3
Si tratta di una scelta motivata in primo luogo dall’esigenza di analizzare il
carattere di preminenza assegnato dall’ autore a questi personaggi, il loro porsi al
centro delle vicende narrate; in secondo luogo lo sviluppo psicologico delle figure
femminili è un punto di riferimento costante nella narrativa testoriana: se si vuole
azzardare una chiave d’entrata nella poetica dell’autore, possiamo rilevare un suo
statuto inquieto, che però nasconde la fedeltà a una ossessione di fondo, che si
articola in varie soluzioni espressive. Tale ossessione riguarda la nascita, la “carnalità-
finitezza” dell’uomo, il suo dolore, la ricerca affannosa di una via d’uscita
dall’isolamento attraverso l’amore, visto nelle sue problematiche psicologiche prima
ancora che sociali.
L’inchiesta sul senso dell’essere, che assilla Testori e che attraverserà tutta la
sua opera fino agli esiti estremi di “Interrogatorio a Maria” (1979) e di “In exitu” (1988),
orientando la coscienza sui tre piani della coscienza sociale, della coscienza tragica e
della coscienza religiosa, si concentra nel nucleo tematico del corpo, intorno a cui
ruotano tutti gli altri temi.
E fatalmente questo tema va a toccare soprattutto la dimensione femminile, nei
confronti della quale la corporeità si raccoglie nella costruzione di un’immagine
ambigua, che riassume la condizione stessa dell’uomo, sospeso tra una insensatezza
4
tragica acuita dalla sua condizione di miseria materiale e una prospettiva di senso
e di salvezza per il cui raggiungimento spesso il corpo si rivela elemento
fondamentale.
È’ la bellezza ad essere spesso un possibile trampolino di lancio per la ascesa
sociale delle donne di questi racconti, sebbene spesso la disillusione finale non
ripaghi coloro che tentano di servirsene.
Alla corporeità è poi legata la dimensione dell’amore, sul quale le vicende delle
tre opere prese qui in esame basano il loro sviluppo tematico principale: un amore che
non ha alcuna connotazione rassicurante, ponendosi come elemento generatore di
contrasti spesso devastanti.
La solitudine è il perno attorno al quale ruotano la maggior parte dei racconti de
“Il ponte della Ghisolfa” e de “La Gilda del Mac Mahon”; tutte le figure femminili sono
donne sole che devono o hanno dovuto lottare contro un destino sfavorevole. La
donna testoriana si pone dunque come un paradigma della sofferta lotta per la vita e
per la felicità.
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“I SEGRETI DI MILANO”
CONSIDERAZIONI GENERALI E STRUTTURA
Le opere narrative pubblicate da Testori negli anni 1958 -1961, “Il ponte della
Ghisolfa” (1958), “La Gilda del Mac Mahon” (1959) e “Il fabbricone” (1961), poste
dall’autore sotto l’insegna di un titolo complessivo, “I segreti di Milano”, testimoniano la
volontà di costituire un ciclo unico, una sorta di largo affresco che presenta la vita
della metropoli lombarda. Ma non la vita di tutta la città, bensì quella di un ristretto
ambito periferico, che trova nei nomi di Vialba, del ponte della Ghisolfa e del Mac
Mahon la sua collocazione topografica precisa in un quartiere. L’uso dei toponimi è
assai accentuato in questi racconti e ognuno già figura un paesaggio: la Baia del Re, il
Giambellino con le case popolari o i grandi fabbriconi, le illuminazioni precarie e i prati
lungo le linee ferroviarie della Nord.
Quello che importa è l’ampiezza del panorama umano e insieme l’acutezza
spoglia e decisa di alcuni ritratti femminili, che si inseriscono nella coralità degli
ambienti formicolanti di passioni non sempre confessabili, in una periferia milanese
che ha i colori e lo squallore della periferia di ogni grande città industriale europea per
il peso della miseria e la solitudine delle persone.
1
1
G.Pullini, Il romanzo italiano del dopoguerra, Marsilio editori, Padova, 1970, pp. 407 – 412.
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In questo ambiente vivono uomini di tipo diverso, ma generalmente proletari,
piccoli operai, famiglie intere di lavoratori. E’ un ambiente in cui la vita è vissuta in una
dimensione primitiva, nella sua semplicità, fatta dei problemi del vivere quotidiano di
chi fatica a sbarcare il lunario.
L’amore e il sesso, le uniche realtà a cui questi poveri sanno di avere diritto,
costituiscono la dimensione fondamentale del loro vivere. Compare talvolta
l’aspirazione più eroica di chi tenta di uscire da questo ambiente chiuso e povero
attraverso lo sport, oppure servendosi della propria bellezza o della possibilità di trarre
dei profitti da attività illecite come il ricatto.
Tutto ciò all’interno di storie patetiche, talvolta torbide, che forniscono
l’immagine di un mondo in cui egoismo e generosità si mescolano, per dare una cifra
dei personaggi che resta lontana dai cliches ideologico-manicheisti che identificano
bene e povertà, male e ricchezza.
L’aspirazione alla felicità rappresenta il denominatore comune a tutti i
personaggi, tesi alla ricerca di una più piena realizzazione di sé e tutti, spesso, delusi;
capaci di giungere ad un momento di serenità solo dopo il tormento di esperienze
negative.
2
2
G.Cappello, Giovanni Testori, La Nuova Italia, Firenze, 1983 , p. 13.
7
I due volumi di racconti, “Il ponte della Ghisolfa” e “La Gilda del Mac Mahon”,
presentano la chiave relativa alla impostazione generale, fatta più di sovrapposizioni
che di organico sviluppo narrativo. Che si tratti della vita nei bar dopo il lavoro o delle
associazioni sportive, ogni convivenza è, sul piano narrativo, condizione per il
collegamento di storie tra loro separate e riunite per quel tanto di vita sociale che le
aggrega.
L’unità è di spazio (il quartiere, il casamento) o di condizione (il comune vivere
nella periferia), ma l’ottica, più che di una registrazione fotografica, è di
riorganizzazione del dato secondo una prospettiva condizionata dal vissuto dominante
del tragico. Sicchè, sotto lo spaccato di realtà si leggerà la costante attenzione a una
dinamica in grado di rivelare il tragico ai livelli più umili ed elementari dell’esistenza. Si
può sintetizzare questa dinamica nel tentativo, che il personaggio compie, di
superamento del limite biologico, economico, sociale in cui è inserito e nello scontro di
questo tentativo con la fatalità di una condizione, che fa una vittima di chi tenta di
cambiarla.
Al di là di quello che l’illusione sentimentale di un momento può
provvisoriamente promettere, l’esistenza spesso si richiude su se stessa, sul suo
tessuto inesorabile di dolore e di miseria.
8
Testori cerca questa dinamica sia in chi la vive e la soffre profondamente sia in
chi la simula senza rischiare a fondo, sia in chi se ne tiene rassegnatamente lontano.
In alcuni personaggi de “Il ponte della Ghisolfa” si salva comunque un fondo di
candore, di ingenua istintività : i trasalimenti amorosi alle soglie della giovinezza,
l’abbandono della donna innamorata, la freschezza sentimentale dei ragazzi. E anche
nei più perversi c’è spesso una temerarietà infantile che costituisce forse il lato più
mordente di questo panorama umano così sferzato da forti impulsi.
3
In relazione a una narrazione che privilegia lo spazio umano della periferia, in
passato il nome di Testori è stato spesso accostato a quello di Pasolini, la cui opera
“Ragazzi di vita”, pubblicata nel 1959, dunque nello stesso anno della “Gilda”, avrebbe
chiare affinità con le raccolte di racconti testoriane, per il senso precario e violento
della vita intesa come lotta quotidiana.
4
Ma a ben vedere, a parte certe somiglianze tematiche che permettono di
accostare i due autori, iscrivibili nell’ambito dell’elementarità della “condizione umana”
descritta, le differenze tra loro sono sostanziali: infatti, mentre in Pasolini le “cose”
narrate subiscono una pressione ideologica e sentimentale, la narrativa testoriana non
propone una interpretazione del mondo, intendendo, semmai, scoprirlo nella sua
3
G.Pullini, Il romanzo italiano…, op. cit., pag. 411.
4
G.Pullini, Il romanzo italiano…, op. cit., p. 409.
9
fecondità primitiva, naturale. Perciò quella di Testori è una narrativa totalmente di
“cose”. Esse sono l’ultima conquista.
5
5
A.Guglielmi, Vero e falso, Feltrinelli, Milano, 1968, pp. 123 – 124.
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Capitolo 1°: IL PONTE DELLA GHISOLFA
La costituzione del libro è basata su un intreccio di vicende che non si risolvono
definitivamente nel singolo racconto, contribuendo a suscitare attese da colmare:infatti
ogni nodo narrativo si conclude in maniera suscettibile di sviluppi ulteriori, rimane allo
stadio di una chiusura provvisoria e rinvia ad altre opere, dove, dopo un altro
accavallarsi di storie, si potrebbe avere la continuazione del racconto.
A questa sorta di acronia narrativa corrisponde l’anacronia continuamente
utilizzata da Testori all’interno di ogni nucleo narrativo. Il racconto infatti ha
generalmente inizio ad un certo momento della storia, quando qualche fatto saliente è
già accaduto. Lo sviluppo degli avvenimenti è strettamente connesso all'’analisi di ciò
che è già successo, e che forma oggetto di disamina da parte di uno o più personaggi,
anzi si può dire da parte di tutti i personaggi principali coinvolti nella vicenda.
Il testo presenta dunque due piani narrativi: quello relativo alla situazione in cui
il personaggio si trova in concreto, ossia il piano del quotidiano, e quello della
situazione analizzata, che è poi il piano narrativo predominante.
Il racconto è condotto sulla base di una narrazione indiretta, perciò il montaggio
del racconto appare così forte e vistoso che ogni possibile richiamo ad un eventuale
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“neorealismo” di Testori appare fuori luogo e scaturisce da una lettura che mette
in risalto essenzialmente fattori di concordanza contenutistica e non di tecniche
narrative. Si tratta di una narrazione in cui la voce del narratore e quella dei
personaggi, il piano del referto oggettivo e quello della riflessione si confondono in una
grandiosa unità.
Il filo narrativo dell’opera è incentrato sul racconto della vicenda di Ivo Ballabio,
gigolò della Brianza protagonista di una serie di racconti. Evocato, dapprima
indirettamente, nel favoleggiare pettegolo, pieno di rabbia e di gelosia, che sulla sua
vita fanno i ragazzotti della periferia (Sotto la pergola, il Brianza), viene poi
direttamente in campo attraverso un’abile narrazione della realtà della sua vita.
Passano sulla scena le avventure con omosessuali che pagano bene, il lavoro di
barista nel bar del centro che la padrona, la Wally, ha ricevuto in buonuscita dal suo
maturo amante; l’adescamento come comparsa ambita per la presenza fisica e la
docilità senza scrupoli in orge per foto porno, destinate al circuito dei sadici, dei
voyeurs danarosi; l’avventura con la Wanda, prostituta dal cuore d’oro, che si è
innamorata di lui e lo accudisce con premura materna e generosa, salvo essere poi
scaricata; e infine l’assestata esistenza di mantenuto dalla padrona, ridotta a doversi
pagare la sua voglia, come anni prima faceva con lei il suo facoltoso amante.
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Ivo appare una sorta di zerbinotto tipico della mentalità arrivistica e del
compiaciuto edonismo della gioventù popolare. Wally, che con i suoi trentacinque anni
gli potrebbe essere quasi madre, ne compera l’amore grazie alla sua lusinghiera
posizione finanziaria (analizzeremo più avanti nel dettaglio questa figura).
I personaggi di questi racconti vivono in un mondo di sogni acerbi e ardenti, di
amori consumati, di brucianti illusioni che lasciano in un torpore di pensieri
insoddisfatti.
La “gioventù bruciata” di quegli anni trova il suo essere nel dar corpo e senso,
anche attraverso l’abiezione, i ricatti, le meschinerie, all’impulso, anche crudele, di una
propria naturalità, lasciando che questa esprima i suoi tormenti da “melodramma”
della marginalità. Così la fisicità e la sensualità che pervadono le storie sono sempre
accompagnate da un senso esasperato, quasi da una celebrazione profana della
gloria del corpo e dell’effimero del suo desiderio.
I racconti si incidono come quadri esistenziali che si fondano sul connotato
dell’umano, sulla verità dei sentimenti, vero cardine della periferia testoriana. Quella di
testori è una periferia di chi la vive
6
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6
Fulvio Panzeri, Coro degli irreparabili. Topografie testoriane dalla” Città-Civis” alla “Valle Assina”, Milano,
1997, pp.17-18.
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Passiamo ora ad analizzare, racconto per racconto, i principali personaggi
femminili che compaiono nell’opera.