Introduzione
L'obiettivo del presente lavoro è quello di affrontare in chiave problematica il rapporto
tra le fattispecie apologetiche e istigatorie da un lato, segnatamente le ipotesi di
istigazione “sterile” poste a tutela dell'ordine pubblico, e dall'altro il portato di alcuni
dei principi di indole garantistica del nostro ordinamento penale, direttamente
desumibili dalla vigenza della Carta Costituzionale.
La scelta di organizzare la trattazione secondo una tripartizione di capitoli vuole
riprodurre plasticamente l'individuazione dei principali termini che entrano a far parte di
questa complessa valutazione: in primis la fissazione del principio di offensività e della
sua importanza su un piano anzitutto assiologico, il riconoscimento delle sue basi
nell'ordinamento positivo, il suo rapporto con altri principi di rango costituzionale ed il
destino che la prassi gli ha riservato in sede applicativa; successivamente l'indagine sul
bene giuridico “ordine pubblico” e sulle varie declinazioni interpretative che hanno
tentato di ricostruirne il contenuto servirà ad attestare già un primo livello di
problematicità in un orizzonte che cerchi di conciliare scelte incriminatrici e vincoli
esterni alla legittimità delle stesse opzioni sanzionatorie, anche a fronte di una frequente
ed immediata collisione con l'esercizio di libertà costituzionalmente garantite; infine,
dopo un esame più analitico delle fattispecie ex artt. 414, 414 bis e 415 c.p., sia dal
punto di vista strettamente esegetico, sia tenendo in debito conto le interpolazioni
giurisprudenziali che hanno riguardato nel corso degli anni le relative formulazioni
testuali, si tenterà di saggiare il grado di compatibilità tra la fisionomia delle norme
penali in questione ed i canoni teorici che ne hanno tentato una spiegazione sul versante
dommatico.
L'operazione conclusiva sarà però anch'essa di tipo complesso, giacché, in un percorso
di riavvicinamento alle premesse teoriche fissate nel primo capitolo, non si riterrà
sufficiente la semplice riconducibilità dommatica ad una certa proposta ricostruttiva, ma
5
si renderà necessario valutarne la simultanea accettabilità sul piano della legittimità
costituzionale. É evidente che la plausibilità di ogni conclusione sul punto non potrà che
passare per un'analisi di volta in volta focalizzata sulla singola norma che si assume ad
oggetto del procedimento logico, non avendo, almeno alla luce dell'attuale assetto
normativo, alcuna chance di successo una prospettiva che adotti quale termine di
riferimento le norme penali a tutela dell'ordine pubblico tout court o un'astratta
categoria unitaria dell'istigazione in quanto tale.
Se, dunque, i diversi argomenti che scandiscono le fondamentali tappe del ragionamento
verrano enucleati e disposti secondo una struttura per così dire “a imbuto” la quale,
procedendo dai principi generali, si fa carico di scendere nell'elemento particolare solo
dopo aver stabilito i necessari presupposti teorici per uno sviluppo conseguente del
discorso, non per questo la trattazione seguirà una logica lineare, ma il suo tratto
caratterizzante sarà appunto il continuo rimando tra i due poli di una tensione dialettica
rappresentati da un lato dai margini di sostenibilità dommatico-sistematica delle diverse
tesi avanzate, dall'altro dalla rigorosa valutazione in termini di legittimità di ciascuna
impostazione.
6
Capitolo I. Il principio di offensività
1.1 Il significato storico del principio di offensività
Il principio di offensività, analizzato in una prospettiva storica, rappresenta un punto di
osservazione privilegiato sul ruolo complessivo del diritto penale, costituendo un
formidabile strumento di riflessione problematica ai fini di un approccio che non si
limiti a ratificare ciò che il diritto positivo sancisce come vigente, ma voglia
comprenderne la genesi e, ove necessario, segnalarne le aporie, non sottraendosi alla
questione della legittimazione stessa del diritto penale.
Pertanto, dietro l'enunciazione, apparentemente sintetica, per cui un fatto può
considerarsi reato solo in quanto offenda uno specifico e ben identificato bene giuridico
1
si cela in realtà una conquista storica ed una precisa opzione di civiltà per il ripudio del
codice penale dell'oppressione, manifestazione penalistica dei totalitarismi ideologici
2
.
Al contrario di questi ultimi, l'espressione del moderno stato sociale di diritto non può
prescindere da un sistema penale fondato sul primato della persona umana come valore
etico in quanto tale, rifiutando conseguentemente qualsiasi logica di funzionalizzazione
in vista di finalismi ideologici di stato.
Né parimenti può essere considerata ammissibile la punizione di fatti non basata su un
complessivo giudizio di disvalore specificamente penalistico
3
incentrato sul pregiudizio
ad un quid cui anche il contesto sociale attribuisca un significato di valore.
Solo a tali condizioni il diritto penale può rappresentare un reale strumento di libertà la
1 M. CATENACCI, Offensività del reato, in S. CASSESE (a cura di), Dizionario di diritto pubblico,
Milano, 2006, p. 3902.
2 F. MANTOVANI, Il principio di offensività AA.VV., Prospettive di riforma del codice penale e
valori costituzionali. Atti del convegno di Saint Vincent, Milano, 1996, p. 92.
3 A. FIORELLA, Reato in generale, in Enc. dir., XXXVIII, Milano, 1987, p. 789.
7
cui funzione primaria sia anzitutto la tutela dell'individualità umana dalle offese di
chiunque, apparato statuale compreso.
A riprova di ciò, in generale è sempre possibile stabilire una strettissima connessione tra
centralità programmatica del principio in un dato ordinamento e rafforzamento delle
garanzie individuali, così come, reciprocamente, l'arretramento dell'istanza di necessaria
lesività ha sempre contraddistinto esperienze storiche e sociali in cui la potestà punitiva
della struttura statuale ha rivestito i caratteri di un controllo arbitrario e pervasivo su
ogni forma di dissenso
4
.
Può correttamente affermarsi che assumere il principio di offensività a baricentro
ordinamentale non rappresenta semplicemente uno tra i diversi criteri possibili di
politica legislativa, ma si risolve a tutti gli effetti in una chiara scelta assiologica.
Non è dunque casuale che il principio in questione abbia trovato proprio in Italia un
palcoscenico preferenziale di riflessione
5
(a tal proposito autorevole dottrina lo definisce
un autentico “mos italicum
6
”): la presenza di un codice ideologicamente autoritario, la
sua coloritura rigorista basata sulla venerazione dovuta allo Stato e alle istituzioni in
quanto tali e, nonostante ciò, la mancata riforma legislativa hanno da un lato posto la
necessità storica di individuare correttivi in grado di giungere ad un'alternativa rispetto
alla fondazione teorica del reato sulla base esclusiva del diritto positivo, dall'altro tali
correttivi non hanno che potuto essere precipuamente ermeneutici, data non solo la già
menzionata inerzia del legislatore ordinario, ma anche un atteggiamento di “tendenziale
4 A. FIORELLA, Reato in generale, in Enc. dir., XXXVIII, Milano, 1987, p. 790 chiarisce come il
passaggio ad una visione del reato quale offesa al dovere abbia storicamente fatto slittare l'obiettivo
dal fatto alla persona che lo realizza e ciò, nelle forme più degenerative, ha propiziato la logica tappa
terminale della concezione cosiddetta del diritto penale dell'autore.
5 Segnalano la stretta pertinenza della riflessione sull'offensività all'esperienza italiana V. MANES, Il
principio di offensività nel diritto penale, Torino, 2005, p. 44; G. FIANDACA- G. DI CHIARA, Una
introduzione al sistema penale, Napoli, 2003, 6 ss.; F. PALAZZO, Meriti e limiti dell'offensività, in
AA. VV., Prospettive di riforma del codice penale e valori costituzionali. Atti del convegno di Saint
Vincent, Milano, 1996, p.74.
6 V. MANES, Il principio di offensività nel diritto penale, Torino, 2005, p. 2.
8
deferenza del sindacato di costituzionalità”
7
nei confronti della discrezionalità del
legislatore, quasi sempre risoltosi o in una delega al giudice ordinario del compito di
ammodernare interpretativamente il diritto vigente o in una sostanziale accettazione dei
contenuti offensivi delle varie fattispecie
8
. In tal modo si è deliberatamente elusa quella
che dovrebbe essere la funzione essenziale del principio di necessaria lesività, ossia la
valutazione critica sui contenuti stessi delle scelte legislative, a fortiori in quello che è
un sistema a costituzione rigida.
Su una certa ritrosia da parte della Corte Costituzionale ad utilizzare il parametro
dell'offensività in maniera dimostrativa ed autonoma, ripiegando il più delle volte su
posizioni interpretative di rigetto, si avrà modo di parlare più diffusamente nel
paragrafo finale di questo capitolo.
In questo complesso quadro, uno degli strumenti più efficaci a disposizione della
dottrina più sensibile non poteva che essere la Carta Costituzionale, in quanto sede più
lampante dello scarto tra il volto che l'illecito penale dovrebbe assumere in base a
questa ed il volto che invece l'illecito stesso tende a conservare nella normativa
ordinaria
9
.
La Costituzione inoltre si rivelava una formidabile via d'uscita rispetto all'impasse
dettata dall'esigenza di trovare allo stesso tempo un modo per battere la via di una
funzione critica che superasse l'orizzonte autoreferenziale delle teorie formaliste, senza
però per questo abbandonare il terreno del diritto positivo e doversi quindi affidare a
riferimenti metanormativi di derivazione giusnaturalistica
10
, con tutte le ambiguità che
un simile indirizzo, seppur meritevole di aver favorito il passaggio da una visione
7 V. MANES, I recenti tracciati della giurisprudenza costituzionale in materia di offensività e
ragionevolezza, in www.penalecontemporaneo.it, 2010, p. 1.
8 F. PALAZZO, Meriti e limiti dell'offensività come principio di ricodificazione, in AA. VV.,
Prospettive di riforma del codice penale e valori costituzionali, Milano, 1996, p. 81.
9 F. BRICOLA, Teoria generale del reato, 1973, in ID., (a cura di) S. CANESTRARI, A.
MELCHIONDA, Scritti di diritto penale, vol. I, tomo I, Milano, 1997, p. 543.
10 F. ANGIONI, Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, Milano, 1983, p.153.
9
teologica a una visione umana e secolarizzata del diritto
11
, lasciava irrisolte.
Nella sua portata operativa per così dire 'minima', si è attribuita alla Costituzione una
duplice funzione negativa sia di limite rispetto alle scelte di criminalizzazione da parte
del legislatore sia di parametro ermeneutico per l'interprete. In un'accezione
contrassegnata invece da ben altra incisività argomentativa, la Carta fondamentale è
stata fatta assurgere ad atto supremo da cui ricavare in positivo gli stessi interessi
suscettibili di tutela penale e dunque elevata a fondamento della stessa pretesa punitiva.
Questa proposta ricostruttiva, volta ad attribuire valore fondante alla Costituzione è stata
indubbiamente la piattaforma culturale della peculiare originalità della vicenda italiana:
la teoria costituzionalmente orientata del bene giuridico
12
.
Il dettaglio dei suoi contenuti sarà più compiutamente affrontato nella parte dedicata alla
teorica del bene giuridico in quanto tale e all'individuazione delle basi positive della
vigenza del principio, ma giova anche ad un livello ancora molto generale di trattazione
segnalare le diverse implicazioni delle due alternative teoriche in una prospettiva di
bilancio storico del principio di offensività. Fornito, infatti, il sistema penale nel suo
insieme di una nuova base giustificativa, la prospettiva costituzionale consentiva di
elevare la concezione realistica del reato
13
al grado più alto delle fonti, affrancandola da
11 C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, 1764, ristampa, Milano, 2007; U. GROZIO, Il diritto della
guerra e della pace. Prolegomeni e Libro primo, 1625, ristampa, Padova, 2010.
12 M. GALLO, I reati di pericolo, in Foro pen. 1969; F. BRICOLA, Teoria generale del reato, 1973, in
Scritti di diritto penale, (a cura di) S. CANESTRARI, A. MELCHIONDA, vol. I, Dottrine generali.
Teoria del reato e sistema sanzionatorio, tomo I, Milano, 1997; V. MANES, Il principio di offensività
nel diritto penale, Torino, 2005.
13 A favore della concezione realistica del reato, sui cui contenuti si tornerà più diffusamente avanti, F.
F . BRICOLA, Teoria generale del reato, 1973, in ID., (a cura di) S. CANESTRARI, A.
MELCHIONDA, Scritti di diritto penale, vol. I, tomo I, Milano, 1997, 755 ss.; M. CATERINI, Reato
impossibile e offensività. Un'indagine critica, Napoli, 2004; C. FIORE, Il reato impossibile, Napoli,
1959, p. 22 ss.; A. FIORELLA, Reato in generale, in Enc. dir., XXXVIII, Milano, 1987, p. 796; E.
GALLO, Il delitto di attentato nella teoria generale del reato, Milano, 1966, 237 ss.; M. GALLO,
Dolo (dir. Pen.), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 786 ss; G. NEPPI MODONA, Il reato impossibile,
Milano, 1965; ID., Reato impossibile, i n Nss. D. I., XIV, Torino, 1967, 974 ss.; G. VASSALLI ,
Considerazioni sul principio di offensività, in Scritti in memoria di Ugo Pioletti, Milano, 1982, p.
657.
10
una dimensione meramente codicistica sulla base dell'art. 49 cp, anch'essa tuttavia
tutt'altro che pacifica ed universalmente accettata, vista la resistenza dei settori
dottrinari più tradizionalisti a considerare la norma suddetta null'altro che
un'anticipazione in chiave speculare del successivo art. 56 cp, rispetto al quale postulava
un'omogeneità di portata
14
.
Da un punto di vista invece più strettamente concettuale, ma non per questo privo di
ricadute concrete, il principio di offensività fondato sulla teoria costituzionalmente
orientata del bene giuridico esprimeva in modo chiaro la sua distanza dal tralatizio
principio del nullum crimen sine iniuria. Quest'ultimo aveva infatti proiettato il
romanistico neminem laedere nel contesto giusnaturalistico dell'età illuminista,
attribuendo centralità decisiva al parametro della dannosità sociale e ciò nell'ottica,
certamente rivoluzionaria per l'epoca, di scongiurare incriminazioni di condotte
semplicemente immorali
15
. Il suo merito era stato quello di offrire una concretizzazione
del principio di materialità (il quale è presupposto necessario dell'offensività ma non
sinonimo di questa) ponendosi quale limite negativo del magistero punitivo, ma senza
per ciò aspirare a farsi carico del processo di selezione positiva delle oggettività da
tutelare. Sarebbe dunque erroneo sovrapporre le aree concettuali dei due parametri
ritenendole coincidenti
16
.
14 F.ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte generale. Milano, 2003, 502 ss.; P. NUVOLONE,
Recensione a G.NEPPI MODONA, Il reato impossibile, i n Indice penale, 1967, 47 ss.; T.
PADOVANI, Diritto penale, Milano, 2002; A. PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale,
Milano, 2003; M. ROMANO, Art. 49, in Commentario sistematico del codice penale, vol. I, art. 1-84,
Milano 2004, p. 511 ss.; F. STELLA, La teoria del bene giuridico e i cosiddetti fatti inoffensivi
conformi al tipo, i n Riv. it. dir. proc. pen., 1973, 3 ss.; G. ZUCCALÀ , Sul preteso principio di
necessaria offensività, in Studi in memoria di G. Delitalia, III, Milano, 1984, 1698 ss.
15 In generale sulla laicizzazione del diritto penale: U. GROZIO, Il diritto della guerra e della pace.
Prolegomeni e Libro primo, 1625, ristampa, Padova, 2010, il quale seppur fermo credente, svincola
sul piano logico la validità delle sue teorie giuridiche dall'esistenza di Dio; C. BECCARIA, Dei
delitti e delle pene,1764, ristampa, Milano, 2007.
16 Sulla differenza teorica tra i due principi G. DE VERO Corso di diritto penale, Torino, 2011, p. 115;
M. DONINI, Teoria del reato. Una introduzione, Padova, 1996, 124 ss.; L. FERRAJOLI, Diritto e
ragione. Teoria del garantismo penale, Roma, 1998, 466 ss.; A. FIORELLA, Reato in generale, in
Enc. dir., XXXVIII, Milano, 1987, p. 794; F. RAMACCI, Corso di diritto penale, Torino, 2007, p. 90
ss.
11
Non è un caso che in esperienze giuridiche estranee all'elaborazione teorica della
categoria del bene giuridico, come negli ordinamenti di common law, il cosiddetto
“harm principle to others” si propone quale declinazione moderna del neminem
laedere
17
.
Assodata quindi la sua importanza in una prospettiva storica, risulta chiaro, già da questi
sintetici spunti, come il principio di offensività non sia un dato scevro da profili di
problematicità, e ciò anzitutto per la sua stessa natura di principio che non offre un
ausilio contenutisticamente determinato, ma si atteggia a canone generale di
interpretazione da armonizzare con altri canoni ermeneutici il quale opera, almeno a
prima vista, nel senso di aggiungere alla struttura testuale un elemento ulteriore rispetto
a quelli solitamente espressi dal materiale linguistico
18
.
Oltre a questa criticità per così dire “congenita”, ulteriori sono i fattori che possono
condurre a conclusioni radicalmente divergenti in sede di operatività pratica e che
impediscono di reputare il principio di offensività un postulato non bisognoso di alcuna
specificazione aggiuntiva: la nozione di bene giuridico assunta quale oggetto della
relazione da sottoporre al vaglio della necessaria lesività; il riconoscimento della
positivizzazione del principio a livello costituzionale ed il significato attribuito a precise
norme codicistiche, in primis l'art 49 cp; la collocazione del confine tra violazioni del
parametro e deroghe fisiologiche; l'assegnazione (effettiva e non limitata ad
un'enunciazione virtuale) al principio di una capacità critico-dimostrativa autonoma in
sede di giudizio di legittimità costituzionale.
Si può già anticipare, infatti, che sul piano applicativo la riuscita del principio non è
stata pari alle sue premesse ed anzi quella che si registra è una sua progressiva perdita di
mordente
19
sul piano sia legislativo che prasseologico, il che contribuisce a renderlo un
17 L. ALESIANI, I reati di opinione. Una rilettura in chiave costituzionale, Milano, 2006, p. 225 ss.
18 F. PALAZZO, Meriti e limiti dell'offensività, in AA. VV., Prospettive di riforma del codice penale e
valori costituzionali. Ati del convegno di Saint Vincent, Milano, 1996, p. 83.
19 F. PALAZZO, Meriti e limiti dell'offensività, in AA. VV., Prospettive di riforma del codice penale e
valori costituzionali, Milano, 1996, p.74.
12
terreno di vera e propria discrasia tra dottrina e giurisprudenza
20
. A fronte infatti di una
consistente elaborazione teorica non è dato constatare un pari livello di operatività.
A ciascuno dei summenzionati punti si cercherà di dedicare, attraverso un esame più
puntuale dei singoli aspetti, il congruo grado di approfondimento nei paragrafi seguenti.
1.2 Le teorie del bene giuridico
Il principio offensività, che come detto è da considerare un prodotto tipicamente
italiano
21
, può essere anche guardato, sotto un diverso angolo prospettico, come la
proiezione dinamica della teorica del bene giuridico. Quest'ultimo infatti costituisce
l'oggetto finale della relazione da valutare in termini di avvenuta lesione o messa in
pericolo ed una sua delimitazione più o meno selettiva può ovviamente condurre ad esiti
completamente differenti. Con riguardo al momento ermeneutico, il suo è un ruolo
decisivo, poiché funge da ponte tra il fatto tipico ed il contenuto sostanziale
dell'illecito
22
, riuscendo a stabilire il punto di contatto tra una lettura meramente
strutturale del fatto e le proiezioni teleologiche connesse alla lettura stessa.
Il ravvivarsi dell'interesse per il concetto di bene giuridico dalla metà in poi del secolo
scorso è attribuibile alla coeva esigenza storica di progettare sistemi normativi in linea
con i mutamenti istituzionali intervenuti in paesi i cui ordinamenti penali poggiavano su
schemi ideologici autoritari o in generale non più attuali (oltre che all'Italia il
riferimento è alla Germania, dove il codice penale del 1871 fu sostituito nella sua parte
generale dalle leggi di riforma entrate in vigore solo nel 1975). Il fondamento di questa
20 G. FIANDACA, Offensività e teoria del bene giuridico, in (a cura di) STILE, Le discrasie in dottrina
e giurisprudenza in diritto penale, Napoli, 1991, 81 ss..
21 In questo senso V. MANES, Il principio di offensività nel diritto penale, Torino, 2005, p. 2; F.
PALAZZO, Meriti e limiti dell'offensività come principio di ricodificazione, in AA. VV., Prospettive
di riforma del codice penale e valori costituzionali, Milano, 1996, p. 74.
22 M. DONINI, Teoria del reato. Una introduzione, Padova, 1996, p. 130.
13