Le donne raccontano: Napoli occupata dagli Alleati (1943-1944)
Dove l’aggettivo autentico non indica il contrario di falso, quanto
quello di non contaminato dal trascorrere del tempo.
La memoria protagonista di questa tesi è, dunque, di natura postuma;
si affida al supporto magnetico, cioè al registratore utilizzato
dall’intervistatore, per esprimersi ed è indotta a tornare indietro nel
tempo in seguito ad una sollecitazione esterna. Il ricordo, in questo
caso infatti, è il frutto dell’incontro diretto tra due persone: il
testimone e l’intervistatore; e proprio questa dialogicità conferisce una
particolare caratteristica alla natura del ricordo. Perché? Perché “Il
testimone non è mai un semplice informatore passivo né il ricercatore
un raccoglitore. Nella storia orale il confronto che si istituisce tra i due
soggetti che determinano l’intervista è un confronto tra soggetti
autonomi e attivi, differenziati dall’essere portatori di conoscenze in
parte diverse, di due diversi linguaggi: l’oralità e la scrittura. Nel
rapporto che si istituisce, chi ascolta s’impossessa del sapere di chi
narra; compito del ricercatore non è soltanto la mera restituzione in
forma scritta di ciò che gli è stato comunicato oralmente, ma la critica
di ciò che ha ricevuto, come confronto fra due tipi di sapere, capace di
trasformarli entrambi.”
4
L’intervistatore deve avere rispetto e
competenza: nel sollecitare il testimone nella sua azione
4
G.B.Ravenni, “Due storie orali”, in Quaderni storici n.64, 1987, pp.245-254
Le donne raccontano: Napoli occupata dagli Alleati (1943-1944)
rammemorante, la sua prima preoccupazione deve essere quella di non
porre mai domande che, nella loro stessa formulazione, influenzino la
risposta.
5
Il primo criterio con cui ci si accosta all’ascolto del testimone è quello
della libertà di espressione, nel senso che “l’informatore deve essere
libero al massimo di narrare cosa vuole della sua vita”
6
. Nel caso di
questa ricerca, poi, è stata seguita l’indicazione di Maurizio Gribaudi,
il quale ha scritto: “[...] la ricerca di storia orale si svolga in almeno
due fasi. Una prima fase in cui con il minimo, ma pur sempre
ineliminabile intervento dell’intervistatore, il primo approccio con
l’informatore sia sotto forma di autobiografia più o meno libera[...]
Non si seguirà quindi un itinerario fissato, lasciando scorrere la
memoria e specialmente l’organizzazione narrativa pur se
frammentata. In una seconda fase, anche a partire dall’analisi operata
sul testo della prima intervista, si utilizzeranno le domande”.
7
E’
quello che ho fatto con le donne ascoltate: nella prima fase
dell’intervista, la mia unica domanda era “Signora mi racconti ciò che
5
Si vedano a questo proposito le pagine che Giovanni Contini e Alfredo Martini hanno
dedicato al modo in cui condurre un’intervista. In G.Contini A.Martini, Verba Manent.
L’uso delle fonti orali per la storia contemporanea, Roma 1993
6
L’affermazione è di Luisa Passerini: L.Passerini, G.Levi, L.Scaraffia, “Vita quotidiana
in un quartiere operaio di Torino fra le due guerre: l’apporto della storia orale”, in
Quaderni Storici n.35, 1977, pp.433-449
7
M.Gribaudi, “Storia orale e struttura del racconto autobiografico”, in Quaderni Storici
n.39, 1978, pp.1131-1146
Le donne raccontano: Napoli occupata dagli Alleati (1943-1944)
vuole del periodo della guerra a Napoli” e accendevo il registratore.
Nella seconda fase, dopo aver riflettuto in modo critico sul materiale
raccolto, tornavo ad ascoltare quella persona approfondendo
l’intervista. Le domande riguardavano gli argomenti affrontati con
maggior frequenza e con maggiore dovizia di particolari dalle
testimoni ( argomenti che poi sono diventati i nuclei problematici di
questa ricerca), ma anche i loro “silenzi” soprattutto quando il silenzio
calava su argomenti o episodi affrontati da quella storiografia che ha
studiato la vita quotidiana durante il II conflitto mondiale e
l’occupazione Alleata utilizzando solo la documentazione coeva.
8
Chi sono le donne ascoltate? In primo luogo sono donne comuni,
gente semplice perché: “Bisogna eliminare l’illusione che le memorie
della gente semplice di cui ci serviamo possano dare dati semplici. In
realtà esse ci forniscono dati altrettanto sofisticati che le fonti del
passato e, ampliando il campo, rendono ancor più complesso e più
8
A proposito dei silenzi che ricorrono nelle interviste Luisa Passerini ha evidenziato
come, proprio attraverso un inventario dei silenzi, si possano anche interpretare le fonti
orali e ha invitato ad una maggiore storicizzazione dei silenzi stessi. Ella, per esempio, ha
notato come “ [...]la storia di vita fa spesso un salto dal periodo dell’avvento del fascismo
fino alla sua caduta [...] Avevo inoltre notato che il ricordo del periodo fascista sembrava
comprendere soprattutto aspetti [...] legati alla quotidianità.” L.Passerini, “Sette punti
sulla memoria per l’interpretazione delle fonti orali”, in Italia Contemporanea n.143,
1981, pp.83-92. Allo stesso modo in questa ricerca, il silenzio di maggior spessore
riguarda proprio il fascismo; i pochi riferimenti che vengono dalle testimoni riguardano
appunto alcuni eventi che hanno una ricaduta essenziale nel quotidiano. Si veda il caso
del dono delle fedi nunziali o della lana dei materassi alla patria o le considerazioni
riguardo la scarsa qualità della roba autarchica. Concetta Sorrentino ricorda nitidamente
delle asciugamani comparate dalla madre che, una volta messe nell’acqua, si
trasformarono quasi in ovatta.
Le donne raccontano: Napoli occupata dagli Alleati (1943-1944)
difficile il lavoro dello storico[...] La memoria è sempre un’entità
problematica.”
9
Queste testimoni appartengono ad una rete di conoscenze dirette o
mediate, dunque non sono state scelte in base ad un criterio selettivo:
unica condizione posta quella della presenza a Napoli durante gli anni
dell’occupazione Alleata. Questa casualità non ha determinato, però,
una così ampia differenziazione per età, occupazione, luogo di
residenza nella città in quegli anni e per estrazione culturale tra le
intervistate.
La media d’età appare compresa tra i settanta e gli ottanta anni dato
che l’anno di nascita va dal 1919 al 1930, tranne in cinque casi dove il
decennio d’appartenenza è quello del ’10. C’è comunque da dire che il
limite d’età che oggi ci fa distinguere un’adolescente da una giovane
donna era diverso: non credo di sbagliare quando parlo di una
quindicenne come di una giovane donna e non di una adolescente. Se
alcuni comportamenti fanciulleschi rimangono, la guerra sicuramente
ha contribuito a rendere mature prima del tempo quelle ragazze: sono
loro stesse a ricordarlo più volte nel corso dei nostri incontri. Gina
Malvolti, infatti, ha detto: “La guerra mi ha maturato molto e prima
del tempo. La spensieratezza giovanile è passata molto presto. Ci ha
9
P. Fussel, “La grande guerra. Tante storie”, in Passato e Presente n.10, 1986, pp.11
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reso molto maturi e coscienti. Anche in quel momento ci si sentiva più
responsabilizzati.”
10
A questo si aggiunga che l’età da matrimonio era
notevolmente più bassa, tanto che la maggior parte delle donne
ascoltate si sono sposate minorenni cioè al di sotto di quei 21 anni che
segnavano la maggiore età e il peso di una famiglia, di uno o più figli
ha inciso sulla loro mentalità e sui loro comportamenti. Erano
casalinghe o tutt’al più si limitavano ad aiutare il marito nella sua
attività, come accadde per Grazia Grimaldi che condivise con il marito
le fatiche della trattoria di loro proprietà o per Concetta Sorrentino che
aiutò, invece, la madre nel suo laboratorio di camiciaia. Del resto la
condizione sociale, in linea generale, era medio bassa ed il grado
d’istruzione, nella maggior parte dei casi, è quello elementare seppure
con alcune distinzioni. Laddove c’è una maggiore anzianità il grado
d’istruzione diminuisce fino a rasentare l’analfabetismo per due delle
donne nate nel primo decennio del’900; al contrario, di fronte ad una
media d’età più bassa, il grado di scolarità s’innalza fino al
conseguimento del diploma di scuola media superiore e, in due casi,
fino all’ottenimento della laurea. Anna De Palatiis è una delle prime
donne napoletane a laurearsi in giurisprudenza mentre Teresa
10
Testimonianza di Gina Malvolti.
Le donne raccontano: Napoli occupata dagli Alleati (1943-1944)
Catalano termina gli studi con una laurea in Lingue.
11
Posso dire,
comunque, che è il luogo di residenza l’elemento più eterogeneo tra le
testimoni: l’unica nota comune è che tutte abitavano per lo più in
quartieri del centro cittadino tra i più antichi e con una forte estrazione
popolare.
In questo lavoro di tesi emerge una valorizzazione della testimonianza
femminile in merito ai fatti di guerra; una valorizzazione che, se
vogliamo, si esplica anche nella scelta a priori di fare delle donne
l’unico soggetto di quest’analisi. Una scelta che, poi, appartiene anche
ad un gruppo di studiose legate agli Istituti storici della Resistenza di
Ancona, Bologna, Milano, Napoli, Roma e Torino che dal 1989
conducono ricerche sulla memoria femminile della guerra.
12
Ma perché tanto interesse per la memoria femminile sul II conflitto
mondiale? Lo spiega bene Ernesto Galli della Loggia nel suo saggio
11
Questa laurea in Lingue la porterà, durante l’occupazione, a lavorare come interprete
per gli Alleati: prima per la commissione addetta ai rapporti con le forze imprenditoriali
cittadine, poi con le ufficiali donne americane che provvedevano ad “istruire” le ragazze
napoletane che sarebbero partite per gli Stati Uniti in quanto spose, o promesse tali, di
soldati americani. E Teresa Catalano aggiunge: “Avevo fatto delle dispense per coloro
che volevano imparare in poco tempo l’inglese, perché poi mi chiamavano ingegneri,
avvocati, tutti quelli che volevano fare presto a capire qualche parola.” Proprio come
riferisce Antonio Papa, il quale ha scritto: “Cominciava anche a Napoli la corsa allo
studio della lingua inglese. Gli ufficiali alleati richiedevano la conoscenza della lingua dei
vincitori come primo requisito per le assunzioni”. A.Papa, “Napoli: il trauma della
liberazione”, in AA.VV. 1944 Salerno capitale. Istituzioni e società, Napoli 1986
12
Si ricordino tra le varie studiose: Rosella Prezzo, Laura Capobianco, Cesira
D’Agostino, Francesca Kock, Simona Lunadei e Anna Bravo. Il confronto tra le ricerche
condotte dai vari gruppi di studio avviene nell’ambito di un seminario itinerante in varie
città. Da segnalare il fatto che le ricerche condotte dai gruppi di Ancona, Napoli e Torino
sono fondate prevalentemente su fonti orali.
Le donne raccontano: Napoli occupata dagli Alleati (1943-1944)
“Una guerra femminile? Ipotesi sul mutamento dell’ideologia e
dell’immaginario occidentali tra il 1939 ed il 1945”
13
: Galli della
Loggia sottolinea come l’assenza di un fronte fisso abbia dato alla
seconda guerra mondiale un carattere non militare facendone una
guerra di retrovia e di occupazione che ha coinvolto pienamente la
popolazione civile. Secondo lo studioso si verificò una
demilitarizzazione del conflitto: ciò ha determinato che la memoria
sulla seconda guerra mondiale non sia solo maschile e militare.
Questo dipende anche dal fatto che: “Nel secondo conflitto mondiale,
- dice Rosella Prezzo- in cui la guerra contro la popolazione civile
diventa per la prima volta un obiettivo strategico in sé e la
mobilitazione è totale, le donne assurgono a una visibilità inusitata.”
14
Sono loro a confrontarsi con la quotidianità di una città in guerra,
occupata; sono loro che vivono il fronte interno, per cui sono le donne
il referente primo per capire alcuni meccanismi della guerra di città e
per cogliere il reale sentire della popolazione. La popolazione
cittadina, infatti, era a stragrande maggioranza una popolazione
femminile dal momento che gli uomini erano lontani.
13
Il saggio è contenuto in A.Bravo, Donne e uomini nelle guerre mondiali, Bari 1991
14
R.Prezzo, “Il genere e la guerra”, in Italia Contemporanea n.180, 1990, pp.547-552
Le donne raccontano: Napoli occupata dagli Alleati (1943-1944)
Ho scelto di trattare la quotidianità o meglio alcuni aspetti del vivere
quotidiano perché data la natura nuova, rispetto ai precedenti conflitti,
della seconda guerra mondiale, una natura invasiva ed invadente nei
confronti dei civili, non si può cogliere appieno il significato di questo
scontro bellico se si analizza solo l’aspetto militare o politico.
Dunque: “ [...] una ricerca sulla vita quotidiana è innanzitutto il
recupero di una documentazione repressa, scomparsa, svalutata, non
solo e non tanto per ricostruire dei fatti, degli avvenimenti, quanto
specialmente per analizzare una cultura, un diverso ordine di ciò che è
stato ed è considerato importante, le radici di comportamenti
individuali e collettivi [...]”
15
. E nei documenti scritti non è possibile
recuperare tutta la trama del vissuto, mentre “Una memoria, per
quanto negata,- dice Paolo Pezzino- continua tuttavia a sussistere,
almeno fino a che siano ancora in vita coloro che ne sono i titolari e
depositari, preme per riaffiorare, e talora ci riesce”
16
.
Il frutto delle interviste è un “vero prodotto culturale-linguistico e
sociale” come ha avuto modo di dire Suzanne Branciforte, una
studiosa americana coinvolta in un vasto progetto culturale chiamato
15
G.Levi, L.Passerini, L.Scaraffia, “Vita quotidiana in un quartiere operaio di Torino fra
le due guerre: l’apporto della storia orale”, in Quaderni Storici n.35, 1997, pp.433-449
16
P.Pezzino, Anatomia di un massacro. Controversia sopra una strage tedesca, Bologna
1997, pp.15
Le donne raccontano: Napoli occupata dagli Alleati (1943-1944)
“Speaking History: Americans in Italy 1943-45”. Per questo progetto
la Branciforte ha realizzato e sta realizzando delle video interviste ad
alcuni americani che presero parte alla Campagna d’Italia nella II
guerra mondiale
17
, mettendole in rapporto con la narrativa del cinema
e della letteratura. L’incrocio diretto, infatti, con altre fonti o con
prodotti storiografici che abbiano utilizzato la documentazione coeva
è necessario se si vuole raggiungere “l’effetto di svelamento di una
distorsione culturale, che insieme è però anche apprezzamento e
riconoscimento della cultura che ha operato la distorsione[...]
18
.
Nell’incrocio ciò che va evitato, però, è che le fonti orali diventino
solo un supporto letterario o documentario al testo: devono conservare
17
Una presentazione di questo progetto è in: S.Brancoforte, “Memories of war in the
Mezzogiorno 1943-44: the unbearable weight of memory”, in AA.VV. (a cura di J.Davis)
Italy and America 1943-44. Italian, American and Italian- american experiences of the
liberation of the italian Mezzogiorno, Napoli 1997. Del resto patria della storia orale,
oltre alla Gran Bretagna, sono gli Stati Uniti. Qui gode di uno sviluppo quantitativo
superiore a quello europeo, nonché di un interesse crescente da parte della storiografia
accademica. “L’Italia ha avuto una prima stagione di ricchissima produzione e di ampi
dibattiti dalla fine degli anni ’40 attraverso tutti gli anni ’60 fin verso l’inizio degli anni
’70. La specificità dell’esperienza italiana sta nel profondo intreccio tra discipline etno-
antropologiche e lotte del movimento operaio da un lato e nell’attenzione per i nodi
teorici sollevati dallo studio delle culture popolari dall’altro[...] Verso la metà degli anni
’70 la storia orale si dilata e si diffonde. Una nuova circolazione tra paesi europei e
America settentrionale mette in contatto ricerche di ogni tipo, che sviluppano stimoli
provenienti dal folklore, dalla storia sociale, dall’antropologia e microsologia.”
L.Passerini, “Le testimonianze orali”, in AA.VV. Il mondo contemporaneo. Gli strumenti
della ricerca Vol.III, Firenze 1983
18
G.Contini A.Martini, Verba Manent. L’uso delle fonti orali per la storia
contemporanea, Roma 1993, pp.34. A proposito di questo argomento c’è da dire che
Alessandro Portelli proprio grazie all’analisi di distorsioni ed errori nei ricordi dei suoi
testimoni ha potuto individuare, in alcuni casi, una strategia della memoria collettiva. Si
veda A.Portelli, “L’uccisione di Luigi Trastulli. Terni. 17 marzo 1949. La memoria e
l’evento”, in Segno critico n.4, 1980; A.Portelli, “Una storia sbagliata: memoria operaia e
mondi possibili”, in I giorni cantati n.1, 1981.
Le donne raccontano: Napoli occupata dagli Alleati (1943-1944)
la propria dignità di fonte storica e la loro autonomia. A questo
proposito Bernardo Bernardi ha scritto: “Le fonti orali posseggono
una loro autonomia probativa che non bisogna violentare. Esse
esigono una valutazione propria che non è di pura analogia con le
fonti scritte[...] Il mancato riconoscimento della singolarità delle fonti
orali porta a prospettive sfasate con conseguenze negative e
contraddittorie inevitabili.”
19
Ma nell’ambito della storia orale qual è la vera fonte, qual è il vero
documento? Riguardo al documento concordo con Philippe Joutard
20
nel considerare la registrazione sonora come il documento originale
della ricerca di storia orale, l’unico documento su cui condurre
l’analisi storica
21
. La trascrizione è solo una rappresentazione
dell’intervista, uno strumento utilizzato dallo studioso.
22
E in quanto
rappresentazione, la trascrizione non riesce a contenere in sé tutti i
19
B.Bernardi, “La storia nella storia dell’antropologia”, in Quaderni Storici n.35, 1977,
pp.325-337.
20
Di Joutard mi limito a ricordare l’opera la Légendes des Camisards pubblicato a Parigi
per la prima volta nel 1977.
21
Luisa Passerini riferisce la tesi di Philippe Joutard in L.Passerini, “Storia orale in
Francia”, in Quaderni Storici n.45, 1980
22
A questo proposito Contini e Martini (op.cit.) hanno segnalato vari tipi di trascrizione:
il testo base che tenta di riprodurre in ogni particolare il parlato; il testo adattato già
contenente alcune varianti; il testo normalizzato dove è presente già un intervento
soggettivo del ricercatore; il testo tradotto e la ritrascrizione vero e proprio testo nuovo
rispetto alla registrazione. In questa ricerca la trascrizione ha rispettato la sintassi, il
lessico, le ripetizioni e ha “tradotto” solo alcune espressioni che potevano risultare
particolarmente difficili per il lettore. E’ dunque una trascrizione a metà strada tra il testo
base e il testo adattato. Ma non c’è mai stato alcun “montaggio” delle parti del discorso;
l’ordine narrativo è stato del tutto rispettato. Non concordo, infatti, con la tesi di Portelli
per cui il montaggio consentirebbe di non perdere la “polisemia “ delle fonti.
Le donne raccontano: Napoli occupata dagli Alleati (1943-1944)
piani di lettura del documento orale: uno per tutti il linguaggio del
corpo
23
che solo la video intervista riesce a restituire. A proposito
dell’importanza di tutti gli aspetti del documento orale, interessante è
la riflessione di Franco Castelli il quale dice: “ In campo storico si è
lavorato- e si lavora- prevalentemente sulle trascrizioni delle interviste
più che sull’audio ( cioè sulla realtà orale-aurale) delle incisioni
originali. Si percepisce così una trama estremamente impoverita e
parziale della performance registrata, che ne restituisce solo la trama
letteraria-linguistica, perdendo tutta la ricchezza significante dei tratti
sovrasegmentali ( intonazioni e timbri di voce, pause, imbarazzi,
esitazioni, emozioni).”
24
Non è un caso allora che nell’ambito di questa ricerca, dato che la
gestualità che si accompagnava al racconto non è rimasta impressa sul
nastro, si è sempre proceduto a sottolineare gli eventuali cambi di tono
della voce al variare degli argomenti o le inflessioni della voce stessa
capaci di denotare esitazione o sicurezza nel ricordo, nonché la chiara
commozione nella rievocazione degli episodi più dolorosi.
25
23
Si veda L.Beduschi, “Il testo e la scena”, in La ricerca folklorica n.15, 1987, pp.49
24
F.Castelli, “Fonti orali e parola folklorica: storicità e formalizzazione”, in Quaderno di
Storia Contemporanea n.23, 1998
25
Tra i momenti più toccanti la rievocazione di Anna De Palatiis relativa al racconto della
deportazione in Siberia di un suo zio.
Le donne raccontano: Napoli occupata dagli Alleati (1943-1944)
La voce è stata considerata un ulteriore strumento espressivo capace di
fornire informazioni autonome. Particolare attenzione, però, non è sta
rivolta solo all’aspetto orale-aurale ma anche a quello della gestualità,
rilevando come a specifici argomenti toccati dalle testimoni
corrispondessero specifici gesti.
26
Se dunque la registrazione audio o audio-video è il documento, e non
la trascrizione che è invece uno strumento, “la fonte sono le
persone”
27
Le persone con le loro storie di vita, con la loro
quotidianità. Una quotidianità a lungo messa da parte dagli storici a
favore di una storia delle vicende sindacali e politiche che, per quanto
importanti, appaiono lontane dalla lotta per la sopravvivenza
quotidiana. E’ questa una lacuna che interessa anche il racconto delle
vicende di Napoli durante il periodo dell’occupazione Alleata, come
rileva anche Aurelio Lepre: “Le vicende di Napoli durante
l’occupazione Alleata sono state più narrate dagli scrittori, italiani e
americani (Eduardo, Malaparte, Lewis, Burns), che studiate dagli
storici[...] il contributo della storiografia alla conoscenza di quegli
anni molto importanti nella storia della città, è stato veramente
26
Si consideri il tema dei bombardamenti: le mani sono passate nervosamente tra i capelli
o messe sulle orecchie per non sentire il rombo degli aerei e il frastuono delle bombe, gli
occhi alzati verso il soffitto a scrutare il segnale del cessato allarme. E ancora il tono
angosciato della voce quando si parla della fame.
27
Faccio mia un’affermazione di Alessandro Portelli, in A.Portelli, op.cit.
Le donne raccontano: Napoli occupata dagli Alleati (1943-1944)
scarso.”
28
In parte lo è ancora. Gli scritti di Antonio Papa
29
e di Paolo
De Marco
30
hanno sicuramente dato un contributo fondamentale agli
studi relativi la quotidianità cittadina napoletana durante l’ultimo
conflitto mondiale; in particolare a De Marco dobbiamo un’analisi
dettagliata e minuziosa di fenomeni quali mercato nero, prostituzione,
inflazione, disoccupazione di massa. Tutte realtà con cui la
popolazione napoletana doveva confrontarsi ogni giorno. Ma, come
dicevo, in questa storiografia che utilizza le fonti del passato vi è
ancora una mancanza: non ci si chiede mai come reagisse la gente di
fronte ai problemi di ogni giorno, quale percezione ne avesse e se
anche ci si pone la domanda, la risposta viene ancora cercata in
un’unica direzione. Si interrogano le fonti cartacee in cui sono terze
persone a riferire degli umori, dei sentimenti della popolazione
napoletana: ne risulta una visione parziale, resa tale anche dal fatto
che in questi documenti coevi vi è la voce solo di alcune categorie di
persone: è la voce dell’ufficialità
28
Presentazione a: P.De Marco, Polvere di piselli. La vita quotidiana a Napoli durante
l’occupazione Alleata 1943-1944, Napoli 1996
29
A. Papa, “Napoli americana. Commenatri.”, in Belfagor n.3, 1982; A.Papa, “Napoli: il
trauma della liberazione”, in AA.VV. 1944 Salerno capitale. Istituzioni e società, Napoli
1986
30
Si veda in particolare l’ultimo scritto: P.De Marco, Polvere di piselli. La vita
quotidiana a Napoli durante l’occupazione Alleata 1943-1944, Napoli 1996
Le donne raccontano: Napoli occupata dagli Alleati (1943-1944)
A questa mia riflessione si potrebbe obbiettare che la memorialistica
di carattere letterario, sia italiana che straniera, ha integrato in parte la
voce dell’ufficialità proponendo testimonianze coeve o ricordi
riproposti a pochi anni dalla fine del conflitto e dell’occupazione che
appartengono a persone, il più delle volte, di nessun particolare rilievo
sociale o politico
31
. Una memorialistica questa, a cui si affianca quella
che non ha conosciuto gli onori dell’editoria ma che è oggetto di
studio di alcuni storici da molti anni: la memorialistica fondata sui
tanti diari di “gente comune” conservati in archivi italiani.
32
Attenzione, però, la scrittura stessa non è forse essa stessa un rigido
selettore sociale
33
? La memorialistica che si affida alla scrittura,
dunque, non riesce a riproporre la percezione che, della guerra, aveva
tutta la pubblica opinione.
31
Si veda tra la memorialistica letteraria: E.Canino, Clotilde tra le due guerre, Milano
1954; M.Mafai, Pane nero, Milano 1987; J.Burns, La Galleria, Milano 1992; N.Lewis,
Napoli’44, Milano 1993; C.Malaparte, La pelle, Firenze 1968.
32
Tra i più importanti per la quantità e la qualità dei diari conservati, l’Archivio diaristico
di Pieve Santo Stefano
33
Ersilia A.Perona ha affrontato l’argomento in: “Sincronia e diacronia nelle scritture
femminili sulla seconda guerra mondiale”, in Passato e Presente n.30, 1993, pp.117-127