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le trasformazioni in seno alla struttura familiare come un qualcosa imposto
dall’esterno.
Partendo da una definizione del concetto di famiglia ricostituita, ripercorrendo lo
sviluppo dal passato ad oggi e affrontando la complessità terminologica, ci siamo
proposti di delineare le fasi della ricomposizione, i tempi e le caratteristiche delle
nuove unioni, rispetto alla struttura, ai ruoli, ai poteri, ai modelli di riferimento e
alla capacità di resistere nel tempo.
Abbiamo affrontato, inoltre, gli effetti prodotti dalla separazione e dal divorzio sui
figli e, soprattutto, la loro realtà all’interno delle nuove tipologie familiari, gli
atteggiamenti verso i nuovi partners, i rapporti con la parentela allargata, le
percezione ed altri aspetti ugualmente rilevanti. Nell’ultima parte sono state
avanzate un insieme di proposte e prospettive per una migliore integrazione e
convivenza tra i membri, tramite l’adozione di un nuovo paradigma familiare, senza
il quale ogni sforzo di ricomposizione finirebbe per essere vano.
6
CAPITOLO I
Le famiglie ricostituite. Le origini e le ambiguità.
1.1Definizione di famiglia ricostituita e studi in materia
Il termine famiglia ricostituita non è altro che la traduzione letterale delle parole
inglesi “Reconstituted family”
1
, il cui significato originale indica la famiglia
riformata dal genitore affidatario dei figli e da un nuovo partner, in seguito a
divorzio. A quest’espressione se ne affiancano altre, più o meno utilizzate dai vari
studiosi in materia, quali famiglie ricomposte, allargate, aperte, nuove, ricombinate
o famigliastre, come scherzosamente i nuovi nuclei sono indicati, per lo più, nel
linguaggio giornalistico.
In base al significato più tradizionale la famiglia ricostituita è un’entità in cui
almeno uno dei due adulti presenti è al secondo matrimonio. Ciò comporta avere già
alle spalle un’esperienza di famiglia nucleare, un’interruzione di questa per divorzio
(o come spesso accadeva in passato per vedovanza) e la scelta di un altro partner
con il quale creare una nuova coppia, che può includere figli nati dal nucleo
precedente e/o generati nell’unione attuale. In quest’accezione la presenza del
vincolo matrimoniale è importante e contribuisce a rendere la nuova formazione
istituzionalizzata dal punto di vista giuridico.
E’ necessario, comunque, ricordare che in molti casi le cose stanno diversamente e
che non sempre la famiglia ricostituita è formata da una coppia sposata.
Negli ultimi anni si sta assistendo ad un incremento delle convivenze e, soprattutto,
delle riconvivenze, caratterizzate (quest’ultime) da partners, con una o più
1
Zanatta A.L (1997) “Le Nuove famiglie” Il mulino Bologna
7
esperienze matrimoniali alle spalle, i quali pur vivendo ciascuno nella propria casa
sono legati da affetto stabile e duraturo e da un sostegno reciproco nelle scelte di
vita, riguardanti anche i figli. Anche queste realtà rientrano nel complesso universo
della ricostituzione familiare, che necessita quindi di una definizione più amplia.
La famiglia ricostituita può essere, perciò, formata da una coppia sposata o non
sposata, con o senza figli, in cui almeno uno dei due partner proviene da una
precedente unione di fatto o da precedente matrimonio.
Tenere in considerazione quanto detto sulla complessità ed eterogeneità familiare,
che ha contribuito al ridimensionamento dell’immagine tradizionale e “alla
sostituzione della famiglia con le famiglie”
2
é importante, anche se, il presente
lavoro è incentrato soprattutto sulle ricostituzioni ufficializzate da seconde nozze.
Numerosi sono gli esempi che possono essere fatti sull’argomento.
Guardando al passato si nota come anche personaggi illustri, quali Freud e Bateson,
vissero tale esperienza. Il primo subendola, essendo figlio della terza moglie sposata
dal padre, il secondo promuovendola, essendo stato sposato per ben tre volte e
divorziato per due.
L’esempio che segue, tratto da un colloquio terapeutico, esprime più che mai la
complessità del tema da affrontare.
“Il Signor Carlo S., di cinquantadue anni, vive a Milano con la moglie Anna e due
figli, Raffaele e Simonetta. A prima vista la loro sembra una famiglia tradizionale,
in realtà Carlo ed Anna Raffaele e Simonetta vivono in una famiglia di nuovo tipo.
Carlo è già stato sposato con Teresa, ha avuto da lei due figli, Piero e Dorotea e ha
divorziato dopo vent’anni di matrimonio. Con Anna è passato a seconde nozze solo
2
Van Cutsem C. (1998) “Le famiglie ricomposte” Raffaello Cortina ed. Milano
8
tre anni fa e insieme hanno messo al mondo Raffaele; Simonetta invece è figlia di
primo letto di Anna. Il suo vero padre è Roberto, l’uomo con il quale Anna si è
sposata all’inizio degli anni ’60 e dal quale ha divorziato quattro anni fa. Anche
Roberto è passato a seconde nozze, con una donna più giovane e nubile dalla quale
ha avuto un figlio, Marco. Teresa invece non si è più risposata e dedica gran parte
del suo tempo ai figli, con i quali vive”.
3
Sulle famiglie ricostituite sono stati fatti vari studi. Di questi, la stragrande
maggioranza proviene dagli Stati Uniti (circa il 90%) e dall’Inghilterra.
Naturalmente, come accade per ogni tematica sociale studiata, la conoscenza che un
Paese ci dà è fortemente influenzata dalla realtà socioculturale che esso rappresenta.
Ciò rende necessario un riadattamento dei dati, laddove questi siano esportati.
Anche per quanto riguarda le famiglie ricostituite si crea questa esigenza, non
potendo fare a meno dei risultati ottenuti altrove, laddove l’esperienza è consolidata
da tempo.
La letteratura scientifica ha elaborato alcuni paradigmi che, di fatto, guidano gli
studi e le ricerche sulle famiglie ricostituite. Tra questi rientrano il modello
“Problem-Oriented” e quello “Normativo o dell’Adattamento”, entrambi orientati
(in modo particolare) all’analisi della situazione, utilizzando la prospettiva dei figli.
Coleman e Ganong
4
, intorno agli inizi degli anni ’90, analizzando gli studi realizzati
fino a quel momento sull’argomento ricostituzione, si sono soffermati sui due
modelli (elencati in precedenza), evidenziandone i caratteri principali e i contributi
apportati nel tempo.
3
Barbagli M. (1990) “Provando e riprovando” Il Mulino Bologna
4
Cigoli V. (1998) “psicologia della separazione e del divorzio” Il Mulino Bologna
9
Il paradigma “Problem-oriented” considera sia il matrimonio sia il divorzio come
eventi stressanti e portatori (intrinsecamente) di numerose problematiche di genere
diverso (affettivo, comportamentale, cognitivo).
Il modello “Normativo o dell’Adattamento”, ponendosi in una prospettiva più
ottimistica, afferma che il divorzio e i successivi matrimoni sono eventi normativi,
tramite i quali i soggetti misurano le proprie potenzialità e capacità. Per coloro che
sostengono la validità di questa linea, le famiglie ricostituite non sono
necessariamente realtà problematiche, difficili o devianti, ma un’evoluzione
importante del modello tradizionale.
Ciascuno dei due modelli racchiude in sé numerose ipotesi teoriche che,
soffermandosi su alcuni aspetti, approfondiscono ulteriormente il tema della
ricostituzione.
Nel primo modello si collocano ipotesi quali quella del “Deficit relativo”, in base
alla quale i bambini inseriti nei nuovi nuclei sono più esposti e quindi a rischio, alla
possibilità di sviluppare carenze o deficit a livello cognitivo o comportamentale,
rispetto a coloro che vivono in nuclei tradizionali. Ciò sarebbe da attribuire alla
presenza di fattori di distorsione che andrebbero ad ostacolare un’adeguata
maturazione affettiva e cognitiva dei figli stessi. Questa ipotesi è stata soggetta a più
critiche, le quali hanno contribuito ad evidenziare i limiti presenti, in termini di
variabili non considerate o comunque sottovalutate (età dei figli al momento della
ricostituzione, durata della permanenza nel nuovo nucleo ecc..).
All’ipotesi sopra menzionata si affianca la “Teoria dello stress”. I suoi sostenitori
ritengono che nelle famiglie ricostituite il livello di stress presente è di gran lunga
maggiore rispetto a quello delle realtà tradizionali, a causa delle innumerevoli
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difficoltà connesse all’adattamento dei membri e al raggiungimento di un nuovo
equilibrio. Tutto ciò creerebbe effetti dannosi e distorsivi sulla crescita dei bambini,
riducendone l’autostima e modificandone, in modo più o meno evidente, il
comportamento e la personalità.
Lo stesso paradigma contiene l’ipotesi della “Socializzazione limitata”. Partendo
dal presupposto che la famiglia rappresenta il luogo privilegiato per la
socializzazione degli individui e per l’acquisizione di valori e modelli identificatori
(grazie alla presenza di entrambi i genitori), gli autori sostengono che, il venir meno
di una delle due figure adulte (soprattutto se si manifesta nella fase evolutiva),
genera, inevitabilmente, carenze più o meno gravi che, se non corrette, si
consolidano con l’età adulta.
A questa posizione, che attribuisce a entrambe le figure genitoriali un ruolo
fondamentale ai fini di una crescita armonica dei figli, si contrappone l’ipotesi dell’
”Adulto addizionale”.
I ricercatori che si riconoscono in questa prospettiva rivalutano il ruolo e la funzione
che il nuovo arrivato è chiamato a rivestire all’interno del nucleo familiare,
sostituendosi a pieno al genitore scomparso o lontano. Da ciò deriva la convinzione
che i benefici e i vantaggi, ottenuti dai figli grazie alla presenza dei genitori, sono
ugualmente raggiunti quando il posto di uno dei due è occupato da un “estraneo”.
Quest’ultima ipotesi, che riconosce al nuovo arrivato un ruolo positivo, contrasta
apertamente con altre posizioni, le quali considerano la presenza del terzo come
problematica ed aggravante del disagio già vissuto dai figli (in seguito alla
separazione), a causa di alcuni sentimenti negativi che si generano tra le parti:
gelosia, conflittualità, invidia ecc..
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Un’ulteriore ipotesi parte dal presupposto che gli adulti inseriti in un nucleo
familiare, nel momento in cui diventano genitori, fanno di tutto per affrontare
adeguatamente il loro nuovo ruolo, per trasmettere il meglio di se ai propri figli,
spinti da motivazioni prettamente biologiche. Quando, però, alla base di un rapporto
adulto-bambino non c’è nessun legame di sangue, come avviene in presenza di
matrigne e patrigni, la motivazione a fare del proprio meglio diventerebbe, secondo
gli autori, del tutto aleatoria e fittizia.
I sostenitori di questa teoria (Socio-biologica) hanno posto l’attenzione, quasi
esclusivamente, sui lati negativi del rapporto “figliastri-patrigni-matrigne,
evidenziando le negligenze e gli abusi di cui quest’ultimi sono, in alcuni casi,
responsabili.
Un’ultima posizione, rientrante nel paradigma “Problem-oriented” è costituita
dalla teoria “dell’Istituzione incompleta dei ruoli”.
Gli studiosi che si riconoscono in questa prospettiva ritengono che l’indefinitezza
dei ruoli e dei modelli di comportamento, presenti nelle nuove famiglie, generano
ambiguità pericolose, accrescendo la conflittualità tra genitori effettivi ed acquisiti e
tra le altre figure adulte presenti. Gli studi realizzati hanno, inoltre, mostrato, come i
bambini, allorquando si trovano circondati da più figure adulte, tendono a sceglierne
soltanto alcune come riferimento, ponendo le altre in una posizione di sfondo. Nello
specifico, per quanto riguarda la figura maschile la scelta è esclusiva, si legano,
infatti, al padre o al patrigno ma non ad entrambi.
Nel secondo paradigma, detto “Normativo-Adattivo”, l’attenzione sul rapporto tra
figli acquisiti e nuovi arrivati è ancora più marcata, considerando che uno degli
obiettivi è quello di studiare, capire ed analizzare le relazioni che si instaurano in
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queste famiglie, mettendo da parte i giudizi sull’adeguatezza o meno delle posizioni
assunte, nell’esercizio delle funzioni fondamentali (es. educative, di autorità ecc..).
Varie ricerche hanno fatto notare come i legami tra figli e genitori non affidatari
sono irrimediabilmente destinati a cambiare, allorquando la separazione diviene
effettiva.
La figura materna (nell’ipotesi in cui non risulta affidataria) è maggiormente
propensa a mantenere contatti frequenti con i figli, rispetto a quanto accade per i
padri i quali, nella maggior parte dei casi, si allontanano, per ragioni in parte legate
alla propria volontà, in parte svincolate da questa. Gli studi hanno anche dimostrato
l’importanza fondamentale della natura della relazione genitore acquisito-figli
dell’altro, rispetto al funzionamento e al buon andamento delle famiglie ricostituite.
La presenza di relazioni dai connotati negativi, influisce sulla possibilità o meno di
raggiungere l’armonia e l’equilibrio, generando insoddisfazione e stress, la cui
nocività coinvolge tutti i soggetti interessati. La situazione, se non affrontata
adeguatamente, può ulteriormente peggiorare con il tempo, deteriorando quanto è
stato costruito con fatica.
All’interno dello stesso paradigma si sono sviluppate alcune aree di ricerca,
orientate allo studio della soddisfazione dei coniugi coinvolti nel nuovo rapporto, al
benessere che ne scaturisce e agli effetti prodotti sui soggetti anziani, dalle nuove
unioni.
Rispetto a questi temi sono state proposte diverse ipotesi. Tra queste rientrano:
l’ipotesi della ”Predisposizione”, in base alla quale per chi ha già sperimentato il
divorzio è più difficile creare unioni stabili, vedendo nella rottura del rapporto un
modo sempre possibile e, non troppo complesso, di risoluzione dei problemi
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(Furstenberg 1987) e “l’Istituzione incompleta”, che lega l’instabilità del nuovo
matrimonio alla mancanza di regole ed attese di ruolo non condivise ed ambigue. La
terza ipotesi, definita “Psicopatologica”, sostiene che coloro che si risposano hanno
maggiori probabilità di incorrere in problemi a carattere comportamentale,
psicologico ecc..
Guardando alle famiglie ricostituite nel loro insieme, alcuni autori quali Arnett,
Hollier, Hetherington, hanno indirizzato l’attenzione sulle relazioni presenti tra i
membri della famiglia ristretta e di quella allargata, riconoscendo a quest’ultima
un’importanza fondamentale, di gran lunga superiore a quella rivestita nelle
famiglie tradizionali. In particolare sono essenziali i rapporti con i nonni che, con la
loro presenza e il loro aiuto, sostengono i nipoti durante la separazione, li aiutano ad
affrontare l’allontanamento di uno dei genitori, la nascita del nuovo legame e,
soprattutto, ad acquisire le capacità e competenze richieste nella società.
In seguito alla separazione i rapporti con la famiglia allargata si modificano. Ciò
accade, soprattutto, con i parenti del genitore non affidatario, con i quali si riducono
drasticamente, arrivando in alcuni casi ad annullarsi.
Gli studiosi che si riconoscono nell’ipotesi analizzata, fanno notare come la rete
parentale, nelle famiglie ricostituite, si presenta più che mai amplia e complessa e
più difficile da gestire, rispetto a quanto accade nelle famiglie tradizionali.
Naturalmente, se i rapporti saranno positivi notevoli saranno i benefici che ne
scaturiranno, per ciascuno dei soggetti e in particolare per i più piccoli.
Del resto, come accade in ogni rapporto, è necessario trovare un giusto equilibrio,
per evitare eccessive interferenze ed influenze, che a lungo andare potrebbero
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rivelarsi estremamente negative e trasformare la rete parentale da risorsa a fonte di
problemi, rivalità ecc..
Altri studi, legati al medesimo paradigma, si sono soffermati maggiormente sul
livello di soddisfazione presente nelle famiglie ricostituite, quando entrambi i
coniugi hanno figli avuti da esperienze precedenti. I risultati ottenuti hanno
evidenziato come tale presenza riduce il livello di appagamento e soddisfazione
generale, aumentando i motivi di disaccordo e conflitto.
La nascita, invece, di figli dalla nuova unione è stata interpretata come positiva e,
quindi, elemento a favore del raggiungimento dell’armonia interna al nucleo.
Tra i problemi maggiori che le famiglie ricostituite si trovano ad affrontare (sempre
secondo tale modello) ci sono sia quelli connessi alla complessità dei legami, sia
quelli relativi all’indefinitezza dei confini e all’ambiguità delle funzioni da svolgere.
Nel primo caso le difficoltà sono da ricercare nelle diverse storie di vita di ciascuno,
nelle esperienze effettuate e nella mancanza di elementi comuni alle parti su cui
lavorare. Nel secondo caso è necessario che i membri dei nuovi nuclei siano fin
dall’inizio consapevoli dell’impossibilità di agire seguendo modelli tradizionali e,
quindi, della necessità di utilizzare modalità più flessibili ed aperte all’esterno e al
passato.
5
Al di là dei due paradigmi analizzati in precedenza, sono stati fatti (sempre negli
Stati Uniti intorno alla fine degli anni ’70) altri studi interessanti, relativi allo
sviluppo cognitivo ed intellettivo, all’immagine di sé, alla situazione di maggior
vantaggio o svantaggio vissuta dai figli, presenti nei nuclei considerati.
5
Cigoli V. (1998) “Psicologia della separazione e del divorzio” Il Mulino Bologna
15
I risultati ottenuti non hanno rilevato grosse differenze, pur evidenziando, rispetto
all’immagine di sé, una maggiore svalutazione tra chi sperimenta i nuovi modelli
familiari (Chapman 1977).
6
In Italia i testi che parlano dell’argomento sono per lo più traduzioni.
Di ricerche vere e proprie, riferite alla specifica realtà nazionale, ve ne sono molto
poche. Tra queste rientrano gli studi realizzati da Barbagli, agli inizi degli anni
novanta e quelli condotti presso il Dipartimento di Psicologia dei processi di
sviluppo e socializzazione dell’Università “La Sapienza” di Roma, nel 1994.
Si aggiungono, inoltre, la ricerca-pilota realizzata dal Dipartimento di Psicologia di
Comunità, sempre della “Sapienza” e quelle realizzate negli ultimi anni dalla
Oliverio Ferraris, dalla Zanatta e dalla Bernardini.
Fino ad ora, risulta abbastanza ridotto anche l’interesse dei terapeuti familiari che,
da un lato non hanno ancora del tutto colto le dimensioni che il fenomeno sta
assumendo, dall’altro non hanno ricevuto adeguata stimolazione, essendo ancora
limitata la richiesta di intervento da parte di queste famiglie.
6
Ganong L.H, Coleman M (1984) “The Effects of Remarriage on Children: A Review of The Empirical
Literature. in Family Relation.
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1.2 Ambiguità terminologiche, pregiudizi, stereotipi e miti legati alle famiglie
ricostituite e ai loro membri.
La prima difficoltà che si incontra nello studiare ed analizzare le famiglie
ricostituite, nate in seguito a separazione e divorzio, è legata all’ambiguità
terminologica, alla mancanza cioè di termini definiti ed adeguati, liberi da accezioni
negative, per inquadrare e denominare le nuove realtà.
Queste difficoltà riguardano non soltanto i paesi nei quali il fenomeno si è diffuso di
recente, ma anche quelli che vantano un’esperienza in materia di gran lunga
precedente (Stati Uniti, Inghilterra).
Nei paesi anglosassoni il termine comunemente utilizzato (per classificare i nuovi
nuclei) si ottiene aggiungendo il prefisso “Step” (derivante dall’antica forma Steop,
cioè privato, reso orfano) alla parola “Family”, che significa appunto famiglia. Lo
stesso procedimento è applicato per identificare i singoli membri ottenendo, come
risultato, parole quali: “Stepmother” e “Stepfather” (che rappresentano i genitori
non biologici), “Stepchildren” (figli nati da unioni precedenti), “Stepsister” e
“Stepbrother” (per indicare i rapporti tra figli delle unioni precedenti e figli
dell’unione attuale).
7
In origine questi termini erano utilizzati, esclusivamente, per indicare i rapporti di
parentela sorti in seguito a vedovanza, di uno o entrambi gli adulti coinvolti. Oggi il
significato è stato esteso, includendo i legami costruiti da chi ha già avuto, in
precedenza, esperienze matrimoniali o di convivenza, alle quali ha posto fine
tramite la separazione e successivamente il divorzio.
7
Cigoli V. (1998) “Psicologia della separazione e del divorzio” Il Mulino Bologna
17
A partire dagli anni trenta, l’uso di questi termini è stato più volte criticato, da
esperti in campo sociale, psicologico ecc.., perché eccessivamente legati a stereotipi
e pregiudizi negativi, radicati nell’immaginario collettivo. Basti pensare, per
esempio, alla diffusione di alcune convinzioni quali quella di ritenere che i bambini,
inseriti nei nuclei familiari ricostituiti, fossero, inevitabilmente, esposti a problemi
mentali, interpersonali ed emotivi. Addirittura la parola “stepchildren” diventò,
quando la diffusione del fenomeno era ancora limitata, sinonimo di bambino
abusato, rifiutato e non amato.
8
Nonostante le critiche e le proposte avanzate da più parti, il superamento della
vecchia terminologia non è mai avvenuto pienamente, contribuendo, così, ad
accrescere confusione ed imbarazzo in chi vive l’esperienza in prima persona.
Spostando l’attenzione alla realtà italiana, si nota come anche qui esistono
numerose difficoltà di tipo linguistico ed espressivo. Ciò è testimoniato dagli stessi
dizionari di lingua nei quali gli unici termini a disposizione, per indicare il
fenomeno e i suoi protagonisti (famigliastra, patrigno, matrigna), sono del tutto
inadeguati, obsoleti e pregiudizievoli.
Per superare le carenze attuali alcuni studiosi della famiglia hanno proposto nuove
espressioni che, per quanto generiche, stanno gradualmente sostituendo le
precedenti. Si parla sempre più spesso di famiglie ricomposte, aperte, allargate,
estese, nuove o appunto ricostituite.
Difficoltà notevoli continuano ad esistere nel modo di definire i singoli protagonisti.
8
Ganong L.H, Coleman M. (1984) “The Effects of Remarriage on Children: A Review of The Empirical
Literature” in Family Relation.
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Per esempio, è inevitabile chiedersi in che modo un bambino inserito in una nuova
famiglia chiamerà il nuovo arrivato, sia si tratti del marito di mamma o della moglie
di papà. Di certo eviterà di utilizzare i termini classici (mamma e papà) se ha alle
spalle due genitori biologici, riducendo così la conflittualità e la rivalità tra gli adulti
coinvolti e il disorientamento che altrimenti si creerebbe.
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Di fronte, però, al bisogno di definire “l’altro”, sono state coniate (dai diretti
interessati) espressioni nuove e, per certi versi, simpatiche. C’è chi chiama il nuovo
arrivato utilizzando semplicemente il nome proprio, chi associa il nome ai termini
papà e mamma (es. mamma Maria, papà Luca), chi ha elaborato soluzioni di
fantasia, come “papà finto” o, come accade in alcuni paesi del nord Europa, “papà
di plastica”. Nell’ipotesi in cui il nuovo arrivato sia di sesso femminile, si fa, anche,
uso di forme quali “altra mamma” o “mamma sostituta”.
Talvolta, quando i rapporti sono positivi, si utilizzano nomignoli affettuosi, ottenuti,
in parte, dall’adozione di lingue straniere. Per es. i bambini e/o ragazzi francesi
fanno spesso riferimento alla lingua inglese, in particolare a parole quali “Daddy” e
“Mum”, mentre gli inglesi preferiscono la lingua italiana, con termini quali mamma
e papà. Il loro uso assume per lo più carattere scherzoso, rivelando, comunque, il
bisogno di chiarezza laddove non esiste ancora.
Quando i rapporti sono tesi o conflittuali, espressioni comuni sono “quello lì o
quella lì”, che evidenziano chiaramente il distacco emotivo ed affettivo tra le parti
coinvolte.
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Malagoli Togliatti M. (1996) “ Il ciclo vitale delle famiglie ricomposte” in Servizi Sociali A.23 n.5/6
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Francescato D. (1994) “Figli sereni di amori smarriti” Mondadori