materia di programmazione e di investimenti, materia
tradizionalmente di competenza statale.
1
INTRODUZIONE
1.1 Il quadro normativo precedente alla
riforma.
Il trasporto pubblico locale è stato quasi sempre
considerato come uno strumento residuale per rispondere ad
esigenze di mobilità non diversamente realizzabili.
In questo settore non vi era azienda che non chiudesse il
proprio bilancio in deficit e ciò era inevitabile a causa soprattutto
della fissazione di tariffe troppo distanti dai costi – al
consumatore del servizio veniva accollata solamente una parte
del costo di produzione - e della conseguente scarsa efficienza
gestionale.
Le competenze normative, amministrative e gestionali
sono state di conseguenza suddivise in capo a molti soggetti
pubblici e privati (Stato, Regioni, Province, Comuni, aziende
pubbliche, concessionari privati), rendendo impossibile una reale
e diffusa integrazione di reti, modalità, orari e tariffe e dunque un
miglioramento dei livelli di servizio che, anzi, risultavano
compromessi da precarie forme organizzative causa di
inefficienze, sovraccosti e duplicazioni.
1
A fronte di tale situazione, il Legislatore aveva cercato di
avviare un processo di riorganizzazione del settore e di
contenimento della spesa pubblica con le norme contenute nella
legge 10 aprile 1981 n.151 che recava il titolo ambizioso di
Legge quadro per l’ordinamento, la ristrutturazione e il
potenziamento dei trasporti pubblici locali. Istituzione del Fondo
nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio e per gli
investimenti nel settore. Con tale legge si definisce un preciso
ruolo delle regioni nella programmazione dei trasporti.
2
La
principale caratteristica di tale testo normativo era rappresentata
dall’assunzione di una parte degli oneri finanziari delle aziende
di trasporto pubblico locale a carico del bilancio dello Stato,
previa la costituzione di un Fondo nazionale per il ripiano dei
disavanzi (FNT), i cui stanziamenti determinati annualmente in
sede di Legge finanziaria, venivano ripartiti fra le Regioni e da
queste erogate alle aziende stesse.
La legge n.151/1981, tuttavia, non ha generato gli esiti
sperati perché, se è vero che essa si proponeva di valorizzare il
ruolo e le competenze delle Regioni nella regolamentazione dei
1
ISFORT, 1999, “Il trasporto pubblico locale oltre la crisi”, Roma, Gangemi Editore, p.
263, tomo I.
2
Ministero dei trasporti e della navigazione, “30 anni di trasporti in Italia”, Istituto
Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1996, p. 23.
I.S.T.I.E.E., “Scritti per il XXX, annuale dell’istituto per lo studio dei trasporti
nell’integrazione economica europea”, Trieste 1989, pp. 262-278.
servizi di trasporto pubblico locale, superando altresì il
meccanismo di finanziamento a piè di lista, è altrettanto vero che
tale legge presentava gravi carenze.
Innanzitutto era previsto che in sede di prima
applicazione il trasferimento delle risorse alle singole regioni
avvenisse in base alla spesa effettivamente erogata nell’anno
precedente, secondo il c.d. criterio della “spesa storica”, criterio
di finanziamento sicuramente poco rispondente ad esigenze di
efficienza.
Inoltre l’applicazione della legge 151 avrebbe dovuto
produrre progressivamente una riduzione dei disavanzi nel
settore dei trasporti pubblici locali attraverso l’aumento annuale
della percentuale dei ricavi rispetto ai costi delle relative gestioni.
Mentre nel corso del tempo tale rapporto (ricavi/costi) è andato
aumentando, gli Enti, non riuscendo a rispettare la percentuale
stabilita dalla legge, erano costretti a ricorrere a mutui che con
leggi successive lo Stato ha provveduto a coprire. Dunque, non
era stato possibile raggiungere l’obiettivo del ripiano dei deficit
di bilancio.
Complessivamente la legge 151 ha avuto molte difficoltà
di applicazione, soprattutto a causa dell’impostazione di fondo
del provvedimento che considerava di poter produrre risultati
significativi usando unicamente la leva amministrativa e
finanziaria, senza alcun intervento sul piano organizzativo.
Con la Legge finanziaria per il 1993 n.500/1992 venne
modificato il criterio della “spesa storica”. Il comma 1 dell’art.3
di tale legge ha previsto che il FNT confluisse nel Fondo comune
regionale di cui alla legge n. 281/1970, art.8. In sede di prima
applicazione della nuova disciplina, la legge n. 500/1992 ha
disposto che la determinazione delle quote del Fondo di
competenza regionale fosse effettuata sulla scorta di criteri e
modalità stabiliti con decreto del Ministro dei trasporti, di
concerto con il Ministro del tesoro, sentita la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni e le Province
autonome.
Tale procedura è stata confermata dalle Leggi finanziarie
del 1994 e 1995. Tuttavia, si rese necessaria nel tempo una serie
di provvedimenti legislativi diretti a ripianare i disavanzi di
gestione con oneri a carico del bilancio dello Stato.
Gli insufficienti risultati ottenuti dai vari interventi
legislativi hanno evidenziato l’opportunità di un nuovo intervento
legislativo di complessivo riassetto di settore, anche al fine di
consentire un risanamento.
3
Pertanto, con l’articolo 2, comma 46, lettera h), della
legge 28 dicembre 1995 n.549, recante Misure per il
razionalizzazione della finanza pubblica, il Governo veniva
delegato ad emanare uno o più decreti legislativi aventi ad
3
ISFORT, 1999, “Il trasporto locale oltre la crisi”, Roma, Gangemi Editore, pp. 263-265,
tomo I.
oggetto la delega alle Regioni delle funzioni in materia di
trasporti di interesse regionale o locale, indipendentemente dalla
modalità di svolgimento, inclusi i servizi ferroviari in regime di
concessione o di gestione commissariale governativa ed i servizi
locali assicurati dalle Ferrovie dello Stato S.p.A..
4
La delega
delle funzioni doveva garantire la necessaria autonomia
finanziaria (regionale) ed il risanamento economico del settore.
I principi e i criteri direttivi ai quali il Governo si doveva
attenere nell’esercizio della delega erano indicati nel comma 51
dell’articolo 2. In breve si doveva assicurare:
- la separazione dei compiti di amministrazione e
programmazione (propri delle Regioni) da quelle di gestione
dei servizi (affidati in concessione e regolati da appositi
contratti di servizio);
- la copertura dei costi a carico dei bilanci regionali (per i
servizi minimi previsti dal contratto dei servizio) e dagli Enti
locali (per i servizi ulteriori);
- l’istituzione, in ambito regionale e locale, di appositi
organismi di pianificazione e gestione dei contratti di servizio
pubblico;
- un graduale aumento del rapporto tra proventi e costi del
servizio.
4
Ministero dei Trasporti e della Navigazione, “30 anni di trasporti in Italia”, Istituto
Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1996, p. 27.
La legge n. 549 del 1995 ha quindi radicalmente
modificato anche i meccanismi di finanziamento del trasporto
pubblico locale, nel rispetto del principio generale della
responsabilità finanziaria diretta di chi programma il servizio,
con il conseguente passaggio dalla “finanza derivata”, alla
“finanza propria”.
In particolare, l’articolo 3, comma 1, ha disposto la
cessazione, a decorrere dal 1996, di una serie di trasferimenti alle
Regioni, tra i quali quelli provenienti dal Fondo Nazionale
Trasporti (confluito nel Fondo comune regionale in base al
decreto legge 19 dicembre 1995 n.485); tali trasferimenti sono
stati sostituiti dall’attribuzione alle Regioni nel cui territorio
avviene il consumo, a titolo di tributo proprio, di una quota
dell’accisa sulla benzina per autotrazione. Per assicurare un
livello di finanziamento pari a quelli dei trasferimenti soppressi,
è stato istituito un Fondo perequativo che corrisponde alle
singole Regioni, a decorrere dal 1997, un importo equivalente
alla differenza tra il gettito realizzato nel 1996 e l’ammontare di
detti trasferimenti. Nel 1996, ad eventuali difficoltà di cassa, le
Regioni avrebbero potuto far fronte attraverso anticipazioni
straordinarie concesse dal Ministero del Tesoro.
Infine, l’ultimo periodo del comma 9 ha stabilito che, nel
1996, le Regioni avessero l’obbligo di destinare al settore
pubblico locale risorse di ammontare non inferiore alla quota del
Fondo Nazionale Trasporti a ciascuna di loro assegnata nel 1995.
In conclusione si può osservare come nel corso del tempo
si siano succeduti numerosi provvedimenti caratterizzati da
grande episodicità e frammentarietà, dettati spesso da esigenze
emergenziali, senza il supporto di una logica organica di
programmazione e di integrazione dei vari sistemi di trasporto.
Questi sistemi di trasporto a volte non erano nemmeno dotati di
adeguate risorse finanziarie, di efficaci sistemi di controllo e di
responsabilizzazione dei soggetti istituzionali e gestionali
coinvolti a vario titolo nelle fasi di attuazione. Era pertanto
necessario un intervento legislativo di più ampio respiro che
portasse a significativi miglioramenti di carattere generale.
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5
ISFORT, 1999, “Il trasporto locale oltre la crisi”, Roma, Gangemi Editore, pp. 265-267.
2
LA LEGISLAZIONE VIGENTE
2.1 Situazione delle gestioni commissariali prima
dell’affidamento a FS.
2.1.1 Nozione e caratteristiche delle gestioni
commissariali.
Nel nostro ordinamento giuridico l’esercizio delle
ferrovie istituzionalmente affidate alle Ferrovie dello Stato
(prima azienda autonoma nell’ambito del ministero dei trasporti,
poi Ente FS ed, infine, FS S.p.A.), ha avuto come alternativa
l’esercizio in regime di concessione, ossia l’esercizio da parte di
enti, privati o pubblici, su delega (concessione) dello Stato.
La legge 7 luglio 1907, n. 429 recante l’ordinamento
dell’esercizio di Stato delle ferrovie non concesse all’industria
privata recita:
“Lo Stato esercita direttamente, per mezzo di
un’amministrazione autonoma, le Ferrovie da esso costituite o
riscattate o quelle concesse all’industria privata che, per effetto
di leggi precedenti, esso deve esercitare o di cui venga a scadere
la concessione (art.1). L’assunzione dell’esercizio di altre
ferrovie da parte dello Stato, che avvenga per decadenza di una
concessione o di una convenzione di esercizio a termini di legge
o di contratto, è autorizzata con decreto reale (art.2).
Nel caso di cessazione del rapporto concessionale, ove lo
Stato non avesse voluto disarmare la ferrovia, avrebbe dovuto
esercitarla attraverso l’Azienda Autonoma delle FS.
Nel tempo, tuttavia, è sorta una terza forma d’esercizio
che, prevista da talune norme come eccezionale e provvisoria, ha
acquisito, per il concorso di varie circostanze, carattere di
stabilità, se non di definitività: l’esercizio in gestione
commissariale governativa. L’art. 184 del Testo Unico delle
disposizioni di legge per le ferrovie concesse all’industria
privata, approvato con, R.D. 9 maggio 1912, n. 1447, nel testo
modificato dall’art.1 del R.D.L. 4 giugno 1936, n.1336, recita:
“Qualora l’esercizio di una ferrovia pubblica venga
interrotto sulla totalità o su parte del percorso senza che il
concessionario provveda immediatamente a ripristinarlo, o se
l’esercizio medesimo venga eseguito con gravi e ripetute
irregolarità, il Ministero delle Comunicazioni prefigge un
termine perentorio al concessionario per il ristabilimento
regolare del servizio. Scaduto tale termine, il concessionario che
non abbia adempiuto all’ingiunzione, senza che – a giudizio
insindacabile dell’Amministrazione – risulti dimostrata
l’esistenza di impedimenti dovuti a cause di forza maggiore o
comunque indipendenti dal fatto proprio, decade dalla
concessione e vengono applicate le disposizioni vigenti in
materia.
Anche in pendenza del termine anzidetto il Ministero
delle Comunicazioni potrà prendere d’ufficio, a spese e rischio
del concessionario, le misure necessarie per il ripristino e la
continuazione del servizio assumendone eventualmente anche la
gestione.
In ogni caso la gestione governativa può essere effettuata
fino a quando le condizioni per la riconsegna della linea al
concessionario, o, quando questo sia stato dichiarato decaduto,
per la consegna ad altro Ente, siano tali da assicurare – a
giudizio esclusivo dell’Amministrazione – la regolarità e
continuità del servizio”.
A sua volta, il D.L.C. 10 luglio 1947, n. 787 ha previsto
l’assunzione in esercizio, anche temporaneamente, dallo Stato, o
con gestione diretta governativa o a mezzo dell’Amministrazione
delle FS, della ferrovia concessa all’industria privata per la quale
sia stata dichiarata la decadenza del concessionario o per
inadempienza agli obblighi assunti nel contratto di mutuo di cui
alla legge stessa, ovvero per qualsiasi altra causa (art.7).
1
Infine, l’art. 18 della legge 2 agosto 1952, n. 1221,
recante provvedimenti per l'esercizio e il potenziamento di
1
“Le Gestioni Commissariali in affidamento triennale alla FS S.p.A..”, C.A.F.I. Editore,
Febbraio 1998, pp. 1-5.
ferrovie o di altre linee di trasporto in regime di concessione,
recita:
“Nel caso di normale scadenza di una concessione, senza
che ne sia stata resa possibile la tempestiva rinnovazione, durante
il periodo intercedente tra la cessazione della precedente
concessione e l’assunzione dell’esercizio da parte di nuovo
concessionario, il Ministero dei trasporti è autorizzato a gestire
direttamente il pubblico servizio per la durata massima di un
anno, salvo proroga da concedersi per giustificati motivi per altri
due anni, con decreto del Presidente della Repubblica da
promuoversi d’intesa tra il Ministero per i trasporti e quello per il
tesoro”.
2
Ai sensi del citato art.184 T.U. 9 maggio 1912, n. 1447
vennero istituite le seguenti gestioni commissariali:
- Gestione per le Ferrovie padane: D.M. del 1933, in
pendenza della decadenza del concessionario, dichiarata con R.D.
nello stesso anno.
- Gestione per la Ferrovia Circumetnea: D.M. del 1947.
- Gestione per la ferrovia Genova-Casella: D.M. del
1949, in pendenza della decadenza del concessionario, dichiarata
con D.P.R. del 1954, n. 218.
- Gestione per la Ferrovia Penne-Pescara: D.M. del
1935.
2
Ferrovie dello Stato S.p.A., “Il trasporto locale”, normativa di riferimento, ottobre 1993,
Divisione Formazione Trasporti e Servizi, sezione “Leggi statali in materia di trasporti”.
- Gestione per la Ferrovia Torino-Ceres: D.M. del 1967.
- Gestione per la Ferrovia Benevento-Napoli via Valle
Caudina: D.M. del 1971.
- Gestione della Strade Ferrate Sarde e delle Ferrovie
complementari: D.D.M.M. del 1971.
Ad eccezione della Torino-Ceres ( concessa, dopo quasi
un ventennio di gestione commissariale, alla S.A.T.T.I., società
di proprietà azionaria del Comune di Torino già concessionaria
della ferrovia Settimo Torinese-Rivarolo) nessun’altra delle linee
suindicate poté essere riconcessa all’industria privata per
mancanza di aspiranti alla concessione, ovvero inserita nella rete
FS, sia per l’indisponibilità dell’Azienda ad acquisire esercizi
fortemente passivi, sia per obiettive difficoltà tecniche (diversità
di scartamento, di sistema di trazione, ecc.). Nell’impossibilità
pertanto, di sopprimere il servizio, ancora rispondente alle
necessità di traffico locale, si è continuato l’esercizio in regime di
gestione commissariale.
Venne istituita con D.M. 645/80 la Gestione della
Ferrovia Adriatico-Sangritana.
Altre gestioni commissariali, infine, vennero direttamente
istituite con legge, contestualmente all’estromissione del
concessionario :
- Gestione delle Ferrovie Meridionali Sarde ( legge 11
dicembre 1954 n. 1178 );
- Gestione delle Ferrovie Calabro-Lucane (legge 23
dicembre 1963, n. 1855);
- Gestione delle Ferrovie Terni-Ponte S. Giovanni-
Umbertide con derivazione Ponte S. Giovanni-Perugia ( Centrale
Umbra ) e Umbertide- San Sepolcro ( legge 7 agosto 1982, n.
526).
Di fronte alla realtà di queste gestioni si è consolidato un
concetto tradizionale, secondo cui la linea in gestione deve
considerarsi sempre esercitata in regime di concessione
all’industria privata e come tale va sottoposta alla vigilanza degli
organi centrali e periferici del Ministero dei Trasporti, con le
stesse modalità seguite per le linee esercitate dai concessionari.
Tale tesi è apparsa il frutto di un equivoco, che nella
pratica ha determinato gravi confusioni.
Invero, tale modo di considerare la gestione governativa
aveva un suo fondamento solo se riferito alla particolare ipotesi
dell’esercizio commissariale in costanza del rapporto
concessionale ( c.d. gestione “in danno del concessionario”). In
tal caso, infatti, il commissario esercitava un’attività che era
ancora nella sfera giuridica del concessionario, sicché il suo
esercizio non modificava la formula organizzatoria prescelta per
l’effettuazione del servizio, che rimaneva quella della
concessione. Di qui l’assoggettamento alle regole concernenti le
ferrovie concesse.