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La responsabilità diventa elemento fondante per la creazione di un nuovo
rapporto tra il territorio e le classi dirigenti. I soggetti che s’impegnano nella
programmazione negoziata, assumono un ruolo attivo nelle politiche pubbliche
per lo sviluppo economico, abbandonando il ruolo marginale d’intermediari dei
poteri statali, che avevano fino ad oggi.
Nella prima parte della descrizione del complesso legislativo che definisce i
Patti territoriali e i Contratti d’area, mi soffermerò, sulle basi teoriche che
hanno permesso di elaborare questi strumenti. Solo successivamente delineerò
gli aspetti prettamente normativi, e in ogni modo, mi sforzerò di collegarli alle
considerazioni che farò in merito allo sviluppo locale.
Per concludere l’introduzione, ritengo possa esser utile evidenziare quali sono
gli obiettivi che i patti territoriali ed i contratti d’area possono raggiungere. La
stampa italiana, commentando questi strumenti della programmazione
negoziata, spesso ha attribuito loro le potenzialità per riuscire risolvere i
notevoli problemi che affliggono le zone depresse del paese.
1
Ritengo che
quest’opinione sopravaluti le potenzialità di questi strumenti. Reputo sia più
appropriato, il giudizio di G.De Rita, che si limita a considerare i patti ed i
contratti, « delle occasioni per avviare dei processi di crescita economica in
aree territoriali limitate, che aiutino lo sviluppo delle comunità locali » (CNEL
1999, 23).
1
Vedi, gli articoli del Mattino e della Gazzetta del Mezzogiorno di commento agli strumenti della
programmazione negoziata
5
1.1 Il locale come dimensione per competere nell’economia globale
Le economie degli Stati più sviluppati sono sempre più votate
all’interdipendenza. Le ragioni di questo fenomeno sono, di natura finanziaria
e dovute a motivi che si possono semplicisticamente ricondurre alla possibilità
di commerciare su mercati geograficamente sempre più distanti. La situazione
che vive la nostra economia, si può comodamente ricondurre, ad un processo,
che probabilmente è solamente appena iniziato, ed è comunemente definito
globalizzazione dei mercati. La diffusione di nuovi sistemi di comunicazione è
sicuramente il fattore che ha favorito maggiormente la creazione dell’economia
globalizzata.
Partendo da queste considerazioni sui nuovi sistemi di comunicazione,
A.Bonomi indica la dimensione locale come la più adeguata per inserire nuovi
investimenti produttivi nel mercato globale. Il ragionamento seguito da
quest’autore permette di spiegare un’osservazione che a prima vista sembra un
paradosso. L’apertura di possibilità commerciali e di collaborazione non più
vincolate allo stretto rapporto personale, presumono l’affievolimento di tutti
quei legami interpersonali che sono alla base delle comunità locali. Tale
semplice considerazione porterebbe ad ipotizzare che l’economia globale
provoca la perdita d’importanza del tessuto socioeconomico delle comunità
locali. Per A.Bonomi (A.Bonomi 1996, 28) invece, la dimensione locale,
grazie alle nuove tecnologie, ha la possibilità di commercializzare, i prodotti
che produce, sui mercati nazionali e internazionali. Questa considerazione,
permette di evidenziare come i nuovi mezzi di comunicazione, consentono di
abbattere le distanze (AA.VV. 2000, 68) e favoriscono le imprese che
desiderano competere sui mercati internazionali. La riflessione fatta da
A.Bonomi merita di essere approfondita. Il locale è proposto come dimensione
appropriata per lo sviluppo economico, ma a condizione che sia messo in
6
comunicazione con le altre realtà locali del mercato. L’economia locale in
questo modo non è finalizzata più alla sola sussistenza della comunità, ma
favorisce la creazione di rapporti con l’esterno, che riducono le possibilità di
scadere in forme di localismo (A.Bonomi e G.De Rita 1998, 56-60).
Prima di proseguire il ragionamento, considero importante sottolineare, che i
distretti industriali sono i riferimenti empirici, su cui si basa la teoria dello
sviluppo locale applicabile alla situazione italiana. I distretti industriali,
permettono di evidenziare, che le dotazioni di beni relazionali e le virtù civiche
che li caratterizzano, possono essere considerate non solo un patrimonio per la
convivenza delle comunità, ma anche un fattore di competitività del tessuto
economico (CNEL 1998, 155). La teoria dello sviluppo locale, riassume queste
caratteristiche con il concetto di coesione sociale (A.Bonomi e G.De Rita
1998, 74).
Questa concezione dello sviluppo locale si basa su due fattori: la
valorizzazione delle risorse “ambientali” e umane del territorio, e la possibilità
di creare reti con altre realtà produttive esterne. La presenza di questi elementi
nel sistema produttivo, pone l'economia locale nelle condizioni di raggiungere i
seguenti obiettivi: « facilitare la mobilità degli operatori e capitali, e abbassare
i costi di transizione con gli altri sistemi, ridisegnare i rapporti tra pubblico e
privato, attraverso la creazione di combinazioni istituzionali di governo
territoriale, e strutturare la comunità in modo da miscelare le risorse
“ambientali” (economiche, sociali, culturali) » (CNEL 1998, 151).
La dimensione locale che sto descrivendo, per evolversi, richiede la presenza
di condizioni che permettano di valorizzare le risorse ambientali presenti. Le
politiche di sviluppo dovranno perciò essere coordinate tra gli attori sociali che
operano sul territorio, in modo da creare delle situazioni attrattive per futuri
investimenti. Un modo con cui si possono raggiungere questi risultati è la
7
concertazione. Questa è un’occasione in cui gli attori sociali si riuniscono, e
stabiliscono reciproche regole e comportamenti, a cui si atterranno in certi
contesti, in particolari luoghi e per determinati periodi.
Questo modo di operare, perché porti a dei risultati per lo sviluppo locale,
deve essere supportato da una classe dirigente a livello locale competente
(CNEL 1999, 125), e con ampi margini d’autonomia decisionale. Questo vale
sia per gli amministratori pubblici, sia per i rappresentanti delle organizzazioni
sindacali e del mondo produttivo. Tale considerazione, inoltre, ben concorda
con quelle tesi che vorrebbero un decentramento dei poteri dello Stato a favore
di quelli locali.
L’altro elemento che deve essere presente a livello locale, perché lo sviluppo
economico sia facilitato, è la presenza di un’efficiente infrastruttura
comunicativa. Lo scopo di questa dotazione, è quello di permettere agli
operatori di scambiare beni e servizi sui mercati nazionali ed internazionali.
Questo comporta la possibilità d’interagire con attività produttive e sistemi di
ricerca e sviluppo, non insediati nel sistema locale.
Questi elementi sono quelli che probabilmente connoteranno la società di
domani. I caratteri locali permarranno sotto forma di specifiche vocazioni
produttive, ma i sistemi di produzione tenderanno ad essere sempre più
omogenei a livello globale.
Ritornando alla descrizione delle infrastrutture comunicative, è giusto precisare
che queste sono di tipo, telematico, ferroviario e stradale. La presenza di queste
ultime, è ancor oggi prerogativa importante per le possibilità di sviluppo di una
zona. Difficilmente, attività produttive privilegeranno localizzazioni che non
siano servite, da strade di grande transito, o che non abbiano la possibilità di
esser raggiunte con il treno (CNEL1998, 143-208). E’ auspicabile, che le
politiche per la realizzazione delle infrastrutture, possano essere organizzate in
8
modo che vi sia una mediazione tra organismi locali (le Regioni in Italia) e lo
Stato. In questo modo, si permetterebbe di non far tramontare legittime
aspirazioni di sviluppo locale, a causa di realizzazioni infrastrutturali non
funzionali alle economie che dovrebbero essere servite.
Per quanto riguarda le infrastrutture di tipo telematico, queste devono essere
sentite come un bisogno a livello locale. Per la loro creazione vi deve essere un
diretto interessamento degli attori sociali del territorio, in modo da realizzarle
senza l'intermediazione delle istituzioni sovraordinate. L’insieme di strutture
comunicative permetterà di creare delle reti lunghe di rapporti, che
consentiranno di connettere il locale con il globale, creando una dimensione
sociale che Bonomi definisce con il termine glocale (A.Bonomi 1996, 28).
1.2 Come si può favorire per legge lo sviluppo locale?
Considerare come s’inseriscono i provvedimenti della Programmazione
Negoziata, nel cotesto della normativa economica prodotta dalle Istituzioni
italiane, è particolarmente interessante per comprendere il significato e la
portata dei patti territoriali e dei contratti d’area. Certamente ricondurre
l’analisi della normativa della Programmazione Negoziata, ad un esame
sull’efficienza del loro sistema di finanziamenti pubblici è sicuramente
riduttivo. In particolare, le norme che definiscono i patti territoriali ed i
contratti d’area, hanno come l’obiettivo principale la maturazione d’esperienze
che permettano di coinvolgere nei processi di sviluppo le migliori risorse
umane presenti sul territorio nazionale (A.Bonomi e G.De Rita 1998, 217).
Secondo queste considerazioni, ritengo sia poco utile, ricondurre l’analisi delle
norme sui patti territoriali e sui contratti d’area, ad un esame che permetta di
definire a quale tipo di politica economica corrispondano queste iniziative per
lo sviluppo (F.Botta 1998, 21-24). Giudico invece più opportuno, considerare
9
le norme della Programmazione Negoziata, comprendendole in quel processo
di decentramento dei poteri statali che è attualmente in atto in Italia (Censis
2000, 163). Conseguentemente a queste riflessioni, la mia analisi avrà come
oggetto di studio, le relazioni sociali che i patti possono attivare.
In particolare, di quest’argomento approfondirò le modalità con cui le parti
sociali hanno esercitato le nuove “competenze”, che sono state attribuite loro in
merito allo sviluppo locale. Dal secondo capitolo considererò la concertazione
locale come parte delle relazioni industriali italiane, e le pubblicazioni del Cnel
saranno il materiale su cui struttuarerò la mia analisi.
In merito alla posizione che trovano nell’ordinamento italiano, le norme sui
patti territoriali e sui contratti d’area, è importante segnalare, che s’inseriscono
in quella produzione legislativa, che deriva direttamente da accordi di
concertazione a livello nazionale. I patti territoriali nascono nel novembre del
1994 da un accordo tra governo, sindacato e parti sociali, in linea con le
iniziative comunitarie di sviluppo economico e di lotta alla disoccupazione.
Questo strumento è mirato, all’ampliamento delle attività produttive e al
miglioramento della dotazione d’infrastrutture nelle aree depresse del
Mezzogiorno. Successivamente con l’Accordo per il lavoro del 1996 si riforma
l’istituto dei patti territoriali e si delinea quello dei contratti d’area (N.Zerboni
1999, 183).
10
1.3 La normativa dei patti territoriali e dei contratti d’area
I patti territoriali
Prima di iniziare la descrizione delle norme, che regolano questi due
strumenti della programmazione negoziata, penso sia necessario rilevare, che i
patti territoriali quando sono stati creati assolvevano ad un compito
leggermente diverso da quello che svolgono attualmente. Il loro ambito
territoriale d’applicazione all’inizio era limitato alle « aree depresse del paese
». Questo vincolo permetteva di considerare i patti, sia come strumenti per
favorire lo sviluppo endogeno nel sistema produttivo locale, sia come mezzi
che servivano ad attrarre investimenti dall’esterno. Questa duplice valenza,
comportava il rischio che non s’individuasse una precisa strategia per lo
sviluppo economico del territorio a cui conseguisse una selezione dei progetti
imprenditoriali.
A tale difficoltà successivamente il legislatore ha tentato di porre rimedio. I
patti territoriali, oggi si caratterizzano, come degli strumenti, che mirano a
creare lo sviluppo, partendo dalla valorizzazione delle vocazioni produttive,
già presenti sul territorio locale. Questo non esclude il fatto, che vi possano
essere degli investimenti che arrivino dall’esterno e che s’inseriscano nel
tessuto produttivo esistente.
La normativa per i territori in cui non esistano realtà produttive significative, o
che quelle presenti siano in profonda crisi, prevede la possibilità di attrarre
investimenti mediante l’attuazione dei contratti d’area. Questi strumenti, hanno
l’obiettivo di creare delle situazioni favorevoli, per l’insediamento di nuovi
sistemi industriali favoriscano lo sviluppo economico e sociale delle comunità
locali. Ritengo che a questo punto dell’analisi possa essere utile riportare una
traccia delle norme che regolano i patti. Lo schema che ho riportato, è stato
11
tratto dalle pubblicazioni che specificamente illustrano la normativa della
programmazione negoziata (N.Zerboni 1999, 108).
• 24 aprile 1995: il Governo emana il decreto legge 103/95 in cui si definisce
lo strumento del patto territoriale;
• 10 maggio1995: il CIPE emana la norme fondamentali relative a patti
territoriali, al CNEL si attribuisce, sia il compito di certificare la fase di
concertazione locale, sia l’incarico di monitorare la fase di realizzazione
delle iniziative comprese nei patti;
• il D.L. 103/95 poi D.L.244/95 viene convertito nella legge 341/95;
• 20 novembre 1995: il CIPE definisce il quadro generale degli interventi
economici ed amministrativi che dovranno includere e favorire l’esperienza
dei patti territoriali con delibera intitolata « criteri ed indirizzi per il
coordinamento, nelle aree depresse, degli investimenti pubblici delle
singole forme di programmazione negoziata, …..»;
• 12 luglio 1996: il CIPE emana una nuova delibera intitolata « criteri e
procedure per la realizzazione dei patti territoriali », recuperando
l’esperienza del CNEL e attribuendo al Consiglio il ruolo di promotore e
accompagnatore nella fase di formazione dei patti territoriali, e la funzione
di certificare la concertazione;
• 23 dicembre 1996: la legge 662/99 nell’art. 2 comma 203, ridisegna la
struttura e gli strumenti di programmazione negoziata, si rinvia ad una
nuova delibera del CIPE per quanto riguarda le procedure di formazione e
finanziamento dei patti e dei contratti d’area;
• 21 marzo 1997: il CIPE emana la prevista delibera che innova la procedura
rispetto ai precedenti provvedimenti.
• 9 luglio 1998: il CIPE vara una nuova metodologia per l’assegnazione dei
finanziamenti per i patti territoriali;
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• 11 novembre 1998: il CIPE estende gli strumenti di programmazione
negoziata ai settori dell’agricoltura e della pesca, è questo il motivo per cui
oggi spesso vengono creati dei patti verdi che si affiancano a patti
territoriali precedentemente creati (es. Alessandria e Padova).
Questo complesso di norme porta alla creazione di una schema procedurale
che conduce all’attivazione, del patto, o del contratto.
Per quanto riguarda i patti territoriali, evidenzierò in particolar modo le
principali fasi procedurali ed i contenuti dei documenti che devono essere
presentati perché questi strumenti possano essere attivati. Mi concentrerò solo
su questi due aspetti, perché li ritengo i più significativi per riuscire ad inserire
i patti nell’ambito delle relazioni industriali italiane.
La procedura d’approvazione dei patti territoriali è simile a quella dei contratti
d’area. In entrambi i casi si presenta complicata e costringe gli investitori ad
attendere parecchio tempo, dalla manifestazione d’interesse, al momento in cui
potranno usufruire dei finanziamenti e delle facilitazioni previste dai protocolli
d’intesa. Questo tipo di problema, a metà 1998, ha costretto a rinunciare agli
investimenti programmati nell’ambito dei patti circa un quarto degli
imprenditori che vi avevano aderito all’inizio del 1997.
2
Le procedure dei patti territoriali sono suddivise dal legislatore in varie fasi,
nei successivi paragrafi le descriverò basandomi principalmente su materiali
prodotti dalla Camera dei deputati (Camera dei deputati 1998 e 1999)
2
Vedi, Rassegna Sindacale n.44, 14/12/2001 articolo “la crescita si fa da sé”
13
La promozione dei patti
Le amministrazioni o gli enti pubblici locali e le parti sociali sono gli unici
soggetti autorizzati a promuovere i P.T.
Promuovere l’iniziativa dei P.T. significa, riuscire a sensibilizzare i possibili
soggetti interessati a queste iniziative, e verificare la possibilità di avviare la
fase di concertazione.
L’attivazione
La concertazione a livello locale a grandi linee ha come attori: la pubblica
amministrazione, le associazioni degli imprenditori, i sindacati dei lavoratori e
gli operatori economici della realtà locale (banche, società di servizi e di
ricerca, ecc.). Un patto territoriale alla fine della concertazione è attivato.
Questa è sicuramente la parte della procedura, più importante, per realizzare un
progetto di sviluppo economico. Partendo dal coinvolgimento dei soggetti
economici operanti sul territorio, bisogna elaborare un progetto di sviluppo che
sostenga le vocazioni produttive locali. La concertazione, è opportuno
considerarla il modo, con cui si vuole raggiungere questo risultato. La fine di
questa fase sarà sancita dalla stipulazione di uno o più protocolli d’intesa, in
cui le parti s’impegneranno ad assolvere certi impegni in termini fissati. Questo
tipo di metodologia dovrebbe permettere l’attribuzione precisa delle
responsabilità d’eventuali rallentamenti nel processo di sviluppo, permettendo
di far fronte a questi problemi in tempi brevi. Il soggetto che è incaricato di
stabilire le responsabilità di possibili intoppi nel processo di sviluppo è il
soggetto responsabile. I suoi compiti nella fase d’attivazione sono:
- rappresentare in modo unitario gli interessi dei soggetti sottoscrittori;
- attivare risorse finanziarie per consentire l’anticipazione e/o il
cofinanziamento degli eventuali contributi statali, regionali e
14
comunitari, ivi compresa la promozione del ricorso alle sovvenzioni
globali;
- attivare risorse tecniche ed organizzative necessarie alla realizzazione
del patto;
- assicurare il monitoraggio e la verifica dei risultati;
- verificare il rispetto degli impegni e degli obblighi dei soggetti
sottoscrittori ed assumere le iniziative ritenute necessarie in caso
d’inadempimenti o ritardi;
- verificare e garantire la coerenza di nuove iniziative con l’obiettivo di
sviluppo locale a cui è finalizzato il patto;
- promuovere la convocazione, ove necessario, di conferenze di servizi;
- assumere ogni altra iniziativa utile alla realizzazione del patto.
Il soggetto responsabile deve inoltre presentare al Ministero del tesoro, del
bilancio e della programmazione economica e alla regione o alla Provincia
Autonoma, nonché all’eventuale comitato istituzionale di gestione dell’intesa
di programma, una relazione semestrale sullo stato d’attuazione del P.T.
evidenziando i risultati e le azioni di verifica e monitoraggio svolte.
A conclusione della fase d’attivazione del Patto, si deve giungere ad un’idea di
sviluppo del territorio che è accompagnata da dei progetti realizzabili. Proprio
per questo motivo D.Deidda giudica riduttivo considerare i patti territoriali
come una semplice procedura burocratica per ottenere dei finanziamenti
pubblici. Più opportunamente li ritiene, « un insieme di relazioni tra soggetti
portatori d’interessi socio economici finalizzate a strutturare una
programmazione permanente ».
3
3
Vedi l'articolo <<Potenzialità e limiti dei patti territoriali, di D.Deidda, Rete leader 1/1998
15
L’istruttoria
Conclusa la fase d’attivazione si passerà a quella d’istruttoria bancaria che sarà
realizzata da una società convenzionata con il Ministero del tesoro. In questa
fase sono svolte le seguenti operazioni:
- istruttoria del patto diretta a valutare la coerenza complessiva di tutte le
iniziative e gli interventi compresi nel patto stesso;
- istruttoria delle singole iniziative imprenditoriali;
- istruttoria agli eventuali singoli interventi infrastrutturali pubblici
strettamente funzionali alle attività e agli obiettivi del patto;
- verifica delle documentazioni di spesa per i necessari riscontri sulle
spese effettivamente sostenute a fronte delle iniziative e degli interventi
finanziati.
Per quanto riguarda l’istruttoria delle singole iniziative, mi preme
puntualizzare, che le attività per ottenere i finanziamenti del C.I.P.E. per i P.T.
debbono essere ubicate nelle aree individuate dalla Commissione dell’Unione
europea come ammissibili agli interventi dei Fondi Strutturali, Obiettivi 1,2 e
5b, e nelle aree rientranti nelle fattispecie di cui all’art.92.3.c) del Trattato di
Roma.
Inoltre, debbono rientrare nelle seguenti tipologie d’attività: attività estrattive e
manifatturiere, fornitrici di servizi, attività turistiche.
Le agevolazioni possono essere concesse a fronte delle seguenti tipologie
d’investimento: costruzione di un nuovo impianto produttivo, ampliamento,
ammodernamento, ristrutturazione, riconversione, riattivazione, trasferimento.
Per quanto riguarda invece il finanziamento degli investimenti pubblici questi
debbono essere strettamente finalizzati alle finalità e agli obiettivi del P.T.
Conclusa la fase d’istruttoria, il Ministero del tesoro:
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- acquisisce il parere della regione interessata, qualora questa non sia
compresa tra i soggetti sottoscrittori del patto;
- verifica la sussistenza dell’avvenuta concertazione fra le parti sociali, la
disponibilità dei progetti d’investimento per iniziative imprenditoriali
nei diversi settori e la complessiva integrazione di tutte le iniziative
contenute nel patto;
- accerta la disponibilità delle risorse finanziarie;
- verifica la complessiva validità del patto, in questa fase si esaminano la
presenza dei contenuti necessari del patto che sono: la descrizione dello
specifico e primario obiettivo di sviluppo locale, l’individuazione del
soggetto responsabile, la puntualizzazione degli impegni e degli
obblighi dei futuri sottoscrittori del patto, la definizione delle attività e
degli interventi da realizzare e la definizione di un piano finanziario.
Concluse queste verifiche il Ministero approva il patto con decreto dirigenziale
e i documenti conclusivi vengono sottoscritti dai partecipanti. Dopo la
sottoscrizione verranno erogati i finanziamenti dalla Cassa depositi e prestiti e
il patto è approvato.
I contratti d’area
I contratti d’area sono degli strumenti che hanno l’obiettivo di creare delle
condizioni “ambientali” favorevoli, per l’insediamento di nuove attività
imprenditoriali, in zone con gravi crisi economiche. La procedura d’attivazione
dei c.d’a. è simile, a quella dei patti territoriali. Le differenze procedurali più
marcate, tra questi due strumenti, sono collegate alle diverse finalità che si
vogliono perseguire.
Nei contratti d’area, i finanziamenti pubblici nel progetto di sviluppo, hanno un
ruolo più importante rispetto ai patti territoriali. Questa differenza, si collega al
17
fatto, che i c.d’a. hanno come primo obiettivo, quello di attrarre investimenti
produttivi esogeni rispetto al sistema produttivo, che si vuole migliorare. In
questa situazione il finanziamento pubblico è un forte incentivo rivolto agli
imprenditori, che intendono investire in aree poco sviluppate. L’impostazione
normativa di questo strumento della Programmazione Negoziata, comporta che
nella realtà vi sia una spiccata diversificazione degli investimenti produttivi
previsti. Questo risultato è dovuto principalmente alla delocalizzazione di
imprese che hanno la loro sede principale in aree ad alto sviluppo dell’Italia
settentrionale (il caso più significativo è Manfredonia). Le situazioni che si
vengono a creare difficilmente permettono la formazione d’esperienze
produttive, in cui si sviluppino delle sinergie tra gli imprenditori, che
riproducono le situazioni che hanno favorito la strutturazione dei distretti
industriali.
4
La conclusione, che ritengo più appropriata a questa breve prefazione ai
contratti d’area, è la considerazione fatta su questi strumenti per lo sviluppo in
un articolo da G.Cazzola. Secondo la sua opinione i contratti d’area, « a causa
della loro impostazione normativa non riescono a stimolare uno sviluppo dal
basso ».
5
Ritornando alla descrizione della procedura dei c.d’a., senza ripetere il discorso
fatto sui P.T., mi soffermerò sulle differenze rispetto a quello schema. Con
questa descrizione, si riesce a cogliere la differenza d’intenti che ha guidato il
legislatore, nel definire questi due strumenti per favorire lo sviluppo delle
economie locali.
L’iniziativa per la creazione di un c.d’a. può essere presa solo dalle
associazioni dei datori di lavoro o dalle rappresentanze dei lavoratori.
4
e
5
Vedi, l’articolo pubblicato sulla rivista Il Mondo con titolo; Sud e lavoro: deludono i contratti
d’area, di G.Cazzola