7
società, come ha dimostrato Bourdieu quando ha descritto i sistemi alimentari
delle classi popolari e di quelle borghesi.
L’atto stesso del cucinare ci fa riflettere su alcuni elementi. Come ha detto
Fishler, la cottura rappresenta simbolicamente una sottomissione della natura
alla cultura, in quanto una volta preparato il cibo perde la sua naturalità e
assume significati e sapori diversi a seconda della cultura. Come scrive Fishler
“Ogni cultura possiede una cucina specifica che implica delle classificazioni,
delle tassonomie particolari e un complesso di regole fondato non solo sulla
preparazione e sulla combinazione degli alimenti ma anche sulla loro raccolta e
sul loro consumo. Possiede anche dei significati, che sono strettamente
dipendenti dal modo in cui le regole culinarie vengono applicate. Per riprendere
l’analogia con il linguaggio, si può dire che, come gli errori di grammatica
possono danneggiare o annullare il significato, gli errori di «grammatica
culinaria» possono determinare delle improprietà inquietanti per chi mangia.”
2
L’alimentazione fa parte di quelle pratiche del sé che ci aiutano a tracciare delle
barriere simboliche fra noi e l’Altro ed in questo modo ci aiutano a capire
meglio i significati del sé. Così, come ci hanno mostrato le diverse civiltà di cui
ci siamo occupati, da quella greca a quella italiana o francese o cinese, la
condivisione dello stesso cibo introduce le persone nella stessa comunità e le
rende membri di un’unica cultura. Il cibo così come crea delle appartenenze, allo
2
Fishler C., 1992, L’onnivoro, Arnoldo Mondadori, Milano, (ed. Originale 1990), pag. 23
8
stesso modo sottolinea le differenze e serve a separare “noi” dagli “altri”.
“Attualmente l’alimentazione è uno dei display più importanti per delimitare
barriere ideologiche, etniche, politiche, sociali, o al contrario uno dei mezzi più
utilizzati per conoscere le culture “altre”, per mescolare le civiltà, per tentare la
via dell’interculturalismo; il cibo è anche un meccanismo rivelatore dell’identità
etnica, culturale, sociale. [Scholliers, 2001]”
Quindi con questa tesi ho cercato di delimitare i confini simbolici rappresentati
dal cibo inteso come artefatto culturale anziché frutto della natura. Mi sono
servita di alcune categorie come popolo, nazione, etnia, casta e classe per
perimetrare i confini di appartenenze consolidate attraverso le abitudini
culinarie. Sono partita dalla costruzione gastronomica dell’identità nazionale
attraverso alcuni momenti chiave della storia italiana, come le Corti
Cinquecentesche e l’Unità d’Italia, per poi passare successivamente all’analisi
dei tabù alimentari come artifici simbolici per legittimare appartenenze
comunitarie. Ma anche segnare insormontabili frontiere fra caste e classi
facendo leva su idiosincrasie del gusto e dei regimi alimentari oltreché del
costume, soffermandomi sulla grammatica culinaria come sistema culturale.
9
A conclusione ho analizzato la funzione che ha il cibo nella costruzione di una
sfera pubblica intesa come luogo di partecipazione e di definizione degli attori
sociali.
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CAPITOLO 1
LE CATEGORIE DI CLASSIFICAZIONE
1.Il concetto di popolo.
A partire dal 1700 si affermano tre idee distinte di popolo: il popolo- nazione, il
popolo- Volk e il popolo- ethnos.
1.1 Il popolo- nazione.
L’idea di popolo- nazione ha due diverse accezioni. La prima trae origine
dall’Illuminismo ed ha come ispiratore Rousseau, il quale parla di una “teoria
elettiva della nazione”, in base alla quale la volontà d’azione della collettività
diventa un elemento fondamentale nell’affermazione del significato politico
della nazione. La seconda ha come ispiratore Herder, il quale parla di “diversità
originaria naturale” delle nazioni, partendo da assunti che hanno come
riferimento la lingua e lo “spirito di popolo” o Volksgeist, il quale alimentandosi
attraverso la religione, i costumi, conduceva ad una idea di nazione come
comunità naturale.
11
Per dirlo con altre parole, mentre Rousseau pone a fondamento della nazione lo
ius soli, per Herder è invece costituito dallo ius sanguinis.
3
Molto spesso all’origine di una nazione vi sono quelle “comunità immaginate”
di cui ha parlato Ruth Anderson. (cit.)
Per passare dalla situazione di “comunità immaginate” a quella di nazione è
stato fondamentale per le ideologie nazionaliste del XIX secolo dare volto e
riconoscimento all’anima popolare e alle sue tradizioni, riscoprendole e, se
necessario, inventandole. Solo così è stato possibile fare del popolo un eroe
nazionale, che funzionasse da riscatto e da fondamento stesso del carattere
originario di ogni nazione, rappresentandolo come il depositario e il garante di
costumi e valori che ne esprimono lo spirito: quel patrimonio di miti, leggende
proverbi, superstizioni, modi di vita e costumi a cui ogni comunità affida la
propria permanenza nel tempo. Dove a fare da cemento può essere la
condivisione di una lingua, di una appartenenza etnica, di un territorio
(Pasquinelli, 2002).
Ernest Gellner problematizza queste appartenenze attraverso due diverse
definizioni tipologiche.
La prima tesi, da lui definita “culturale”, vede nella nazione un qualcosa in cui
due uomini condividono una stessa cultura, il che significa avere uno stesso
sistema di idee, di segni, di associazioni e di modi di comportamento e di
3
Marta C, Popolo, gruppo etnico, minoranza, ed. Edup, pag. 30
12
comunicazione. In base a quanto detto, l’elemento determinante nel processo di
formazione di una nazione è la condivisione di una cultura comune.
Nella seconda, che viene chiamata “volontaristica”, non sono le nazioni a creare
delle appartenenze, bensì “ “E’ l’uomo che fa le nazioni”; le nazioni sono i
manufatti delle convinzioni, delle lealtà, delle solidarietà degli uomini. Una
semplice categoria di persone (gli occupanti, diciamo, di uno stesso territorio,
coloro che parlano la stessa lingua, ecc.) diventa una nazione se e quando i
membri della categoria riconoscono compatti alcuni reciproci diritti e doveri in
virtù della comune appartenenza ad essa. E’ il loro vicendevole riconoscimento
come consociati di questo tipo ciò che li trasforma in una nazione, e non altri
attributi comuni, quali che siano, che distinguono questa categoria da coloro che
non ne sono membri.”
4
Si può quindi concludere che queste due tesi hanno il merito di mettere in luce
un elemento realmente determinante nella comprensione del nazionalismo: nel
primo caso la cultura come sistema di idee, di segni, di associazioni, di modi di
comunicazione; nel secondo l’uomo, che attraverso il territorio, la lingua,
costituisce una nazione in quanto si riconosce parte della stessa.
4
Gellner E., 1997, Nazioni e nazionalismi, (ed. Originale1987 ) pag. 10
13
1.2 Il popolo- Volk.
L’idea di popolo- Volk è nata dal Romanticismo e dal suo interesse per gli studi
sul folklore, in quanto espressione dell’anima popolare. Vi sono due
interpretazioni: da una parte c’è quella tedesca che fa riferimento al concetto di
Volk, ovvero una comunità organica di individui legati fra loro da vincoli di
sangue, lingua, costumi, territorio, e a quello di Volkskunde, ovvero la
conoscenza del popolo inteso nella sua organicità. Dall’altra parte c’è
l’interpretazione inglese suggerita dall’archeologo William John Thoms, il quale
nel 1846 introduce il concetto di folklore e allo stesso tempo interpreta il popolo
come vulgus, inteso come classi popolari subalterne che non rappresentano tutta
la nazione, ma solo una parte di essa, ovvero come strato sociale di una
comunità più estesa. Thoms privilegia lo studio dei contadini, in quanto crede
che in essi sia possibile ritrovare una cultura popolare che va a contrapporsi a
quella del mondo colto.
Il folklore è un termine ambiguo con cui si intende sia “le conoscenze del
volgo”, i suoi costumi e le sue tradizioni, sia la disciplina che studia appunto le
tradizioni popolari. Ma i primi esploratori dell’anima popolare sono stati i poeti
in Germania, Svizzera e Francia. In particolare il movimento preromantico dello
“Sturm und Drang” che poi si è sviluppato negli ambienti culturali segnati dalla
ricerca dell’anima popolare, dal sentimento primigenio della nazione e da tutte
quelle caratteristiche peculiari e insostituibili del proprio paese che ne
14
contribuiscono a creare il sentimento nazionale e che affondano le loro radici in
risonanze ataviche. Si deve ad essi la riscoperta della poesia popolare, delle
leggende e i miti, nella varietà delle forme mitopoietiche. Ma anche la natura
che costituisce la nicchia ecologica di un popolo, la natura antropizzata, cioè
plasmata dall’intervento umano, che vi proietta i propri modelli e il proprio stile,
viene investita di un valore positivo. In particolare il paesaggio viene
culturalizzato, cioè assorbito dal paesaggio umano ed eletto a rappresentante
dell’anima popolare. (Pasquinelli 2002)
1.3 Il popolo- Ethnos.
Secondo Erikson l’etnicità riguarda quegli aspetti delle relazioni fra gruppi
diversi che sono considerati come culturalmente distinti, sia dagli altri che dai
soggetti stessi.
Resta da capire come tali differenze culturali vengono costruite e come
riprodotte nel corso del tempo.
Una prima definizione di gruppo etnico ci viene data da Max Weber, che nel
1922 nel suo libro “Economia e società” ha affermato: “I gruppi etnici sono quei
gruppi umani caratterizzati dalla credenza soggettiva in una discendenza
comune, determinata dalle affinità di tratti somatici o delle usanze, o di
emtrambe:”
5
In questo senso la definizione di Weber lascia intendere che il
5
Marta C., Popolo, gruppo etnico, minoranza, ed. Edup, pag. 32
15
gruppo etnico si autodefinisce, si perpetua grazie all’isolamento e viene
individuato come “tipo ideale”, ovvero come un criterio per descrivere
univocamente la realtà.
Sicuramente da Weber in poi ciò che caratterizzerà tutte le definizioni di gruppo
etnico è il fatto che esso sia inteso come gruppo umano equivalente per
estensione alla nazione e non solo un segmento o una parte di questa. Per i greci
l’ethnos rappresentava la categoria politica contrapposta alla polis, per cui ad
essa appartenevano i popoli barbari, non- greci. L’ethnos era da questi
considerata una forma di società a cui mancavano l’organizzazione e i valori
fondanti che contraddistinguevano la polis. Sulla base di quanto affermato
l’ethnos risulta essere una nazione per difetto, una sottospecie di nazione.
Secondo Allardt con Weber l’etnia assume la stessa dignità della nazione, per
cui “i vincoli etnici sarebbero stati soppiantati da vincoli di portata più
universale, vincoli di natura organica, come direbbe Durkheim, contrapposti ai
vincoli di natura meccanica (Allardt 1979:323- 347).”
6
Appadurai sostiene che i moderni movimenti etnici, che chiama “culturalismi”,
si collegano alla crisi dello stato- nazione e specifica: “Primo, tutti i moderni
stati nazionali hanno condiviso l’idea che le entità sociali, per potersi
considerare legittime, devono essere conseguenza di affinità naturali di qualche
tipo [...] Secondo, i progetti specifici del moderno stato nazionale,
6
Marta C., Popolo, gruppo etnico minoranza, ed. Edup, pag 33
16
dall’igienizzazione ai censimenti, dalla pianificazione familiare alla prevenzione
delle malattie, dal controllo dell’immigrazione alle politiche linguistiche, hanno
legato pratiche del corpo concrete (lingua, pulizia, movimento, salute) a identità
collettive di larga scala, espandendo così il raggio potenziale delle esperienze
incarnate dell’affinità di gruppo. Infine, sia nei contesti statali democratici che in
quelli non democratici, il linguaggio dei diritti e in generale dell’espressione
delle proprie esigenze si è legato in maniera inestricabile a queste identità di
larga scala.”
7
A differenza di Max Weber , per il quale il gruppo etnico è una forma di
autoattribuzione , per Barth, che ne ha dato un’analisi innovativa, il gruppo
etnico è una forma di eteroattribuzione . “Sebbene l’ingenuo assunto che ogni
tribù e ogni popolazione abbiano mantenuto la loro cultura attraverso una
bellicosa ignoranza dei loro vicini non sia più accettato, persiste la semplicistica
opinione che l’isolamento geografico e quello sociale siano stati fattori cruciali
che hanno sostenuto la diversità culturale. La ricerca empirica del carattere dei
confini etnici porta a due scoperte che sono del tutto inaspettate, ma che
dimostrano l’inadeguatezza di questo punto di vista. In primo luogo è chiaro che
i confini persistono nonostante il flusso di persone che li attraversa. In altre
parole, le distinzioni delle categorie etniche non dipendono da un’assenza di
7
Appadurai A., 2000, Sopravvivere al primordialismo, in Appadurai A., Modernità in polvere, Meltemi, Roma,
pag. 203- 204
17
mobilità, contatto e informazione, ma implicano processi sociali di esclusione e
incorporazione mediante i quali sono mantenute categorie distinte nonostante
che nel corso delle storie di vita individuali si verifichino cambiamenti nella
partecipazione e nella condizione dei membri. In secondo luogo si riscontra che
sono mantenuti rapporti sociali stabili, persistenti e spesso d’importanza vitale, i
quali attraversano tali confini e sono di frequente basati precisamente sugli
status etnici dicotomizzati. In altre parole, le distinzioni etniche non dipendono
da un’assenza di interazione e consenso sociale, ma al contrario sono spesso
proprio i fondamenti stessi su cui tale sistema sociale non porta alla sua
liquidazione attraverso il cambiamento e l’acculturazione; le differenze culturali
possono persistere nono stante il contatto interetnico e l’interdipendenza.”
8
In altre parole, le distinzioni etniche non dipendono da un’assenza di
interazione tra gruppi diversi, ma al contrario sono spesso proprio i fondamenti
stessi su cui essi sono costruiti tanto più che le differenze culturali possono
persistere nonostante il contatto e l’interdipendenza.
Barth riprende in maniera critica la definizione di gruppo etnico che emerge
dalla letteratura antropologica. Per gruppo etnico si intende “designare una
popolazione che a) si perpetua biologicamente con successo; b) condivide i
valori culturali fondamentali, realizzati in aperta unità nelle forme culturali; c)
8
Barth F., I gruppi etnici e i loro confini, pag. 33- 34 in Maher (a cura di), 1994, Questioni di etnicità, Rosenberg
Effellier, Torino
18
produce un campo di comunicazione e di interazione; d) ha un insieme di
membri che identifica se stesso ed è identificato dagli altri, in quanto costituisce
una categoria distinguibile dalle altre categorie dello stesso ordine.”
9
In questo
modo, sostiene Barth, si arriva ad asserire che razza = cultura = lingua e che una
società = una unità che rifiuta o discrimina nei confronti degli altri.
Barth contrappone la sua tesi a quella di Weber, in quanto sostiene che
definire il gruppo etnico come “tipo ideale” distorce soltanto la realtà e, inoltre,
induce a credere che il mantenimento dei confini non sia un problema, mentre al
contrario l’isolamento comporta l’affermazione di differenze razziali,
linguistiche, culturali, quindi separazioni e contrasti, che condurrebbero ad
inimicizia spontanea e organizzata.
La credenza per cui ogni gruppo sviluppa la propria cultura e la propria storia
in relativo isolamento, porta a credere che è la storia stessa ad aver creato un
mondo discontinuo in cui ogni popolo è separato dall’altro e da solo produce
una propria cultura e una propria organizzazione.
Secondo Fabietti, Barth ha anticipato la teoria della “etnicità relazionale”.
L’importanza della impostazione di Barth consiste nella sua critica ad una
visione essenzialista della cultura che postula la formazione delle comunità in un
contesto di isolamento culturale. In particolare Barth critica la nozione di gruppo
9
Barth. I gruppi etnici e i loro confini, pag. 35 in Maher (a cura di), 1994, Questioni di etnicità, Rosenberg
Effellier, Torino
19
etnico inteso come una comunità che si autoperpetua sul piano biologico e che
condivide un sistema di valori, di norme e di modelli di comportamento che
costituiscono il fondamento della sua essenza culturale. In questo senso il
gruppo etnico appare come una struttura omogenea, “un insieme complesso”,
costituito da individui che grazie ad essa possono essere identificati come un
gruppo distinto.
Barth elabora una diversa nozione di gruppo etnico non più fondato su tratti
oggettivi, non più come gruppo sociale compatto e coeso. Al suo posto
privilegia, invece, l’analisi del processo di costruzione identitaria attraverso
l’analisi dei confini etnici e del modo in cui essi vengono mantenuti, per cui i
contenuti culturali non vanno analizzati, ma piuttosto visti in maniera
contrastiva.
Ancora Barth nella sua analisi dei gruppi etnici tende a sottolineare una
caratteristica che egli ritiene fondamentale e che è rappresentata dalla
condivisione di una cultura comune intesa come il risultato piuttosto che come
un elemento definitorio dell’organizzazione del gruppo stesso. Partendo da
questa considerazione si può arrivare ad implicazioni di notevole rilevanza, che
riguardano l’identificazione dei gruppi etnici sulla base delle caratteristiche
morfologiche delle culture delle quali sono portatori. Per Barth ciò ha come
conseguenza un punto di vista preconcetto sia relativamente alla natura della
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continuità nel tempo di tali unità, sia riguardo la posizione dei fattori che
determinano la forma delle unità.
Nel primo caso le persone e i gruppi vengono classificati sulla base
dell’esteriorizzazione dei tratti particolari della propria cultura. “Differenze fra i
gruppi diventano differenze negli inventari dei tratti; l’attenzione è rivolta
all’analisi delle culture, non all’organizzazione etnica.”
10
Si dà vita ad una etnostoria che diventi una cronaca dell’accrescimento e del
cambiamento culturale, visto che i rapporti tra i gruppi si risolvono in un
processo di acculturazione, quindi in un continuo prestito di certi elementi
culturali.
Nel secondo caso le caratteristiche peculiari della cultura a cui si fa
riferimento vengono espresse in dettaglio come tratti che rivelano gli effetti
dell’ecologia. Qui si pone l’accento sul fatto che i comportamenti, i modelli
culturali di un gruppo, sarebbero diversi se esso si trovasse in un diverso
contesto ecologico, che potrebbe offrirgli maggiori o minori opportunità.
“Parimenti dobbiamo aspettarci di riscontrare che un gruppo etnico, sparso su
un territorio con condizioni ecologiche diversificate, mostrerà diversità regionali
di comportamento manifesto istituzionalizzato che non riflettono differenze
nell’orientamento culturale.[....] Non è corretto quindi considerare le aperte
10
Barth, I gruppi etnici e i loro confini, pag. 37 in Maher (a cura di), 1994, Questioni di etnicità, Rosenberg
Effellier, Torino