2
dagli anni settanta e diffusisi un po’ alla volta in diversi paesi di
common law.
Le riflessioni prodotte dalle sentenze delle Corti Supreme
degli Stati Uniti a partire dal caso Quinlan e dalla stessa Corte
Federale con il caso Cruzan evidenziano un lungo processo di
individuazione dei diritti costituzionali a cui fare riferimento
nella fase terminale di vita del paziente (non più cosciente) e
quello che più ci interessa delineano le tre situazioni in cui può
trovarsi il soggetto: persona che è in grado di prendere le
decisioni relative alla propria salute (competent cioè capace di
intendere), persona che ha lasciato un “living will” o, più in
generale, testimonianze scritte precedentemente alla perdita della
suddetta capacità (paziente no competent ), persona in cui manchi
sia la capacità di decidere che una sua precedente indicazione .
Quindi, così come saranno esaminati i leading case cioè i casi
fondamentali della giurisprudenza americana, si proporrà il testo
base della legislazione statunitense, quello della California, che
ci mostrerà come sono stati affrontati nelle norme i problemi
aperti dalla introduzione dei living will, seguita alla valutazione
favorevole del loro uso fatta nelle sentenze.
Nell’analisi delle singole proposte di direttive anticipate del
Canada, invece, riscontreremo come qui, a differenza degli Stati
Uniti, manchi, per ora, una politica uniformatrice e ogni
provincia decida in modo autonomo e diverso in ordine alle
molte questioni concrete: requisiti del titolare del living will (età,
3
capacità…), numero e ruolo dei testimoni, del tutore, tipo di
decisioni da prendere per il morente et..
La scelta dell’Australia con il Rights of the Terminally Ill Act
non contempla propriamente una formula di “living will” nel
significato che abbiamo precisato ma regolamenta il documento
scritto relativo all’assistenza del malato in fase terminale, con
evidenti esiti proeutanasistici.
I vari modelli e le loro differenti impostazioni qui presentati
servono a comprendere le formulazioni delle varie proposte di
legge che associazioni private come la Consulta di Bioetica e
singoli parlamentari in Italia hanno seguito; anch’essi hanno
proposto la regolamentazione dell’esercizio di presunti
corrispondenti diritti del cittadino italiano. Ma proprio la
constatazione che la nascita e l’evoluzione di queste norme si
sono avute in paesi prevalentemente di common law, molto
lontani quindi giuridicamente e anche culturalmente da noi, ci
porta alla necessità di approfondire alla luce della Costituzione
Italiana e del nostro ordinamento giuridico le principali questioni
relative ai diritti dei malati, come quello all’informazione, e al
ruolo dei medici prima di affrontare l’analisi delle proposte
italiane e dei problemi soprattutto giuridici che pongono.
4
PARAGRAFO I
I principali casi giurisprudenziali trattati dalle Corti
Supreme degli Stati Uniti.
Par. I.1 Il caso Quinlan.
Il dibattito giurisprudenziale che porterà le diverse Corti degli
Stati Uniti ad affermare l’utilità e il valore dei living will e che
precede di pochi mesi la prima legislazione in materia
2
, nasce
con la sentenza che stabilisce in modo esplicito chi e sulla base di
quali criteri possa prendere le decisioni terapeutiche relative alla
propria salute o a quella di un paziente incapace (no competent):
è il caso Quinlan.
Nel 1976 il padre di una ragazza di 22 anni, Ann Karen
Quinlan, ricoverata in stato vegetativo persistente, chiese al
tribunale l’autorizzazione a staccare il respiratore artificiale che
si pensava la mantenesse in vita. La Corte di primo grado (Trial
Court) dello Stato del New Jersey respinse la richiesta
ritenendola contraria al dovere medico “di fare ogni cosa in suo
potere per proteggere la vita del paziente”.
2
Pochi mesi dopo questa sentenza venne approvato dal Parlamento della
California un nuovo capitolo del Codice della salute e della sicurezza
sociale: il Natural Death Act (vedi il par.2.1).
5
I coniugi Quinlan si rivolsero allora alla Corte Suprema del
New Jersey che, con una sentenza a dir poco innovativa,
autorizzò i medici ad interrompere le terapie di sostentamento
vitale.
Il caso fece scalpore e riaprì il dibattito intorno alla morte
naturale anche perché, sorprendentemente, cessata la respirazione
artificiale subentrò quella naturale e Ann Quinlan si spense solo
cinque anni più tardi.
In questa pronuncia del 1976 la Corte Suprema affermò che il
diritto alla privacy, cioè il diritto del singolo di essere libero da
ingiustificate intrusioni statali in materia riguardante la persona
3
,
diritto costituzionalmente garantito dal V emendamento della
Costituzione Americana, era prevalente rispetto ai potenziali
interessi dello Stato al prolungamento della vita “nel momento in
cui il livello di degrado fisico combattuto dal trattamento medico
in discussione aumenta e svanisce la prospettiva di un ritorno ad
uno stato di coscienza”
4
.
Poiché Ann Karen era incapace di esercitare il suo diritto, la
Corte fece ricorso al concetto di substituted judgement (giudizio
sostitutivo) in base al quale il sostituto, qualora i desideri
3
La definizione è tratta da: BUSNELLI, Il diritto e le nuove frontiere
della vita umana, in Iustitia, 1987, pag. 270.
4
Questa sentenza si trova tradotta e commentata in PONZANELLI, Il
diritto a morire: l’ultima giurisprudenza della Corte del New Jersey, nota
alla sentenza 24 giugno 1987 in re N. Jobes, in Foro It., 1988, IV, col. 291-
308.
6
dell’incapace non fossero stati chiaramente espressi, adotta come
linea di orientamento il sistema di valori del paziente.
Considerato che generalmente sono i famigliari a conoscere
meglio il paziente, fu stabilito che il sostituto dovesse essere un
membro della famiglia. La Corte, in assenza di legislazione in
materia, si assunse la responsabilità di determinare la procedura.
Fu deciso che quando la famiglia e il sanitario addetto fossero
concordi, ottenuta l’attestazione di una commissione ospedaliera,
composta da almeno due medici scelti tra quelli che normalmente
non assistono il paziente, circa la mancanza di alcuna
ragionevole possibilità che il paziente possa tornare in stato di
coscienza, il trattamento di mantenimento poteva essere sospeso.
La Corte Suprema del New Jersey decise che non era
necessario un provvedimento giudiziale e che anzi questo per la
sua complessità e delicatezza avrebbe dissuaso altri in situazioni
analoghe dal decidere di sospendere il trattamento. Al contrario,
la Corte Suprema del Massachusetts, in quegli stessi anni, nella
vicenda Superintendent of Belchertown State School vs.
Saikewicz, proprio per le particolarità degli interessi coinvolti
rendeva necessario un intervento giurisdizionale di
autorizzazione; ciò fece si che ora la giurisprudenza della prima
corte venga criticata per la sua propensione a favore di un certo
“paternalismo medico” e quella della seconda venga tacciata di
introdurre una sorta di “imperialismo giudiziario”
5
.
5
BUSNELLI, op. cit., pag. 272.
7
Il fondamento della tutela accordata a tale diritto venne trovato
nel concetto di diritto dell’individuo all’autodeterminazione.
Par. I.2 Il diritto alla “privacy” e il diritto all’“informed
consent”.
Per quanto riguarda le decisioni successive a in re Quinlan
sono state in parte fondate sul diritto di common law all’
“informed consent” (per il quale, in questo contesto, il paziente
ha generalmente il diritto di non consentire ovvero di rifiutare i
trattamenti sanitari) e in parte sul diritto costituzionale di
“privacy”
6
.
La stessa Corte Suprema del New Jersey stabilì nella sentenza
in re Conroy del 1985, alcuni criteri da seguire in caso di pazienti
che non abbiano lasciato alcuna indicazione scritta, quando erano
coscienti, sul rifiuto di prolungare lo stato di vita artificiale.
In base ad essi è legittima la sospensione dei trattamenti se:
a) Può essere rigorosamente provato (tramite un atto scritto) che
il paziente capace avrebbe rifiutato di essere mantenuto in vita
artificialmente (criterio soggettivo).
6
SANTOSUOSSO, Il paziente non cosciente e le decisioni sulle cure: il
criterio della volontà dopo il caso Cruzan nota alla sentenza della Corte
Suprema degli Stati Uniti 25 giugno 1990 Cruzan v. Director Missouri
Department of health, in Foro It.,1991, IV, col. 66-72.
8
b) Esiste, da una parte un principio di prova (in genere
deposizioni testimoniali) in base al quale il paziente avrebbe
esplicitamente rifiutato tale trattamento sanitario e, dall’altra, il
dolore e la sofferenza subiti dal paziente stesso superano i
benefici che gli potrebbero derivare per la parte residua della
vita. (criterio parzialmente oggettivo).
c) I dolori che al paziente sono dati dall’applicazione del
trattamento artificiale non solo superano i benefici possibili a
lui derivanti dalla prosecuzione della vita, ma rendono la
stessa sostanzialmente disumana. (criterio puramente
oggettivo, che si basa sul best interest of the patient) .
I due criteri di tipo oggettivo non possono essere applicati a
persone in stato vegetativo persistente, dato che non possono
provare alcun tipo di emozioni, e riguardano ipotesi in cui
rimanga qualche capacità cognitiva. Nel caso in re Conroy si
verificò appunto questa situazione.
Nella successiva sentenza in re Jobes, del 1987, relativa ad
una paziente in stato vegetativo persistente, la Corte Suprema del
New Jersey riafferma la dottrina del “substituted judgement”
espressa in re Quinlan: nel caso in cui i desideri dell’incapace
non siano chiaramente espressi, colui che prende decisioni in sua
vece adotta come linea di orientamento il personale sistema di
valori del paziente sempre nel rispetto delle procedure di
accertamento medico. La sentenza conclude esprimendo ancora
9
lo sfavore della Corte verso l’intervento giudiziale in questo tipo
si situazioni.
Par. I.3 Il caso Cruzan.
Nel 1990 per la prima volta ritenne di intervenire la Corte
Suprema degli Stati Uniti, nella sentenza Cruzan v. Director
Missouri Department of Health e altri
7
. La questione, ancora una
volta, verteva su chi e sulla base di quali criteri debba prendere le
decisioni terapeutiche quando un paziente non è cosciente e non
vi sono possibilità di recupero delle sue facoltà cognitive.
Una giovane donna, Nancy Cruzan, dal 1983 si trovava in
stato vegetativo persistente, a seguito di un incidente d’auto,
respirava spontaneamente senza bisogno di respiratore e veniva
alimentata artificialmente, attraverso un “tube feeding” e le sue
capacità cognitive erano irrimediabilmente compromesse.
In questo stato l’individuo è secondo gli standard medici e le
definizioni legali, tuttora vivente: l’individuo non può dirsi difatti
prossimo al decesso o in condizione terminale. I genitori chiesero
alla struttura sanitaria dove Nancy era ricoverata (a spese dello
Stato del Missouri) di sospendere l’alimentazione artificiale,
7
La sentenza tradotta e commentata si trova in A. SANTOSUOSSO, op.
cit. e in PONZANELLI, Nancy Cruzan, la Corte Suprema degli Stati Uniti e
il “right to die”, in Foro It., col. 72-75.
10
sulla base delle presunte volontà della paziente, la quale in “una
conversazione piuttosto seria” avrebbe espresso la scelta di non
continuare a vivere se si fosse trovata in condizioni come quelle.
A seguito del diniego dell’ospedale, una prima sentenza del
tribunale (Trial Court) del Missouri, nel 1988, considerò la
testimonianza dei genitori sufficiente, e ordinò la sospensione
delle terapie, richiamandosi al rispetto del diritto di privacy.
La Corte Suprema del Missouri, in data 16 novembre 1988,
ribaltò la decisione, con una sentenza votata a maggioranza.
Secondo quella Corte la corretta soluzione del caso andava
inquadrata nella dottrina dell’informed consent che esige prove
consistenti che un soggetto non avrebbe voluto essere curato in
certe condizioni, e non del diritto di privacy; la semplice
dichiarazione fatta ad un familiare “di non voler sopravvivere
come un vegetale” non bastava a determinare la reale intenzione
del paziente.
La Corte Federale doveva al termine dell’esame del caso
decidere se emettere un ordine rivolto alla Corte Suprema del
Missouri. Perché l’ordine sia concesso è necessario che sia fatto
valere un diritto in nome della Costituzione e che vi siano
“ragioni speciali ed importanti” sulla cui esistenza la Corte valuta
caso per caso; infatti, il sistema dei rapporti tra Corti rientra nel
sistema dei rapporti tra Stati e Governo federale: il Governo
Federale ha solo quei poteri che gli sono stati concessi, mentre
tutti gli altri appartengono agli Stati e al popolo. Coerentemente
11
quella parte di giurisdizione che non è conferita direttamente alle
Corti federali e quindi alla Corte Suprema degli U.S.A. rimane
alle Corti Statali soltanto. Ciò significa relativamente al caso
Cruzan che non l’intera questione venne esaminata ma solo
quella sua particolare prospettazione che la rese suscettibile di
valutazione alla luce della Costituzione degli U.S.A.
Il diritto costituzionale richiamato dai ricorrenti, i coniugi
Cruzan, sarebbe quello di decidere in ordine ai trattamenti
sanitari sul proprio corpo; è evidente, però, che la questione muta
se si parte dal dato che N. Cruzan non era più in grado di
esprimere la sua volontà e non aveva lasciato disposizioni precise
in merito, qui la decisione dovrebbe rimanere di competenza
medica non essendoci un criterio soggettivo utilizzabile.
A questo proposito i Cruzan avanzarono la tesi della necessità
o di far riferimento a desideri manifestati in precedenza anche in
modo indiretto o in mancanza anche di questi di riconoscere a
qualcun altro, come i famigliari stessi, il potere di far valere il
diritto a non subire trattamenti sanitari indesiderati.
La sentenza conclusiva fu di tipo strettamente tecnico-
procedurale: la Costituzione degli U.S.A. nell’interpretazione
della Corte non poteva vietare allo Stato del Missouri di
richiedere che siano provati in modo chiaro e convincente i
desideri di un paziente ormai incapace, in ordine all’interruzione
di trattamenti di sostegno vitale; questa fu la questione loro
12
sottoposta e solo su questa poterono pronunciarsi. Le tesi dei
genitori di Nancy C. non vennero prese in considerazione.
In particolare, la Corte si mantiene ferma sul concetto di
integrità fisica (bodily integrity) conosciuto nella common law e
ribadito dalla stessa, in materia di trattamenti sanitari, con
l’affermazione dell’informed consent, di conseguenza il paziente
ha diritto di non consentire e rifiutare i trattamenti medici; inoltre
rifiuta che si tratti di una questione relativa alla privacy e infine
ritiene che uno Stato possa salvaguardare il carattere strettamente
personale della scelta richiedendo un elevato standard di prova,
trovando quindi congruo quello chiesto dalla Corte del Missouri.
I tentativi di rappresentare l’autentica volontà del malato
attraverso deposizioni testimoniali non possono essere legittimati
in misura tale da far venire meno il confronto pubblico.
La sentenza fa delle affermazioni importanti per il futuro
dibattito dottrinale e la futura giurisprudenza :
a) considera la nutrizione e l’idratazione come trattamenti
sanitari, e non come mezzi per il mantenimento della vita.
b) afferma il diritto di un paziente capace (competent) di
rifiutare i trattamenti anche se di sostegno vitale.
c) a proposito dei living will e delle advance directives parte
dall’importante presupposto della piena legittimità delle leggi che
ne riconoscono l’utilizzo e la validità, lamentando, in un certo
senso, il mancato utilizzo di tali documenti nella vicenda in
questione.
13
In tal modo, sia pure avallando una tendenza più restrittiva e
una visione meno marcatamente privatistica di quelle sostenute
dalle Corti supreme del New Jersey e di altri Stati, la Suprema
Corte Federale ha dato impulso ad esercitare il diritto ad una
dolce morte con predisposizione di univoche prove scritte
esprimenti la volontà contraria a prolungare una vita in
condizioni vegetative, riconoscendo ai living will e alle altre
direttive un indiscusso valore
8
.
Par. I.4 Le tre situazioni attualmente delineabili.
Attualmente le situazioni delineabili a seguito della suddetta
giurisprudenza statale e federale sono:
a) Paziente cosciente e capace (competent). Può rifiutare i
trattamenti anche se portano a morte.
b) Paziente non più cosciente, ma che ha espresso in
condizioni di capacità una volontà sulle cure in previsione di
quelle condizioni. La volontà può essere documentata in una
indicazione scritta (living will o advance directives) oppure può
essere riconosciuta a mezzo di testimonianze di amici o parenti.
Il rifiuto di terapie se espresso e documentato va rispettato.
8
La Corte del Missouri ha dovuto poi risolvere definitivamente il caso
Cruzan accogliendo la testimonianza di tre nuove persone sulla volontà
espressa da Nancy di non essere tenuta in vita .
14
c) Paziente non più cosciente che non ha espresso, in
condizioni di capacità, una volontà sulle cure. In questo caso i
criteri adottati per le scelte terapeutiche sono i seguenti:
1. Distinzione tra mezzi ordinari e straordinari (criterio
oggettivo)
9
.
2. Ricorso ad un substituted judgement, di solito un familiare
che si mette nei panni del paziente incapace.
3. Perseguimento del best interest del paziente, che si ha
quando i benefici per il paziente superano i costi e gli oneri per lo
stesso (criteri oggettivo).
Bisogna far presente che il criterio n° 2 pretende di essere
soggettivo ma di una persona diversa di quella su cui vanno
attuati i trattamenti sanitari. Il ricorso a questo criterio è molto
problematico e tra giuristi e studiosi c’è la consapevolezza di
trovarsi di fronte ad una vera e propria finzione giuridica
10
.
9
La distinzione era presente in alcuni documenti cattolici ed ancora usata
da SANTOSUOSSO in Il paziente non cosciente cit. col. 70; egli stesso
nelle note ci informa che la distinzione è oggi superata anche dalla Chiesa
con la Dichiarazione sull’eutanasia della Sacra Congregazione per la
dottrina della fede (1980) perché poco chiara e sostituita con quella tra
mezzi proporzionati e sproporzionati. “In ogni caso, si potranno valutare
bene i mezzi mettendo a confronto il tipo di terapia, il grado di difficoltà e il
rischio che comporta, le spese necessarie e le possibilità di applicazione, con
il risultato che ci si può aspettare, tenuto conto delle condizioni
dell’ammalato e delle sue forze fisiche e morali”. La Dichiarazione si può
trovare in IADECOLA, Eutanasia: problematiche giuridiche e medico-
legali, Liviana, 1991, pag. 135 e ss.
10
In questo senso SANTOSUOSSO, op. cit., col. 72.
15
Su questi problemi oggi esistono negli Stati Uniti e non solo,
due orientamenti tra loro incompatibili :
a) valorizza la relazione medico-paziente nel suo sviluppo
fino alle fasi finali della vita. In questo senso viene prestata
particolare attenzione al processo decisionale medico, alla sua
correttezza scientifica e relazionale, alla sua relativa autonomia
nel caso in cui il paziente non sia competent e non abbia espresso
volontà.
b) propone una nuova definizione di morte
11
in cui il
paziente in stato vegetativo persistente sarebbe già morto. Una
nuova definizione di questo genere darebbe vita però a numerose
difficoltà legate alle attuali incertezze della diagnostica e avrebbe
troppe implicazioni sociali, culturali, etiche.
La soluzione preferibile è la prima anche se questa necessita
l’approfondimento delle riflessioni sul rapporto medico-paziente
11
La definizione di morte attualmente fatta propria dalle legislazioni dei
paesi occidentali è quella che identifica la morte come la cessazione
irreversibile delle funzioni dell’encefalo. Questa definizione pone delle
difficoltà tra le quali il fatto che considera i soggetti in stato vegetativo
persistente come ancora vivi. Nel dibattito scientifico esistono anche altre
definizioni di morte come per esempio quella che identifica la morte come
morte del “cervello superiore”. Gli studiosi concordano però che allo stato
delle conoscenze non è opportuno abbandonare il criterio della morte
cerebrale. Sull’argomento vedi P. SINGER, Morte cerebrale ed etica della
sacralità della vita, in Bioetica, 1/2000, pag. 31 e ss..