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INTRODUZIONE
“Date voce al dolore: la pena che non parla
sussurra al cuore affranto
e gli dice di spezzarsi”
(Macbeth, IV, 3)
William Shakespeare
Il termine “alessitimia” (dal greco “a”=assenza; “lexis”= parola;
“thymos”= emozione), fu introdotto nel 1976 da John Nemiah e Peter Sifneos, e si
riferisce all’incapacità rilevata in alcuni pazienti di “dare voce alle emozioni”.
Il soggetto alessitimico, dunque, non è affatto privo di emozioni, dotazioni
peraltro innate nella specie umana: ciò che caratterizza i pazienti alessitimici è
l’incapacità di etichettare, elaborare e regolare le emozioni a livello cognitivo, e
tutto ciò compromette le varie tappe di sviluppo della competenza emotiva.
Il tema dell'alessitimia ha destato l'interesse di molti studiosi negli ultimi
trent'anni. Questa profonda curiosità è comprensibile alla luce delle trasformazioni
concettuali che hanno riguardato il costrutto stesso di alessitimia. Inizialmente
infatti, il concetto indicava una dimensione discreta di personalità, alla pari di
altre dimensioni psicopatologiche, come la depressione. Questa prima
formulazione però riduceva l’alessitimia ad una serie di elementi cognitivi
specifici di quei soggetti con disturbi attinenti alla sfera psicosomatica.
Soltanto in occasione della XI Conferenza Europea sulle Ricerche
Psicosomatiche, che si è svolta ad Heidelberg nel 1976, il costrutto dell'alessitimia
viene definito operativamente. Si comincia a considerare l'alessitimia non più
come un indice mono - tratto, bensì come un'espressione multi-variata della
personalità, riconducibile ad uno stile cognitivo-affettivo connotato da incapacità
nel verbalizzare il proprio vissuto emotivo, deficit nell'identificazione e
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descrizione dei sentimenti, scarse capacità empatiche (Goleman, 1995) e difficoltà
a distinguere tra stato emotivo e sensazione corporea.
La conferenza di Heideberg ha quindi stimolato molti ricercatori a
partecipare al vivace dibattito circa lo sviluppo e la validazione di strumenti in
grado di rilevare e quantificare la dimensione alessitimica della personalità. Da
questo proficuo confronto sono derivati anche numerosi contributi di ricerca volti
a chiarire le origini dell’alessitimia. L’approccio neurobiologico ha riscontrato
significative correlazioni tra le disfunzioni registrate in alcune aree cerebrali
responsabili del processamento e della valutazione delle emozioni e la presenza di
tratti alessitimici.
Altri studiosi (Joukamaa e Mattila, 2007), si sono invece interrogati sulle
caratteristiche e la direzione dell’influenza di fattori socio-culturali e demografici
sul tasso di incidenza dell’alessitimia, confermando la natura multi-dimensionale
del costrutto.
Una mole più consistente di studi ha approfondito la relazione tra
l’alessitimia e altri costrutti psicologici come l’attaccamento e la regolazione
emotiva, sottolineando l’incidenza dei primi processi interattivi per uno sviluppo
emotivo adeguato.
La padronanza delle emozioni, intesa come abilità di regolare i propri
contenuti emotivi rispetto agli Altri, si acquisisce all’interno delle relazioni
significative ed è dunque connessa alla qualità dell’esperienza d’attaccamento del
bambino con le figure primarie (Bowlby, 1969/1980).
In condizioni normali il processo di sviluppo emotivo avanza in direzione
della verbalizzazione e della desomatizzazione delle risposte emotive, grazie
soprattutto alla capacità del care-giver di fornire cure adeguate e di fungere da
“specchio” per il bambino, che impara a gestire le emozioni anche grazie alle
esperienze di gioco con l’adulto (Krystal, 1988). Ciò permette al bambino, e poi
all’adulto di utilizzare in maniera congrua le emozioni nelle relazioni.
Le connessioni riscontrate tra alessitimia, attaccamento e regolazione
emotiva sono state poi declinate alla luce dei Disturbi del Comportamento
Alimentare e delle Dipendenze Patologiche, malattie psicosomatiche
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relativamente recenti, che numerosi autori hanno associato ai disturbi della
regolazione affettiva, e che si caratterizzano per la prevalenza dell'azione sulla
mentalizzazione dei contenuti emotivi.
L’idea centrale di questo elaborato è che l’ingorgo emotivo dovuto alla
presenza di alessitimia rappresenti un fattore di stress endogeno per il soggetto
che, nel tentativo di fronteggiare tale malessere, mette in atto strategie di coping
disfunzionali, connotate in direzione dalla somatizzazione. Attraverso il corpo i
soggetti alessitimici esprimono ciò che non sono in grado di comunicare
verbalmente. I Disturbi del Comportamento Alimentare e le Dipendenze
Patologiche rappresenterebbero proprio alcune delle modalità alternative di
gestione dello stress, delle valvole di sfogo per l’ingorgo emotivo, laddove il
corpo, dilaniato dall’anoressia o dalla bulimia, o che si fa agente di una coazione a
ripetere comportamenti patologici, diventa luogo dell’emozione inespressa.
Sono stati infine evidenziati alcuni limiti degli approcci terapeutici
tradizionali nella cura dell’alessitimia associata a Disturbi del Comportamento
Alimentare e alle Dipendenze Patologiche. In particolare, l’approccio
psicoanalitico risulta difficile se non impossibile da applicare in certi casi: il
soggetto alessitimico non è in grado di comunicare il proprio vissuto emotivo
all’interno del setting terapeutico, pertanto vanno presi in considerazione altri tipi
di intervento che possono, in qualche modo, permettere l’accesso indiretto a tali
contenuti che altrimenti rimarrebbero inespressi. Inoltre, come si auspicano
Pierini (2010) e Bilotta (2012), sarebbe utile puntare sull’apprendimento di nuove
strategie di coping per ottenere un duplice risultato: migliorare da un lato la
capacità di resistenza del soggetto alla situazione stressante, e dall’altro
depotenziare i livelli di alessitimia.
Interessante in questo senso è il contributo di Campione (2010) che
propone di fare ricorso all’arte-terapia, una forma di trattamento di ispirazione
winnicottiana. Tale strategia si rivela utile in due modi: in primis permette al
terapeuta di accedere attraverso vie indirette al mondo interno del paziente
alessitimico, e in secondo luogo rende possibile l’espressione di contenuti
soggettivi attraverso l’arte e il “gioco creativo”, permettendo non solo
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all’individuo stesso di attenuare il malessere “muto” che lo pervade, ma anche
favorendo modalità più soddisfacenti di interazione con gli Altri.
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Alessitimia: aspetti teorici e linee di ricerca
PARTE I
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CAPITOLO I
L’INDAGINE PSICOLOGICA SUL COSTRUTTO DI ALESSITIMIA
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1.1 Storia ed evoluzione del costrutto di alessitimia.
Il termine alessitimia (dal greco a= assenza, lexis =linguaggio, thymos =
emozioni, ossia “assenza di parole per le emozioni”), è stato utilizzato per la
prima volta da John Nemiah e Peter Sifneos nel 1976, in occasione della “XI
Conferenza Europea sulle Ricerche Psicosomatiche” tenutasi ad Heidelberg, e in
occasione della quale il costrutto dell'alessitimia viene definito operativamente.
L’intento degli studiosi era quello di indicare un disturbo affettivo-cognitivo
caratterizzato da una particolare difficoltà a identificare e comunicare le proprie
emozioni.
Nel 1963 Marty e de M’Uzan avevano già anticipato alcune caratteristiche
dell’alessitimia, coniando l’espressione “pensiero operatorio” per descrivere una
modalità di funzionamento mentale caratterizzata da povertà immaginativa,
adesione alla realtà, preoccupazione per i minimi particolari e incapacità di
produrre fantasie, osservando come questo tipo di attività intellettuale fosse
collegata a quadri di malattia psicosomatica. L’alessitimia infatti si connota come
un disturbo inerente l’ambito del funzionamento mentale dei soggetti affetti da
malattie somatiche.
Successivamente Nemiah e Sifneos hanno raccolto numerosi dati utili a
precisare quei fattori che caratterizzano il disturbo alessitimico: è stata evidenziata
una fondamentale incapacità a riconoscere e verbalizzare i propri stati emotivi e a
distinguerli dalle sensazioni corporee, scarse capacità empatiche (Goleman, 1995),
una scarsa attività onirica e povertà di fantasia (Krystal, 1988), una gestualità
ridotta ed un corredo di espressioni facciali molto limitato e stereotipato, insieme
ad una scarsa capacità di riconoscere le espressioni facciali delle emozioni e ad
uno stile cognitivo pragmatico e orientato prevalentemente all’esterno (Nemiah,
Freyberger e Sifneos, 1976).
Attualmente, il DCPR (Diagnostic Criteria for use in Psychosomatic
Research), stabilisce che per poter ipotizzare la presenza di alessitimia devono
essere presenti almeno 3 delle 6 caratteristiche seguenti:
1) incapacità di usare parole appropriate per descrivere le emozioni;
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2) tendenza a descrivere i dettagli di un evento più che gli stati d’animo
collegati ad esso;
3) mancanza di un ricco mondo fantastico;
4) il contenuto del pensiero associato più ad eventi esterni che alla fantasia
o alle emozioni;
5) inconsapevolezza delle comuni reazioni somatiche che accompagnano
l’esperienza di vari stati d’animo;
6) scoppi occasionali ma violenti e spesso inappropriati di comportamento
affettivo.
Dall’iniziale concezione dell’alessitimia come tratto di personalità stabile,
si è progressivamente giunti ad una concezione evolutiva e adattiva di questo
costrutto come dimensione clinica “transnosografica.
Infatti, sebbene il costrutto alessitimico rappresenti un fattore di rischio
significativamente correlato con le malattie somatiche, la sua incidenza è stata
riscontrata anche in molte problematiche non direttamente somatiche, ed in
particolare in quei quadri sintomatici per i quali si può teorizzare che un’emozione
non regolata, non elaborata, si esprima in maniera disfunzionale mediante il
prevalere dell’agito sul mentalizzato, come nel caso dei Disturbi del
Comportamento Alimentare e delle Dipendenze Patologiche.
L’indagine circa le probabili connessioni tra i suddetti quadri patologici e
la componente alessitimica trova nel concetto di “coping” uno dei più proficui e
interessanti ambiti esplorativi.
I Disturbi del Comportamento Alimentare e le Dipendenze Patologiche
rappresentano infatti modalità alternative di gestione dello stress che deriva
dall'incapacità del soggetto di verbalizzare, e dunque esternare le emozioni, per
questo possono essere considerati alla stregua di strategie di coping disfunzionali
ma necessarie come valvole di sfogo dell’ingorgo emotivo.
Per questo motivo si può supporre non solo che l’alessitimia e i disturbi
qui considerati correlino, data che alcune caratteristiche dell'alessitimia sono di
fatto riscontrabili nei Disturbi del Comportamento Alimentare e nelle Dipendenze
Patologiche, ma anche che tale correlazione possa essere addebitata alla funzione