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Introduzione
La Parentela come fatto sociale
Per affrontare un discorso sulla paternità è opportuno guardare innanzitutto
alle strutture di parentela che inevitabilmente incontreremo all’interno della
trattazione. S’intende per parentela il rapporto che si instaura fra individui
vincolati da un legame. Tali legami sono riducibili a tre relazioni primarie:
filiazione, consanguineità e affinità.
Per filiazione si intende la relazione esistente tra un genitore e suo figlio.
La consanguineità si distingue, invece, in diretta ossia quella tra persone con una
discendenza appunto diretta e collaterale ovvero tra persone che discendono da
antenati comuni come, per esempio, i cugini.
I rapporti di affinità invece sono basati sul matrimonio, cioè su
un’istituzione sociale, e possono cambiare secondo le regole e i costumi presenti
in una determinata cultura.
A queste relazioni Lévi-Strauss aggiunge la relazione avuncolare ossia
quella tra zio e nipote. Questa relazione presuppone le altre tre, infatti,
nell’insieme esse costituiscono ciò che Lévi-Strauss ha definito atomo di
parentela.
Le figure del Padre. Il ruolo e la funzione paterna.
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Nell’atomo di parentela si trovano gli elementi fondamentali di qualsiasi
sistema di parentela.1
La parentela è, quindi, soprattutto un legame giuridico e un codice morale,
poiché la società attribuisce alle rappresentazioni mentali concernenti il sistema e
i vincoli di parentela un potere coercitivo e normativo.
Per riuscire però a comprendere il funzionamento dei sistemi di parentela è
opportuno tener presenti tutti i diversi fenomeni implicati: la discendenza,
l’alleanza tra i gruppi, la terminologia, la residenza, gli atteggiamenti, l’eredità e
l’autorità.
Per discendenza si intende l’insieme delle regole che definiscono l’identità
sociale di un nuovo nato relativamente ai suoi ascendenti, e che determinano la
gerarchia dei membri della famiglia, le norme dell’eredità, la trasmissione dei
compiti e delle funzioni e la ripartizione dell’autorità.
Possiamo trovare sia casi di discendenza indifferenziata, detta anche
cognatica o bilaterale, sia di tipo unilaterale. Nel primo caso si tiene conto della
parentela su entrambi i lati e in cui vi sono gli stessi diritti e gli stessi doveri nei
confronti dei parenti del padre e di quelli della madre. In molte società domina
invece il tipo di discendenza unilineare. Se i diritti sociali sono trasmessi
attraverso i parenti paterni, vale a dire in linea agnatica, la società è definita
patrilineare. I bambini appartengono al lignaggio del padre e non a quello della
madre, e soltanto i bambini maschi trasmetteranno l’appartenenza a tale lignaggio.
Quando invece la discendenza è trasmessa attraverso la madre, linea uterina, la
società è detta matrilineare. In quest’ultimo caso il potere e il controllo sociale
appartengono comunque agli uomini, e saranno esercitati dallo zio materno sui
figli di sua sorella. Il padre tenderà però di estendere comunque la propria autorità
sui figli soprattutto se questi, pur appartenendo al lignaggio della moglie, vivono
con lui fino alla pubertà.
L’applicazione delle regole di discendenza unilineare porta alla
formazione di gruppi selettivi rispetto al reclutamento dei propri membri, in cui
gli individui sono legati da una parentela comune da uno stesso antenato.
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C. Lévi-Strauss in C. Rivière, Introduzione all’antropologia, il Mulino, Bologna, 1998
La parentela come fatto sociale
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Il clan è un gruppo di discendenza unilineare (patriclan o matriclan)
formato da un certo numero di famiglie. Comprende un certo numero di lignaggi
esogami, vale a dire nei quali il matrimonio è contratto fuori del lignaggio, e
sottogruppi di discendenza organizzati unilinearmente, che hanno attività in
comune. Tali raggruppamenti hanno una profondità genealogica che si estende
generalmente dalle due alle sei generazioni, e sono collegati a un antenato mitico
di cui conservano il ricordo.
La discendenza unilineare obbedisce a due principi: innanzitutto
l’appartenenza al clan è trasmessa da un solo sesso e i figli appartengono al clan
del genitore che trasmette l’appartenenza. Una conseguenza di questa regola è
l’attribuzione dei cugini incrociati, i figli di fratelli di sesso opposto, e dei cugini
paralleli, figli di fratelli dello stesso sesso, a gruppi di discendenza differenti. Tale
distinzione è fondamentale per quanto riguarda le strategie matrimoniali, e quindi
le alleanze tra gruppi, in quanto, per la regola dell’esogamia, di norma i cugini
incrociati sono dei possibili partner matrimoniali, mentre l’unione con i cugini
paralleli è proibita.
Un gruppo di parentela presuppone criteri di appartenenza, norme e valori
comuni. Ma l’importanza accordata ai gruppi di parentela nell’ambito
dell’organizzazione sociale varia a seconda dei luoghi. È possibile distinguere, ad
esempio, tra l’affiliazione chiusa e circoscritta delle società africane e
quell’aperta, caratterizzata dalla scelta riguardo all’appartenenza, tipica delle
società melanesiane. I sistemi familiari estesi si differenziano inoltre in base alla
regola di residenza. La regola universale della coabitazione dei coniugi comporta,
infatti, nel momento del matrimonio, un mutamento di residenza di almeno uno
degli sposi.
Possiamo parlare di patrilocalità quando la coppia risiede nell’abitazione
dei genitori del marito o di virilocalità quando risiede in un’abitazione vicina a
quella dei suoi genitori. In modo analogo possiamo parlare sia di matrilocalità sia
di uxorilocalità quando si tratta dei genitori materni2.
Inoltre la coppia può vivere presso i genitori dell’uno o dell’altro coniuge
configurando cosi un ambilocalità. La scelta può essere dettata dalla ricchezza e
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Occorre tenere presente che spesso i termini patrilocale e virilocale sono impiegati come
sinonimi, e lo stesso avviene con i termini matrilocale e uxorilocale.
Le figure del Padre. Il ruolo e la funzione paterna.
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dallo status sociale delle rispettive famiglie o da semplici preferenze personali.
Quando invece la coppia risiede a periodi alterni presso il gruppo parentale del
marito e presso quello della moglie parliamo di residenza bilocale o alternata.
Con la neolocalità invece una coppia elegge il proprio domicilio nel luogo
che desidera o semplicemente diverso da quello in cui ciascuno dei coniugi viveva
prima del matrimonio; questo è il modello residenziale della nostra società.
Infine una coppia può recarsi presso lo zio materno del marito
configurando cosi un’avuncolocalità. In quest’ultimo caso e nel modello di
residenza matrilocale a vivere insieme sono i parenti in linea femminile e le loro
famiglie.
I nuclei familiari possono presentarsi in forme assai differenti. La famiglia
nucleare, ristretta o coniugale, ad esempio, comprende una coppia sposata e i figli
non adulti, benché a volte possano esservi anche altre persone che risiedono nella
medesima abitazione.
La famiglia estesa, invece, è costituita da più famiglie nucleari. Ad
esempio una famiglia patrilocale comprende un uomo anziano, sua moglie, i suoi
figli celibi, le mogli e i figli di questi. Ovviamente nei casi in cui sono permesse
famiglie poligamiche è facile immaginare che queste siano ulteriormente estese.
È opportuno infine distinguere la famiglia di riferimento, quella in cui un
soggetto nasce e della sua infanzia, dalla famiglia di procreazione che è fondata
con il matrimonio. In quest’ultima organizzazione familiare esistono sia legami di
consanguineità, sia legami di affinità.
L’alleanza matrimoniale lega quindi due individui di sesso differente in
conformità a diritti e doveri reciproci che variano da cultura a cultura. Lévi-
Strauss considera quest’alleanza matrimoniale il fenomeno capitale della
costituzione delle strutture di parentela. L’alleanza opera, in effetti, un
rimaneggiamento della struttura sociale legittimata dalla consuetudine. Essa
condiziona, infatti, il processo di discendenza, di residenza, di assegnazione dei
nomi, di eredità, di atteggiamenti, e permette la procreazione legittima all’interno
della coppia.3
3
C. Lévi-Strauss in C. Rivière
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Capitolo 1
Gli indigeni delle isole Trobriand: padri
inconsapevoli
1.1 Divisione dei compiti e del potere nella società
Trobiandese
Nel suo libro “La vita sessuale dei selvaggi nella Melanesia nord-
occidentale”, Bronislaw Malinowski1 descrive gli indigeni che abitano le isole
Trobriand, un arcipelago corallino situato a nord-est della Nuova Guinea.
Il fattore più importante del sistema giuridico di questo popolo era
costituito dall’idea che la generazione di nuovi individui fosse affidata
esclusivamente alle donne e che l’uomo non contribuisse in nessun modo alla sua
formazione. Le loro opinioni sul processo di procreazione, accompagnate dalle
credenze animistiche e mitologiche, affermavano senza nessun dubbio o riserva
che il bambino era fatto della stessa sostanza della madre e che tra padre e figlio
non esisteva nessun legame biologico. Scriveva, infatti, così Malinowski:
Che sia solo la madre a dare tutto alla creatura che sta per mettere al mondo è cosa
ovvia per gli indigeni, ed essi la sostengono con molta convinzione. […] “La madre
nutre il bambino nel suo corpo. Poi, quando il bambino esce, lo nutre con il suo
latte.” “La madre crea il bambino con il suo sangue.” “I fratelli e le sorelle sono
della stessa carne perché vengono dalla stessa madre”.2
La loro società era quindi di tipo matrilineare: la discendenza, la parentela
e qualsiasi altra relazione sociale era considerata, da un punto di vista legale, solo
1
Raffaello Cortina editore, Milano 2005
2
B. Molinowski, 2005 pag. 37
Le figure del Padre. Il ruolo e la funzione paterna.
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esclusivamente per via materna. Nella vita tribale le donne svolgevano ruoli di
assoluto rilievo ed erano in primo piano nelle attività politiche, economiche e
cerimoniali. La vera tutela della famiglia, però, non spettava alla madre bensì a
suo fratello.
Volendo riassumere in un unico concetto si potrebbe affermare che il
potere e le funzioni di una famiglia erano conferite agli uomini anche se trasmessi
dalle donne.
Tale dogma sociale trovava la sua massima espressione in tutte le regole
che riguardavano la trasmissione della parentela. La posizione sociale era, infatti,
tramandata per via materna da un uomo ai figli della sorella. Le regole sulla
discendenza matrilineare avevano, inoltre, grande influenza nelle restrizioni e nei
regolamenti del matrimonio, come pure nei tabù che riguardavano i rapporti
sessuali.
Il funzionamento di queste idee si rendeva evidente, in modo particolare,
nelle manifestazioni di lutto. Le regole sociali di un funerale, della lamentazione e
del lutto erano, infatti, basate sullo stesso principio di matrilinearità. Le persone
unite da un legame di parentela materna formavano un gruppo strettamente
omogeneo, tenuto insieme dalla comunanza di sentimenti, di interessi e di carne e
solo loro avevano il diritto di compiangere il defunto. Da questo gruppo erano
severamente esclusi persino coloro che vi erano collegati per matrimonio o per un
rapporto di padre-figlio, come se, naturalmente, non avessero alcuna parte al lutto.
Infatti, la società era costituita da tre stratificazioni ben distinte. La prima
era formata dal capo e dai suoi parenti materni, i Tabalu, i quali consideravano il
villaggio come proprio e si ritenevano proprietari del suolo con tutti i privilegi che
ciò comportava. La seconda era formata dai membri comuni della tribù, a loro
volta divisi in due gruppi: quelli che rivendicavano i diritti alla cittadinanza per
ragioni mitologiche e gli stranieri che facevano parte degli ereditieri del capo e
vivevano nel villaggio con questo diritto e con questo titolo. La terza parte era
formata dalle mogli del capo e dai loro figli.
Gli indigeni avevano un’istituzione matrimoniale molto solida di tipo
patrilocale, nonostante ignorassero nel modo più assoluto l’importanza dell’uomo
nel concepimento dei bambini.
Gli indigeni delle isole Trobriand: padri inconsapevoli
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I loro matrimoni erano organizzati in modo semplice, senza scalpore né
cerimonie e senza un’inutile perdita di tempo e di sostanze. Il vincolo coniugale,
una volta stretto, era definitivo ed esclusivo, almeno questo era l’ideale della
legge, della morale e del costume tribale.
Scavando sotto la superficie di questa istituzione ne possiamo però
scoprire gli aspetti più profondi. Innanzitutto il matrimonio imponeva un
continuo obbligo economico ai membri della famiglia della moglie, perché essi
dovevano contribuire al mantenimento della nuova famiglia. L’uomo riceveva una
dote. Per i trobriandesi questo fatto faceva del matrimonio il perno della
costituzione del potere e di tutto il sistema economico e, invero, il matrimonio era
il perno di quasi tutte le istituzioni.
L’obbligo di un notevole tributo annuale di cibo che la famiglia della mo-
glie regalava al marito era forse il fattore più importante di tutto il meccanismo
sociale delle isole Trobriand. Su di esso, e attraverso l’istituzione del rango e il
privilegio della poligamia, poggiavano l’autorità del capo e il suo potere di
finanziare tutte le imprese e le festività cerimoniali.
Un uomo quindi, specialmente se di un rango importante, doveva per forza
sposarsi, perché, a parte il rafforzamento della sua situazione economica dovuto al
reddito che riceveva dalla famiglia della moglie, otteneva il suo inquadramento
sociale soltanto se entrava a far parte del gruppo degli uomini sposati. Inoltre i
servizi che una donna rendeva al marito erano evidentemente piacevoli per un
uomo di quell’età; la sua brama di avere una vita familiare si era sviluppata,
mentre il suo desiderio di cambiamenti e di avventure amorose si era già
abbondantemente appagato in gioventù. Inoltre, una famiglia significava bambini,
e qualsiasi uomo trobriandese ne desiderava.
Queste sono le ragioni sociali, economiche, pratiche e sentimentali che
spingevano un uomo al matrimonio. In ultima, ma non meno importante, la
volontà di legare con un vincolo permanente convalidato dalla legge tribale la
donna cui era legato sentimentalmente e sessualmente.
La donna invece, che non aveva nessuna ragione economica per sposarsi, e
che si trovava a guadagnare meno per quanto riguarda il conforto e la si-
Le figure del Padre. Il ruolo e la funzione paterna.
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stemazione sociale rispetto all’uomo, era spinta verso il matrimonio dall’affetto
personale e dal desiderio di avere bambini.
In quest’ambiente il termine padre assumeva per i trobriandesi una
definizione chiara anche se esclusivamente sociale: essa definiva l’uomo sposato
con la madre, che abitava nella sua stessa casa e che faceva parte del nucleo
domestico. La vita di un trobriandese subiva così un doppio influsso, da un lato
l’amore paterno dall’altro il principio matrilineare. Questo dualismo produceva
spesso strane complicazioni nelle usanze: creava frequenti tensioni e difficoltà e,
non di rado, era causa di rotture violente nella comunità.
Secondo le leggi che regolavano il matrimonio le mogli del capo, o di
qualsiasi uomo, dovevano vivere nel villaggio del marito tenendo con sé i bambini
più piccoli. Una volta cresciuti, però, non potevano rimanere nel villaggio ed
erano costretti a vivere nel villaggio del loro Kada ovvero del fratello della madre.
Da un punto di vista sociale il proprio villaggio d’appartenenza veniva, infatti,
considerato quello della propria famiglia materna, e quindi dello zio, e non quello
in cui si nasceva.
Se il padre, però, aveva una certa influenza sociale come nel caso di un
capo poteva revocare tale legge. Il capo, come ogni padre tipico delle Trobriand,
era, infatti, fortemente attaccato ai propri bambini e, per ovvie ragioni, molto
meno ai suoi parenti materni, in altre parole i figli della sorella.
Cercava, quindi, di concedere ai suoi figli tutti i privilegi e benefici
possibili. Questo stato di cose, ovviamente, non era molto apprezzato dai
successori legittimi del capo che bramavano l’eredità. Questi potevano però
esiliare i figli del capo pronunciando alcune frasi rituali che avevano un forte
potere vincolante e quasi una forza magica e, per questo motivo, erano raramente
pronunciate sul serio. Un uomo che tentasse di sfidare il terribile insulto che esse
contenevano sarebbe stato per sempre disonorato. Per un abitante delle isole
Trobriand, infatti, era inimmaginabile qualsiasi azione che non fosse di immediata
obbedienza alla richiesta rituale.
Un concetto molto sentito tra gli abitanti delle isole Trobriand era quello di
rango con la quale s’intende un’intrinseca superiorità sociale di certe persone, cui
si aveva diritto solo per nascita.