2
L’ente giuridico è certamente privo di comportamenti volitivi colpevoli,
sicché una sua responsabilità penale avrebbe dovuto pertanto estendersi
a fatti incolpevoli; da qui la necessità, manifestatasi prima della entrata
in vigore della Legge 300/2000, di individuare comunque dei soggetti
fisici, come tali capaci di atteggiamenti volitivi, all’interno dell’ente ai
quali attribuire la responsabilità per i fatti imputabili alla persona
giuridica.
In quest’ottica e memore dei principi sanciti dalle su richiamate
disposizioni, il legislatore, nell’ambito della totale riforma del titolo XI
del libro V del codice civile, attuata con il decreto legislativo 11 aprile
2002 n. 61, ha previsto una serie di “Disposizioni Penali in Materia di
Consorzi e Società”.
Quindi ha voluto prevedere delle ipotesi criminose penalmente
sanzionabili a carico delle società che ne realizzino i presupposti.
Nel contesto della riforma un tassello significativo è rappresentato
dall’incriminazione di alcune condotte abusive connesse
all'amministrazione delle società.
Due sono le norme che hanno ad oggetto fatti qualificati in termini di
infedeltà: la prima, il nuovo art. 2634 c.c., ricorrendo ad una
denominazione diffusa, ancorché non ottimale, la riferisce al patrimonio;
la seconda, il nuovo art. 2635, utilizzando una formula inusuale ed
ancora più equivoca, indica solo i fattori da cui origina il comportamento
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infedele, che deve scaturire da "dazione o promessa di utilità".
Trova così finalmente riconoscimento in un settore essenziale della vita
economica, quello appunto societario, l’istanza risalente a tutelare la
corretta gestione degli interessi patrimoniali altrui. Esigenza fattasi
progressivamente più pressante, via via che le trasformazioni dei mercati
e delle stesse forme della ricchezza avevano evidenziato l’inefficacia
delle forme tradizionali di tutela, distribuite fra il codice penale nel capo
dei delitti contro il patrimonio e quello civile nell'ambito dei reati
societari.
Anche a livello internazionale è del resto cresciuta l’attenzione per
un’opera di armonizzazione delle norme di contrasto in materia.
Il contesto in cui le iniziative sono più avanzate è quello dell’Unione
europea, che sin dalla fine del 1998 ha impegnato gli stati membri ad
incriminare le condotte di corruzione nel settore privato, e dunque anche
nel contesto delle società commerciali.
La maggior parte dei Paesi d’Europa, già da tempo, conoscono una
penalizzazione dei comportamenti d’infedeltà gestoria, tanto con
riferimento a qualsiasi rapporto di amministrazione di diritto o di fatto,
quanto in termini circoscritti alla disciplina delle società commerciali.
Segue questo ordine di idee, ad esempio, il legislatore tedesco, il quale
colloca la figura della infedeltà patrimoniale come figura generale di
delitto contro il patrimonio, collocata tra appropriazione indebita e truffa
4
("Untreue"-infedeltà); analoga prospettiva è possibile rinvenire anche in
altri Paesi quali l’Austria, la Svizzera, i paesi scandinavi, la Grecia ed il
Portogallo.
Nella direzione di introdurre una più specifica figura di amministrazione
infedele in ambito societario, si sono orientati, soprattutto alcuni
ordinamenti dell’area romanistica, come è accaduto ad esempio in
Francia, che nel suo codice prevede il delitto di "abus des biens, du
credit, despouvoirs et des voix": art. 425 n. 4 e 5 e art. 437 n. 3 e 4 della
legge sulle società commerciali, e più di recente in Spagna, che
all’articolo 295 del suo codice penale prevede dal 1995 il delitto di
"administracion desleal".
Il quadro della evoluzione del diritto penale societario in ambito
europeo, come si vede, è in continuo fermento ed in perenne evoluzione;
ed è in questo contesto che il legislatore italiano si è adoperato per
rendere più agili le nostre norme al riguardo, armonizzandole con il
contesto normativo dell’Unione.
La materia, come si nota, si presta a notevoli e numerosi spunti di fonte
sovranazionale.
I legislatori europei sono oramai chiamati a confrontarsi con il
mutamento della condizioni di svolgimento del commercio, che, a causa
delle continue innovazioni che l’interpretazione delle leggi nazionali e
comunitarie impongono, si trovano impegnati nel tentativo di
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amalgamare il modus operandi delle società con le norme che regolano
il commercio intra ed extraeuropeo.
A ciò si aggiunga che, sempre i legislatori europei, devono fare i conti
con una cospicua serie di iniziative di organismi come l’Unione
Europea, il Consiglio d’Europa e l’OCSE, i quali muovono le loro mire
nel segno del rafforzamento e della estensione dei metodi preventivi
e repressivi nei confronti dei fenomeni di illeciti societari.
Di grande interesse sono pure le proposte di fonte accademica, che
hanno prospettato modelli normativi comuni a livello europeo in tema di
amministrazione infedele dei patrimoni altrui, segnatamente in ambito
societario: ad esempio il corpus juris in tema di "eurofrodi", già giunto
alla seconda versione, considera meritevoli di incriminazione a livello
europeo le condotte di appropriazione/distrazione di fondi comunitari da
parte di chi ha il potere di disporne
1
.
Ancora più recente ed ampio è il progetto di "eurodelitti" in materia
economica, che contempla tre fattispecie di infedeltà patrimoniale,
rispettivamente in ambito societario (art. 45), bancario (art. 50) e del
mercato dei valori mobiliari (art. 54).
Almeno sul terreno specifico qui considerato, la riforma fa dunque
muovere il nostro diritto societario nella direzione segnata dall’ormai
inarrestabile processo di europeizzazione.
1
ANTWERP: "The implementation of the corpus juris in the member states", 2000, 66 ss., p. 191.
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L’introduzione nel nostro ordinamento dei reati di infedeltà sembra,
inoltre, smentire giudizi sommari sul nuovo diritto penale societario
come frutto di una riduzione unilaterale della rilevanza penale dei fatti
considerati. Certo, sono stati sfoltiti i molti rami secchi dell’impianto
codicistico originario (esemplare la norma sul conflitto d’interessi: art.
2631 c.c.); soprattutto è stata ridimensionata l’incriminazione
divenuta cruciale in sede applicativa per contrastare i fenomeni di
malcostume nella vita economica e politica del paese (le false
comunicazioni sociali: art. 2621 c.c.) .
Di contro, non si può trascurare che la riforma, sin dalla versione
progettata sul finire della legislatura precedente, non solo ricorre a
tipologie sanzionatorie più moderne ed incisive (confisca, quote
pecuniarie e strumenti interdittivi per le sanzioni amministrative a carico
delle società), ma anche riconosce finalmente la meritevolezza di pena
delle condotte di infedeltà negli affari societari.
Le relative incriminazioni evidenziano tuttavia una contraddizione di
fondo, affatto trascurata da chi ha salutato il loro «inserimento nel
sistema penale-societario» come il completamento "dell'incisiva
razionalizzazione" attribuita alla riforma nel suo complesso (punto 1.2.
della Relazione governativa).
Se infatti rispetto al quadro normativo previgente l’inserimento dei reati
di infedeltà rafforza la tutela del patrimonio sociale, nei confronti invece
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delle formulazioni proposte e discusse nel corso dei lavori preparatori, si
nota un arretramento complessivo della capacità delle norme in
questione di contrastare gli abusi nella gestione societaria.
Anche in relazione a tali incriminazioni sembra avere finito per pesare
l’altra tendenza, riduttiva dell’intervento penale, che pure caratterizza la
riforma.
Solo che in questa materia non si trattava di sfoltire e razionalizzare una
pletora di reati ormai obsoleti, ma di intervenire su offese patrimoniali,
finora affatto sguarnite, di contrasto adeguato alle rispettive grandezze in
gioco e modalità di realizzazione.
Le formulazioni normative che rappresentano il punto di arrivo dell’iter
di riforma, appaiono così prive di un baricentro in grado di fondare
razionalmente la meritevolezza di pena delle condotte illecite previste e
di orientare le conseguenti scelte sanzionatorie. Una spia significativa di
tale approdo insoddisfacente si rinviene nell’omessa previsione, per i
reati qui considerati della responsabilità amministrativa degli enti, che
nella maggior parte dei reati societari viene ora ad aggiungersi a quella
penale dei rispettivi soggetti attivi (nuovo art. 25-ter d.lgs. n. 231 del
2001).
"Inspiegabile appare l’omissione di quella responsabilità integratrice a
carico della società per i casi in cui l’infedeltà del soggetto attivo si
accompagni ad un interesse della società ed abbia ad oggetto beni da
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questa posseduti per conto di terzi
2
(il caso è previsto dal nuovo
art. 2634 comma 3 c.c.)".
Quanto poi alla mancata responsabilità dell’ente che, tramite un proprio
organo sociale, abbia dato o promesso una utilità all’amministratore
infedele di un ente concorrente, affatto irragionevole risulta la disparità
di trattamento con il caso in cui la stessa dazione o promessa di utilità sia
operata da una persona fisica, ora espressamente considerata punibile ex
art. 2635 co. 2 c.c.
Né tutto ciò rimane estraneo ai significati generali della riforma: una più
incisiva repressione delle forme di infedeltà nella gestione sociale
avrebbe meglio legittimato la maggiore selettività di tutela adottata in
materia di informazione societaria. Una sorta di vaso comunicante lega
infatti i due settori: solo una disciplina "a monte" in grado di contrastare
gli abusi nella gestione sociale può evitare che si scarichino a valle, al
momento in cui occorre rendicontare l’attività sociale, tutte le tensioni
del delicato rapporto tra legalità ed impresa.
2
MILITELLO: I reati di infedeltà, in Dir. pen. proc., 2002, p. 699.
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2. L'INFEDELTÀ PATROMINIALE ex art. 2634 c.c.
L’art. 2634 c.c., col nomen juris di "infedeltà patrimoniale" dispone che:
"Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori che, avendo un
interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o
ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a
deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando
intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la
reclusione da sei mesi a tre anni. La stessa pena si applica se il fatto è
commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalle società per
conto di terzi, cagionando a questi ultimi un danno patrimoniale. In ogni
caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo se
compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili,
derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo. Per i delitti
previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona
offesa".
La rubrica utilizzata dal legislatore "infedeltà" che costituisce la
traduzione letterale del termine tedesco Untreue, nonostante le
differenze esistenti rispetto a questo modello, ha costituito in dottrina già
motivo di discussione visto che: "la definizione dei soggetti attivi e la
descrizione delle rispettive condotte vietate indicano univocamente che
non ogni offesa patrimoniale è incriminata ma solo quelle che si
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realizzano in ambito societario. Evidentemente al momento di scegliere
il nomen juris più adatto ha pesato tutta la forza evocativa di quel
termine, ormai radicato anche nel nostro dibattito dottrinale da oltre
mezzo secolo".
3
La figura criminosa in esame individua un reato proprio, in cui l’ambito
degli eventuali autori del delitto, coerentemente alla condotta consistente
in un atto di disposizione patrimoniale, riguarda quei soggetti le cui
qualifiche corrispondono ad un potere autonomo di gestione del
patrimonio della società e cioè gli "amministratori", i dirigenti di livello
più elevato indicati con l’espressione "direttori generali", ed anche i
"liquidatori".
4
Tali qualifiche inoltre sulla base del disposto dell’art.
2639 c.c. vanno intese non solo in senso formale ma anche funzionale,
visto che esse si riferiscono non soltanto al soggetto formalmente
investito della qualifica e al titolare della funzione, ma anche a chi sia
"tenuto a svolgere la stessa funzione diversamente qualificata", nonché a
chi comunque eserciti "in modo continuativo e significativo i poteri
tipici inerenti alla qualifica o alla funzione"
5
.
3
MILITELLO: L’infedeltà patrimoniale, in I nuovi reati societari:diritto e processo, a cura di A. Barazetta, Cedam 2002
p. 481, il quale suggerisce la rubrica di “amministrazione abusiva delle società di capitali” al posto di quella scelta dal
legislatore.
4
ALDOVRANDI P., Infedeltà patrimoniale, in I nuovi reati societari: diritto e processo, Cedam Padova 2002, p. 132.
5
ALDROVANDI P., Infedeltà patrimoniale, p. 132.