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Introduzione 
 
La memoria è definibile come la capacità di “conservare tracce della propria 
esperienza passata e di servirsene per relazionarsi al mondo e agli eventi futuri” 
(Galimberti, 1999, p. 633). Essa è un’attività mentale condivisa in tutto il regno 
animale, seppur in forme di complessità differente, così com’è possibile parlare di 
memoria anche a proposito delle funzioni degli elaboratori elettronici. 
Relativamente ai processi mentali degli esseri umani, la memoria consiste in 
attività quali l’apprendimento, la conservazione, la rievocazione e il 
riconoscimento di oggetti, eventi, regole, significati. Questi processi sono 
onnipresenti nell’attività mentale umana ed è in stretta interazione con gli altri 
processi cognitivi. Ad esempio, la percezione è facilitata dal riconoscimento 
dell’oggetto, la categorizzazione si basa sulle relazioni apprese tra gli elementi, il 
ragionamento attinge alle informazioni in memoria e d’altra parte guida 
l’apprendimento e la rievocazione, attenzione, motivazioni ed emozioni 
influenzano il quanto e il cosa è ricordato, le capacità linguistiche non potrebbero 
svilupparsi senza apprendere lessico e grammatica ecc... 
A dispetto della sua importanza, la fallibilità della memoria è un dato di fatto. 
Nella quotidianità, gli errori di memoria sono più la regola che l’eccezione e 
chiunque sarebbe in grado riferire aneddoti di ricordi imprecisi relativi alle più 
diverse attività nei più svariati contesti di vita. Anche nello studio filosofico e 
nella ricerca scientifica, la fragilità della memoria è da sempre stata riconosciuta.
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Per questo motivo, lo studio degli errori di memoria è strettamente legato a quello 
della memoria in sé, tanto che si potrebbe affermare che esso coincida, in fondo, a 
studiare la memoria stessa. Inoltre, data la sua pervasività nell’intera attività 
cognitiva, lo studio degli errori di memoria può avere serie ricadute sullo studio 
delle altre funzioni mentali, che sono state studiate in modo disgiunto solamente 
per ragioni di semplificazione teorica e metodologica. 
La ricerca scientifica sugli errori di memoria risale alle origini della psicologia 
come disciplina ufficiale. Fu Hermann Ebbinghaus, durante gli anni ’80 del XIX 
                                                 
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 Per una rassegna sulle concezioni filosofiche riguardanti la memoria autobiografica si veda 
(Brewer, 1986, 1995)
5 
secolo, a condurre i primi esperimenti sulla capacità di ritenere in memoria liste di 
sillabe senza senso. Il suo lavoro influenzò il successivo paradigma teorico-
metodologico del campo all’interno del quale prese avvio una fruttuosa ricerca su 
quali siano le condizioni che impediscano, o al contrario favoriscano, 
l’apprendimento e la conservazione in memoria di ciò che è stato appreso in 
funzione del trascorrere del tempo e dell’influenza di altre informazioni. Concetti 
quali oblio, dimenticanza, interferenza pro- e retro-attiva, decadimento della 
traccia, ampiezza del magazzino mnestico sono diventati il pane quotidiano della 
ricerca per tutta la prima metà del ‘900. 
La memoria, però, può fallire anche in altri modi, cioè tramite l’immissione di 
elementi che non hanno fatto parte della reale esperienza. In questi del genere, si 
parla di distorsioni il cui studio sistematico ha preso piede a partire dagli anni ’70 
del secolo scorso, se non si contano i contributi di alcuni autori i cui lavori hanno 
mostrato tutta la loro valenza per la psicologia cognitivista solo decenni più tardi. 
Lo studio delle distorsioni di memoria si è mosso lungo varie linee di ricerca 
cognitivista che abbracciano, a livello metodologico, studi di carattere ecologico-
descrittivo e ricerche prettamente sperimentali in laboratorio, e a livello teorico, 
l’interesse per i processi di formazione e cambiamento della rappresentazione 
mentale da un lato e processi che influiscono sull’accuratezza della rievocazione 
del ricordo. Uno dei risvolti negativi dell’ampia gamma dei concetti utilizzati e 
delle modalità d’indagine è una proliferazione di teorie e risultati empirici che 
purtroppo non hanno trovato una sistematica integrazione tra loro. Concetti 
esplicativi sono stati quelli di schema, familiarità, indizio di recupero, coerenza 
con il sé ecc... 
L’obiettivo di questa tesi è fare una panoramica focalizzata sui processi 
implicati nelle distorsioni di memoria cercando di fornire una visione d’insieme di 
un campo eterogeneo e frastagliato. Allo scopo, si descriveranno le prospettive 
teoriche, i concetti rilevanti, i fenomeni rilevati e i processi cognitivi sottesi che 
attraverso i vari rami di ricerca sono stati proposti, sforzandosi di evidenziarne i 
punti di connessione. A tal proposito sarà descritto un particolare tentativo 
d’integrazione teorica proposto da Marcia Johnson e colleghi (Johnson, 
Hashtroudi, Lindsay, 1993; Johnson, Raye, 1981), una cornice di lavoro il cui
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perno concettuale è il processo del monitoraggio della fonte. Esso consiste 
nell’individuazione del contesto in cui è stato appreso un evento o 
un’informazione e serve di valutare se i ricordi sono il prodotto della propria 
immaginazione o della realtà esperita e in quest’ultimo caso qual è la loro 
specifica origine. 
Si spera che una chiarificazione dei collegamenti tra concetti differenti possa 
innanzitutto rendere più agevole una lettura dell’intero campo. Esistono già sforzi 
in tal senso, uno dei quali, particolarmente degno di nota, è quello di Daniel 
Leonard Schacter che ha dapprima descritto i fenomeni distorsivi all’interno dei 
“sette peccati di memoria” (Schacter, 1999) e successivamente ha proposto una 
visione dei processi distorsivi della memoria che integra vari concetti psicologici 
con evidenze sul funzionamento cerebrale (Schacter, Addis, 2007).  
Nonostante questo, a conoscenza, nei libri di testo italiani di psicologia 
generale e di psicologia della memoria, lo spazio riservato alle distorsioni di 
memoria è frazionato in singole descrizioni di fenomeni e di rami di ricerca. 
Manca cioè una trattazione approfondita e omogenea delle distorsioni di memoria, 
dei processi sottesi nella costruzione della rappresentazione mnestica e nel 
richiamo del ricordo e soprattutto le implicazioni che questi hanno nel 
funzionamento mentale complessivo, nella produzione di nuove e più utili teorie e 
nell’indicazione degli svariati campi di applicazione. 
Allo scopo della stesura della tesi, la prima domanda a guidare la ricerca 
all’interno della letteratura è stata: quali sono le distorsioni di memoria? Cioè, ci 
si è chiesti in quali modi la memoria può fallire aggiungendo o alterando 
contenuti rispetto all’esperienza originale. È stato subito evidente che le 
spiegazioni teoriche fornite per rendere conto dei vari fenomeni individuati 
facevano tutte riferimento a una visione costruttiva della memoria, cioè la 
considerazione che il ricordo è costruito a partire da pezzi di informazione sparsi 
che sono messi insieme, non sempre correttamente, dall’attività mentale della 
persona.  
La seconda domanda è stata quindi: quali sono e in cosa consistono i processi 
costruttivi? Si è avuto a che fare, così, con il ruolo organizzativo degli schemi di 
memoria nell’apprendimento e nel ricordo, con l’influenza degli indizi di recupero
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e del contesto in cui avviene il richiamo, con la capacità di accorgersi e correggere 
le distorsioni tramite attività di ragionamento e valutazione più o meno 
consapevoli, con la funzione protettrice per l’immagine di Sé delle distorsioni, 
con la facoltà che la pressione suggestiva e l’immaginazione hanno nell’immettere 
nel ricordo elementi mai esperiti e addirittura nel creare ricordi di interi eventi 
autobiografici mai avvenuti. Contestualmente ci si è dovuti approcciare con 
metodologie differenti e, più importante per il fine che ci si è proposti, con teorie 
discrepanti ed evidenze empiriche contraddittorie. 
Infine, ci si è chiesti quali possano essere i punti di contatto teorici tra i diversi 
rami di ricerca e si sono rintracciate alcune proposte che sembrano poter dare una 
spiegazione ai vari fenomeni attraverso comuni concetti. A tal riguardo si è scelto 
di approfondire il lavoro di Johnson (Johnson et al., 1993; Johnson, Raye, 1981) 
per la capacità di rendere conto di vari fenomeni, per le possibili applicazioni in 
diversi contesti di vita e per la spendibilità per la ricerca futura. 
Nel primo capitolo si è dapprima voluto dare una definizione dettagliata dei 
termini che sono stati utilizzati, allo scopo di eliminare qualsiasi ambiguità. 
Successivamente, viene fatta una breve trattazione, in chiave storica, degli 
approcci con cui sono state studiate le distorsioni di memoria. 
Il secondo capitolo, quello maggiormente denso di contenuti, tratta dei 
meccanismi che causano distorsioni di memoria. Dapprima s’introduce il concetto 
di schemi e il ruolo che hanno nell’apprendimento. Successivamente si parlerà dei 
processi ricostruttivi, con i quali s’intenderanno i meccanismi implicati nella 
generazione del ricordo durante il richiamo. Si parlerà del fatto che la 
rievocazione del ricordo è guidata dagli schemi e si vedrà come questo avvenga 
anche nei casi in cui si pensa che la rievocazione consista in una semplice 
riattivazione di un ricordo “fotografico”. Inoltre si tratterà di come il contenuto del 
ricordo risenta del contesto in cui è rievocato e di quali modalità l’individuo ha a 
disposizione per valutarne l’accuratezza in modo più o meno consapevole.  
Un paragrafo a parte sarà dedicato all’effetto dell’informazione errata perché è 
un filone di studi che ha avuto ampio risalto ma anche perché il dibattito che è 
scaturito attorno ai processi sottostanti sintetizza quello sul se le distorsioni di
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memoria siano dovute a una rappresentazione errata oppure a una ricostruzione 
errata. 
Sarà dato considerevole spazio alle distorsioni nella memoria autobiografica 
poiché questa è la forma di memoria che più caratterizza la vita quotidiana. Prima 
di parlare dei meccanismi di distorsione, però, si è sentita l’esigenza di definire 
chiaramente la memoria autobiografica dal punto di vista concettuale e strutturale, 
confrontandola anche con il più tradizionale concetto di memoria episodica (con 
cui è stata spesso confusa). Si procederà poi a descrivere un recente modello 
costruttivista che riesce a rendere conto di come una memoria fallace riesca a 
preservare una valutazione positiva e coerente di se stessi. Il paragrafo sulla 
memoria autobiografica si chiuderà descrivendo come la ripetuta immaginazione 
di un evento mai accaduto possa condurre alla creazione di un ricordo della cui 
veridicità il soggetto si convince, altro filone di studi particolarmente prolifico e 
generatore di ampi dibattiti. 
Si chiuderà il secondo capitolo con le evidenze neurofisiologiche collegabili 
alle distorsioni di memoria sottolineando i collegamenti tra i concetti 
precedentemente esposti con il funzionamento cerebrale. 
Il terzo capitolo tratterà specificatamente del modello del monitoraggio della 
fonte. Sarà data una descrizione generale con la definizione dei concetti, dei 
processi basilari e delle condizioni che facilitano distorsioni di memoria. 
Successivamente, due dei fenomeni di cui si è trattato nel primo capitolo, effetto 
dell’informazione errata e inflazione dell’immaginazione, saranno riletti nei 
termini del modello. Infine sarà analizzato come la letteratura corrente considera il 
contributo della conoscenza schematica. 
Il lavoro svolto sembra utile per due motivi. Prima di tutto perché raccoglie 
l’essenza del campo di studio sulle distorsioni di memoria. In secondo luogo 
perché mette in risalto, dandone una trattazione approfondita degli aspetti basilari, 
una proposta teorica, quella del monitoraggio della fonte, evidentemente 
vantaggiosa e promettente per la ricerca futura sulle distorsioni di memoria ma 
che nella letteratura italiana è sottovalutata.
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Capitolo 1 - Definizione e approcci allo studio delle 
distorsioni di memoria 
 
1.1  - Errori, distorsioni, illusioni di memoria e falsi ricordi 
 
Per indicare gli elementi inesatti dei ricordi, cioè quelli che non corrispondono 
alla realtà dei fatti esperiti, sono stati usati vari termini i più frequenti dei quali 
sono “errore” e “distorsione”. 
Secondo il dizionario della lingua italiana Garzanti e quello della lingua inglese 
Oxford, per “errore” s’intende una divergenza tra ciò che è e ciò che ci si aspetta o 
si ritiene debba essere, in termini di precisione nella conoscenza di un fatto, di 
adeguatezza di una condotta o di correttezza di un giudizio.  
Parlando specificatamente di memoria, si può quindi far rientrare in questa 
categoria tutti quei contenuti che, per un motivo o per un altro, non coincidono 
con le informazioni che erano presenti nel momento in cui sono state acquisite. 
Secondo gli stessi dizionari, il termine “distorsione” ha, invece, un significato più 
ristretto in quanto errore dovuto ad alterazione della forma (intesa anche in senso 
figurativo). C’è quindi una relazione d’inclusione tra il concetto di “distorsione” e 
quello di “errore”. 
Tale relazione è presente anche da una delle poche classificazioni sistematiche 
degli errori di memoria, quella fatta da Schacter (1999). Egli fa una rassegna 
sull’argomento, raggruppando gli errori di memoria in sette categorie, che chiama 
“i sette peccati della memoria”(ibid.): 
 Labilità, cioè l’insieme di quei processi che portano all’oblio e al decadimento 
della traccia mnestica nel tempo;  
 Distrazione, che ha a che fare con un basso livello di attenzione in fase di 
codifica o di recupero e che determina una mancanza o una povertà di 
informazione in uno specifico ricordo; 
 Blocco, che sta a indicare una totale ma temporanea inaccessibilità di 
un’informazione immagazzinata in memoria di cui la persona è consapevole.
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Un esempio classico è il diffuso fenomeno dell’avere una parola “sulla punta 
della lingua” (Brown, 1991); 
 Errata attribuzione, estesa categoria di errori consistenti nello scambio della 
fonte da cui si è appresa un’informazione e/o del contesto spazio-temporale di 
un evento esperito, con un’altra fonte o un altro contesto; 
 Suggestione, in cui singoli dettagli o interi ricordi sono “impiantati” (Loftus, 
2005) nella memoria tramite tecniche suggestive; 
 Bias, errori dovuti a una modifica retrospettiva dei ricordi che ha come 
risultato un’assimilazione di questi a conoscenze precedenti, schemi e 
credenze della persona; 
 Persistenza, cioè insistenza e intrusività di determinati ricordi nell’attività 
cosciente dell’individuo. É spesso una manifestazione patologica evidente 
come sintomo nel disturbo post-traumatico da stress. 
A parte che per la persistenza, che da sola rappresenta una categoria a sé, gli 
altri errori sono classificabili in due gruppi: errori di omissione ed errori di 
commissione. I primi (labilità, distrazione e blocco) sono forme di dimenticanza, 
inaccessibilità o mancata codifica di informazioni. I secondi (errata attribuzione, 
suggestione e bias) invece “implicano distorsione e imprecisione” (Schacter, 
1999, p. 138 dell’edizione italiana), in altre parole consistono in una 
modificazione degli elementi dal contenuto originale di un evento. 
In precedenza, altri psicologi avevano usato il termine “distorsione” nel campo 
di studio della memoria, tra cui Reber che nel suo Dizionario di psicologia (1985) 
pone l’accento sulle modificazioni degli elementi dei ricordi dovuti a errori 
sistematici. Questa definizione descrive la categoria dei bias nella classificazione 
di Schacter e, benché si limiti a ciò, rappresenta anch’essa una distinzione tra gli 
errori per difetto ed errori per eccesso. 
Altri autori hanno invece preferito l’espressione “illusioni di memoria”. 
Roediger (1996) fa notare come il termine “illusione” è storicamente accostato 
alle illusioni percettive e propone di utilizzarlo anche per quelle mnestiche, in 
quanto le distorsioni di memoria, proprio come le illusioni percettive, sono 
fenomeni di alterazione del contenuto originario che però restano inconsapevoli al 
soggetto. Decenni prima, anche Drever si è accorto di quest’analogia e nel suo
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Dizionario di psicologia, alla voce “illusioni” descrive quelle percettive come 
deviazioni soggettivamente esperite dello stimolo mentre “nel caso della memoria 
[per ‘illusione’ s’intende] una falsificazione soggettiva, per mezzo di aggiunte, 
omissioni o sostituzioni, nel richiamo dell’esperienza passata” (Drever, 1952). 
Nonostante quest’ultima definizione abbracci in realtà sia gli errori di omissione 
che quelli di commissione, l’espressione “illusione di memoria” sarà utilizzata di 
seguito per il pregio di porre l’attenzione sulla capacità di queste alterazioni nel 
determinare una falsa credenza riguardo alla realtà soggettiva passata (Heaps, 
Nash, 2001; Johnson, Raye, 2000). 
In questa sede, si deciderà di usare i termini di “illusione” e “distorsione” come 
sinonimi, facendoli coincidere con l’insieme degli errori di commissione descritti 
da Schacter (1999). Si preferirà, comunque, l’uso del termine “distorsione” non 
solo perché meno ambiguo ma anche poiché più vicino al linguaggio comune e 
contemporaneamente più utilizzato nella letteratura specialistica. Inoltre, 
l’espressione “falso ricordo”, essenzialmente un sinonimo di “distorsione” e 
“errore di commissione” (Johnson, Raye, Mitchell, Ankudowich, 2011) sarà 
utilizzato soprattutto a proposito della memoria autobiografica, e quello di “falso 
riconoscimento” in merito agli studi in cui item non presentati in fase di studio 
vengono erroneamente riconosciuti. Il termine “errore” invece sarà utilizzato in 
modo più generico. 
 
1.2 - Cenni storici sullo studio delle distorsioni di memoria 
 
1.2.1 - Due approcci a confronto 
 
Lo studio sistematico degli errori di memoria risale alla seconda metà del XIX 
secolo. Fu, Hermann Ebbinghaus a dare il via ai primi studi sperimentali sulle 
capacità di ritenzione. Egli usava se stesso come soggetto imparando liste di 
sillabe senza senso e verificandone la quantità ricordata a distanza di diversi 
intervalli di tempo. Uno dei motivi dell’importanza del lavoro di Ebbinghaus è 
che diede un fortissimo contributo metodologico alla ricerca empirica sulla
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memoria tanto da influenzare pesantemente l’indagine successiva per circa 
settant’anni. Il suo paradigma sperimentale serviva all’allora fondamentale scopo 
di mantenere la psicologia all’interno delle discipline considerate scientifiche e 
questo si ebbe grazie alla precisione delle misurazioni e al controllo dell’input 
mnestico che era così confrontabile con l’output.  
Ogni metolodogia empirica è espressione di e nello stesso tempo determina ciò 
che viene indagato, le conclusioni cui è possibile arrivare, gli aspetti teorici che 
devono essere tralasciati, le teorie prodotte e, più alla base, la concezione sulla 
natura dell’oggetto d’interesse. Ciò avviene in un’interazione complessa di fattori 
che va a costituire un paradigma scientifico. In breve, e generalizzando, il 
paradigma preminente fino agli anni ’60 comprendeva le seguenti peculiarità: il 
materiale utilizzato consisteva di liste di item da apprendere; la memoria era vista 
essenzialmente come un magazzino di informazioni discrete ed equivalenti tra 
loro; l’interesse era concentrato sui processi di codifica e di ritenzione mentre i 
processi di richiamo erano per lo più visti come un meccanismo automatico che 
rifletteva semplicemente ciò che era stato mantenuto o perso all’interno del 
magazzino mnestico; l’approccio è essenzialmente quantitativo e nessun interesse 
è posto sul significato delle informazioni ricordate o dimenticate; le distorsioni di 
memoria, cioè le aggiunte e le alterazioni al contenuto originale, sono trattate 
come errori statistici e metodologici e quindi sostanzialmente ignorate e non 
contemplate nelle teorie; molta attenzione è data alla validità esterna dei risultati 
ma poca alla loro validità ecologica. 
Koriat, Goldsmith e Pansky (2000) hanno descritto questo paradigma come 
concezione “del magazzino” e “orientata alla quantità”, per via della metafora 
utilizzata e per l’interesse puramente quantitativo per i risultati. Essi hanno 
contrapposto tale punto di vista con quello oggi dominante, una concezione “della 
corrispondenza” e “orientata all’accuratezza”. Quest’ultimo paradigma è, in certi 
aspetti, diametralmente opposto al precedente. La differenza più importante è lo 
spostamento d’interesse dal quanto viene dimenticato al cosa viene dimenticato e 
ricordato, da un approccio essenzialmente quantitativo a uno qualitativo alla 
valutazione della correttezza dei ricordi. Per “qualitativo” deve intendersi il
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riferimento alla natura dell’informazione e non alla modalità di misurazione, la 
quale in realtà è restata principalmente quantitativa. 
L’esigenza di spiegare gli errori mnestici in particolari contesti di vita ha 
comportato una presa di coscienza della limitatezza esplicativa del precedente 
paradigma e della necessità di spostare lo sguardo verso le distorsioni di memoria 
evitando di focalizzarsi solamente sull’oblio e la dimenticanza. Di conseguenza, 
l’accento non è più posto sui processi di immagazzinamento e ritenzione bensì su 
quelli (ri)costruttivi del richiamo. Inoltre, le caratteristiche proprie 
dell’informazione appresa diventa centrale e i fattori motivazionali diventano 
imprescindibili. Si è assistito a un ampliamento dell’orizzonte d’indagine e di 
quello applicativo: ci si è interessati agli effetti della suggestione nella creazione 
di falsi ricordi in vari contesti, soprattutto in quello della testimonianza oculare e 
della psicoterapia (Loftus, Pickrell, 1995; Loftus, 1975a); si è indagato il ruolo 
che gli schemi mentali, la conoscenza pregressa e gli stereotipi hanno nel creare 
rappresentazioni distorte della realtà (Alba, Hasher, 1983); ci si è chiesti come e 
quando i ricordi autobiografici sono soggetti a distorsione (ad es., Barclay, 1996; 
Conway, Pleydell-Pearce, 2000; Ross, 1989). D’altra parte, la varietà e 
complessità degli oggetti d’indagine ha prodotto anche un frastagliamento teorico 
e metodologico che solo da poco sembra possibile ricomporre (Conway, Pleydell-
Pearce, 2000; Johnson et al., 1993; Schacter, Addis, 2007). 
Il cambiamento paradigmatico non è certamente avvenuto in modo netto e ha 
avuto come base alcuni lavori pionieristici il cui valore è stato compreso 
solamente decenni dopo (Roediger, 1996; Schacter, 1995). 
 
1.2.2 - I precursori dell’approccio orientato all’accuratezza, nella 
prima metà del ‘900 
 
É stato accennato al grande influsso della metodologia ideata da Ebbinghaus e 
a quanto fosse funzionale in quel preciso periodo storico. La ricerca sulla 
memoria fino alla prima metà del ‘900 si basò così maggiormente sui fenomeni di 
decadimento della traccia lungo il trascorrere del tempo, sui fenomeni di