INTRODUZIONE
“E perché? Le donne non possono fare…
eroismo?”
ROMA CITTÀ APERTA
Nota personale
Scegliere l’argomento della mia tesi non è stato facile. Volevo che la tesi non fosse un qualcosa da fare
all’unico scopo di ottenere il “pezzo di carta”, ma qualcosa che contribuisse alla mia crescita personale.
Volevo un argomento poco studiato, o meglio ancora mai preso in considerazione. Ho pensato alle donne,
perché se sulla carta abbiamo ottenuto da tempo la parità, il cammino per l’ottenimento del rispetto e della
pari dignità – anche culturale - è ancora lungo. Delusa dal modello femminile imperante delle varie – ine
televisive, ho cercato nel passato un modello di donna a cui rifarmi.
L’ho trovato nelle staffette e partigiane: serie negli intenti, disposte a rischiare, ma al tempo stesso
scanzonate negli atteggiamenti, sono donne che hanno avuto un ideale, un sogno, e per questo hanno
lottato. Con l’incoscienza della giovinezza o la maturità della vecchiaia, queste donne hanno voluto costruire
un mondo migliore.
Le loro storie meritano di essere raccontate.
Le loro storie che il cinema ha raccontato meritano di essere studiate.
Con questo lavoro mi propongo di portare alla luce le figure femminili presenti nei
film italiani sulla Resistenza. Le ho chiamate le donne “resistenti” del cinema italiano, perché hanno
fatto la Resistenza, ma anche perché dimostrano di avere coraggio, forza d’animo, volontà di
impegnarsi. Le partigiane e le antifasciste di cui il cinema italiano ha raccontato le storie sono
infatti diverse per età, estrazione sociale, vicende personali, ma c’è una cosa che le accomuna:
tutte loro – donne realmente vissute o personaggi di fantasia - sono donne contro. Tutte loro
non hanno accettato la realtà in cui si sono trovate a vivere, si sono ribellate e hanno lottato con forza
per cambiarla, in modi diversi ma senza mai risparmiarsi. Chi contro un regime dittatoriale,
che per più di vent’anni ha negato ogni libertà all’individuo; chi contro un destino di
sofferenza e di miseria; chi contro una guerra devastante, che ha provocato milioni di morti;
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chi contro un sistema sociale ritenuto ingiusto, fatto di ricchi dai molti privilegi e di poveri che
subiscono soprusi; chi contro la disperazione; chi contro la disuguaglianza tra i sessi; tutte loro
hanno lottato. Se diverse sono le motivazioni che hanno spinto queste donne a non stare a
guardare, ma ad agire in prima persona, un'unica frase può essere il motto unificante di tutte
queste storie personali: io non accetto. Proprio dal voler cambiare uno stato di cose che non si
accetta deriva la volontà di queste donne di impegnarsi. Come vedremo, a volte è una scelta
consapevole, a volte no, e molto diversi sono i modi in cui il loro impegno si concretizza. Ma
il leit motiv di tutte queste esperienze è la forza che le donne “resistenti” hanno investito nella
loro personale lotta.
L’idea è quella di fornire un panorama generale di personaggi femminili nei film sulla
Resistenza per determinare quali figure sono presenti ed eventualmente quali non sono
presenti, con l’obiettivo di capire se e come il cinema ha raccontato la Resistenza delle
donne. Le strade perseguibili erano due: individuare due, massimo tre personaggi
particolarmente significativi e concentrare l’attenzione su di loro, prendendoli a mo’ di
esempio per delle considerazioni che potevano poi essere estese ad altri personaggi;
considerare l’intero arco temporale che va dai primi film prodotti immediatamente dopo la
guerra fino ai documentari realizzati per il 60° anniversario della Liberazione, e cercare in tutti
i film quelle figure femminili che potevano avere degli elementi interessanti proprio perché donne.
Ho scelto la seconda strada. È chiaro che un censimento completo è arduo, e ritengo
anche infruttuoso. In quest’ottica ho scelto di considerare non tutti i film con personaggi
femminili, ma solo i film in cui la presenza femminile è per qualche motivo significativa, a
prescindere dal valore artistico delle opere: così, accanto a film dal valore universalmente
riconosciuto come Roma, città aperta e Paisà compaiono opere dai ben più modesti risultati. Tale
scelta ha comportato l’aver privilegiato per l’analisi l’aspetto tematico e narrativo su quello
stilistico-estetico. Ho ritenuto infatti che un’analisi stilistica di un insieme di film così
eterogenei sarebbe risultata inevitabilmente superficiale, e non avrebbe pertanto portato ad
alcuna conclusione attendibile. Mi pare superfluo specificare che ho scelto i film in cui il tema
resistenziale è predominante rispetto al tema più ampio della Seconda Guerra Mondiale:
tuttavia, è bene sottolinearlo poiché ciò spiega, ad esempio, l’esclusione di un film famoso
come La Ciociara, dove compare uno tra i personaggi femminili probabilmente più noti del
cinema italiano. Ancora, ho ristretto il campo di interesse al solo ambito italiano, ovvero film
italiani che parlano della Resistenza in Italia, ritenendo che film ambientati all’estero avrebbero
introdotto nuove variabili, e reso pertanto più difficile un confronto: ciò spiega ad esempio
l’esclusione di un film come Jovanka e le altre, che pure racconta storie di donne.
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Ritengo metodologicamente corretto far presente che tale lavoro, o meglio la scelta di
tale lavoro, è sorretta da una forte motivazione ideale, di cui ho cercato di servirmi per
orientare la ricerca, senza che questa ne rimanesse ingabbiata o distorta. Tuttavia, quando un
tema appassiona chi lo tratta, il pericolo di farsi prendere la mano è sempre presente. Ho
cercato di non farmi influenzare dalle mie preferenze personali. In aggiunta alle motivazioni
personali che ho riportato nella nota iniziale, ci sono altri motivi, più generali, per cui mi sono
interessata alla Resistenza nel cinema e sono quelli indicati ormai trent’anni fa dai partecipanti
ad uno dei vari convegni che sono stati organizzati su quest’argomento:
Noi crediamo con fermezza che i valori che la Resistenza ha incarnato e quelli che ha proposto all’Italia per un
nuovo corso della vita nazionale non siano né superati né spenti; e che anzi, in una fase obiettivamente complessa
e tormentata del nostro vivere civile, un ritorno di meditazione ai grandi temi della Resistenza sia più che utile,
necessario.
[…]
Allora noi guarderemo questi film non tanto e non solo per quelli che possono essere i loro valori estetici, dei
quali si è ampiamente discusso e che sono i loro valori culturali in senso lato, i loro valori etici, per quello
insomma che ci dicono della Resistenza e del popolo italiano del 1945.
[…]
Il cinema qui deve essere inteso come un modo di conoscenza e uno strumento di approfondimento. Tutto
questo iniziamo oggi con un sentimento profondo di fedeltà a quello che la Resistenza vuole ancora significare in
un momento di trasformazione del nostro vivere civile. Mentre andiamo cercando nuovi equilibri, un nuovo
ordine e un più vivo senso dell’unità sociale, è indispensabile vedere che cosa la Resistenza ancora oggi ci dice per
essere uomini di oggi, e non meramente per ricordare quello che fu il sacrificio degli uomini di ieri.
1
Altre motivazioni ce le suggerisce Gian Piero Brunetta nel suo Cent’anni di cinema italiano:
Tutti questi film sono importanti: perché ispirati da nobili intenti politici e civili, da una forte ragione dei loro
autori, perché, in trasparenza, parlano della società contemporanea, respirano dibattiti politici e ideologici ancora
in atto, esibiscono una doppia temporalità, guardano al passato. Perché sono fonti storiche del presente,
tradiscono in maniera consapevole o inconscia il desiderio di fare del passato non una realtà mitica, quanto il
transfert di tutti gli interrogativi aperti e le frustrazioni e gli insuccessi dell’oggi.
2
1
Ernesto G. Laura in Camillo Bassotto (a cura di) - Nedo Ivaldi e Armando Pajalich (con la
collaborazione di), Atti del convegno di studi sulla Resistenza nel cinema italiano del dopoguerra : 24-
27 aprile 1970, Palazzo del Cinema, Lido, La Biennale di Venezia - Archivio Nazionale
Cinematografico della Resistenza, Venezia, 1970, pag. 21 – 22.
2
Gian Piero Brunetta, Cent’anni di cinema italiano, Laterza, Roma - Bari, 1991, pag. 466.
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Una vera colonna portante delle motivazioni generali su cui poggia questo lavoro è La crisi
dell’antifascismo di Sergio Luzzatto, da elogiare per le lucide considerazioni e l’agile penna, di cui
riporto qui l’inizio:
Il Ventennio è finito da sessant’anni. Nell’Italia di oggi, soltanto gli anziani conservano – sicura o malcerta – una
memoria personale degli uomini- chiave del fascismo e degli eventi fondatori della Repubblica. Unicamente chi
ha occhi di presbite può oggi vantare (o rimpiangere) la vista per esperienza diretta di un Mussolini al balcone o
di un sovversivo degli anni trenta, di un brigatista nero di Salò o di una «staffetta» partigiana. In senso proprio, in
quanto fenomeni collocati entro un preciso contesto ambientale e temporale, il fascismo e l’antifascismo non
sembrano più dover coinvolgere le nuove generazioni.
Alle nuove generazioni compete invece una precisa responsabilità, che Luzzatto indica al
termine del primo paragrafo:
Chi ha avuto il privilegio di nascere libero non può, né deve calarsi nei panni di chi è stato schiavo dell’una o
dell’altra utopia novecentesca. In compenso, farà bene a capire che neanche la più libera delle generazioni è libera
del tutto, completamente separata da quelle che l’hanno preceduta e da quelle che la seguiranno. Purtroppo o per
fortuna, la «grazia della nascita tardiva» - come ebbe a definirla il cancelliere Kohl – non esclude un’assunzione di
responsabilità rispetto al passato oltrechè rispetto al futuro. Penso che alla mia generazione competa una
responsabilità retrospettiva ben precisa: non consentire che la storia del Novecento anneghi nel mare
dell’indistinzione. Sarebbe quanto meno derisorio scoprire che il privilegio di essere nati “dopo” ci affranca dal
compito di decidere dove siamo ricordando da dove veniamo. Certo, né i parenti né gli antenati si scelgono: la
storia ce li assegna irrevocabilmente. In compenso, ci è dato di scegliere quali antenati onorare e quali ricusare; e
ci è dato di assistere fino all’ultimo i parenti che abbiamo ragione di considerare più cari. Si tratta – d’altronde – di
una responsabilità prospettiva oltrechè retrospettiva: perché non c’è disegno del futuro che non prenda forma sulle
tracce di un passato, secondo quanto si decida di conservare oppure di cancellare.
E qui veniamo al discorso che ci interessa. Queste motivazioni ideali, che –superfluo
dirlo- condivido in pieno, si sono unite alle mie personali e mi hanno suggerito l’argomento di
questa tesi di laurea. Chiedersi quanto si è conservato e quanto si è cancellato della “Resistenza
al femminile” in una tesi di storia del cinema è, a mio avviso, assolutamente pertinente, dal
momento che il cinema è uno dei più potenti custodi della memoria collettiva, nonché la
cartina al tornasole delle dinamiche della società da cui viene prodotto. Vorrei fare un inciso
che mi pare pregnante a questo punto della mia introduzione: in letteratura c’è un impegno
diretto delle donne nel raccontare la loro esperienza nella Resistenza, con una buona
produzione di autobiografie, romanzi, raccolta di testimonianze, e così pure in altri ambiti
artistici le donne hanno lasciato tracce dirette dell’esperienza da loro vissuta. Al cinema ciò
non avviene: nessuna ex partigiana si è interessata di cinema; non c’è un solo film di finzione
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sul tema diretto da una donna, e le registe che hanno parlato di donne della Resistenza nei loro
documentari lo hanno fatto solo molti anni dopo la fine della guerra (la prima è Liliana Cavani,
nel 1965). Anche per quanto riguarda la Resistenza, dunque, la donna è in massima parte
l’oggetto dello sguardo maschile, e non il soggetto guardante: colei che viene vista, non colei
che guarda. È forse un caso che l’unica opera cinematografica in cui la guerra, con le due
opposte esperienze di partecipazione femminile delle partigiane e delle ausiliarie di Salò, viene
presentata con evidenza, sia a livello contenutistico che stilistico, come un momento di rottura
nella storia della donna sia un film diretto da una donna
3
? Mi pare difficile crederlo.
Il dato di fatto incontestabile è che questo, e altri fattori culturali e sociali, hanno fatto
sì che la filmografia sulla Resistenza non pulluli di personaggi femminili. Sfogliando i vari
cataloghi delle rassegne cinematografiche dedicate alla Resistenza, i personaggi femminili (e
peggio ancora, le protagoniste femminili) vanno proprio cercati, scorporandoli da vicende
collettive o maschili. D’altro canto, non mi risulta che finora nessuno mai si fosse interrogato
sull’immagine della donna nella Resistenza che emerge dai film italiani. Nei diversi convegni su
cinema e Resistenza che si sono succeduti nel tempo
4
c’è una quasi totale rimozione
dell’esperienza femminile e del suo riverbero sul grande schermo
5
. Ciò a dispetto del fatto che
i film sulla Resistenza ci regalano interpretazioni, più o meno interessanti, di attrici famose, tra
le quali Anna Magnani, Claudia Cardinale, Lucia Bosè, Gina Lollobrigida, che avrebbero
potuto interessare gli storici del cinema (maschi e femmine, beninteso). In questo senso dicevo
all’inizio che mi propongo di portare alla luce le figure femminili: riportarle in primo piano e
dare loro l’importanza storica che si meritano, quasi fossero dei testimoni privilegiati, da
coccolare. Infatti, se è vero che le donne nel cinema resistenziale sono poche, se è vero che,
anticipando qui alcune conclusioni, il cinema italiano trascura diversi aspetti della Resistenza
“al femminile”, d’altra parte proprio questo mi sembra un fatto interessante su cui interrogarsi,
tanto da farmi pensare di aver centrato il bersaglio nel scegliere l’argomento della mia tesi.
Ecco quindi come sono mutati i miei sentimenti nel corso di questo lavoro. La sensazione
iniziale è stata di smarrimento, un sentimento tipico del laureando al primo lavoro di ricerca,
qui accentuato per la scarsezza di materiale a mia disposizione (nel doppio senso di materiale
filmico da analizzare e di libri o ricerche da consultare). Sembrava ci fosse talmente poco di cui
parlare che il gioco non valesse la candela. Pian piano, invece, andando a scovare, continuando
a pormi domande e a sperimentare nuove strade di ricerca, ho capito che il percorso
3
mi riferisco a Bellissime di Giovanna Gagliardo, di cui parlerò nel capitolo sei.
4
per citarne alcuni: 1956 Bologna, 1963 Torino-Grugliasco, 1964 Genova, 1964 Cuneo, 1970 Venezia, oltre
a quelli organizzati nel 2005 in occasione del 60° anniversario della Liberazione.
5
segnalo il convegno Cinema e Resistenza in Italia e in Europa nel corso del quale, in data 4 novembre
1994, si è tenuto il dibattito Le donne nella Resistenza, seguito alla proiezione del documentario di
Liliana Cavani. Gli atti del convegno sono stati pubblicati nel 1997. Per il documentario di Liliana
Cavani rimando al capitolo sei.
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intrapreso sarebbe stato fruttuoso, e anzi si potrebbe considerare come un punto di partenza
da cui iniziare un lavoro più ampio, a più livelli, su questo argomento. Mi vengono in mente
numerosi possibili sviluppi di questo mio lavoro: ad esempio io credo che particolarmente
stimolante potrebbe essere un confronto a livello europeo su questo argomento, oppure una
ricerca dedicata interamente ai documentari, per offrire quel censimento completo che era qui
impossibile da affrontare. Ancora, le considerazioni qui fatte potrebbero essere utilizzate per
delle ricadute “pratiche”, in ambito divulgativo.
In breve, ecco com’è strutturata questa tesi. I primi quattro capitoli sono dedicati ai
film in cui vi è una protagonista femminile. Ogni capitolo è dedicato a un solo film, o meglio
alla sua protagonista, con l’eccezione del capitolo 2 dedicato a Paisà, che per la sua struttura a
episodi rappresenta un caso particolare e dunque parleremo di più personaggi. La sequenza dei
capitoli riflette l’ordine cronologico dei film trattati. Potremmo idealmente raggruppare questi
quattro capitoli in un’unica parte, che chiameremo “Protagoniste della Storia”, nel doppio
senso di donne protagoniste della narrazione e degli eventi storici.
Nella seconda parte del lavoro, che comprende i restanti capitoli, l’attenzione non è
più puntata volta per volta su una donna, ma su un tema. In particolare, nel capitolo 5 prendo
in considerazione tre temi che riguardano da vicino il vissuto delle donne nella Resistenza: la
lotta di classe, il cui unico esempio che mi è parso interessante per un discorso al femminile è
Il sole sorge ancora; la Resistenza civile, con due film in cui la Resistenza entra nelle vite delle
donne senza che vi sia all’inizio una loro scelta in tal senso: Un giorno nella vita e Era notte a
Roma; infine, il tema femminile per eccellenza, che si conferma tale anche nella Resistenza,
ovvero l’amore, presente in moltissimi film tra i quali ho scelto quelli a mio parere più
interessanti. Proprio quest’ultimo tema, all’apparenza il meno pertinente tanto da farmi
dubitare sulla sua inclusione o meno, si è rivelato un fertile terreno d’indagine.
Nel capitolo 6 getto uno sguardo al cinema documentario, la cui produzione
sull’argomento Resistenza è vastissima. Mi è sembrato necessario esaminare i film in cui sono
le donne vere a raccontarsi, cioè coloro che la Resistenza la vissero in prima persona, per capire
meglio quale immagine della donna nella Resistenza ci ha tramandato il cinema “a soggetto”.
In questo caso ho preso in considerazione un numero ristretto di titoli che ritengo
esemplificativi. Non ripeto qui le motivazioni che mi hanno fatto scegliere questi titoli, per le
quali rimando al capitolo 6. Voglio invece già anticipare che non trascurare l’ambito del
documentario è stata una scelta felice: il documentario infatti dedica molta attenzione ad
aspetti che mancano del tutto o sono relegati in secondo piano nei film considerati nei
precedenti capitoli. Non si tratta di aspetti marginali: parliamo di comando di azioni armate, o
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di deportazione in campi di sterminio. E, ancora, emerge dai documentari e non dai film di
finzione quello che mi sembra un nodo cruciale nella Resistenza vissuta, partecipata,
combattuta o supportata dalle donne, ovvero il legare quest’esperienza a una rivendicazione
dei propri diritti. Propri nel senso di “propri delle donne”: dunque una battaglia in più
specifica dell’ “altra metà del cielo”, che va ad aggiungersi alle motivazioni di adesione alla
Resistenza che esse possono condividere con gli uomini (lotta per la libertà, contro il tedesco
invasore, contro la dittatura, contro un sistema sociale che privilegia i padroni, ecc…).
Nel capitolo 7 mi servo delle considerazioni fatte nei primi sei capitoli per sondare se
c’è nei film sulla Resistenza un’innovazione nell’immagine della donna al cinema. Mi sono
chiesta se alla portata emancipatrice della Resistenza come realtà storica corrispondeva nella
Resistenza ricreata al cinema una rottura degli schemi tradizionali in cui il personaggio
femminile viene spesso ingabbiato. Seppur indiretta, mi è sembrata questa una via ulteriore per
arrivare al nocciolo della questione, ovvero quanto il cinema italiano ha colto della Resistenza
delle donne.
Nel capitolo 8 traggo le somme di quanto detto precedentemente per dare la mia
risposta al quesito da cui questo lavoro ha preso le mosse.
In appendice riporto il testo integrale delle tre interviste da me realizzate a Giovanna
Gagliardo, regista del documentario Bellissime, Maria Teresa Sega, ricercatrice dell’Istituto
Veneziano per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea, che si occupa da anni
di donne e resistenza, e a Manuela Pellarin, regista del documentario I giorni veri. Le ragazze della
Resistenza. Con queste interviste sono voluta andare direttamente “alla fonte”, ovvero
interrogare le persone che si sono occupate di questo argomento.
In appendice è infine presente una raccolta di immagini che considero emblematiche di
alcuni aspetti-chiave della Resistenza delle donne. Ho cercato cioè quelle inquadrature che
fissano un simbolo (es. la bicicletta, oggetto-simbolo della staffetta partigiana), un’azione, un
gesto: da qui l’idea di chiamare quest’ultima parte della tesi “Istantanee”. Il tentativo è al
tempo stesso quello di creare un breve racconto per immagini e di suggerire un confronto tra
le diverse rappresentazioni di uno stesso tema (es. la morte).
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Note
Alcuni termini che, di necessità, ricorrono frequentemente in questo lavoro presentano non
pochi problemi di definizione. Già il concetto chiave di questo lavoro, la Resistenza, non è
esente da ambiguità: cosa intendiamo per Resistenza? E quando parliamo di cinema
resistenziale intendiamo i film prodotti negli anni immediatamente successivi alla Resistenza o
i film che parlano di Resistenza? Il problema è sollevato da Massimo Mida e Giovanni Vento
nel loro Cinema e Resistenza, dal quale accolgo queste due osservazioni:
[…] se è vero che la definizione di Resistenza può essere estesa nel senso dello spazio, del tempo e dei contenuti,
è anche vero che, di fronte alla Resistenza, devono esserci sempre e solo il nazismo e il fascismo.
La questione […] è troppo chiara per ammettere equivoci: un conto è dire film sulla Resistenza (film che ha per
argomenti fatti e personaggi di un certo periodo storico), e un altro è dire cinema della Resistenza (cinema fiorito
da un certo clima e che rispecchia questo clima). Si dirà perciò Roma, città aperta film sulla Resistenza, Ladri di
biciclette film della Resistenza.
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Ricorre nel mio lavoro la distinzione tra film di finzione o “a soggetto” e film documentario,
una distinzione in alcuni casi non così immediata. Per l’insieme dei film considerati non
ritengo ci siano stati casi problematici di distinzione tra film a soggetto e film documentario, o
di mescolanza tra i due “generi”. Per una definizione di documentario si veda il capitolo I della
Storia del documentario di Roberto Nepoti. Vorrei precisare che laddove parlo di cinema
documentario l’espressione usata non vuole avere un valore sminuente: sono fermamente
convinta che il documentario abbia la stessa dignità artistica del film “a soggetto”.
Semplicemente ho inteso marcare differenze che non stanno sul piano della qualità dell’opera
ma su quello della diversità di realizzazione, nella distribuzione, ed una conseguente –
inevitabile, spesso ingiusta – minore notorietà presso il pubblico. Nello specifico di questo
lavoro, marcare la differenza m’è parso necessario perché come ho già avuto modo di
anticipare il confronto tra film “a soggetto” e film documentario è un fertile terreno d’analisi.
Si scopre cioè grazie ai documentari dei “buchi” del cinema di finzione.
Trattandosi di una tesi in Storia e critica del cinema, ritengo che le immagini non abbiano una
mera funzione illustrativa o decorativa, ma siano una parte necessaria del lavoro. Ciò vale
ancor più per l’argomento trattato, data la scarsità degli apparati iconografici dei libri su
cinema e Resistenza. Se si escludono le attrici più famose, in particolare la Magnani e la
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entrambe le citazioni sono tratte da Massimo Mida e Giovanni Vento, Cinema e Resistenza, Landi,
Firenze, 1959, pag. 9.
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Cardinale, è impresa ardua trovare immagini di attrici nei film citati e, quando ci sono,
raramente sono significative di quel che è stato la Resistenza. Spesso si limitano a qualche bel
primo piano, o qualche bacio.
Sulla reperibilità dei film devo ammettere di essere stata enormemente facilitata dalle
circostanze: grazie alla felice coincidenza di aver iniziato questo lavoro nell’anno del 60°
anniversario della Liberazione, ho potuto vedere quasi tutti i film citati in una vera sala
cinematografica, nel corso delle numerose rassegne organizzate per l’occasione. Più ancora che
una felice coincidenza direi che è stata una grande fortuna per chi ha studiato cinema e i film li
ama vedere sul grande schermo.
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