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LE FORME NON FINITE DEL VERBO IN INGLESE: ASPETTI
SEMANTICI, SINTATTICI E PRAGMATICI.
INTRODUZIONE
Nel presente lavoro si analizzeranno le forme non finite del verbo in inglese
dal punto di vista semantico, sintattico e pragmatico, prestando particolare
attenzione alla -ing form.
A tal fine, si è suddiviso il lavoro in cinque parti fondamentali:
1) Analisi introduttiva delle categorie grammaticali caratterizzanti nomi
e verbi e di come le forme non finite del verbo si collochino nel
continuum nome-verbo.
Studio del caso particolare del suffisso –nte nella lingua italiana ed in
quella spagnola, ripercorrendone lo sviluppo dalle origini latine.
2) Introduzione generale delle forme non finite del verbo in inglese,
ossia, gerundio, participio e infinito e analisi delle diverse funzioni
sintattiche delle forme verbali in –ing, ossia di verbo, nome e
aggettivo al fine di mettere in luce quali sono i punti di incontro e
anche di sovrapposizione di esse (verbo-nome, nome-aggettivo,
verbo-aggettivo).
Breve cenno all’evoluzione della –ing form a partire dall’origine come
nome in Old English all’ingresso all’interno del paradigma verbale.
3) Analisi del suffisso polifunzionale –ing da un punto di vista sintattico
e semantico come converbio, nome deverbale, complemento
verbale, aggettivo deverbale. Individuazione dei parametri di
classificazione tipologica dei converbi e distinzione tra free adjuncts e
absolutes secondo Kortmann (1991: 5-13). Analisi dei possibili casi di
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ambiguità tra le diverse funzioni della –ing forms, in particolare tra
participio-ma ṣdar, converbio-participio, converbio-ma ṣdar.
Spiegazione dell’ambiguità in termini di vaghezza, polisemia e
indeterminatezza.
4) Analisi delle diverse funzioni pragmatiche delle frasi avverbiali che
precedono o seguono la frase reggente in termini di foreground e
background sulla base dei parametri indicati da Violeta Ramsay
(1987: 385-407). Analisi in termini di Tema e Rema secondo la
descrizione fornita da Cresti (1987: 27).
5) Analisi di un testo narrativo (Amsterdam di Ian McEwan) per
evidenziare il diverso comportamento delle –ing forms in funzione di
converbio quando seguono o precedono la frase reggente in termini
di foreground e background, attraverso l’applicazione dei test
utilizzati da Ramsay (1987: 385-407). Identificazione della loro
funzione ai fini della distribuzione dell’informazione, in particolare in
termini di Tema e Rema, al fine di osservare se tali parametri
coincidano con quelli individuati dalla dicotomia
foreground/background.
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CAPITOLO 1
IL CONTINUUM NOME-VERBO
1.0 INTRODUZIONE
In questo primo capitolo ci si occupa del continuum nome-verbo. Si
considera in particolare in che misura i tratti verbali si ritrovino nei nomi e
nelle forme nominali del verbo e in che misura tratti nominali siano presenti
nelle forme verbali. A questo fine si analizzano anzitutto le categorie
grammaticali di norma attribuibili alle classi del nome e del verbo (§§ 1.1 –
1.3), per poi passare alla nozione e alle caratteristiche del continuum nome –
verbo (§ 1.4) e a uno studio di caso, quello delle forme participiali in –nte (§
1.5).
1.1 CATEGORIE GRAMMATICALI
Simone (1990: 303) definisce una categoria grammaticale come una ‘classe
di opzioni grammaticali complementari ed omogenee’: complementari, in
quanto scegliendone una in una parola se ne esclude qualunque altra, come
nel caso del numero per i nomi; omogenee, in quanto hanno origine da una
stessa nozione grammaticale, come avviene per la persona nei verbi.
Si analizza di seguito quali sono queste categorie ed in quale misura
differiscano nella loro manifestazione.
La prima distinzione da fare è tra categorie coperte e scoperte: sono
scoperte quelle categorie in cui l’opzione grammaticale si realizza a livello
fonologico, sono invece coperte quelle in cui ciò non avviene.
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La categoria
del genere, ad esempio, è quasi sempre scoperta in italiano, cosa che non
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In questo caso la categoria può essere realizzata lessicalmente, anziché morfologicamente,
come si vedrà passim nei paragrafi che seguono.
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avviene mai in inglese, neanche per quanto riguarda l’accordo con articolo
ed eventuali aggettivi.
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1.2 CATEGORIE GRAMMATICALI DI NOMI E PRONOMI
Per quanto riguarda i nomi ed i pronomi, le categorie grammaticali rilevanti
sono la persona, il numero, il genere, la definitezza ed il caso.
1.2.1 La persona.
La persona riguarda essenzialmente i pronomi ed è la categoria mediante la
quale le lingue riescono a segnalare, nel processo dell’enunciazione, chi è
l’emittente dell’enunciato e chi ne è il ricevente. L’emittente chiama se
stesso ‘io’ (prima persona) e si rivolge poi al ricevente chiamandolo ‘tu’
(seconda persona). Poiché un emittente ed un ricevente sono fondamentali
perché si possa avere un’enunciazione, possiamo ritenere la prima e la
seconda persona degli universali linguistici.
Completamente differente è lo status della terza persona, la quale designa
un’entità che non è necessariamente presente nell’atto comunicativo e che
non deve essere per forza una persona fisica. Rispetto alla prima ed alla
seconda, in effetti, la terza persona presenta caratteristiche completamente
diverse, molto meno centrali nell’atto comunicativo, come è ben colto dalla
celebre definizione di ‘non persona’ data da Benveniste (Benveniste 1946),
per quanto riguarda la tradizione linguistica occidentale, o dalla definizione
dei grammatici arabi di al- y ā’i bu (= ‘colui che è assente’). In molte lingue, in
effetti, non esiste un pronome dedicato per la codificazione della terza
persona; in latino, ad esempio, il pronome di terza persona coincide con un
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Fanno eccezione pochissimi termini quali car e boat, ritenuti femminili per questioni
culturali e ripresi appunto dai pronomi she ed her, come nel caso di to fill her up, ossia fare il
pieno (all’automobile).
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pronome dimostrativo, come is, ille ‘quello = lui’, o determinativo come ipse
‘quello/questo stesso = proprio lui’.
Oltre che sulla mancanza, in molte lingue, di forme dedicate, Il diverso status
pragmatico della terza persona ha dei riflessi sulla codificazione delle
categorie grammaticali:
- è più frequente che solo la terza persona presenti distinzioni di
genere
(fanno eccezione lingue come l’arabo, in cui si ha una forma per il
maschile e il femminile anche alla seconda persona: anta, anti, ‘tu’
maschile e femminile)
- prima e seconda persona possono presentare una marca di
definitezza, come nei seguenti esempi del turco:
ben-i (io)
sen-i (tu)
L’uso della terza persona come pronome di cortesia simula che il ricevente
sia così importante da non poterglisi rivolgere direttamente, come se non
fosse presente.
I pronomi personali possono essere sia singolari sia plurali. ‘Noi’ ha però uno
status particolare: non si tratta del plurale di ‘io’, dato che il parlante è
sempre uno solo, ma di ‘io + qualcun altro’. Per questo motivo alcune lingue
distinguono tra plurale inclusivo (parlante + ricevente) e plurale esclusivo
(parlante + terze persone). Il ‘voi’ può essere invece inteso come il plurale di
‘tu’, in quanto i riceventi possono essere molteplici. Merita un cenno anche
la funzione allocutiva del ‘voi’, come avviene in francese o in alcuni dialetti
dell’italiano, attraverso la quale si finge che l’interlocutore sia più di uno in
segno di importanza. Lo stesso processo avviene nell’impiego del ‘noi’ da
parte dell’interlocutore per accrescere l’importanza dell’emittente, ovvero
nel cosiddetto plurale maiestatis; talvolta il ‘noi’ viene però utilizzato dallo
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stesso interlocutore sempre per menzionare sé stesso ma allo scopo di
limitare la propria individualità (plurale modestiae). L’uso della forma di
cortesia Sie in tedesco unisce in sé la funzione di accrescimento di
importanza svolta dalla pluralità e dalla distanza della terza persona.
1.2.2 Il numero.
Il numero indica, in generale, quantità e fa parte dei cosiddetti
quantificatori, suddivisi a loro volta in indefiniti (alcuni, qualche, molti, e cc…)
e definiti (come i numerali cardinali). L’opposizione fondamentale è tra
singolare e plurale, ma in alcune lingue le distinzioni possono essere anche
più sottili. Occorre sottolineare che, nelle lingue che ammettono tali
distinzioni, queste sono legate da un rapporto di universalità implicazionale,
in quanto la presenza dell’una implica la presenza dell’altra
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:
singolare<plurale<duale<triale<quadrale<paucale
Nell’opposizione singolare/plurale la forma marcata è di norma quella del
plurale:
dog dog-s
uomo uomini
Il duale è una marca dedicata ad entità intrinsecamente duplici, come le
parti del corpo nel seguente esempio del greco antico:
‘entrambi gli occhi’, ‘both eyes’.
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Cfr. Corbett (2008).
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In questo caso è interessante notare come il duale costituisca una categoria
scoperta in greco antico, mentre risulta coperta nelle lingue in cui si è data la
traduzione.
Il triale è meno frequente del duale poiché in natura sono meno frequenti le
entità trine, così come il quadrale. Il paucale esprime invece una piccola
quantità.
Bisogna sottolineare che, per quanto riguarda il numero, la corrispondenza
tra forma e significato di alcune parole non è sempre realizzata: infatti,
parole formalmente singolari possono riferirsi a molteplicità e viceversa
(infra). Nel passaggio dalla forma singolare a quella plurale, inoltre, molti
nomi subiscono modifiche di genere, come nel caso di il gregge, che al
plurale diventa le greggi. Determinati nomi acquisiscono invece due generi
al plurale, in base al loro utilizzo, come avviene ad esempio per il braccio,
che diventa le braccia per la denotazione degli arti superiori e i bracci per
quella di oggetti meccanici; lo stesso avviene per ’ osso, che diviene le ossa
se ci si riferisce alle ossa del corpo umano, e gli ossi per designare, ad
esempio, i noccioli della frutta. Viene generalmente fatta una distinzione in
tre classi di nomi: numerabili, di massa e collettivi, in cui i primi possono
essere ‘contati’, ovvero sono entità entro cui può essere effettuato un
prelievo, i secondi designano invece masse indistinte che non hanno plurale
(es. latte), e i terzi costituiscono una sorta di grado intermedio tra i primi
due, ovvero indicano insiemi non numerabili che ammettono però il plurale:
si tratta ad esempio dei nomi collettivi, quali classe, gregge, scolaresca,
flotta. Vi sono infine parole che hanno un plurale numerabile mentre il loro
singolare può essere tanto di massa quanto numerabile. Ciò vale in
particolare per i nomi astratti, privi cioè di un referente materiale
percepibile, come crudeltà: in E’una persona di grande crudeltà, crudeltà ha
un senso di massa, ma se diciamo Mi ha fatto diverse crudeltà, il termine
assume il senso di “atti di crudeltà’. Infine, l’operazione di “numerabilità”
può applicarsi in lingue diverse secondo modalità diverse. In inglese, ad
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esempio, nomi come information ‘informazione’, research ‘ricerca’, ecc., non
hanno una forma plurale. Per operare un prelievo in relazione a questi nomi,
è necessario aggiungere un sintagma perifrastico come piece of: an
information; two pieces of information ‘un’informazione’; ‘due informazioni’,
lit. ‘due pezzi di informazione’. In altre lingue, tra cui l’italiano, non è così.
1.2.3 Il genere.
Il genere permette la distinzione tra maschile, femminile e, nelle lingue che
lo ammettono, il neutro.
Si tratta di una categoria che può essere sia coperta sia scoperta e può
proiettarsi in diversa misura sul pacchetto morfemico dei costituenti che
formano sintagma col nome: ad esempio in italiano articolo ed aggettivo si
accordano in genere e numero col nome. Le lingue romanze adottano un
sistema bipartito maschile-femminile, mentre altre ammettono un sistema
tripartito di cui fa parte anche il genere neutro; vi sono poi lingue, come
l’inglese, per le quali non esistono marche formali in grado di distinguere il
genere, e in cui l’aggettivo e l’articolo non si accordano con il nome con cui
formano il sintagma.
1.2.4 La definitezza.
La definitezza indica il grado di precisione mediante cui si può far riferimento
a diverse entità in una determinata lingua. Questa categoria opera sui
nominali e si basa sulla contrapposizione tra definito ed indefinito; il definito
è un’entità identificata o identificabile, mentre l’indefinito è un’entità non
specificabile che viene menzionata in maniera generica.
Nell’esempio seguente viene fornita una gradazione di definitezza:
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(1) È venuto Paolo.
(2) È venuto il ragazzo che aspettavo.
(3) È venuto un ragazzo.
(4) È venuto qualcuno.
In (1) si identifica una persona in modo univoco; in (2) si identifica ancora
una persona in modo univoco, ma senza nominarla; in (3) si identifica una
persona in modo generico; in (4) la persona si identifica secondo le modalità
dell’indefinito puro, generico e non specifico.
Si può affermare che a seconda delle lingue, la nozione di definito/indefinito
può essere espressa:
a) sintagmaticamente, attraverso un sintagma nominale costituito dal
nome proprio o comune e da altri elementi quali articoli ed aggettivi
dimostrativi.
b) morfologicamente, attraverso la combinazione di un morfo dedicato
con la radice nominale.
c) attribuendo ad una parola concomitante (come un aggettivo che
accompagna in nome) una forma definita.
Soltanto i casi rientranti nella categoria (b) sono propriamente grammaticali,
perché configurano un’opzione obbligatoria. In arabo, ad esempio, i nomi
hanno forme morfologiche diverse per il definito e l’indefinito. Quella
indefinita si segnala perché (a) non ha l’articolo al e perché (b) dopo la
terminazione tipica del caso ha un morfo finale – n, mentre quella definita
non ha, dopo il caso, nulla. Ad esempio:
(5) Bayt + u + n kabīr + u + n
Casa-NOMINATIVO INDEFINITO grande-NOMINATIVO-INDEFINITO
‘una grande casa’