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Introduzione
In questa tesi si prende in considerazione la condizione delle donne
durante il ventennio fascista, analizzandola in diversi ambiti: lavorativo,
familiare, sociale e sportivo. La storia femminile, per lungo tempo, non ha
destato un particolare interesse fra gli studiosi ed è stata, nella maggior parte dei
casi, affrontata indirettamente e marginalmente. Per il periodo fascista, analisi
più approfondite sono state elaborate solo negli anni più recenti. Molti sono stati
gli studi compiuti, da quelli di Marina Addis Saba a quello di Victoria De Grazia
Le donne nel regime fascista, sebbene manchi a tutt’oggi un’opera di ampio
respiro, come fa notare Helga Dittrich-Johansen nel suo libro Le militi
dell’idea , Storia delle organizzazioni femminili del Partito Nazionale
Fascista, che rimane uno dei lavori più importanti sulle organizzazioni fasciste
femminili. Sulla base degli studi esistenti è stato possibile tracciare un percorso -
che è apparso articolato e, sotto molti aspetti, costellato da numerose
contraddizioni - su quello che è stato il “cammino” delle donne nel corso del
ventennio.
Fu, infatti, proprio nel corso del fascismo che la posizione delle donne sia
rispetto all’intera sfera sociale, sia agli interessi della nazione, assunse nuove
caratteristiche alla luce dei compiti e dei ruoli che si prospettavano per loro.
Mussolini impose una linea del tutto diversa che lo contraddistinse
dall’atteggiamento della classe dirigente del passato: volle chiamare le donne alla
partecipazione in prima persona in quanto avrebbero ricoperto un ruolo
funzionale nell’organizzazione del consenso. Ciò richiedeva, ineluttabilmente, la
capacità di gestire per intero l’universo femminile, senza alcuna esclusione. A
questo scopo furono create organizzazioni femminili che inquadravano tutte le
donne a seconda della loro posizione nella società. La prima organizzazione, in
ordine temporale, fu quella dei Fasci femminili, costituita nel 1921, alla quale
aderirono le attiviste e le donne del primo fascismo. I Fasci femminili, da soli,
4
non erano però in grado di inglobare la sfera femminile nel suo complesso. Nel
1925 furono, quindi, istituite l’organizzazione delle Piccole e delle Giovani
italiane e quella delle Giovani fasciste per far sì che, fin dalla tenera età e
dall’adolescenza, le donne - e non solo, perché l’inquadramento riguardava,
come è noto, tutta la gioventù - facessero propri i principi del fascismo. Negli
anni trenta furono poi costituite l’organizzazione delle Massaie rurali, per le
donne dei comuni agricoli, e la Sezione Operaie e Lavoranti a Domicilio,
(SOLD). Altrettanto importanti furono le organizzazioni realizzate per
l’inquadramento universitario, che coinvolgevano sia uomini sia donne, i Gruppi
Universitari Fascisti (GUF) per i quali l’iscrizione divenne obbligatoria a partire
dal 1929.
A questo punto ci si imbatte nella prima ambiguità del fascismo. Infatti, se
è vero che il regime volle coinvolgere anche le donne alla partecipazione, o
meglio volle creare apposite strutture che le organizzassero, dando loro
un’attenzione fino ad allora inesistente, altrettanto vero è che Mussolini
riproponeva energicamente valori, princìpi e regole che affondavano le radici nel
passato. Infatti, nel contesto della battaglia demografica valori come purezza,
integrità e onore si imponevano con forza poiché, attraverso questi, il fascismo
avrebbe promosso il modello della donna esemplare: moglie e madre di prole
numerosa. Questo concetto tradizionale sulla donna fu posto alla base della
politica femminile fascista, volta a far aumentare considerevolmente il tasso delle
nascite. Di fatto, la donna doveva essere semplice e intenta ad occuparsi della
casa, dei figli e del marito, non prestando attenzione alle tendenze, alle mode e ai
modelli femminili “corrotti” d’oltralpe. A partire dagli anni trenta, quando la
politica autarchica venne applicata su tutti i fronti, il regime cadde in una nuova
contraddizione. Se, da un lato, Mussolini si batteva vigorosamente per evitare
che le influenze straniere interferissero a livello nazionale sul campo della moda,
della morale, degli stili di vita e dell’acquisto dei prodotti stranieri in genere,
dall’altro, promuoveva la moda, lo stile, i prodotti e i consumi purché fossero
prodotti italiani.
5
Non solo. Sebbene le gerarchie fasciste esaltassero il ruolo della “donna
esemplare”, appunto di madre e moglie devota alla casa, nulla fecero per far sì
che quelle donne che già appartenevano al mondo del lavoro extradomestico
abbandonassero il proprio posto, anche perché il loro lavoro era necessario in
quegli anni di riorganizzazione dell’economia, dopo la crisi del ‘29. Detto
meglio, il regime elaborò un’intensa attività legislativa riguardante le donne
lavoratrici, ricca di provvedimenti di diversa natura: alcuni avevano carattere
restrittivo, altri espulsivo, altri ancora protettivo. Tali provvedimenti non furono,
però applicati uniformemente a tutte le categorie lavorative. Infatti, i settori in cui
le donne vennero maggiormente colpite furono quello della pubblica
amministrazione e quello delle libere professioni, nei quali si registrò la
percentuale più bassa di lavoratrici. Diversa sorte venne riservata alle donne
impiegate nel settore agricolo e industriale. In particolare, fu proprio per la
categoria delle operaie che il fascismo realizzò quella serie di leggi protettive il
cui scopo era di fornire garanzie e forme di tutela per la maternità - leggi attuate
in relazione alla campagna demografica fascista -. Da lì tali provvedimenti
vennero estesi anche alle lavoratrici di tutti gli altri settori facendo sì che tutte le
donne potessero godere del diritto di non perdere il proprio posto di lavoro in
caso di maternità. In sostanza, il regime limitò le donne soprattutto in quei lavori
considerati prettamente maschili per i quali, spesso, erano richiesti lunghi anni di
studio e certe doti intellettuali. Al contrario, per quei mestieri reputati più adatti
alla natura femminile (di cui si fece anche un elenco dettagliato), il fascismo
utilizzò un altro sistema consistente, appunto, nello sfruttamento delle lavoratrici
- le cui paghe erano, nel migliore dei casi, pari alla metà di quelle maschili -, ma
elargendo anche delle forme di tutela.
Infine, un intervento fascista che ebbe sicuramente ripercussioni positive
sulle donne fu quello che si ebbe in ambito sportivo. Mussolini si fece promotore
di un’intensa campagna che promuoveva l’estensione dello sport e
dell’educazione fisica anche alla sfera femminile. Sotto il fascismo furono fatti
grandi passi avanti sull’attività sportiva delle donne, rispetto ai pregiudizi e
divieti presenti nello Stato giolittiano, arrivando persino alla costruzione della
6
prestigiosa Accademia femminile di Orvieto. L’atteggiamento così apertamente
favorevole che Mussolini assunse in questo campo, derivava dalla radicata
convinzione che lo sport avrebbe avuto un effetto benefico sia sul fisico, sia sulla
psiche delle giovani donne che un domani sarebbero state madri forti e sane che
avrebbero messo al mondo figli altrettanto forti e sani.
Concludendo, la storia delle donne durante il ventennio è stata sotto molti
aspetti altalenante. Le donne dovevano essere in grado di giostrarsi
sapientemente in un sistema di potere dittatoriale estremamente misogino che, se
da un lato, imponeva la figura della moglie devota, madre esemplare, casalinga
semplice e poco curata, dall’altro, ammetteva anche la donna che lavorava e che
curava il proprio corpo sia con lo sport, sia con prodotti di bellezza.
7
CAPITOLO PRIMO
LA FORMAZIONE DELLE ORGANIZZAZIONI
FEMMINILI.
1. Dai Fasci di combattimento all’inquadramento politico.
Nel corso della storia l’assenza della donna sia dalla vita politica, sia da
quella sociale, si presenta come una costante degli eventi che si susseguirono nei
paesi occidentali - e non solo -. La ragione principale di tale condizione si
rinviene nella cultura generale, diffusa uniformemente nei diversi paesi, secondo
la quale la donna, considerata finanche “non persona”, non poteva essere la
destinataria di alcun tipo di responsabilità. La sua non presenza va, però,
riconsiderata in maniera problematica nel corso del ventennio fascista a seguito
del ruolo che essa assunse nell’organizzazione del consenso. Come fa notare
Marina Addis Saba nel suo lavoro La corporazione delle donne
1
, essendo da
sempre stata relegata all’interno delle mura domestiche, privata di qualsiasi
forma di considerazione sociale, privata di ogni diritto, quando la donna
cominciò ad essere coinvolta in apposite organizzazioni dal regime fascista,
rispose positivamente e, a volte, in maniera entusiastica.
Il governo fascista intendeva realizzare un piano ben preciso riguardo
alle donne, per quanto contraddittorio. Da un lato, voleva riportarle all’interno
della casa; dall’altro le chiamava alla mobilitazione; infine, progettava di far sì
che le donne, e i loro mariti, incrementassero le nascite al fine di poter contare su
di un esercito grandioso che il regime avrebbe utilizzato per dare attuazione alle
1
M. ADDIS SABA, a cura di, La corporazione delle donne, Vallecchi Editore, Firenze, 1988.
8
sue mire espansionistiche.
2
Vediamo quale fu il percorso che il fascismo tracciò
per il movimento femminile, nell’intento di realizzare i propri progetti.
Il 23 marzo 1919 è la data cui si fa risalire la fondazione del movimento
femminile, prima che venisse organizzato politicamente. In tal giorno si tenne la
famosa adunata di Piazza San Sepolcro alla quale prese parte un numero molto
esiguo di donne: nove per l’esattezza.
3
Le attiviste che parteciparono a tale
raduno furono: Reggina Terruzzi, Gina Tinozzi, Cornelia Mastrangelo Stefanini,
Paolina Piolti de’Bianchi, Fernanda Guelfi Pejrani, Maria Bianchi, Luisa Rosalia
Dentici, Giselda Brebbia.
4
Tutte appartenevano al Fascio di combattimento di
Milano al quale avevano aderito per la loro passione interventista.
5
Nei giorni
immediatamente successivi all’adunata sansepolcrista molte altre donne
aderirono al nascente movimento, facendo aumentare in pochissimo tempo il
numero delle attiviste. Queste prime donne del fascismo avevano tutte un’età
matura e ciò permette comunque di constatare che l’adesione al primo fascismo
non costituì un’attrazione esclusivamente per i giovani, i quali potevano essere
spinti ad abbracciare tale movimento dalla voglia di ottenere un cambiamento
radicale che consentisse di spezzare ogni legame col passato.
6
Il fascismo della prima ora si presentava come un movimento
rivoluzionario, nonché sovvertitore del sistema esistente attirando a sé, per questa
ragione, anche molte femministe. Nel programma di San Sepolcro, che era
identico a quello dei Fasci di combattimento di Milano, si toccava infatti un
punto cruciale per le donne, quello del diritto di voto: si affermava, che si
sarebbe voluto conseguire «il suffragio universale…con…voto ed eleggibilità per
la donna … senza alcuna restrizione…».
7
2
Ivi, pp. 12-13.
3
Cfr. D. DETRAGIACHE, Il fascismo femminile da San Sepolcro all’affare Matteotti (1919-
1925), in “ Storia contemporanea”, n. 2, aprile 1983.
4
Archivio Centrale dello Stato, Segreteria Particolare del Duce, Carteggio riservato (C r), b. 33,
fasc. 242/R, Elenco sansepolcristi. In H. DITTRICH-JOHANSEN, “Le militi dell’idea“, Storia
dell’organizzazione femminile del Pnf, Olschki, Firenze 2002, p. 31.
5
D. DETRAGIACHE, Il fascismo da San Sepolcro.., cit., pp. 216- 217.
6
V. DE GRAZIA, Le donne nel regime fascista, Marsilio Editore, Venezia, 1993, p. 16.
7
R. DE FELICE, Mussolini il Duce, II, Lo Stato totalitario 1936-1940, Einaudi, Torino 1981,
pp. 78-81.
9
Il saggio di Denise Detragiache risulta particolarmente utile nello studio
del movimento femminile fascista poiché traccia un’analisi approfondita dei
Fasci femminili basandosi sull’utilizzo di documenti d’archivio. La studiosa fa
partire il suo lavoro dalla nascita del movimento per poi mettere in evidenza il
legame con fiumanesimo, irredentismo, sindacalismo rivoluzionario e approda, in
fine, al cambiamento che tale movimento subì quando il fascismo si trasformò in
partito. Analizzando il primo periodo di vita del movimento femminile, emerge
che le prime donne del fascismo possono essere considerate come le compagne
dei propri uomini al fianco dei quali partecipavano alle imprese squadriste
indossando la camicia nera, armate di manganello, rivoltelle e quant’altro, che
aderivano ad un movimento di cui costituivano solo una piccolissima minoranza
e non godevano né dell’approvazione delle altre donne, né dell’appoggio
maschile.
8
Erano generalmente ribelli piccolo-borghesi, ex socialiste, ex futuriste
determinate a raggiungere l’agognata emancipazione e che,
contemporaneamente, provavano un certo disprezzo per la massa delle donne
ancora totalmente assoggettate all’uomo.
9
Tra le violenze e gli assalti perpetrati dalle squadriste, un episodio può
essere riportato poiché rappresenta uno dei pochissimi casi di denuncia a carico
delle attiviste. Si tratta del caso di una giovane sartina, Maria Berra, la quale fu
sorpresa da un fascista a leggere il “Corriere della sera” mentre intonava
“Bandiera rossa”. Il giovane, scosso dall’episodio, reagì minacciando che
avrebbe riferito il fatto alle squadriste. La visita di queste ultime non si fece
attendere e, dopo aver spaventato la giovane ragazza con minacce verbali di vario
genere, procedettero a malmenarla e minacciarla ulteriormente. Tuttavia,
quest’ultima ebbe il coraggio di andare fino in fondo e due squadriste, le uniche
alle quali si riuscì a risalire, furono processate davanti al tribunale di Milano il 7
marzo 1925, con verdetto di due anni e mezzo di reclusione e seicento lire di
8
V. DE GRAZIA, Le donne…, cit., p. 57
9
Ivi, p. 217.
10
ammenda per l’una e di due anni e un mese e cinquecento lire di ammenda per
l’altra, che aveva meno di ventuno anni.
10
Inizialmente molte furono le donne provenienti dal femminismo che
aderirono al nascente movimento fascista, poiché nulla lasciava trapelare le
future involuzioni.
11
Le militanti, sebbene fossero aumentate considerevolmente
rispetto alla famosa adunata, erano ancora relativamente poche ma animate da
fiducia e volontà, credendo possibile una convivenza tra l’emancipazione e le
istanze innovative di cui il fascismo si faceva promotore nel 1919-1920.
L’attenzione che il fascismo dedicava alle associazioni femminili era assai
carente in questo periodo, tanto che non si preoccupò neanche di dar loro una
organizzazione interna. Questa disattenzione, però, fece sì che le donne potessero
godere, nel frattempo, di ampia autonomia di movimento avendo anche la
possibilità di organizzare dei congressi per proprio conto.
12
In occasione del secondo congresso dei Fasci tenutosi a Milano nel 1920
organizzato dalle stesse attiviste si ebbe l’entrata in scena di Elisa Mayer
Rizzioli
13
che nel 1921 avrebbe fondato i Fasci femminili (il primo Fascio
femminile fu costituito il 12 maggio del 1920 a Monza)
14
dando vita ad una vera
e propria comunione di donne provenienti da movimenti assai diversi: talune
giungevano dal socialismo, come Reggina Terruzzi e Giselda Brebbia, altre dai
ranghi dannunziani delle “fiumane” come la stessa Majer Rizzioli e Angiola
10
D. DETRAGIACHE, Il fascismo da San Sepolcro…, cit.,pp. 228 229. Cfr. H. DITTRICH
JOHANSEN, Le militi…, cit., p. 47.
11
H. DITTRICH-JOHANSEN, Le militi…, cit., p. 35.
12
P. R. WILSON, Fasci femminili, in Dizionario del fascismo, a cura di V. DE GRAZIA e S.
LUZZATO, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2002, vol. I, p. 509.
13
Elisa Mayer Rizzioli, rappresentante dell’aristocrazia veneziana nonché volontaria della
Croce rossa già nella prima guerra mondiale e nella guerra di Libia, incarnava il perfetto
archetipo della donna esaltata dal fascismo. Con la sua posizione sociale, apportava
all’organizzazione prestigio, rispettabilità e, grazie anche alle conoscenze di cui era dotata oltre
al patrimonio personale, un appoggio finanziario non indifferente. Tuttavia, col passare del
tempo, appariva troppo motivata e determinata nel voler concretizzare la conquista dell’effettiva
rappresentanza degli interessi delle donne, per mantenere a lungo il proprio incarico. Nel 1926,
infatti, la Rizzioli fu costretta a presentare le proprie dimissioni seguite, per altro, dalla chiusura
del suo giornale «Rassegna Femminile italiana», che aveva visto le sue prime pubblicazioni nel
1925. Cfr. P. R. WILSON, Fasci femminili, cit. p. 511; e D. DETRAGIACHE, Il fascismo da
San Sepolcro.. cit. p. 219.
14
V. DE GRAZIA, Le donne…, cit., p. 55.
11
Moretti
15
, alcune appartenevano al movimento anarchico, altre ancora erano
esponenti del suffragismo radical borghese e poi vi erano le femministe, cui si è
accennato.
16
Questa composizione assai variegata si mostrò particolarmente utile
al movimento fascista sia nel breve, sia nel lungo periodo in quanto alcune di
loro, come Reggina Terruzzi, apportarono alla dittatura una lunga esperienza e
consolidate capacità politico- organizzative acquisite nelle file socialiste.
17
I Fasci femminili erano composti da donne italiane di sicura e dichiarata
fede fascista che avevano già compiuto il ventunesimo anno d’età. Le donne che
operavano al loro interno avevano gli stessi obblighi che gravavano su coloro che
militavano nelle file del Pnf, dovendo osservare la disciplina stabilita dallo stesso
statuto.
18
Alla fine degli anni trenta, dopo i vari interventi diretti del partito
nazionale fascista, i Fasci femminili erano così organizzati: presso ciascun Fascio
di combattimento era istituito un Fascio femminile retto da una Segretaria; i
Fasci femminili di ciascuna provincia erano inquadrati nelle Federazioni
provinciali dei Fasci femminili, rette da Fiduciarie nominate dal Segretario del
Partito; una Consulta provinciale, presieduta dal Segretario federale, aveva poi il
compito di coordinare le attività femminili delle singole province dando loro un
indirizzo unitario.
19
L’organo centrale dei Fasci femminili era la Consulta
centrale presieduta dal Segretario del Pnf ed era composta da: le Ispettrici
nazionali del Pnf, l’Ispettrice della GIL, l’Ispettrice dei GUF e la Commissaria
nazionale dell’Associazione Donne Artiste e Laureate. Di diritto facevano parte
della Consulta un vice-Segretario del Pnf e l’Ispettore del Pnf per i Fasci
femminili. Il compito della Consulta era quello di indirizzare e coordinare tutta
l’attività delle organizzazioni femminili del Partito. Le funzioni delle Ispettrici
delle organizzazioni femminili del Pnf, nominate dal Segretario del Partito,
consistevano nell’assolvere gli incarichi che erano loro affidati dallo stesso
Segretario di Partito. Quelle attribuite alla Segretaria del Fascio femminile
15
Ivi, p. 57.
16
Cfr. M. ADDIS SABA, La donna muliebre, in M. ADDIS SABA, La corporazione delle
donne, cit., p. 23.
17
V. DE GRAZIA, Le donne…, cit., p. 59.
18
M. MISSORI, Gerarchie e statuti del Pnf, Bonacci editore, Roma, 1986, p. 349.
19
Ivi, p. 350.
12
consistevano nel provvedere, d’intesa col Segretario del Fascio di
combattimento, allo svolgimento delle attività organizzative, assistenziali e di
propaganda, secondo le direttive impartite dalla Fiduciaria della Federazione dei
Fasci femminili verso la quale era responsabile. Le funzioni delle Fiduciarie delle
Federazioni femminili erano invece quelle di reggere il Fascio femminile del
capoluogo e di sovrintendere alla costituzione e al funzionamento dei Fasci
femminili della provincia, dei quali nominava le segretarie. Infine, le Fiduciarie
della Federazione dei Fasci femminili rispondevano davanti al Segretario
federale dell’attività di tutte le organizzazioni femminili del Pnf della provincia.
20
All’interno delle organizzazioni femminili esisteva un ordine gerarchico
così stabilito: Ispettrici delle organizzazioni femminili; Fiduciarie della
Federazione dei Fasci femminili; Vice-fiduciaria del Fascio femminile del
capoluogo; Collaboratrici federali; Segretaria provinciale della Sezione Massaie
rurali, Segretaria provinciale della Sezione operaie e lavoranti a domicilio,
Segretaria provinciale per la preparazione della donna alla vita coloniale; Vice-
segretaria del Fascio femminile del capoluogo; Ispettrici federali; Segretaria di
Fascio femminile, Segretaria di Gruppo rionale femminile; Collaboratrice di
Fascio o di Gruppo rionale femminile; Segretaria Sezione Massaie rurali,
Segretaria Sezione operaie e lavoranti a domicilio; Visitatrici di settore;
Visitatrici di nucleo, Capo nucleo massaie rurali; Visitatrici. Il compito dei Fasci
femminili consisteva nel divulgare e tenere desta l’idea fascista, di migliorare la
preparazione culturale e spirituale della donne italiana, di concorrere
all’attuazione di tutte le attività assistenziali del Regime, di svolgere negli ambiti
femminili azione di propaganda per la protezione e il potenziamento della razza,
di collaborare con le organizzazioni sindacali ed economiche per l’autarchia della
Nazione.
21
I Fasci femminili iniziarono a subire un primo cambiamento proprio
nella fase in cui si ebbe la comparsa della Mayer Rizzioli poiché si venne
profilando chiaramente l’intenzione di realizzare l’imminente allontanamento dal
20
Ibidem.
21
D. DETRAGIACHE, Il fascismo da San Sepolcro…, cit., p. 242.