dato che il suo elevato grado di redditività non contrasta con il notevole impiego 
di risorse e di manodopera. 
Da notare che si è  parlato di agricoltura perché, pur presentando molti aspetti 
industriali, il florovivaismo è classificato giuridicamente come attività agricola: 
ciò gli consente di poter partecipare ai provvedimenti dello Stato, delle Regioni e 
dell’Unione Europea in favore dell’agricoltura. 
Inoltre, il comparto del florovivaismo, non solo trova nella globalizzazione la 
sua forza trainante, ma è certamente il settore che dalla internazionalizzazione dei 
mercati e delle produzioni ha tratto grande opportunità, ma dalla quale ha anche 
subito pressioni competitive molto intense. In questo contesto estremamente 
aggressivo si è sviluppata una capacità imprenditoriale, in cui altre funzioni 
aziendali – amministrative, finanziarie, commerciali, logistiche, di personale, di 
ricerca e sviluppo, di controllo qualità – hanno assunto un rilievo che non trova 
riscontro in nessun altro comparto dell’agricoltura. 
Le possibilità di crescita di segmenti affini collegati all’espansione del 
giardinaggio e dell’ hobbistica, così come la rivalutazione delle politiche 
ambientaliste finalizzate alla valorizzazione di ville antiche, parchi o periferie di 
grandi città, dovrebbe favorire ulteriormente lo sviluppo di questo comparto.  
Anche se difficilmente quantificabile, infatti, è rilevante il valore generato 
dall’indotto che afferisce al segmento del giardinaggio per l’ hobbistica, alla 
produzione di tecnologie e macchine per le aziende, all’oggettistica e arredamento 
di giardini, al vasellame per interni, ma anche alle attività commerciali per la 
 decorazione temporanea di ambienti. Soprattutto all’estero, si registra 
un’importante crescita di forme moderne di vendita al pubblico, quali i brico 
center e garden center, che rispondono ad una maggiore attitudine del 
consumatore a dedicare il tempo libero alla cura del verde o alla creazione di 
architetture esterne per balconi e terrazzi da valorizzare, come fossero 
un’appendice della casa che sostituisce il giardino. 
Come si vede, il florovivaismo, con il suo patrimonio di piante, fiori e 
cespugli, riveste un ruolo importante anche nella società moderna, in quanto i suoi 
prodotti sono in grado di soddisfare l’interesse e l’attenzione della collettività e di 
singoli consumatori: 
• per la riorganizzazione del territorio; 
• per il recupero e la riqualificazione in senso naturalistico del 
paesaggio urbano ed extraurbano, con riferimento sia a spazi pubblici 
che privati; 
• per la riduzione dell’inquinamento. 
 1.2. Nascita e crescita del florovivaismo professionale  
Il florovivaismo professionale italiano nasce a metà dell’Ottocento in due 
aree che ancora oggi conservano una posizione di assoluto rilievo: la floricoltura 
in Liguria ed in particolare nel Ponente; il vivaismo ornamentale in Toscana, più 
precisamente nel pistoiese, che ancora oggi rappresenta la più significativa 
concentrazione vivaistica, non solo italiana, ma anche europea. 
Cresce e comincia a diffondersi gradualmente in altre aree per circa un 
secolo, fino a 40-50 anni or sono, in cui la crescita diventa invece esponenziale e 
si espande, seppure in misura diversa e in maniera diversificata, pressoché a tutte 
le regioni italiane, anche se una volta era solo la Liguria a indicare la terra dei 
fiori.  Per comprendere appieno l’entità di questa espansione basta osservare la 
tabella n.1 sulla produzione lorda vendibile delle colture florovivaistiche. Da essa 
si nota che dal 1980 fino al 1997 la P. L. V. ha conosciuto una tendenza 
ascendente, costante e progressiva, anche grazie ai continui miglioramenti 
tecnologico-produttivi di cui il comparto si avvale, mentre nell’ultimo lustro ha 
questa sua crescita ha subito un sensibile rallentamento, che comunque non ha 
impedito alla produzione lorda vendibile del settore florovivaistico italiano di 
raggiungere il suo  valore massimo nell’ultimo anno, stimato intorno ai 2,5 
miliardi di euro. L’attenuazione della crescita è stata determinata da tre fattori: 
l’andamento negativo dei prezzi, che risentono di un forte aumento della 
competitività; la staticità dei consumi interni, che oggi appaiono addirittura in 
contrazione; un forte aumento di alcuni costi, in particolare quello petrolifero e 
 quindi del gasolio, che ha influito sia sulle produzioni che sul trasporto della 
merce ed è stato un deterrente allo sfruttamento delle serre. 
ANNO P. L .V. 
1980    420 
1986    910 
1987 1.100 
1988 1.200 
1989 1.230 
1990 1.320 
1991 1.330 
1992 1.570 
1993 1.890 
1995 1.950 
1997 2.420 
1998 2.440 
1999 2.290 
2000 2.430 
2001 2.500 
 
Tabella n.1 – Valori della produzione lorda vendibile nazionale del settore 
florovivaistico espressi in milioni di euro dal 1980 ad oggi (Fonte: elaborazioni 
Ismea su dati ISTAT) 
 Il 2001 è stato un anno più che positivo per il florovivaismo italiano; lo 
possono dimostrare i seguenti indici: 
1) il giro d’affari complessivo si stima che si sia aggirato intorno ai 
3 miliardi di euro ed  abbia superato quota 5 se si includono gli 
accessori;  
2) l’export, favorito anche dalla debolezza dell’euro contro il 
dollaro, ha messo a segno ottimi risultati, comunque superiori al 
trend delle importazioni, ed ha quindi determinato un saldo 
commerciale più che  positivo, intorno agli 86 milioni di euro;  
3) si è avuto un rilancio dei prezzi, sostenuto però da un calo della 
produzione affluita ai mercati, specie per il maltempo invernale 
che ha colpito la penisola; 
4) il valore annuo della produzione si può stimare intorno ai 2,5 
miliardi di euro e costituisce circa il 10% del valore di tutte le 
coltivazioni ed oltre il 6% del valore dell’intera produzione 
agricola nazionale. 
Questa produzione è il frutto di oltre 31.000 aziende florovivaistiche, 
produttrici di bulbi, fiori, piante in vaso, prodotti vivaistici, arborei ed erbacei. La 
cifra raggiunge le 50.000 unità se si considera l’indotto, delle quali il 10% 
operano nella sola Lombardia, ed impiegano circa 100.000 addetti con alto grado 
di specializzazione. La superficie investita è di 53.000 ettari (vivai inclusi) ed è 
destinata per il 48% a fiori e fronde recise e per il rimanente 52% a piante (da 
 fiore e da foglia, aromatiche e grasse, arbusti ornamentali, erbacee perenni), da 
interno e da esterno.  
L’entrata di nuove aziende in questo mercato è alquanto agevole, poiché esso 
è scarsamente strutturato e non presenta, quindi, stringenti barriere d’ingresso. 
L’entrata riguarda molto spesso gli agricoltori che abbandonano le colture ortive 
per intraprendere quelle florovivaistiche, di norma più intensive sia sul piano 
occupazionale che su quello dei capitali investiti. In buona sostanza, come tutti i 
mercati non troppo sviluppati, anche quello florovivaistico italiano presenta 
situazioni di libero accesso, data l’assenza di un cartello di aziende leader che 
detenga quote rilevanti, tali da consentirgli una forma di controllo. 
Tuttavia, le aziende florovivaistiche italiane hanno da sempre il loro maggiore 
punto debole nella scarsa predisposizione ad investire in sperimentazione (ricerca 
e sviluppo imprenditoriale), formazione, aggiornamento, con conseguenti elevati 
costi di produzione, cui non corrispondono adeguati incrementi dei prezzi al 
consumo. 
La ricerca di un equilibrio fra il massimo rendimento e minimo rischio, così 
come la necessaria prudenza e gradualità nel modificare gli impianti ed affrontare 
investimenti talvolta molto elevati, oltre a non incentivare le ricerche, hanno 
comportato una notevole difformità delle soluzioni impiantistiche adottate nel 
florovivaismo, con una prevalente tendenza alla conservazione dello “status quo” 
per non affrontare situazioni nuove che richiedevano un aggiornamento di 
competenze assai faticoso da attuare.  
 A ciò si aggiunga la scarsa informazione che hanno avuto  le aziende sulla 
possibilità di accedere ai contributi erogati dalle Istituzioni, con il fine di 
migliorarle o di  farne nascere delle nuove. 
Tutto questo ha causato il mantenimento di una struttura aziendale molto 
semplice, elementare, per lo più a gestione familiare, in quanto le aziende, non 
avendo la necessità di rientrare nei pochissimi investimenti compiuti a livello di 
strumenti, non sono stimolate al raggiungimento di una produttività competitiva. 
 Non è un caso, quindi, che in oltre 31.000 aziende siano occupati poco più di 
100.000 lavoratori, con una media di 3,2 persone per azienda e che la loro forma 
giuridica è per la maggior parte di tipo individuale, mentre le forme societarie e 
cooperative sono scarsamente diffuse. 
Il settore è, dunque, particolarmente frammentato, essendo costituito da una 
moltitudine di piccole o piccolissime unità (circa l’85% di esse hanno 
un’estensione inferiore ai cinque ettari) gestite dai proprietari-coltivatori , come si 
può notare dalla tabella n.2, relativa alla partizione delle aziende florovivaistiche 
per classi ampiezza. 
La dimensione media aziendale permane molto bassa (0,7 ha), con valori 
nettamente superiori alla media nel Meridione (2,9 ha). Questo scostamento dai 
valori medi nazionali si è registrato a partire dal 1998, in seguito ad investimenti 
cospicui in regioni il cui contributo alla produzione nazionale è minore (Molise, 
Basilicata, Calabria, Sardegna), che hanno beneficiato di finanziamenti comunitari 
 (reg. 866/90 divenuto poi 951/97) e nazionali, quali ad esempio la legge 
sull’imprenditoria giovanile (L.95/95). 
CLASSI DI AMPIEZZA NUMERO % 
Sotto 1 ha 15.720                  49,4 
Da 1 a 5 ha 11.403 35,8 
Da 5 a 10 ha   2.493   7,8 
Da 10 a 20 ha   1.250   3,9 
Da 20 a 50 ha      658   2,1 
Da 50 a 100 ha      158   0,5 
Oltre 100 ha      161   0,5 
Totale 31.843                100,0 
 
Tabella n.2 – Partizione delle aziende florovivaistiche per classi di ampiezza 
(Fonte: ISTAT – Censimento Generale Agricoltura) 
 1.3. Evoluzione della domanda e dell’offerta di piante e 
fiori  
In questi ultimi dieci anni in Italia sono cambiate sia la domanda che l’offerta 
di fiori e piante, anche se il mercato florovivaistico resta comunque molto 
influenzato dalle condizioni meteorologiche e pesantemente condizionato dai 
“cicli occasionali”, non avendo una propria autonomia slegata dalle circostanze. 
Infatti, la vendita di fiori e piante si concentra soprattutto in determinate 
occasioni: nel 40% dei casi per funerali o matrimoni, per un altro 40% in 
occasione di ricorrenze tradizionali come la festa della Mamma, San Valentino, 
Natale e Pasqua, mentre il restante 20% di acquisti è dovuto a eventi sporadici e 
speciali quali, ad esempio, i compleanni.  
Per quanto riguarda una partizione dal punto di vista “stagionale”, è la 
primavera la stagione prescelta per acquistare fiori: in questo periodo dell’anno, si 
realizza, infatti, il 70% delle vendite al dettaglio, mentre in inverno i consumi 
oscillano tra il 5 ed il 10% (dati forniti dall’Organo Nazionale per il 
Florovivaismo di Imperia). 
Tuttavia, meno legato alle varie ricorrenze ed occasioni è oggi l’acquisto di 
piante ornamentali, che rispetto agli altri generi ornamentali rende più costante a 
livello temporale la domanda dei consumatori e quindi più uniforme il flusso degli 
acquisti. Ciò si è verificato grazie ad un cambiamento anche “culturale” relativo al 
suo utilizzo,  che ha fatto diventare la pianta, più che un prodotto occasionale, un 
 prodotto di consumo personale per l’arredamento della casa, dell’ufficio, dei 
terrazzi, ecc. 
Una fascia di consumatori, invece, tra cui l’omaggio floreale perde consensi è 
costituita dai giovani. Per di più, l’acquisto personale di fiori, per sé o per la 
propria abitazione, investe unicamente la sfera femminile ed assume un carattere 
di eccezionalità rispetto agli acquisti tradizionali. A fare da freno ai consumi, 
inoltre, è il prezzo – secondo il giudizio prevalente – considerato di frequente 
troppo elevato. Rispettosi della natura , e per questo restii ad acquistare i fiori, i 
giovani hanno attribuito ad essi una eccessiva deperibilità ed una scarsa 
propensione a trasmettere un senso di vitalità. 
Diversi, inoltre, gli orientamenti dei gusti in funzione del sesso. Per 
l’universo maschile la preferenza è andata alle rose, soprattutto rosse e a stelo 
lungo, mentre le donne, al contrario, prediligono le gialle raggruppate in bouquet. 
Tutti concordi, invece, nell’attribuire al colore, preferibilmente vivace, una 
funzione prioritaria, riservando inoltre alla freschezza e alla confezione un ruolo 
di primo piano tra i criteri distintivi e di scelta. 
Riguardo ai luoghi di acquisto, infine, è il negozio tradizionale il più 
gettonato, seguito dal chiosco, dal mercato rionale e dai venditori ambulanti. Nel 
supermercato, di contro, la frequenza d’acquisto è risultata bassissima a causa 
della scarsa attenzione alla confezione che fa invece la forza del fiorista 
convenzionale. 
  Legati a un’immagine contraddittoria, che, se da un lato richiama alla natura, 
dall’altro ne evoca un danno, i fiori, tra il pubblico dei più giovani, suscitano in 
sintesi un’idea di antico che porta di frequente ad associarli a una generazione 
passata. 
Comunque,  il debole successo dei fiori tra i giovani contrasta con la 
crescente importanza attribuita al possesso di un piccolo spazio verde che dà 
molta soddisfazione a chi ne sa apprezzare e capire il suo vero valore, oggi 
commisurato più alla bellezza che al numero delle piante presenti. Nonostante le 
superfici verdi tendono a diminuire – in quanto sono sempre meno le case singole 
– il giardino sta diventando un elemento integrante dell’abitazione,  e sta 
crescendo, di conseguenza, la necessità di valorizzarlo grazie alla presenza di 
esemplari di pregio. 
Per la maggior parte dei clienti le specie acquistate continuano a rimanere 
sempre le stesse; cambia tuttavia il tipo di ibridazione: cioè il colore, che si fa più 
strano e particolare, e la sfumatura, sempre più esclusiva. Alcuni esemplari 
vengono addirittura venduti con allegato il brevetto di ibridazione, che a sua volta 
viene girato al cliente. 
Le piante, data l’importanza del mercato primaverile, dovrebbero essere in 
grado di fiorire sempre più a ridosso dell’inverno, per esempio a marzo; ma, a 
volte, questa fretta potrebbe  mettere in crisi la pianta e  causarle un danno 
irreparabile. 
  Anche per evitare questi eventuali problemi, le innovazioni di processo e di 
prodotto, ottenute con un impiego di notevoli capitali per le strutture di 
coltivazione, oltre ad aumentare profondamente la produttività unitaria a metro 
quadro, hanno portato le aziende a produrre piante per tutto l’arco dell’anno, 
rendendo così quasi ininfluente il fattore climatico. Anche in questo caso lo sforzo 
è stato svolto nella direzione di slegare la produttività dai fattori temporali, per 
essere sempre pronti a soddisfare le richieste e le esigenze dei consumatori finali, 
affascinati sempre più dal giardino bello, colorato ed unico. Quindi, volendo 
sintetizzare la situazione, si può dire che le dimensioni dei giardini diminuiscono, 
ma non il livello dell’investimento. 
Ma  all’incremento degli investimenti per metro quadrato nel proprio giardino 
si affianca un andamento, piuttosto altalenante e discontinuo, del consumo pro 
capite, in termini di spesa, di piante e fiori sul mercato interno, come evidenziato 
dal grafico n.1, poiché esso  è commisurato alla ricchezza disponibile e fortemente 
influenzato dagli andamenti congiunturali, oltre ché dalla moda e dalla ricorrenza. 
  
CONSUMO DI GENERI ORNAMENTALI
58
62
70
65
62
55
52
57
49
44
0
10
20
30
40
50
60
70
80
1
9
8
5
1
9
8
7
1
9
8
9
1
9
9
1
1
9
9
3
1
9
9
5
1
9
9
7
1
9
9
9
2
0
0
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Figura n.1 – Andamento dal 1985 al 2001 dei consumi di piante e fiori delle 
famiglie italiane in termini di spesa pro capite espressa in euro (Fonti varie:  
ISTAT, Censis, Camera di Commercio di Milano).  
 
Da diverso tempo e senza ombra di dubbio, il mercato delle produzioni 
florovivaistiche, nel nostro Paese è entrato in una fase di stagnazione dei consumi. 
L’attuale situazione, infatti, è legata a due fattori principali: la diminuzione della 
spesa media pro-capite degli italiani per l’acquisto di prodotti ornamentali, passata 
dai 70 euro spesi all’inizio degli anni ‘90 ai 44 euro attuali; la pressione esercitata 
sul consumatore da parte di altri beni di consumo, che hanno dirottato la capacità 
di spesa di quest’ultimo su altri settori.  
Per rilanciare i consumi nel settore e porre rimedio a questa avversa 
congiuntura, un gruppo di operatori del comparto florovivaistico ha deciso, da 
 pochi mesi, di dare vita al Consorzio Nazionale per la Promozione delle 
Produzioni Florovivaistiche “Promoflor”, rivolto al consumatore finale. Sono 
aperte le sottoscrizioni di adesione a tutte le associazioni di produttori,  aziende 
florovivaistiche individuali, ditte che producono o forniscono mezzi tecnici e 
cooperative che vogliono aiutare il comparto ad uscire dalle difficoltà di mercato 
di questi ultimi anni. 
Per incentivarne l’acquisto, la promozione di questi prodotti dovrebbe essere 
più articolata, ossia più tesa ad allargare tanto la fascia dei consumatori quanto il 
periodo di consumo e più mirata a stimolare la loro curiosità verso le novità 
varietali e gli assortimenti commerciali. 
A livello territoriale, inoltre, il comportamento del pubblico ha mostrato una 
sostanziale disomogeneità: al Nord e al Centro il consumo di piante e fiori è del 
65% superiore a quello del Sud, infatti nel 2000 la spesa media del cittadino 
lombardo per fiori o piante è stata di circa 77 euro, contro una spesa media 
nazionale di 49 pro capite. 
Piuttosto marginale è il consumo di bulbi e sementi: infatti gli 83 milioni di 
euro spesi dagli italiani per questi prodotti sono poca cosa in confronto ai circa 
3.250 milioni di euro spesi in piante e fiori nel 1998. 
Facendo, invece, una suddivisione merceologica della spesa, se fino al 1997, 
su 100.000 lire italiane ben 75.000 erano destinate ai fiori recisi, mentre solo 
25.000 erano rivolte all’acquisto di piante in vaso,  oggi la situazione è abbastanza 
mutata.