1
Introduzione
Intento principale di questo mio lavoro è di analizzare le figure femminili che
maggiormente caratterizzano i romanzi di Luigi Pirandello. Autore vissuto a
cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, egli infatti dimostra particolare attenzione
alla donna e al suo ruolo all’interno della società italiana dell’epoca.
Questo spiccato interesse verso la questione femminile appare chiara già dal suo
esordio come romanziere, incoraggiato dall’amico e maestro Luigi Capuana, nel
1893 con L’esclusa. Fin da allora Pirandello affronta nel romanzo un tema
fondamentale come quello dell’emancipazione femminile, di grande attualità al
tempo in cui l’autore di Girgenti inizia la sua avventura da romanziere. Il primo
blocco tematico del mio lavoro si incentra proprio sulla protagonista
dell’Esclusa, Marta Ajala, la quale può essere definita come «l’eroina di una
rivolta imperfetta»
1
, una donna che non è riuscita a portare a compimento il suo
percorso di emancipazione, perché ancora sottomessa ai vincoli di una società
patriarcale e conservatrice come quella siciliana, e in genere quella italiana,
all’indomani dell’unità d’Italia. Se Marta aveva fallito nella sua personale lotta
per l’emancipazione, Silvia Roncella, protagonista del romanzo Suo marito,
pubblicato nel 1911, riesce, in parte, nella sua impresa; la sua è
un’emancipazione possibile, poiché ella ha successo nel lavoro (Silvia è una
scrittrice di successo), a discapito però della sua sfera più intima, quella di
madre.
Un’ulteriore prova dell’interesse che Pirandello dimostra di avere, all’interno dei
suoi romanzi, nei confronti di temi importanti e di grande attualità sono i
Quaderni di Serafino Gubbio operatore, pubblicati nel 1926. Ed è proprio in
questo romanzo, in cui è evidente la polemica contro la meccanizzazione
dell’arte, che spicca la figura di Varia Nestoroff: essa rappresenta una svolta
nella raffigurazione che Pirandello offre dell’immaginario femminile all’interno
dei suoi romanzi. Si introduce cioè una nuova immagine di donna, quella della
femme fatale; Varia, prima attrice di un’importante casa cinematografica,
diventa soggetta a quel procedimento di scomposizione umoristica che, come
accade per la maggior parte dei personaggi tipici della narrativa pirandelliana, le
1
Maria Antonietta Grignani, Il femminile nei romanzi, in «Retoriche pirandelliane», Napoli, Liguori,
1985, p. 136.
2
conferisce un’ambiguità e una complessità tali da rendere arduo al lettore darne
un’interpretazione unitaria e coerente: Varia allora incarna allo stesso tempo lo
stereotipo della seduttrice spietata con gli uomini, e quello della donna debole e
sofferente.
Se nei primi tre capitoli di questo lavoro ho scelto di fermare l’attenzione su tre
figure centrali come quelle di Marta Ajala, Silvia Roncella e Varia Nestoroff,
nell’ultimo capitolo ho messo in evidenza altri personaggi femminili, non
centrali come le prime tre protagoniste, ma comunque funzionali a individuare i
temi fondamentali dell’opera pirandelliana. Allora si scoprono personalità
affascinanti come quella di Caterina Laurentano dei Vecchi e i giovani, madre
coraggiosa che rinuncia a una vita agiata pur di rimanere fedele ai propri ideali;
oppure personaggi come Nene Cavalena dei Quaderni e Dianella Salvo nei
Vecchi e i giovani, che rimandano chiaramente al tema della follia, un altro
argomento cardine della scrittura dell’autore di Girgenti.
L’elemento femminile assume poi un connotato simbolico soprattutto
nell’ultimo romanzo di Pirandello, Uno, nessuno e centomila, l’opera che meglio
riassume la poetica dello scrittore: la donna, nello specifico Dida, la moglie del
protagonista, diventa uno specchio su cui si riflette la debolezza di un uomo,
Vitangelo, che vede l’immagine di sé frantumarsi e disgregarsi in mille
frammenti.
Pirandello nei suoi romanzi non espone mai le proprie posizioni nei confronti del
genere femminile; l’autore, semmai, esprime i giudizi personali attraverso la
voce dei suoi personaggi, in modo da garantire così il canone dell’impersonalità.
Dall’analisi condotta emerge in ogni caso chiara tutta la complessità
dell’universo femminile nei romanzi dello scrittore, il quale è riuscito a conferire
alla donna uno spessore e un’importanza inediti.
3
1. Dall’Esclusa al Fu Mattia Pascal
1.1. L’esclusa e l’emancipazione fallita
L’esclusa è l’opera con cui Luigi Pirandello esordì come romanziere. Risale infatti al
1893 la prima stesura del romanzo; Pirandello era allora un ragazzo di soli ventisei
anni ma si era già cimentato, senza successo, nella poesia.
Il titolo originario dell’opera era Marta Ajala. In seguito, il primo romanzo dello
scrittore agrigentino avrà tre redazioni: quella del 1901, pubblicata a puntate, tra
giugno e agosto, sul quotidiano romano «La Tribuna», con il titolo L’esclusa; quella
milanese in volume del 1908, presso Treves, e la redazione definitiva, riveduta e
corretta, presso Bemporad di Firenze, del 1927. La storia redazionale dell’Esclusa
occupa dunque l’arco di oltre un trentennio. L’opera si presenta al lettore
principalmente come un romanzo «di polemica sociale contro l’oppressione della
donna da parte dei pregiudizi e delle convenzioni di una società arretrata, soggetta ai
rigidissimi codici dell’onore […]»
2
. La vicenda narrata ruota intorno alla figura della
giovane Marta Ajala e si profila come la storia di una dura lotta per l’emancipazione
femminile di una donna, Marta Ajala appunto, scacciata di casa dal marito Rocco
Pentagora con l’accusa di essere adultera, solo per aver scambiato lettere, in modo
del tutto innocente, con l’avvocato Alvignani. La condanna nei confronti della
giovane donna è unanime: tutta la comunità la indica come un’adultera, comprese la
sua famiglia e quella del presunto tradito.
Lo sfondo su cui si staglia la vicenda narrata da Pirandello in questo suo primo
romanzo è di una piccola comunità della provincia siciliana di fine Ottocento inizio
Novecento, in una Sicilia, o meglio, in un Paese, l’Italia, che stava vivendo, proprio
all’alba del ventesimo secolo, una fase di profondi cambiamenti: durante l’ultimo
decennio dell’Ottocento vi fu una rapida crescita industriale del Nord, con il
conseguente fenomeno dell’esodo dalle campagne alle città, e il collegato aumento
della popolazione («25 milioni nel 1861, 33 milioni nel 1901 e 37 milioni nel
1921»
3
). Il cambiamento fu in realtà disomogeneo. L’Italia era, all’epoca, un Paese
caratterizzato da grandi differenze tra regione e regione, dove l’identità nazionale
2
Guido Baldi, Pirandello e il romanzo – Scomposizione umoristica e «distrazione», Napoli,
Liguori Editore 2006, p. 7.
3
Perry Willson, Italiane. Biografia del Novecento, Bari, Laterza, 2011, p. 4.
4
non era ancora forte e dove la classe politica non risultava del tutto idonea a guidare
uno Stato “appena nato”.
Inoltre le differenze tra i due sessi erano ancora palesi: «la condizione giuridica,
economica e sociale delle donne era per molti versi inferiore a quella degli uomini.
Escluse dal voto e dai pubblici impieghi in ragione del loro sesso e, soprattutto se
sposate, […] le donne italiane non erano ancora cittadine attive»
4
. Tutti questi
elementi, presi insieme, avevano un’indubbia influenza sulla vita della donna, la cui
inferiorità era un dato a quei tempi condiviso dalla maggior parte della popolazione,
che considerava le donne come degli esseri deboli e poco adatti a relazionarsi con la
dura realtà del mondo che le circondava. È soprattutto nell’Italia meridionale che
queste “credenze” sul genere femminile apparivano più spiccate, soprattutto se si fa
riferimento al concetto dell’onore, di fondamentale importanza: «nel “codice
d’onore” il prestigio sociale di una famiglia, soprattutto dei maschi della famiglia,
poteva essere compromesso dall’immoralità sessuale della parentela femminile
[…]». C’è da rilevare che nel 1900 la condizione giuridica della donna era perlopiù
disciplinata da un codice civile, il codice Pisanelli, che risaliva ancora al 1865,
quando cioè l’Italia era diventata da poco uno Stato unitario. Questo codice sanciva
molte disuguaglianze, tra le quali quella riguardante l’adulterio:
l’adulterio della donna era sanzionato in modo diverso da quello del marito.
[…] Se un marito aveva rapporti sessuali occasionali, il fatto era considerato
irrilevante, mentre se una donna aveva rapporti extraconiugali anche una sola
volta, o semplicemente se l’opinione pubblica riteneva che lo avesse fatto, ciò
costituiva un motivo per avanzare richiesta di separazione
5
.
Nell’Esclusa Pirandello non impiega termini giuridici e non fa riferimento esplicito
al codice civile Pisanelli, tuttavia, attraverso il suo romanzo d’esordio emerge il
contesto ideologico e sociale in cui la vicenda è rappresentata: una Sicilia di fine
‘800, legata ancora a un’idea arcaica della società e soprattutto del ruolo della donna
al suo interno. In questo senso lo scrittore agrigentino, attraverso la figura di Marta
Ajala, sembra aver segnato una vera e propria svolta nella narrativa italiana a cavallo
tra Ottocento e Novecento. Pirandello cioè ci presenta l’Ajala come un’eroina che
alla condanna di tutti decide di rispondere non con la sottomissione, bensì con la
4
Ibidem.
5
Ivi, p. 5.
5
ribellione, con l’affermazione convinta della propria innocenza e con una dignità che
la porterà a essere «sprezzante nei confronti del contesto sociale e delle sue
persecuzioni»
6
. La sua forza d’animo non viene piegata neppure dalla rovina
economica occorsa alla sua famiglia dopo che il padre Francesco reagisce alla
vergogna di una figlia accusata di adulterio con la decisione di isolarsi in casa e di
trascurare l’azienda di famiglia, che fallisce. Alla fine il padre di famiglia muore in
breve tempo, di crepacuore, in conseguenza della ferita morale subita.
Marta a tutto ciò reagisce quasi coraggiosamente: circondata da un ambiente a lei
ostile, l’Ajala riesce a far emergere per contrasto il suo lato eroico, anche grazie alla
presenza al suo fianco di due figure femminili che rappresentano, a differenza sua, lo
stereotipo della donna sottomessa a una società patriarcale dominata dalla figura del
padre-padrone e del marito-padrone, a cui non hanno il coraggio di ribellarsi: queste
sono la madre Agata e la sorella Maria, caratterialmente antitetiche alla protagonista
del romanzo, «prigioniere di un ruolo tradizionale della donna, passivo e rassegnato
[…]»
7
. Il lato coraggioso di Marta viene messo in evidenza anche da un altro
personaggio femminile, un’altra “esclusa” come Marta: Anna Veronica, «un doppio
antitetico»
8
, una donna che era stata a suo tempo condannata ed emarginata
anch’essa dalla società a causa dello stesso errore ma che, al contrario della
protagonista del romanzo, aveva accettato passivamente e con pazienza la colpa che
le era stata attribuita, trovando conforto solo nella fede («[…] levava gli occhi in
alto, e in essi e sulle labbra le ferveva più viva la preghiera nutrita ormai d’amore per
tutti»
9
). Marta non seguirà questo esempio. In lei è troppo forte la voglia di
ricominciare, così come la rabbia e il desiderio di rivalsa verso una società che,
ingiustamente, l’ha resa un’esclusa:
Si era sentita tutta rimescolare, e la rabbia raffrenata s’era irrigidita in lei in un
disprezzo freddo, in quella maschera d’indifferenza dispettosa di fronte
all’afflizione della madre e della sorella, le quali, anziché condannare il padre
per la sua cieca, testarda ingiustizia, si mostravano costernate per lui, per il male
6
Guido Baldi, Pirandello e il romanzo – Scomposizione umoristica e «distrazione», Napoli,
Liguori Editore, 2006, p. 7.
7
Ivi, p. 8.
8
Ibidem.
9
Luigi Pirandello, L’esclusa, in Tutti i romanzi, Milano, Mondadori, 1973, vol. I, p. 42.
6
che certo gliene sarebbe venuto alla salute, come se n’avesse colpa lei. […]
Marta fremeva di sdegno e di rabbia […]
10
.
Il mutamento radicale verso un percorso di emancipazione è rappresentato dalla
decisione della giovane donna di riprendere gli studi, che aveva dovuto abbandonare
a sedici anni in seguito al suo matrimonio con Rocco Pentagora. L’idea di Marta era
infatti quella di intraprendere la carriera dell’insegnamento, «animata
improvvisamente dall’antico fervore […]»
11
, per occuparsi del sostentamento della
madre e della sorella, cadute in totale miseria dopo la morte di Francesco Ajala.
La possibilità per Marta Ajala di intraprendere la professione di insegnante
rappresenta per lei una «rivendicazione del diritto della donna ad accedere alla
cultura e all’attività professionale, che la liberi dalla dipendenza dall’uomo e ne
sancisca la libertà come persona autonoma»
12
.
Il rapporto tra la donna e il lavoro è stato da sempre piuttosto problematico,
soprattutto considerando che «all’inizio del Novecento i tassi di occupazione
femminile erano in calo»
13
e che nel censimento del 1901 soltanto il 31,6 per cento
delle donne lavorava, una percentuale notevolmente inferiore a quella riferita
all’anno 1881, pari al 40 per cento. Mentre diversi erano gli impieghi che all’epoca
erano pregiudizialmente preclusi al genere femminile, come ad esempio la carriera
dell’avvocatura, ne spicca uno che al contrario rappresentava l’unica professione
femminile di massa, l’insegnamento:
l’insegnamento era una professione accettabile per le donne perché non era in
netto contrasto con l’idea del loro destino domestico, dal momento che
riguardava l’educazione dei giovani, […] un nuovo tipo di figura femminile, più
moderna, soprattutto per le donne che vivevano lontano dalla famiglia e dai
genitori
14
.
Marta Ajala ha dalla sua parte una grande forza di volontà che la spinge a
raggiungere l’obiettivo del titolo di studio, vissuto da lei come una sfida nei confronti
dei pregiudizi, non solo verso l’altezzoso disprezzo che le sue vecchie compagne di
10
Ivi, pp. 36-37.
11
Ivi, p. 62.
12
Ivi, p. 9.
13
Perry Willson, Italiane. Biografia del Novecento, Laterza, Bari, 2011, p. 27.
14
Ivi, p. 38.
7
scuola le avevano in passato dimostrato, ma in generale nei confronti dell’intera
comunità paesana, colpevole di averla resa un’esclusa all’interno della società.
L’impulso di Marta alla lotta è molto forte, ma questa sua tenacia non riesce a
impedire alla giovane di essere vittima di un’altra esclusione, proprio dal posto di
insegnante che aveva conseguito con pieno merito. Per farle riottenere l’impiego
perduto risulta decisivo l’intervento del suo ammiratore, l’ormai deputato Gregorio
Alvignani, come sarà ugualmente decisivo lo stesso Alvignani per quanto riguarda il
trasferimento della protagonista a Palermo.
Ci troviamo, a questo punto, nella seconda parte del romanzo; l’ambientazione
cambia e Pirandello sceglie di spostarla dal piccolo paese di provincia alla città
siciliana: qui avviene una svolta positiva per Marta e che sembra darle conforto da
tutte le ingiustizie finora subite. Il nuovo ambiente di lavoro infatti le trasmette
serenità e gratificazione, soprattutto grazie all’affetto dei colleghi e delle allieve
(«[…] appena entrata nel Collegio, si rinfrancava»
15
). Insomma per lei sembra
profilarsi la rinascita a una vita nuova: il lavoro a Palermo ha dato a Marta la
possibilità di mantenere la madre e la sorella e questa può essere considerata come
un’occasione, per lei, di rivincita morale verso il padre che le aveva inflitto
un’ingiusta condanna. In realtà Palermo rappresenta per la protagonista un ricordo
lontano, che la riconduce proprio al padre, il quale l’aveva portata in quei luoghi
molti anni prima: «Per caso, alzando gli occhi, aveva scorto un cartello con
l’appiggionasi giusto lì, al portoncino sull’imboccatura del vicolo e avevano preso a
pigione quella casa per memoria del padre, quasi perché il padre stesso ve le aveva
condotte»
16
. Lì infatti Francesco Ajala aveva combattuto, proprio il giorno in cui
Garibaldi fece il suo ingresso a Palermo, nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1860: «Si
era voltato, e aveva veduto Lui, Garibaldi, tutto impolverato, calmo, con le ciglia
aggrottate, il quale, scostandolo, si era esposto, senza nemmeno pensarci, al posto
che aveva stimato pericoloso per un semplice volontario»
17
. Il conflitto con la figura
paterna si può dire sia uno dei temi cardine de L’esclusa, e in Marta è
particolarmente evidente, nel suo «spirito di lottatrice insofferente di ogni ingiustizia
[che] non si è mai sopito in lei […] e si determina quasi un processo di
15
Luigi Pirandello, L’esclusa, in Tutti i romanzi, Milano, Mondadori, 1973, vol. I, p. 120.
16
Ivi, p. 109.
17
Ivi, p.109-110.
8
identificazione che la porta a sostituirsi al padre, vendicando così e cancellando
l’ingiusta condanna subita da parte sua»
18
.
In verità ciò che fa patire la protagonista è il fatto di essere esclusa dalla vita («lei
sola era l’esclusa, lei sola non avrebbe più ritrovato il suo posto […]»
19
).
Un’esclusione, quella della protagonista del primo romanzo di Pirandello, che rivela
quanto Marta Ajala sia ancora “lontana” dagli altri protagonisti delle opere più
mature dello scrittore agrigentino. Personaggi che, nella loro condizione di estraniati
dalla realtà esterna, trasformano la loro esclusione in un privilegio, una possibilità di
uscire dalla realtà che li circonda per poterla contemplare da notevole distanza. Non è
dunque ancora presente in Marta, o lo è solo in forma embrionale, la fisionomia che
contraddistingue il tipico personaggio pirandelliano, dalla personalità scissa,
incoerente e plurale, quella che verrà teorizzata da Pirandello nel saggio pubblicato
nel 1908, L’umorismo, e che fa la sua timida comparsa solo in alcuni passaggi della
redazione dell’Esclusa del 1908:
Non si sentiva forse ciascuno guizzar dentro, spesso pensieri strani, quasi lampi
di follia, pensieri inconseguenti, inconfessabili, come sorti da un’anima diversa
da quella che normalmente ci riconosciamo?
20
.
Da queste parole è difficile capire se esse siano parte della riflessione del narratore o
del personaggio, Marta, e se quest’ultima sia cosciente della propria “pluralità
interiore”. Resta però il fatto che la protagonista, nonostante il suo atteggiamento di
distacco umoristico dalla realtà, sente un bisogno insopprimibile di tuffarsi nella
corrente della vita di relazione, di goderne le gratificazioni e di soddisfare i bisogni
legati all'istinto; un bisogno che si intreccia con l’insoddisfazione sentimentale e
sessuale che porta Marta anche a disinteressarsi completamente della cura di sé e
della propria bellezza, la quale suscita invece l’ammirazione dei passanti. C’è però
nella Ajala un conflitto interiore che, da una parte, la porta a trascurare il proprio
aspetto, mentre dall’altra genera in lei un compiacimento segreto della propria
avvenenza (il gesto di rimirarsi di frequente allo specchio ne è una prova), che
risponde al bisogno connaturato di piacere agli altri e di soddisfare il desiderio.
18
Guido Baldi, Pirandello e il romanzo – Scomposizione umoristica e «distrazione», Liguori
Editore,
Napoli, 2006, p. 10.
19
Luigi Pirandello, Tutti i romanzi, a cura di Giovanni Macchia, Mondadori, Milano, 1973, vol.
I, p. 118.
20
Ivi, p. 33.