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metafora, iperbole, metonimia e sineddoche sia sul piano teorico
della loro utilizzazione a livello verbale, sia sul piano applicativo
degli spot televisivi, attraverso vari esempi di spot per ciascuna
figura retorica presa in considerazione. Mi sono soffermata sulla
comprensione del come queste figure retoriche vengano
utilizzate in pubblicità a livello visivo e non verbale, analizzando
quindi di esse l’immagine e non il testo. Le figure retoriche
vengono utilizzate a livello visivo per catturare maggiormente
l’attenzione del fruitore, per trasmettere una qualche forma di
emozione, per aumentare il ricordo del prodotto nella mente
dell’ipotetico consumatore e quindi per persuadere. Ho inoltre
evidenziato come ogni figura retorica delle quattro da me prese
in considerazione abbia il suo specifico modo di agire e di
rivolgersi ad un determinato target.
Infine, nel terzo capitolo, dopo aver affrontato il necessario
inquadramento teorico, ho voluto introdurre le quattro figure
retoriche all’interno del quadrato semiotico di Floch, semiologo
e pubblicitario francese, il quale ha avuto la possibilità di
sviluppare ed approfondire sia i comportamenti di consumo, sia i
modi di fare pubblicità. Mi sono soffermata maggiormente sul
quadrato dei quattro modi di fare pubblicità, che secondo Floch
sono i seguenti: pubblicità referenziale, mitica, sostanziale ed
obliqua, ognuna della quali ha caratteristiche proprie e differenti.
A questo punto ho introdotto all’interno del quadrato le quattro
figure retoriche, cercando un filo conduttore tra le caratteristiche
di base dei modi di fare pubblicità e quelle delle figure retoriche,
arrivando così ad associale: pubblicità referenziale/sineddoche,
pubblicità mitica/metafora, pubblicità sostanziale/metonimia e
pubblicità obliqua/iperbole. Ci tengo a sottolineare come le
associazioni tra figura retorica e modo di fare pubblicità non
siano leggi universali e quindi nette, ma sono state fatte
7
riferendosi alla circostanza presa in considerazione. Per
esplicitare la funzionalità del quadrato ho utilizzato alcuni
esempi di spot televisivi, all’interno dei quali troviamo le
caratteristiche fondamentali sia della figura retorica presa in
considerazione, sia del modo di fare pubblicità associato.
Tutto questo mi è servito per comprendere a fondo come e
perché vengano utilizzate le figure retoriche all’interno di un
linguaggio visivo come quello pubblicitario.
8
9
Capitolo primo
La metafora
1.1 Introduzione
Continuamente nel nostro quotidiano – pur non essendone
consapevoli - ricorriamo alla metafora. Molte volte non ci
accorgiamo del suo utilizzo nell’espressione verbale ma se ben
riflettiamo in un “mondo senza metafore” non potremmo più
definire una persona dal cuore d’oro, oppure sostenere di essere
rimasti di ghiaccio di fronte ad una situazione particolare, le idee
non morirebbero ma neanche potrebbero nascere. Non potremmo
più mettere i piedi in testa a qualcuno, alzare bandiera bianca
oppure definirsi sull’orlo del precipizio. Non potremmo più dire
che in Italia ci troviamo di fronte ad una tremenda fuga di
cervelli, né che il calcio italiano a differenza di altre nazioni
applica sempre la tattica del catenaccio. Anche i linguaggi
scientifici sono costellati da espressioni metaforiche; se non
avessimo a disposizione le metafore, che ne sarebbe dei buchi
neri? I computers verrebbero ancora attaccati da virus letali e il
mouse dovrebbe cambiare nome? Si assisterebbe ancora a crolli
finanziari? Non si potrebbe nemmeno più fare di tutta l’erba un
fascio, né avere la coda di paglia per essersi arrampicati sugli
specchi. Tutto questo per sottolineare come qualsiasi linguaggio
è e sarà sempre intessuto di metafore: inizialmente lo studio
della metafora era limitato all’aspetto poetico, successivamente
si è esteso a tutte le discipline, da quelle filosofiche a quelle
politiche, da quelle religiose a quelle scientifiche, ed oggi è
10
presente anche nel linguaggio iconico (delle arti visive, della
pubblicità, del cinema, del fumetto e della televisione).
Un lavoro sulla metafora pone quindi inizialmente il problema di
definizione d’ambito: è un fenomeno di notevole complessità
che continua a interessare studiosi e a generare un proprio
itinerario di ricerca. Basti pensare all’elevatissimo numero di
ricerche sulla “regina delle figure retoriche”
1
da parte di linguisti, filosofi, scienziati, psicologi, letterati,
semiologi. Ognuno di loro, a seconda del tipo di approccio
utilizzato, ha approfondito un aspetto della metafora che altri
hanno tralasciato.
Quando si parla di metafora, pertanto, la prima cosa da fare è
definire bene il campo di analisi, nonché stabilire la definizione
di metafora che si vuole privilegiare.
Il mio lavoro si concentrerà nel primo capitolo sull’aspetto
puramente retorico, per poi trasferirsi nel settore applicativo di
analisi pubblicitaria, allo scopo di definire come e perché viene
utilizzata la metafora in questo settore.
1.2 La metafora nella retorica
La metafora è la figura retorica più comune, stimola
l’immaginazione e permette di variare notevolmente il
linguaggio. Viene appunto considerata il “tropo dei tropi”, è la
figura retorica per antonomasia e le definizioni difficilmente
riescono a dar conto con precisione dei suoi ambiti di
applicazione e dei suoi limiti, spesso, infatti, il confine tra due
1
Titolo di Lombardi Barbara, La metafora, regina delle figure retoriche,
Guaraldi editore
11
figure che generano uno spostamento del senso come la
metonimia o la metafora è assai incerto.
Metafora2. Dal greco μεταφορά, dal latino metaphŏra, derivato
di metaphérō “trasferisco”. Sostituzione di un termine proprio
con uno figurativo, in seguito ad una trasposizione simbolica di
immagini: le spighe ondeggiano, il mare mugola.3
Nell’accezione ristretta di figura retorica, la metafora può essere
definita come la sostituzione di una parola propria con un’altra
che ha con la prima qualche rapporto di analogia ma che, nel
nuovo contesto in cui è trasportata, produce un effetto di
straniamento. Nel classico esempio aristotelico «Achille è un
leone» la parola leone, il cui significato proprio indica l’animale,
è trasportata in un contesto semantico umano, dove per analogia
passa ad indicare caratteristiche di coraggio e forza, e nello
stesso tempo produce un effetto retorico di straniamento dovuto
all’identificazione fra i due termini4.
Il meccanismo messo in atto per generare la metafora è stato
tradizionalmente inteso come una forma di similitudine
accorciata; si può riconoscere una metafora inserendo
un’espressione come “uguale a”, “simile a”, “come”, senza
cambiarne il senso. La metafora va quindi ad esprimere una
realtà con il nome di un’altra che le somiglia e che generalmente
è più concreta e immediata. Spesso è stato detto che la metafora
2
Definizione tratta da Devoto, Oli, il dizionario della lingua italiana,
Firenze, Le Monnier, 2004
3
Tale attribuzione si baserebbe su un processo mentale di associazione di
due realtà differenti, che condividerebbero, però, almeno un particolare
sentito identico; da ciò scaturirebbe la sostituzione del nome della prima
entità con quello della seconda (Fabris, 2002)
4
Cfr. Ghiazza, Napoli, le figure retoriche, Bologna, Zanichelli, 2007.
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è una similitudo brevior5 (paragone abbreviato). Ma il
procedimento per cui si arriva alla metafora non è
semplicemente la soppressione degli elementi che renderebbero
esplicito il paragone. Fu per prima la retorica latina a intendere
in tal modo il rapporto tra similitudine e metafora. Ad esempio
per Aristotele il paragone è “una specie” di metafora, ma nelle
teorie odierne, come osserva Mortara Garavelli (1989, p.161), è
un dato incontrovertibile che i rapporti fra metafora e paragone
non siano affatto semplici e meno che mai si lascino ricondurre
alle dimensioni degli enunciati o della presenza/assenza del
segno esplicito del confronto, cioè la congiunzione come.
Significative le parole di Bertinetto:
la differenza tra similitudine e metafora non si regge su presupposti
formali, bensì pragmatico-cognitivi in senso stretto. La prima figura
è fondata sulla percezione statica delle affinità (e delle differenze)
che legano due entità. Mentre la seconda si basa su un meccanismo
di natura eminentemente dinamica, cha conduce una qualche forma
di fusione, o per meglio dire compresenza, tra i due enti raffrontati6.
Risulta evidente, quindi, che non tutte le metafore possono
essere spiegate con questo meccanismo, né il rapporto tra i due
termini presi in considerazione, come nel caso di Achille e il
leone, può essere così delimitabile. Per comprendere la metafora
non bisogna pensare ad un rapporto tra le parole puramente
statico, nel senso che la sostituzione lessicale non è un fatto
meccanico che si limita a togliere un elemento mettendo un altro
al suo posto; la metafora è, al contrario, una figura creativa in cui
5
Espressione di Quintiliano VIII, 6, 8
6
Bertinetto in Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano, Bompiani,
1989
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i due termini sono entrambi compresenti e danno origine ad una
realtà nuova, che arricchisce il patrimonio di una lingua7.
Sempre Aristotele, primo ad indagare sulla natura della
metafora, aveva notato che costruire metafore è segno della dote
naturale di “ben vedere le somiglianze”. Si tratta però di una
somiglianza basata su una relazione globale. Due individui che si
assomigliano possono non avere gli “stessi” occhi, né alcunché
di identico. Si può quindi dire che la somiglianza si spiega con
un’identità non di parti ma di strutture o di rapporti, insomma
con un’analogia. Si possono quindi permutare i termini come in
un’analogia matematica: a:b=c:d; da cui ad=bc, sottolineando
anche il fatto che nella somiglianza, i rapporti non sono identici,
ma… simili.8
Per concludere, sempre secondo Aristotele la metafora deve
avere tre qualità: la chiarezza, la piacevolezza e la rarità (Ret.,
III, 1405 a). Senza la prima rischia di rimanere incompresa,
mentre senza la rarità non ha la forza espressiva tipica della
metafora, figura che riesce a cambiare culture e ad aprire le
menti all’immaginazione. Il fascino è «il piacere di apprendere»
dice Aristotele: il piacere dell’enigma risolto.
E qui sta anche il potere persuasivo della metafora: “la regina”
delle figure retoriche riesce ad illuminarci, affascinarci, farci
commuovere, riesce anche a rivelarci somiglianze a noi inedite,
sempre a condizione che il “simile” rimanga “verosimile”.9
7
Cfr. Ghiazza, Napoli
8
Cfr. Reboul O., La retorica, Milano, Il Castoro, 2004.
9
Cfr. ibidem