Tutti gli studiosi delle emozioni individuano in esse fenomeni psicofisiologici individuali,
soggettivi, di movimento verso il Sé e, accanto a questi, funzioni interpersonali, di condivisione
sociale, di apprendimento di fattori culturali, di apertura all’altro (Averill, 1998: Galati, 1993, 2002;
Levenson, 1999; Lombardo, Cardaci, 1998; Sommer, Kosmitzki, 1988; Thomson, 1988).
Le funzioni intraorganiche preparano l’individuo a rapide risposte motorie, adeguano lo
stile cognitivo alle domande situazionali, convogliano le decisioni verso le mete prescelte. Ma le
emozioni hanno anche importanti funzioni relazionali e sociali. Infatti forniscono informazioni sulla
nostra posizione nell’ambiente, sulle intenzioni comportamentali degli individui che ne fanno parte,
assegnano valenza positiva o negativa alle esperienze, adeguano, seppur in modo flessibile, il
comportamento del singolo a quello della società di cui fa parte (Gross, 1999). Levenson (1999)
osserva che in specie altamente sociali, come quella degli esseri umani, è altamente adattivo che il
sistema emotivo sia progettato per assolvere tanto ai bisogni dell’individuo quanto a quelli del
gruppo.
Le esperienze relazionali, sociosituazionali, storicoculturali ci indirizzano a privilegiare le
teorie componenziali perché queste presuppongono l’intervento di più fattori nei processi
emozionali, riconoscono l’importanza dell’apprendimento individuale, danno rilievo ai fattori
socioculturali (Galati, 1993, 2002; Lombardo, Cardaci, 1998). Le teorie più moderne propendono
per un sano sincretismo fra le teorie delle emozioni discrete, innate, elementari e quelle
componenziali che sono invece costruite, dato che il comportamento risulta dall’interazione
circolare di individuo e ambiente
1
.
Un aspetto che rende ancor più problematico lo studio delle emozioni è dato dalla loro
modalità di espressione e da quella di comunicazione, dal momento che non si identificano in tutto e
per tutto con le categorie del linguaggio. Le parole sono inadeguate a rappresentarle: i due fenomeni
sono di natura diversa. Per questo gli studiosi che indagano questi argomenti analizzano non solo il
contenuto, ma anche la forma del linguaggio adottato, perché sperimentare, conoscere, comunicare,
si riferiscono a realtà differenti
2
.
L’altra parte della mia Tesi riguarda l’invecchiamento, investigato in prevalenza
nell’aspetto psicologico, psicosociale e, solo marginalmente, in quello biologico e
comportamentale. Al quadro complesso dello studio delle emozioni si accosta, pertanto, quello
multidimensionale che caratterizza l’indagine relativa agli anziani e ai vecchi.
1
Vedi Interazionismo: Caprara G.V., Gennaro A. (1994). Psicologia della personalità, Bologna, Il Mulino, 459-470.
2
Galati D. (2002). Il modellamento linguistico-concettuale delle emozioni, (in D.Galati, Prospettive sulle emozioni e
teorie del soggetto, Torino, Bollati Boringhieri), 120-163. Cattaneo, 1998; Galati, Zucchetti, 1990; Galati, Sini, 2002.
Le emozioni, e gli aspetti cognitivi che influenzano i legami e la comunicazione
interpersonale e sociale nella terza e quarta età, costituiscono un problema relativamente giovane
perché, salvo lodevoli eccezioni , la ricerca scientifica è in ritardo sulle aspettative che la realtà ci
presenta. Le ricerche sull’invecchiamento sono solo all’inizio e il campo di lavoro si presenta irto di
difficoltà. Lo stesso termine invecchiamento non è definibile in modo omogeneo. I processi di
crescita dall’infanzia alla vecchiaia si adattano a continue trasformazioni così da registrare
moltissimi tipi di età adulte e, ancor più, di età invecchiate.
La nascita e lo sviluppo della socializzazione evolvono con gli anni. L ’entrare in rapporto
con nuove persone, stimola il manifestarsi di originali e profonde emozioni i cui contenuti e forme
si arricchiscono di rappresentazione simbolica (Carstensen, 1987; Fredrickson, Carstensen, 1990;
Palmore, 1981). Ormai è constatato da molti studiosi: l’invecchiamento non fa decrescere
l’importanza dell’emozione.
L’aspetto emotivo e quello cognitivo sono inscindibilmente connaturati, ma è sicuramente
la componente emotiva che dà maggior ricchezza e spessore alla vita dell’individuo, nel rapporto
con le persone a lui più vicine e con la società intera (Abe, Izard, 1999; Magai, Distel, Liker, 1995).
Le rappresentazioni emotivo/cognitive degli anziani mostrano ancora ruoli attivi che influenzano
scelte, giudizi, selezione e formazione di rapporti comunicativi.
Lo sviluppo cognitivo segue un suo percorso agganciato ai ruoli sociali (Schaie): la
diminuzione della capacità cognitiva è spesso causata da mancanza d’uso, ma in situazioni
significative ed ecologiche, l’anziano può ancora dare il meglio di sè perché utilizza l’intelligenza
cristallizzata (ovvero la cultura accumulata nel tempo).
Nelle interazioni sociali d’uso quotidiano prevale l’intelligenza pratica la quale si lega
all’affettività che indirizza il pensiero e l’azione (Laicardi, Pezzuti, 2000).
Le strategie con cui si risponde alle richieste ambientali mutano di qualità e, da assimilative
si fanno accomodative, perché è una legge basilare che vale per tutti quella dell’adattamento che
conduce, nelle persone anziane, al ridimensionamento degli impegni e alla valorizzazione delle
potenzialità rimaste (Brandstädter, Renner, 1990; Brandstädter, Greve, 1994 ed altri).
Le modalità con cui le emozioni si manifestano sono l’esperienza, l’espressione, il
controllo, ma è la regolazione delle emozioni ciò che è caratteristico dell’età anziana.
Nei vecchi si trova minor espressività, probabilmente legata alla mutata reattività
fisiologica. Le donne, rispetto agli uomini mostrano più intensità e capacità empatiche.
Le dinamiche interattive diadiche e di gruppo delle figure parentali con i figli conviventi,
con il coniuge invecchiato insieme, con altre persone significative, coinvolgono tutta la famiglia nel
superamento di eventi critici durante i quali i componenti interessati alla gestione concreta e
simbolica del potere familiare mostrano diversità di interpretazione di uno stesso evento.
Sono sopratutto le barriere psicologiche e sociali (stereotipi) più di quelle fisiche che
impediscono ai vecchi di essere considerati persone degne di questo nome.
A questo proposito ricordiamoci di ciò che scrive Marcello Cesa Bianchi. Lui, che è
anziano e da sempre ha studiato l’invecchiamento, ecco come si esprime:
“La trasformazione del mondo e della società si fa sentire in particolare negli
anziani, cioè in persone che hanno sviluppato nel tempo strategie di comportamento
adeguate a situazioni e problemi diversi da quelli che si presentano nella vecchiaia. In
altre parole, l’invecchiamento è espressione di un’interazione tra la persona e il suo
contesto, un’interazione nella quale l’uomo modifica l’ambiente di continuo e questo
modifica l’uomo altrettanto di continuo e non è solo l’ambiente in termini obiettivi a
influenzare il comportamento dell’anziano, l’ambiente per come è o per come
potrebbero vederlo gli altri, ma sopratutto la percezione che egli ne ha. La psicologia
dell’anziano è il filtro attraverso il quale l’ambiente e i suoi cambiamenti possono
modificare il comportamento. In breve è l’ambiente ‘psicologico’ più che quello
‘fisico’ ad avere delle conseguenze, ed è la percezione del cambiamento più che il
cambiamento come tale a condizionare il comportamento e a farlo variare”. (1998,
89).
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
In relazione alla struttura di personalità e ai suoi cambiamenti nel periodo della terza e
quarta età, Brandstädter, Renner, (1990); Brandstädter e Greve (1994), Whitbourne (1996), Gross,
(1997) e altri si adoperano a indagare le attività strumentali e di compensazione per prevenire e
alleviare le perdite. Osservano inoltre i cambiamenti accomodativi e i riaggiustamenti prospettici in
relazione alle mete: tutto questo consente di neutralizzare la svalutazione del Sé e permette di
innescare meccanismi per impedire un Sé disgregante
3
.
In contrapposizione a coloro che vedono nell’invecchiamento perdita di controllo e scarsa
stima di sé, Brandstädter e Greve (1994) fanno parte di quel gruppo di scienziati che propongono
una visione positiva, uno sviluppo ancora possibile della personalità, un’identità che permane
persino nella tarda maturità, perché il Sé è capace di riorganizzarsi, riprodursi, stabilizzarsi: é in
grado di essere plastico e di proporsi come agente attivo.
3
Sui processi accomodativi convergono altri contesti teorici quali, ad esempio, quelli propugnati in scritti vari da
Baltes, Carstensen, Gross, Lawton.
Se altri teorici notano riduzione nella stima di sé, aumento di depressione e carenza di
benessere, Brandstädter e Greve, nell’articolo or ora citato, si avvalgono del supporto empirico per
far rilevare che il quadro che l’ultima età prospetta, presenta sì un cumulo di eventi irreversibili
quali, il calo delle capacità fisiche e la perdita di molti tipi di risorse di difficile accesso, ma,
accanto a tutto questo, ciò che cambia nei vecchi è lo stile di approccio al mondo: l’anziano sfrutta
una caratteristica primaria della vita, l’adattamento. Infatti lentamente lo stile da assimilativo
(peculiare della prima e media età) diviene accomodativo (caratteristico dell’ultima stagione della
vita).
Con tali processi l’anziano riguadagna una visione positiva di sé, evita la frustazione,
persegue, nonostante tutto, un suo sviluppo personale, muta strategie, ma controlla ancora la realtà
che lo circonda. Lo stile accomodativo rende possibile, infatti, un intervento preventivo sulle cause
che generano una determinata conseguenza che si vuole evitare e permettono un nuovo
adattamento.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il linguaggio ci permette di condividere l’esperienza emotiva, di dare e ricevere
informazioni, di essere convincenti e così via. Esso è intimamente connesso agli altri domini della
conoscenza. Per questo le parole sono in connessione intima e continua con i significati, con le
valenze emotive e morali del contesto (Heelas, 1986/1992). Anzi, quando siamo emozionati, le
parole stesse incarnano le idee che abbiamo delle emozioni (Averill, 1998).
Con le parole raccontiamo agli altri (e a noi stessi) l’esperienza vissuta e tale memoria
emotiva autobiografica è continuamente riplasmata perché si tratta di narrazione attiva che si
rinfocola con innesti prelevati dal passato, dal presente e dal futuro. Questa ruminazione e questa
condivisione sono individualizzate e risentono non solo del proprio modo di percepire il mondo, ma
anche dell’intensità e della frequenza dell’emozione sperimentata (Gubrium, Holstein, 1999).
Dall’analisi linguistica, quindi, si può risalire all’ordinamento morale, alla sua gerarchia,
all’impostazione che ordina quella particolare comunità di persone che interagiscono.
Le parole e le loro funzioni rispecchiano l’intera cultura di un insieme sociale; si assiste
pertanto al fenomeno della relatività culturale, dato che il legame individuo/società si trasforma,
pur essendo universale la base biologica da cui hanno origine le emozioni.
Numerose verifiche empiriche sulla universalità e difformità delle emozioni sono portate
avanti dai Costruzionisti che organizzano studi antropologico etnografici per verificare quanto c’è
di comune e quanto c’è di diverso in mondi tanto differenti
4
.
In tali indagini sono implicate, fra l’altro, la Sociologia e la Filosofia del Senso Comune
(Social Fenomenology di Alfred Schutz, citato da Gubrium, Holstein, 1999). Le emozioni (che per
questi studiosi si costruiscono socialmente) parlano in molteplice varietà di modi tanto che
esistono notevoli differenze persino nell’enumerarle e catalogarle (Heelas, 1992). Tener presenti
questi aspetti di variabilità contribuisce ad allargare gli orizzonti e a innescare reciproca tolleranza
(Gubrium, Holstein, 1999)
5
.
E’ a questo punto che si inserisce il discorso principale di questa Tesi che prende in esame
sia le emozioni sia l’invecchiamento
6
.
I modelli culturali imperanti in ogni ambito generano idee, valutazioni, riflessioni su chi è
una persona anziana, quali caratteristiche possiede (o deve possedere per essere ben gradito alla
comunità), quali i ruoli, le strategie utilizzate, il suo mondo, la sua vita.
Nel contesto della costruzione dell’identità sociale e dell’Interazionismo simbolico,
Gubrium e Holstein citano il concetto di stigma elaborato da Erving Goffman (1959) che include
immagini decisamente negative legate alla vecchiaia perché questo è lo stereotipo che subito
balena alla mente, stereotipo che svaluta subito la categoria dei vecchi. Sulla scia di Goffman,
Sarah Matthew pubblica nel 1979 una ricerca sull’identità del Sé in donne anziane.
Le varie coorti di età costituiscono mondi sociali diversi; organizzano significati differenti
e promuovono emozioni di qualità diversa. E’ il caso del lavoro empirico effettuato a più riprese in
vari anni da Jay Gubrium (1975/1997) il quale ha studiato l’organizzazione sociale di una casa di
riposo entro la quale i pensieri, le emozioni, i comportamenti di tutti i partecipanti (dai medici, ai
ricoverati con i loro sottogruppi, agli inservienti) variavano a seconda del gruppo in cui gli
individui erano collocati. Con queste osservazioni Gubrium conferma l’ottica costruzionistica che
vede ogni mondo costruire le “sue” interpretazioni
7
.
4
Scherer ha compiuto numerose e sistematiche indagini transculturali su sensazioni somatoviscerali collegate alle
emozioni e sulle valutazioni cognitive legate a culture diverse, registrando consistenti differenze fra i vari Paesi.
(Scherer, 1997). Si vedano anche gli studi e le ricerche di Heelas (1992), Lutz (1992), Harré (1992), Morsbach, Tyler
(1992), Fry (1999), Kitayama, Markus, Kurokawa (2000).
5
Tolleranza fra i popoli di culture diverse. Di questi tempi, non è cosa di poco conto, se vogliamo convivere e
sopravvivere.
6
Non sono molti i lavori dei Costruzionisti dedicati agli adulti e agli anziani nonostante le indagini sul Ciclo di Vita.
Forse, come ha osservato qualcuno, l’invecchiamento è argomento tabù, soggetto a rimozione.
7
Osserviamo che la configurazione in ruoli determinati è una forma di ghettizzazione per tutti e, per gli anziani, in
particolare.
Altri lavori empirici sull’invecchiamento riguardano resoconti narrati da vecchi che si
osservano invecchiare e registrano come viene percepita e deturpata la maschera che loro
mostrano agli altri
E’ il caso del libro di Sharon Kaufman, The ageless self (1986) che presenta anziani attenti
al racconto di momenti emozionali della loro vita passata che alimentano, di volta in volta, di
vivace rielaborazione creativa..
Nell’ambito delle interpretazioni del Costruzionismo, Holstein (1990) raccoglie alcune
deformazioni della Teoria del disimpegno e della Teoria dell’attività che pur vengono utilizzate da
persone colte (quali i giudici) le quali valutano e decidono in base a pregiudizi legati al contesto e
all’età della persona che hanno di fronte, così come suggerito dalla interpretazione che danno
delle teorie sopra ricordate.
Nell’articolo sull’acquisizione delle emozioni nell’età adulta Averill (1986/1992) sostiene
che a qualsiasi età si possono apprendere nuove emozioni perché le acquisizioni e le trasformazioni
sono sempre possibili. Quanto poi al problema della continuità delle emozioni nel tempo, il loro
cambiamento può essere così grande da non consentire di collegarle alle precedenti
manifestazioni, se non in modo alquanto vago.
Averill fa notare che lo sviluppo emozionale procede con estrema lentezza e questo è il
motivo che ne ha impedito lo studio accurato. Inoltre molte emozioni sono talmente complesse
che scoraggiano l’impresa di rintracciare la loro continuità nello sviluppo. Averill, inoltre ci ricorda
che:
“Mettersi in contatto con i propri sentimenti non è tanto un
processo di scoperta quanto un atto di creazione.”
(Averill, 1986/1992, p. 164)
La Gerontologia sociale descrive situazioni collegate al modo di vivere degli anziani, ma è
volta anche a combattere ogni forma di razzismo relazionale che tende a ghettizzare i vecchi e ad
escluderli dall’assemblea della comunità civile. A questo proposito Butler (1975) conia il termine
ageism.
Ora che cominciamo a capire l’importanza delle variabili ambientali, delle relazioni sociali,
così vitali per la salute e il benessere personali, che scopriamo l’importanza delle interazioni
individuo/ambiente e il loro mutamento nel corso della vita, non possiamo che auspicare
miglioramenti nella struttura e nel clima relazionale micro e macrosociale. Il fine dichiarato è quello
di far sì che le persone anziane possano vivere meglio, siano capaci di dare e ricevere aiuto,
rimangano competenti e attive anche in tarda età.
L’attenzione all’altro, al suo mondo, ai suoi sentimenti è un arricchimento che migliora
tutti: è un’apertura al diverso da non escludere, da non emarginare. Così, il dinamismo degli
individui, forse potrà trasformarsi in processo di miglioramento interattivo per il bene di tutti.
Adattamento non significa imporre agli altri il nostro modo di vivere e di pensare, ma essere
disponibili ad ascoltare per recepire quanto di bello e di buono l’altro può offrirci. E i vecchi sanno
insegnarci tanto, anche in relazione alle emozioni.
Ascoltiamoli, se non vogliamo perdere il contatto con le nostre radici.