanno
motivato la nascita e la diffusione, gli spazi normativi che ne
consentono l’applicazione all’interno del nostro ordinamento
giudiziario e le difficoltà che proprio in rapporto alla natura di
quest’ultimo tale applicazione incontra, e vedremo anche attraverso
quali fasi e secondo quali modalità viene portato avanti un
intervento di mediazione. Nella parte conclusiva del capitolo tale
istituto viene collocato nello specifico della giurisdizione di pace e
rapportato all’attività conciliativa che il giudice di pace deve portare
avanti, analizzando le differenze tra i due tipi di intervento e le
difficoltà che ne ostacolano una piena attuazione; difficoltà che,
come vedremo, possono essere ricondotte a diversi fattori tra cui
emergono, in modo particolare, la natura stessa della figura
giudicante, i limiti legati alla sua formazione professionale e le
carenze territoriali, tutti aspetti che, come vedremo, sostengono
l’opportunità di un più sistematico ricorso allo strumento della
mediazione.
Nella seconda parte di questo lavoro sono esposti i risultati
dell’indagine empirica condotta presso il territorio distrettuale di
competenza della Procura di Oristano; indagine svolta al fine di
rilevare lo stato di applicazione della riforma sul territorio quale si
configura a 18 mesi dall’entrata in vigore del Decreto legge
274/2000. Attraverso la collaborazione dei giudici operanti in
questo distretto e le dichiarazioni da essi rilasciate nel corso delle
interviste è stato possibile evidenziare quali sono le difficoltà che
Le funzioni penali del Giudice di pace
6
maggiormente ostacolano la piena fruibilità di tutte le risorse e gli
strumenti che il legislatore ha messo a disposizione della
magistratura di pace e quale sia la percezione dei giudici
relativamente all’effettiva perseguibilità (e al reale perseguimento)
degli obiettivi posti alla base della riforma, primo tra tutti la
creazione di un apparato giudiziario che si caratterizzi per la sua
“vicinanza al corpo sociale”. (Relazione, 2000)
Ci riserviamo di compiere delle osservazioni personali sulla
riforma e sulle implicazioni derivanti dalla sua applicazione alla
fine di questo lavoro una volta che anche il lettore avrà preso
visione sia del lavoro teorico che costituisce la prima parte della
trattazione sia della ricerca empirica e dei relativi risultati.
7
Capitolo primo
UNA RIFORMA “RIVOLUZIONARIA”
A partire dal 2 gennaio 2002 il giudice di pace esercita anche
funzioni penali. Si tratta di una novità che, come si evince anche
dal titolo scelto per questo capitolo, si può definire “rivoluzionaria”,
sulla base del fatto che si sta parlando di un magistrato onorario,
quindi non professionale, in carica temporanea (la carica dura 4
anni e può ricevere conferma una sola volta), che dal 1995
sostituisce il giudice conciliatore
1
con una più ampia competenza,
rispetto ad esso, in materia civile.
1
La prima legge dello Stato italiano unitario che introduce e regola la figura del
conciliatore è la legge sull’ordinamento giudiziario italiano. Al giudice
conciliatore erano affidate due funzioni principali: 1. comporre le controversie
quando ne veniva richiesto (funzione conciliativa); 2. giudicare le controversie
(funzione giurisdizionale). Sotto un aspetto, quindi, egli si presentava come
amichevole compositore per esortare i suoi concittadini alla pace e alla concordia
e per prevenire e spegnere le loro liti; sotto un altro aspetto era un vero e proprio
giudice per determinate cause (prima per un valore di 50.000 L., da ultimo per
cause di valore fino ad un milione di vecchie lire) e costituiva la base della
piramide giudiziale. Entro i suddetti limiti di valore il giudice conciliatore aveva
più o meno le stesse attribuzioni del pretore o del tribunale nelle cause maggiori,
anche se la sua peculiarità consisteva nel fatto che si trattava di un giudice
laico, non togato, che non doveva necessariamente essere laureato in
giurisprudenza (solo nei comuni maggiori tale incarico veniva normalmente
affidato ad un avvocato). Da queste sue caratteristiche derivava anche il suo
decidere essenzialmente secondo equità, cioè secondo il senso di giustizia nel
caso singolo, mentre i giudici professionali dovevano e tuttora devono attenersi
alla lettera della legge; inoltre un altro tratto che lo distingueva e lo
contrapponeva agli altri magistrati effettivi ed onorari era la sua municipalità,
infatti un ufficio di giudice conciliatore funzionava in ogni singolo comune. E’
stato probabilmente questo suo ancoraggio locale che ha determinato l’ingresso
del giudice conciliatore nel diritto dell’autonomia e lo ha posto in una posizione
di primo piano nella gestione della giustizia cosiddetta minore (anche se
soprattutto nella funzione giurisdizionale mentre quella di amichevole
compositore è stata sempre nettamente secondaria); ciò fino al dibattito politico
e culturale degli anni Settanta che ha accompagnato le diverse proposte di dare
vita ad un nuovo magistrato onorario: il giudice di pace, che ha soppiantato in
tutto e per tutto il giudice conciliatore.
Le funzioni penali del Giudice di pace
8
Il provvedimento con il quale tale figura è stata istituita è la
Legge 21 novembre 1991, n. 374 (recante Istituzione del giudice di
pace) alla quale si è pervenuti dopo un lungo e vivace dibattito,
sviluppatosi a partire dagli anni Settanta, circa l’opportunità di
istituire una nuova figura di magistrato onorario che prendesse il
posto di quella del conciliatore. Questa legge, però, dopo aver
disciplinato le modalità di nomina, lo status, le competenze e le
connesse norme procedimentali del giudice non professionale,
presenta al suo interno una distinzione significativa; infatti, mentre
per la materia civile, intervenendo direttamente sul tessuto del
codice di rito, detta delle previsioni destinate a divenire efficaci,
anche se al termine di una lunga vacatio legis, per quella penale
essa si limita a delegare al governo il potere di emanare norme
concernenti la competenza del giudice di pace e il relativo
procedimento. (Vicoli, 2001) E’ stata proprio quest’ultima scelta a
segnare il fallimento del progetto poiché il governo, dopo una serie
di proroghe del termine di scadenza della delega, ha finito col
decadere dal potere di esercitarla, con l’effetto di un rinvio, che
sappiamo si protrarrà fino ai giorni nostri, della devoluzione di una
competenza penale al giudice di pace. In conseguenza di ciò e dopo
alcuni rinvii
2
, l’ufficio del giudice di pace è divenuto operativo il 1°
maggio 1995 con funzioni amputate, in quanto circoscritte solo al
campo civile, rispetto al progetto originale e non senza manifeste
perplessità e diffidenze verso la capacità operativa di questa figura
“non professionale”.
Oggi il percorso intrapreso nel 1991 ha finalmente trovato un
punto di approdo in due istituti fondamentali: prima nel 1999 con
un provvedimento di modifica della legge istitutiva del giudice di
pace, la Legge 24 novembre 1999, n. 468 (Modifiche alla Legge 21
2
Il termine di entrata in vigore delle norme sulla competenza civile del giudice di
pace, inizialmente fissato per il 2 gennaio 1993, è stato differito prima al 3
gennaio 1993 (Legge n. 477/1992) e poi al 1° maggio 1995 (Legge n. 473/1994).
Una riforma “rivoluzionaria”
9
novembre 1991, n. 374, recante istituzione del giudice di pace.
Delega al governo in materia di competenza penale del giudice di
pace e modifica dell’articolo 593 del codice di procedura penale)
tramite la quale nuovamente, ma come si vedrà con esiti più
proficui, si delega al governo in materia di competenza penale del
giudice di pace e, più tardi, con il Decreto legislativo 28 agosto
2000, n. 274 recante Disposizioni sulla competenza penale del
giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della Legge 24 novembre
1999, n. 468. Con questi due provvedimenti prende vita un modello
di giustizia innovativo, diverso e ancillare rispetto a quello
tradizionale e che potrebbe costituire un laboratorio di
sperimentazione di nuovi moduli processuali e sanzionatori da
estendere in futuro anche alla giurisdizione ordinaria, sempre che
la sperimentazione sul campo della prassi dia esiti positivi.
Ma quale è il principale esito che il legislatore e chi con lui ha
lavorato dietro le quinte della riforma si attendono dall’entrata in
vigore della stessa? Per rispondere a questo quesito bisogna
tornare indietro al motivo principale che ha portato all’istituzione
stessa della figura del giudice di pace e che ora si ripropone anche
nella delega ad esso di funzioni in materia penale e, cioè, la
convinzione che l’istituzione di questa figura giuridica sia un
intervento funzionale a ridurre il carico lavorativo della
magistratura togata e quindi ad un migliore funzionamento della
macchina giudiziaria in generale. Per poter disporre di uno
strumento in grado di far fronte, in modo efficace ed efficiente, ad
un simile obiettivo il legislatore ha disposto la nomina di 4700
giudici di pace, attualmente distribuiti in 848 diverse sedi di uffici
giudiziari, ciascuno dei quali è costituito da uno o più magistrati
onorari e copre un territorio includente uno o più comuni oppure
una o più circoscrizioni dello stesso comune.
Le funzioni penali del Giudice di pace
10
1. Introduzione alle leggi
Si è detto che la riforma trova fondamento, a seguito di un lungo
e tormentato iter parlamentare, in due istituti basilari, la Legge
delega n. 468 del 1999 e il Decreto legislativo n. 274 del 2000.
All’interno del primo provvedimento, attraverso il quale, lo
ribadiamo, viene attuata la modifica della legge istitutiva del
giudice di pace e viene data delega al governo in materia di
competenza penale dello stesso, gli articoli di maggiore spessore
per la riforma e che maggiormente sono stati analizzati e dibattuti
dai cultori della materia sono quelli contenuti nel Capo II, in
particolare, l’art. 14 che prevede la “delega al governo in materia
penale”, da esercitarsi entro otto mesi dalla data di entrata in
vigore della legge; l’art. 15 che individua le materie di competenza,
definite secondo criteri quantitativi e qualitativi; l’art. 16 che
ridisegna l’apparato sanzionatorio delle fattispecie delittuose
conferite al giudice di pace in ambito penale ; l’art. 17 che regola gli
aspetti procedurali e infine l’art. 18 che contiene la modifica all’art.
593 del Codice di procedura penale
3
. E’ attraverso la Legge delega
che il procedimento penale davanti al giudice di pace riceve una
prima configurazione nell’ottica, innanzitutto, della sua massima
semplificazione e con una particolare rilevanza per gli esiti
conciliativi e risarcitori-riparativi a cui esso dovrà mirare
soprattutto nell’ambito dei reati perseguibili a querela, per i quali si
richiede l’estensione, e che costituiranno la principale materia di
intervento per il giudice di pace e il campo privilegiato di
3
“All’articolo 593 del Codice di procedura penale, il comma 3 è sostituito dal
seguente: “3. Sono inappellabili le sentenze di condanna relative a reati per i
quali è stata applicata la sola pena pecuniaria e le sentenze di proscioglimento o
di non luogo a procedere relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con
pena alternativa”.
Una riforma “rivoluzionaria”
11
applicazione di istituti sinora inediti nell’ambito penale adulto (art.
17).
E’ però il Decreto legislativo n. 274/2000 il vero protagonista
della riforma in quanto è al suo interno che si trovano, delineati nel
dettaglio, sia i confini del microcosmo giudiziario al cui interno il
giudice di pace dovrà lavorare, sia le linee guida che ne
orienteranno l’operato. Si fa presente che entrambi i provvedimenti
hanno subito una modifica relativamente alla data di entrata in
vigore del Decreto, infatti, sia all’articolo 21 della Legge delega che
all’articolo 65 del Decreto legislativo si prevedeva l’entrata in vigore
dello stesso 180 giorni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale (ossia per il 4 aprile del 2001), tale data è stata invece
procrastinata prima di otto mesi (al 1° ottobre 2001)
4
e
definitivamente al 2 gennaio 2002
5
.
In sostanza, come afferma Papa, il sistema penale del giudice di
pace viene a delinearsi, sia pure in forma embrionale, con i tratti di
un futuribile “secondo sistema penale” che presenta «un
architettura portante di inedita robustezza: una assoluta
peculiarità dell’organo giudicante (la cui competenza coincide per
definizione con il sistema stesso); un catalogo di reati eterogeneo,
ma sufficientemente caratterizzato per note “di genere”; una inedita
disciplina della consecutio tra reato e pena nel cui quadro giocano
un ruolo decisivo istituti di tipo risarcitorio e riparatorio;
l’attribuzione di un accentuato rilievo alla vittima; la decisa
autonomia, ed anzi talora l’esclusività, del sistema sanzionatorio
con, addirittura, la scomparsa della pena detentiva; l’impossibilità
di sospendere condizionalmente la pena; l’inapplicabilità dei riti
4
Decreto legge 2 aprile 2001 n. 91 “Proroga dell’entrata in vigore delle
disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace”
5
Legge 3 maggio 2001 n. 163 “Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto legge 2 aprile 2001 n. 91 recante “Proroga dell’entrata in vigore delle
disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace”
Le funzioni penali del Giudice di pace
12
processuali alternativi, cioè degli istituti che più incidono sul
diritto penale sostanziale». (Papa, 2001, p. 97)
Si può semplificare il discorso riassumendo in quattro punti le
novità cardine della riforma:
1) La determinazione del catalogo dei reati in funzione della
rimovibilità delle conseguenze;
2) L’introduzione nel processo di elementi di comprensibilità, di
semplificazione e di economia delle risorse;
3) Lo spazio concesso alla voce della persona offesa dal reato;
4) Il mutamento della tipologia della pena. (Petrelli, 2000)
Tutti questi aspetti, considerati singolarmente e nel loro insieme
organico, fanno si che quella della competenza del giudice di pace
si prospetti come una riforma ad un tempo sostanziale e
processuale, connotata per lo sforzo di ripensare congiuntamente,
in rapporto a determinate categorie di reati, esigenze processuali,
modalità di definizione alternative alla condanna, apparato
sanzionatorio. La giurisdizione di pace viene così contrassegnata
come un ordinamento sezionale del sistema penale che si
contraddistingue per specifiche tipologie di reato, per forme
consentanee di esercizio della giurisdizione, per tecniche di
risoluzione del conflitto, per esiti sanzionatori. (Padovani, 2001)
Una riforma “rivoluzionaria”
13
2. Le novità introdotte dalla riforma
2.1 La determinazione del catalogo dei reati in funzione
della rimovibilità delle conseguenze.
La scelta dei reati da attribuire alla competenza del giudice di
pace costituisce un momento assolutamente cruciale della riforma,
infatti è proprio dalla tipologia dei reati attorno a cui orbita che il
sistema penale di pace dovrebbe trarre la sua fisionomia ed il suo
orientamento funzionale. (Papa, 2001) Di fatto non sono state
poche le difficoltà che il legislatore ha dovuto affrontare
nell’individuare le fattispecie di reato da affidare alla magistratura
onoraria, dovendo tenere conto della mancata esperienza della
stessa nel trattamento di reati disciplinati dal codice penale e
volendo comunque alleggerire la magistratura ordinaria di un
carico giuridico non irrilevante.
Nella premessa alla Relazione introduttiva allo schema del
Decreto legislativo si legge “Il giudice di pace si vedrà investito della
conoscenza di un numero non trascurabile di reati, molti dei quali
segnati da una considerevole ricorrenza statistica; con ciò
alleggerirà il carico dei tribunali di compiti spesso relegati ai
margini dell’attività giurisdizionale, a causa dell’eccessiva mole di
lavoro. Nell’assumere la cognizione di tali reati, vedrà peraltro
accrescere la sua vicinanza al corpo sociale”. (Relazione, 2000, p.
324) Trova conferma in questa citazione quanto è stato detto in
sede introduttiva e cioè che nella competenza penale del giudice di
pace rientra quella che, generalmente, viene designata come
“giustizia minore”. Si tratta di quell’insieme di infrazioni al codice
penale, per lo più legate alla sfera della conflittualità privata e per
questo maggiormente diffuse in ambito sociale, che vengono però
“rifiutate” in sede di giustizia ordinaria perché considerate
Le funzioni penali del Giudice di pace
14
secondarie e ostruenti rispetto al trattamento di reati di maggiore
rilevanza sociale. Trova conferma anche l’idea che quello del
giudice di pace si configura come un modello di giustizia più
prossimo al cittadino sia da un punto di vista territoriale, ovvero
nei termini di una maggiore reperibilità sul territorio di uffici e
figure deputate all’amministrazione della giustizia, sia umano, date
le fattispecie di reato prese in considerazione e la diversa
impostazione data al rapporto tra giustizia stessa e cittadino.
Insomma, emerge un quadro della magistratura onoraria come più
sensibile a problematiche conflittuali di importanza “minore” nel
contesto della criminalità “generale”, ma spesso di rilievo
consistente nell’ambito di una comunità sociale ristretta.
(Padovani, 2001)
Ma, innanzitutto, quali sono le fattispecie di reato consegnate
alla giurisdizione di pace? Senza entrare nel dettaglio, per il quale
si rimanda al Decreto legislativo (art. 4; cfr. tavola a fine paragrafo)
e alla Legge delega (art. 15), si può semplificare dicendo che nella
giurisdizione di pace rientrano: “piccoli delitti” previsti dal codice
penale in materia di incolumità e libertà personale, quali le
percosse, le lesioni, l’omissione di soccorso; di tutela dell’onore,
quali l’ingiuria e la diffamazione; e del patrimonio, come il
danneggiamento e l’ingresso abusivo sul fondo altrui; accanto ad
alcune contravvenzioni (tra cui, a titolo d’esempio: la
somministrazione di bevande alcooliche a minori o a infermi di
mente; gli atti contrari alla pubblica decenza; l’inosservanza
dell’obbligo dell’istruzione elementare dei minori), pure previste dal
codice penale, che, in filigrana, lasciano trasparire la presenza di
un interesse o, comunque, di una posizione personale significativa
per l’integrazione dell’offesa. (Padovani, 2001) A queste fattispecie
si aggiungono altri reati previsti da leggi speciali per i quali sono
esplicitati dei criteri di individuazione, tra i quali, di particolare
rilevanza, è quello indicato alla lettera b) comma 3 art. 15 della
Una riforma “rivoluzionaria”
15
Legge delega in cui si prevede il trattamento di reati “per i quali
non sussistono particolari difficoltà interpretative o non ricorre, di
regola, la necessità di procedere ad indagini o a valutazioni
complesse in fatto o in diritto e per i quali è possibile l’eliminazione
delle conseguenze dannose del reato anche attraverso le
restituzioni o il risarcimento del danno”; altri due criteri sono quelli
indicati alle lettere a) e c) del suddetto comma e riguardano,
rispettivamente, la scelta dei reati sulla base dell’entità della pena
per essi prevista dal codice penale
6
e l’esclusione dei reati
rientranti nell’ambito delle violazioni finanziarie
7
.
Bronzo e Gallucci affermano che due sembrano le principali
direttrici seguite nella selezione di queste competenze: «in primo
luogo, si avverte l’attenzione ad evitare - dati il carattere non
professionale del giudicante e la semplificazione dei moduli
procedimentali - fattispecie per le quali l’accertamento giudiziale si
presenti particolarmente “impegnativo”; […] In secondo luogo, a
caratterizzare la competenza del giudice di pace è la circostanza
che, tendenzialmente, le fattispecie devolute esprimono situazioni
riconducibili all’area della “microconflittualità interindividuale”:
esemplari, da questo punto di vista, i delitti minori contro la
persona (percosse e lesioni lievissime) o l’onore (ingiurie e
diffamazioni non aggravate)». (Bronzo, Gallucci, 2000, pp. 39-40)
Si può osservare che rispetto alla quantità di infrazioni “minori”
perseguibili penalmente quello dei reati devoluti alla competenza
penale dei giudici di pace è un elenco abbastanza contenuto; per
spiegare le ragioni di questo fatto facciamo ancora riferimento a
Bronzo e Gallucci i quali fanno notare che, principalmente, il
nuovo circuito penale è destinato ad un periodo di
6
a) “reati puniti con una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro
mesi, ovvero con una pena pecuniaria sola o congiunta alla predetta pena, ad
eccezione di quelli che nelle ipotesi aggravate sono puniti con una pena detentiva
superiore a quella suindicata;”
7
b) “reati che non rientrano in taluna delle materie indicate nell’articolo 34 della
Legge 24 novembre 1981, n. 689, ovvero nell’ambito delle violazioni finanziarie.”
Le funzioni penali del Giudice di pace
16
“sperimentazione” (certamente delicato per i tanti aspetti inediti)
all’esito del quale il catalogo dei reati affidati al giudice di pace
potrebbe anche essere arricchito, ma ciò soltanto se le nuove
sanzioni e i modelli della mediazione-compensazione nei settori
bagatellari mostreranno di funzionare. Inoltre, secondo questi
autori, sull’ampiezza del catalogo ha inciso la progressiva
depenalizzazione che ha riguardato alcune figure d’illecito da
sempre ritenute adatte alla competenza del giudice di pace
8
così
come molte fattispecie che si sarebbero potute ben adattare al
nuovo circuito giudiziario
9
. Sullo sfondo delle scelte del legislatore,
secondo i succitati autori, vi sarebbe «un atteggiamento di
strategica prudenza: date le remore da tempo manifestate rispetto
all’investitura penale del giudice onorario, l’attribuzione di
competenze esigue tranquillizza i più diffidenti». (Bronzo, Gallucci,
2000, pp. 42)
Dall’insieme delle indicazioni contenute nei due provvedimenti e
dalle considerazioni sinora riportate emerge in tutta la sua portata
la logica deflattiva, razionalizzatrice e semplificatoria che ha
guidato la riforma della competenza del giudice di pace al quale, si
può affermare, è stato affidato quello che Padovani definisce «diritto
penale “da cortile” o “da ballatoio”», utilizzando tali espressioni non
in senso spregiativo ma piuttosto eufemistico «per designare quella
microconflittualità sociale insidiosa e petulante che, se non esige
cure drastiche, […] richiede però un’attenzione pronta e sollecita».
(Padovani, 2001, p. XII) Occorre infatti mettere in evidenza che i
8
«Si pensi alle violazioni riguardanti la disciplina “amministrativa” in materia di
lavoro, depenalizzate dal D.lgs 19 dicembre 1994, n. 758, all’emissione di
assegni senza provvista e, in ambito contravvenzionale, agli spettacoli senza
licenza e alla mendicità invasiva, trasformati in illeciti amministrativi dal D.lgs
31 dicembre 1999, n. 507». (Bronzo, Galucci, 2000, p. 42)
9
«la progressiva “autoriduzione” del diritto penale a beneficio della illiceità
amministrativa ed il lungo cammino verso un sistema di giustizia “minore” sono
accomunati dall’essere stati guidati, sino ad ora, dalle necessità della deflazione
dei carichi giudiziari più che da ripensamenti dei sistemi penale e processuale in
relazione ai mutati bisogni sociali». (Bronzo, Galucci, 2000, p. 42)