4
1. Introduzione: come affrontare ‘la dimensione europea
nell’insegnamento’?
1.1. La dimensione europea nell’insegnamento: oggetto non definito
Non è facile definire in poche parole l’argomento del presente progetto di ricerca.
Potremmo definirlo come ‘la dimensione europea nell’insegnamento’, l’espressione
più utilizzata per descrivere l’insieme delle iniziative prese dall’Unione Europea nel
campo educativo. Purtroppo quest’espressione rimane talmente vaga che ancora nel
2006 il Parlamento Europeo ha ribadito la necessità di definirla più chiaramente in
una sua risoluzione sull’argomento.
1
Quando si abborda la letteratura attuale sulla
‘dimensione europea’, si nota la centralità di due temi: l ‘educazione alla
cittadinanza’, e il rafforzamento di una ‘identità europea’. Sfortunatamente, questi
concetti generalmente non sono definiti meglio della stessa ‘dimensione europea’.
Che cos’è questa identità di cui parliamo? L’identità dell’Europa, delle sue istituzioni,
o un’identità personale condivisa dai suoi abitanti, gli europei? E allora quale Europa,
quali istituzioni, e chi sono questi europei? Il concetto d’identità europea essendo
così vago, pare allettante abbandonarlo per concentrarsi piuttosto sul termine
apparentemente meno astratto di cittadinanza. In effetti una ‘educazione alla
cittadinanza’ esiste già nei curriculum di alcuni stati dell’Unione Europea, per
preparare gli allievi per il loro ruolo da cittadini nazionali. Perché non si potrebbe
istituire una simile educazione in un contesto europeo? Purtroppo, quando si parla
della ‘dimensione europea nell’insegnamento’ anche la cittadinanza tende a perdere
ogni sua concretezza. Stiamo cercando un’educazione ad una generale ‘cittadinanza
democratica’ o ad una ‘cittadinanza europea’? Anche queste espressioni spesso non
sono ben distinte, benché la cittadinanza democratica non sia un’istituzione specifica
dell’Europa. Poi, la cittadinanza europea è in se stessa un concetto ambiguo. Parliamo
di cittadini in Europa, dell’Europa o dell’Unione Europea? In realtà, per quanto
1
Parlamento Europeo. «Risoluzione del Parlamento europeo sulle iniziative destinate ad integrare i
programmi scolastici nazionali con misure di sostegno idonee ad includere la dimensione europea,
adottata il 26 settembre 2006, (2006/2041 (INI)).» Parlamento europeo (sito web ufficiale).
http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P6-TA-2006-
0361+0+DOC+XML+V0//IT (consultato il giorno febbraio 07, 2009).
5
riguarda l’Unione Europea, è difficile vedere come i pochi diritti che essa conferisce
ai suoi cittadini potrebbero bastare per costituire una ‘cittadinanza democratica’.
Quando è stato concepito questo progetto di ricerca pensavamo di poter
aggirare la maggior parte di queste domande. Riconoscendo che il tentativo da parte
dell’Unione Europea di immettere una dimensione europea nei sistemi educativi dei
suoi stati membri aveva finora avuto un seguito assai limitato, intendevamo ricercare
la sua realizzazione pratica in alcune scuole particolari dove una dimensione europea
dovrebbe già aver preso forma. Il desiderio di educare degli allievi che diventino
‘europei nello spirito’ è iscritto sulle prime pietre di ognuna di queste ‘Scuole
Europee’, scuole che sono state create per l’istruzione dei figli degli impiegati delle
istituzioni europee e che ricevono la maggior parte delle loro entrate dall’Unione
Europea.
2
Una breve ricerca sulla questione della ‘identità europea’ in queste scuole
era stata condotta nel 2004 dalla ricercatrice Nicola Savvides, e i suoi risultati
sembravano abbastanza promettenti per meritare un approfondimento
dell’argomento.
3
Volevamo cercare questo approfondimento tramite un’analisi
concentrata sull’istruzione della storia in queste scuole, visto che la storia è sempre
stata importante per la rappresentazione di ogni identità collettiva.
Tuttavia, prima di cercare la dimensione europea nell’insegnamento della
storia in queste scuole, era necessario farci un’idea più chiara di quello che stavamo
cercando. E più scoprivamo della storia della dimensione europea nell’insegnamento,
più rimanevamo affascinati dalle contraddizioni inerenti al concetto, contraddizioni
che sono legate a quelle dello stesso progetto europeo. Forse queste contraddizioni
possono anche spiegare perché il tentativo di aggiungere ‘una dimensione europea’
all’insegnamento degli stati dell’UE finora ha avuto un successo solo limitato.
4
E nel
2
Il 56,4% dei costi nel 2008. «Rapport annuel du Secrétaire général au Conseil supérieur des Ecoles
européennes. (gennaio 2009)» Schola Europaea (sito web ufficiale).
http://www.eursc.eu/index.php?l=1 (consultato il giorno febbraio 09, 2009) p. 31.
Lo scopo proclamato delle scuole si trova anche sul loro sito web: Schola Europaea. «Principes et
objectifs.» Schola Europaea (sito web ufficiale). http://www.eursc.eu/index.php?id=132 (consultato il
giorno febbraio 09, 2009).
3
Savvides, Nicola. Educating for European identity: A case study of the European School at Culham.
Dissertation submitted to the University of Oxford for the degree of M. Sc. Educational research
methodology. (non pubblicato), 2004. Si veda anche Savvides, «Developing a European identity: a case
study of the European School at Culham.» Comparative education, 2006: 113-129.
4
Vari autori hanno commentato sui limiti di questo successo, come Audigier, Francois, «L’educazione
alla cittadinanza in alcuni curricula europei» In Cittadinanza e convivenza civile nella scuola europea.
Saggi in onore di Luciano Corradini, a cura di Sandra Chistolini, 100-121. Roma: Armando, 2006,
colà p. 116., oppure Goudappel, Flora. «Legal influences on local education powers in the Netherlands.
A European and international dimension? .» European Journal for Education Law and Policy, 1998:
6
tentativo di capire meglio la natura di questo concetto nel suo sviluppo storico, anche
questo stesso sviluppo è diventato l’oggetto della nostra ricerca.
1.2. Europa, stato-nazione e istruzione
Ora, quella ‘dimensione europea’ che interessa a noi in questo lavoro è quella che
consiste nei tentativi di utilizzare l’istruzione per legittimare il processo
d’integrazione europea e per rafforzare la solidarietà tra gli abitanti dell’Europa. Per
capire meglio le ambiguità che hanno caratterizzato e caratterizzano il concetto,
bisogna collocarlo nel tentativo più generale delle istituzioni Europee di ‘fare gli
europei’. Questa parafrasi delle famose parole di D’Azeglio è già stata usata più volte
per suggerire un certo processo di nation building nell’Unione Europea, ed è
innegabile l’esistenza di un parallelismo tra la costruzione europea e la costruzione
degli stati-nazioni nei secoli precedenti. Questo parallelismo è presentato in parole
chiare in un’importante opera di Cris Shore, Building Europe, in cui egli analizza
estensivamente e criticamente il modo in cui l’Unione Europea cerca di legittimarsi.
5
Quando Shore fa il confronto tra gli stati nazionali e l’Unione, chiedendosi
retoricamente se un organo politico che ormai possiede i propri simboli e i propri
cittadini debba essere definito come uno stato, egli risponde col vecchio proverbio
inglese che dice che “if it looks like a duck, walks like a duck and quacks like a duck,
it probably is a duck”.
6
Quando prendiamo la classica definizione che Benedict Anderson ha data
della nazione, quella di una ‘comunità politica immaginata, e immaginata come sia
intrinsecamente limitata che sovrana’ (‘immaginata’, perché ciascun membro della
‘comunità’ non ha mai incontrato la gran maggioranza degli altri membri), vediamo
25–30. Secondo Goudappel, “i provvedimenti europei sull’istruzione non prevedono nessun tipo di
intervento nel sistema e nella struttura legale dell’istruzione degli Stati membri”. L’influenza rimane
indiretta. Secondo uno studio più recente di Debora Hinderliter Ortloff, la libertà degli stati
nell’implementazione della ‘dimensione europea’ fa sì che i suoi risultati divergono enormemente tra
gli Stati membri. Ortloff, Debora Hinderliter. «Becoming European. A framing analysis of three
countries’ civics education curricula.» European education 37, no. 4, 2005: 35-49.
5
Shore, Cris. Building Europe. The cultural politics of European integration. London ; New York:
Routledge, 2000.
6
Ivi, p. 210.
7
che essa si applica abbastanza bene alla costruzione europea, almeno se si prescinde
dal concetto di sovranità che è stata resa molto problematica da questa stessa
costruzione.
7
Benché ci siano degli importanti pensatori politici che negano l’idea che
il progetto europeo sia di per sé ‘limitato’, per il momento possiamo dire che quando
si pensa all’Europa, generalmente non si pensa al mondo intero. Va notato che perfino
Jürgen Habermas, uno dei teorici più importanti dello stato ‘postnazionale’, si è
chiesto se il processo d’apprendimento degli stati-nazione nel campo della produzione
di una solidarietà su scala nazionale non si possa estendere a un livello europeo, anche
se egli concepisce tale processo solo come un livello intermedio che dovrebbe
precedere una cittadinanza mondiale. La domanda è stata posta in un articolo
significativamente intitolato The European Nation-State and the pressures of
globalization.
8
Andando più indietro nel tempo, ricordiamo che l’idea d’Europa è
stata per molto tempo legata a vari criteri limitativi, soprattutto di tipo religioso o
razziale, come scoprì il giamaicano Dudley Thompson durante la seconda guerra
mondiale: quando egli si presentò come volontario per la ‘Royal Air Force’, gli fu
domandato se era un ‘europeo di razza pura’.
9
Nonostante tutto ciò, bisogna ricordare che la costruzione europea ha preso
forma in un clima di forte avversione al nazionalismo, il quale era considerato da
molti come il maggior responsabile di due guerre lunghe e sanguinose. Il rischio di
trasporre questo nazionalismo a un livello europeo, invece di superarlo, era ben
presente a coloro che hanno dato spunto al progetto europeo. Ricordiamo le parole del
federalista Denis de Rougemont al congresso dell’Aja nel 1948:
“L’Europe s’est de tout temps ouverte au monde entier. A tort ou à raison,
par idéalisme ou par ignorance, en vertu de sa foi ou dans des vue
impérialistes, elle a toujours conçu sa civilisation comme un ensemble de
valeurs universelles. Il ne s’agit pas pour nous d’opposer une nation
européenne aux grandes nations de l’Est et de l’Ouest, ni de vouloir une
culture européenne synthétique, valable pour nous seuls et fermée sur elle-
même. Notre ambition est de contribuer à l’union de nos pays qui sera leur
7
Anderson, Benedict. Imagined communities. Reflexions on the origins and spread of nationalism.
Revised and extended edition. London: Verso, 1991, p. 6.
8
Habermas, Jürgen. «The European Nation-State and the Pressures of Globalization.» New Left
Review, Aprile 1999: 46-59, colà 58.
9
Mazower, Mark. Dark continent : Europe's twentieth century. London: Penguin, 1999, p. 198.
8
seul salut par le moyen d’une renaissance de leur culture dans la liberté de
l’esprit.”
10
Inoltre è importante notare che nei suoi trattati fondatori, che si possono considerare
come espressioni della sua ‘identità’, l’Unione Europea e la precedente Comunità
economica tendono a riferirsi a principi detti ‘universali’ come la democrazia, i diritti
umani, la tolleranza e l’economia del mercato, invece di riferirsi ad una comunità
storico-culturale.
11
In contrasto col linguaggio universalista di questi trattati si possono
considerare varie iniziative culturali, simboliche ed educative che sono state prese
dalla Commissione Europea, soprattutto fin dagli anni ottanta, nonché la retorica
intorno ad esse. Nel 1983 compare il famoso libro the invention of tradition, edito da
Eric Hobsbawm e Terence Ranger, e nel saggio conclusivo Hobsbawm descrive
molto bene come gli stati-nazione nei secoli XIX e XX hanno cercato in vari modi di
legittimare e rappresentare lo stato nazionale attraverso, tra l’altro, simboli nazionali,
cerimonie pubbliche e il sistema educativo.
12
Due anni più tardi, il Consiglio dei
Ministri della Comunità Europea
13
approva le proposte di un Rapporto intitolato
‘l’Europa del cittadino’ che propone di ‘aumentare il coinvolgimento dei cittadini
nelle istituzioni comunitarie’ attraverso, tra l’altro, l’introduzione di una bandiera
europea, l’istituzione del 9 maggio come il ‘giorno europeo’, e un ‘nuovo impulso alla
dimensione europea nell’insegnamento’.
14
La prossimità delle date sarà un caso,
perché si tratta dell’elaborazione di proposte considerate già prima nella
Commissione Europea. La somiglianza dei contenuti è più interessante.
15
10
Citato in Réau, Elisabeth du. L'idée d'Europe au XXe siècle : des mythes aux réalités. Bruxelles:
Complexe, 2008, p. 193.
11
Lacroix, Justine. L'Europe en procès: quel patriotisme au-delà des nationalismes? Paris: Cerf, 2004,
p. 29. Per un’analisi più elaborata sull’argomento, si veda Franceschetto, Pablo. Le rapport entre
l'Europe historique et l'Europe politique. Comment l'Union Européenne [UE] a-t-elle utilisé et utilise
le passé pour définir son identité? Mémoire d'Etudes européennes. (non pubblicato) Bruxelles:
Université Libre de Bruxelles, Section politique. Dir. di Jean-Marc Ferry, 2005.
12
Hobsbawm, Eric. «Mass-producing traditions: Europe, 1870-1914.» In The invention of tradition, a
cura di Eric Hobsbwam e Terence Ranger, 263-307. Cambridge: Cambridge University Press, 1992.
13
Il Consiglio dei Ministri, ovvero il Consiglio Europeo, comprende i capi di governo degli stati
membri dell’Unione Europea nonché il presidente della Commissione Europea.
14
Il tema dell’Europa del cittadino nella terminologia inglese si chiama ‘a people’s Europe’, mentre la
terminologia in lingua francese è un po’ diversa, denominando la campagna ‘l’Europe du citoyen’.Il
Rapporto è il seguente: Commission of the European Communities. «A People's Europe. Report from
the ad hoc committee (Pietro Adonnino, chairman).» Bulletin of the European Communities,
Supplement 07/85, 1985.
15
Il parallelismo tra le politiche descritte da Hobsbawm e quelle della Comunità europea è già stato
notato da Paul Magnette, in un libro molto interessante sulla questione della cittadinanza europea.
9
Con questa breve trattazione non intendiamo suggerire che la storia stia per ripetersi,
perché ciò non sembra essere il caso. Basta paragonare la popolarità relativa dei
giorni festivi nazionali con la quasi totale indifferenza che accompagna la festa del
giorno europeo. Il confronto tra le politiche dell’Unione Europea e la nation building
degli stati nazionali serve solo a spiegare quale ‘dimensione europea’
dell’insegnamento tratteremo in questo lavoro: quella che cerca di rafforzare un senso
di appartenenza all’Europa. Questo non è l’unico scopo delle iniziative intraprese nel
campo educativo dalle istituzioni europee negli ultimi decenni, ma è innegabile che
queste iniziative sono legate al tentativo di rispondere al persistente problema di
legittimità di cui soffre il processo d’integrazione europea. E’ anche logico che
l’istruzione, spesso considerata come uno strumento potente della socializzazione
politica, sia divenuta uno dei punti centrali di questo tentativo. Secondo Hobsbawm,
l’istruzione era per la terza repubblica francese “un equivalente secolare della chiesa
(…) condotto dall’equivalente secolare del clero – oppure, considerata la loro povertà,
dei frati – gli instituteurs”.
16
Il progetto europeo, sempre percepito come elitista,
tecnocratico, incapace di suscitare l’adesione del popolo – non ha forse anch’esso
bisogno di una sua chiesa per darsi un’anima?
Non si sa se l’istruzione potrebbe assumere tale ruolo per la costruzione
europea, perché un sistema educativo europeo non esiste. Infatti all’Europea manca
quell’elemento cruciale che possiedono le comunità immaginate degli stati-nazione: la
sovranità. Mentre gli stati membri dell’Unione Europea hanno ceduto una parte della
loro sovranità per rendere possibile un’integrazione economica, l’hanno fermamente
mantenuta per quanto riguarda il campo dell’istruzione. Solo nel 1992 il trattato di
Maastricht con l’articolo 126 ha fornito una vera base legale all’Unione Europea in
campo educativo, stabilendo che “ la comunità contribuisce allo sviluppo di un'
istruzione di qualità”. Ma lo stesso articolo impone all’Unione il “pieno rispetto della
responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell'insegnamento e
l'organizzazione del sistema d'istruzione”, nonché la “esclusione di qualsiasi
Magnette, Paul. La citoyenneté européenne : droits, politiques, institutions . Bruxelles: Ed. de
l'Université de Bruxelles, 1999, pp. 117-118.
16
Hobsbawm «Mass-producing traditions», cit., 271. Abbiamo tradotto il termine ‘friars’ di
Hobsbwam con la parola ‘frati’, ma non si traduce molto bene. In ogni caso, essa dovrebbe evocare
l’immagine di missionari predicando la ‘religione’ nazionale.
10
armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri”.
17
Perciò il fatto sorprendente non è che l’influenza diretta dell’Unione sui sistemi
educativi degli stati nazionali è rimasta assai limitata, ma piuttosto il fatto che
l’Unione Europea ha saputo prendere varie iniziative in campo educativo (di cui
inizialmente si era occupato soprattutto il Consiglio d’Europa) già prima di
Maastricht, e che nell’ultimo decennio l’Unione ha saputo assumere delle importanti
funzioni nella riforma dell’istruzione superiore.
18
Ora, nella prima parte di questo lavoro seguiremo lo sviluppo storico di questo
processo e ne chiariremo i temi centrali. Mentre anche il Consiglio d’Europa ha svolto
delle attività interessanti in campo educativo, e da più tempo dell’Unione, in questa
opera non ci soffermeremo troppo sull’argomento perché esso è già stato trattato in
modo abbastanza esaustivo in una tesi di laurea di Barbara Galimberti all’università di
Bologna, alcuni mesi fa.
19
L’accento, quindi, sarà posto sul ruolo dell’Unione
Europea. Il testo che finora tratta nel modo più complessivo questo argomento è un
articolo di Tobias Theiler, che tratta dello sviluppo della dimensione europea fino alla
fine degli anni novanta.
20
La prima parte del presente lavoro esaminerà l’argomento
nel più ampio contesto delle iniziative simboliche e culturali dell’Unione che mirano
alla promozione di una comune identità culturale europea, ed estende il periodo
temporale per includere le attività della Commissione europea in campo educativo
nell’ultimo decennio.
17
Il trattato è consultabile online: «Trattato sull'Unione Europea.» Eur-Lex. L'accesso al diritto
dell'Unione Europea. http://eur-lex.europa.eu/it/treaties/dat/11992M/htm/11992M.html#0001000001
(consultato il giorno febbraio 09, 2009).
18
Per l’influenza limitata dell’Unione si vedano le opere di Audigier, Hinderliter e Goudappel citate
nel paragrafo precedente.
19
Galimberti, Barbara. Il Consiglio d'Europa e l'insegnamento della storia. Dalla revisione dei
manuali alla dimensione europea: la costruzione di una integrazione europea attraverso la
cooperazione culturale. Tesi di laurea in storia d'Europa. Bologna: dir. di Mariuccia Salvati. Facoltà di
lettere, Università di Bologna, 2008.
20
Theiler, Tobias. «The European Union and the 'European dimension' in schools: theory and
evidence.» Journal of European integration, 1999: 307-341.
11
1.3. Le Scuole Europee: un laboratorio d’identità europea?
L’analisi presentata nella prima parte servirà anche come quadro di riferimento per la
seconda parte del lavoro, quella sulle suddette ‘Scuole Europee’. Come abbiamo
indicato in precedenza, e come illustreremo più estensivamente nei capitoli seguenti,
l’influenza diretta dell’Unione sui sistemi educativi nazionali finora è rimasta limitata,
anche se nel settore dell’istruzione superiore l’influenza indiretta è diventata più
importante nell’ultimo decennio. Tuttavia, esistono alcune scuole che sono state
create appositamente per provvedere all’istruzione dei figli degli impiegati delle
istituzioni europee, e sulle quali la Commissione esercita una maggiore influenza. La
seconda parte di questo lavoro presenterà i risultati di una ricerca eseguita in tre di
queste scuole.
Questa ricerca è stata intrapresa sulla base dell’idea che una specie di
dimensione europea dovesse già esistere in queste scuole. Nella letteratura sulle
scuole, la quale finora rimane limitata, si trova spesso il riferimento al loro scopo
proclamato di ‘promuovere un’identità europea’ negli allievi.
21
Di solito però queste
ricerche considerano le scuole nella loro qualità di esperimento educativo, e non come
un possibile esempio per il ricercatore che cerca di comprendere il progetto politico o
sociologico di promuovere un’identità europea attraverso l’istruzione. Una certa
eccezione a questa regola è costituita da alcuni articoli pubblicati negli ultimi anni
dalla ricercatrice Nicola Savvides, sulla promozione dell’identità europea in queste
scuole. Un primo articolo, basato su una breve ricerca orientativa nella Scuola
Europea di Culham (Inghilterra), aveva dato alcuni risultati promettenti.
22
Un articolo
più recente fondato su uno studio più approfondito di alcune scuole mette più in
dubbio l’idea che la promozione dell’identità europea sia tra gli obiettivi più
attivamente perseguiti dalla scuola.
23
Un altro articolo pubblicato pochi mesi fa
dimostra la stessa prudenza, definendo l’argomento non più come la ‘promozione di
21
Si vedano, per esempio: Savvides, Educating for European identity, cit., e Beardsmore, Hugo
Baetens. «The european schools model.» In European models of bilingual education, a cura di Hugo
Baetens Beardsmore, 121–154. Clevedon: Multilingual Matters, 1993.
22
Savvides, «Developing a European identity», cit.
23
Savvides, Nicola. «Comparing the promotion of European identity at three European Schools: an
analysis of teachers' perception.» Research in comparative and international education, 2006: 393-
402.
12
un’identità europea’ nelle scuole, ma col termine più generale della ‘dimensione
europea’.
24
In ogni caso, le scuole rimangono un oggetto di ricerca interessante per chi si
occupa della dimensione europea nell’insegnamento. Esse sono legate alle istituzioni
europee, e il loro scopo originario era di permettere agli impiegati di queste istituzioni
di far educare i loro figli nella propria lingua, mentre dall’altro lato si intendeva
promuovere una certa integrazione tra questi figli per educarli in un’atmosfera
veramente europea. L’ideologia europeista nel contesto della quale fu concepita la
prima scuola nel 1953 (a Lussemburgo) si riconosce ancora nelle parole iscritte sulla
prima pietra di ogni scuola:
“ Elevés au contact les uns des autres, libérés dès leur plus jeune âge des
préjugés qui divisent, initiés aux beautés et aux valeurs des diverses
cultures, ils prendront conscience, en grandissant, de leur solidarité. Tout
en gardant l'amour et la fierté de leur patrie, ils deviendront, par l'esprit,
des Européens, bien préparés à achever et à consolider l'œuvre entreprise
par leurs pères pour l'avènement d'une Europe unie et prospère”
25
Il riferimento a questa ideologia è presente in quasi ogni testo sull’argomento, e
nell’opera più dettagliata sulle scuole, A singular pluralism. The European schools
1984-1994, Desmond Swan afferma che ‘agli occhi di molti vecchi allievi, queste
scuole riescono a creare una mentalità europea’.
26
Negli articoli finora pubblicati da Nicola Savvides, sulla forma della
dimensione europea nelle scuole, l’accento è posto sulla percezione da parte di allievi
e insegnanti di quali elementi della scuola contribuiscano a tale dimensione. Nel
presente lavoro abbiamo ristretto il campo di ricerca, concentrandoci soprattutto
sull’insegnamento della storia. La scrittura e l’insegnamento della storia hanno
giocato un ruolo essenziale nell’autorappresentazione delle comunità nazionali,
cosicché dopo la prima guerra mondiale si svilupparono delle iniziative di
cooperazione internazionale per la riscrittura dei manuali di storia, per eliminarne
24
Savvides, Nicola. «The European dimension in education. Exploring pupils’ perceptions at three
European Schools.» Journal of research in international education, 2008: 304-326.
25
Schola Europaea. «Principes et objectifs.» Schola Europaea (sito web ufficiale).
http://www.eursc.eu/index.php?id=132 (consultato il giorno febbraio 09, 2009).
26
Swan, Desmond. A singular pluralism. The European Schools, 1984-1994. Dublin: Institute of
Public Administration, 1996, p. 20.
13
quei pregiudizi nazionalisti che secondo molti avevano contribuito allo scoppio della
guerra.
27
Dopo la seconda guerra mondiale sono state intraprese iniziative simili col
sostegno del Consiglio d’Europa e più tardi dell’Unione Europea, i quali hanno anche
cercato di promuovere una revisione diretta a una rappresentazione più pacifica e più
unitaria della storia europea.
28
Nei dibattiti sulla legittimità del progetto europeo la storia assume un ruolo
importante. Secondo il filosofo francese Jean-Marc Ferry il rapporto con la storia è
uno degli elementi centrali in cui un’Europa fondata su principi universali si
distinguerebbe da un sopranazionalismo “che non è nient’altro di ciò che pretende di
superare: il nazionalismo, e inoltre cieco a questa contraddizione, e ostinato a
proseguire un semplice lavoro di devastazione” [delle identità nazionali].
29
Alla
‘amnesia selettiva’ prescritta per la nazione da Ernest Renan, Ferry contrappone un
rapporto argomentativo e autocritico col passato, perché uno stato europeo non
definisca dei criteri culturali d’esclusione oltre alla necessità di aderire ai principi
della democrazia e dei diritti dell’uomo: uno stato europeo, quindi, che potrebbe
comprendere tutto il mondo e tutti i suoi abitanti a patto che essi condividano la stessa
cultura politica democratica.
30
Perciò volevamo capire meglio come si insegna la
storia nelle Scuole Europee, sperando di gettare più luce sulla domanda che ruolo
occupa la ‘dimensione europea’ in queste scuole. Un altro punto di partenza era
l’ipotesi che una tale analisi avrebbe potuto indicare alcuni problemi e prospettive per
un possibile rafforzamento di una dimensione europea nei curriculum nazionali.
A causa dei limiti di tempo e di risorse che hanno caratterizzato questo
progetto di ricerca, esso è essenzialmente di carattere orientativo. Considerati i dubbi
suscitati dai citati articoli di Savvides sull’importanza dell’ideologia europea nelle
scuole europee, bisognava verificare come primo punto che i temi centrali delle
discussioni sulla dimensione europea nell’insegnamento storico avessero anche
pertinenza per la pratica in queste scuole, e come questi temi sono interpretati. A
questo scopo abbiamo intervistato un’ispettrice e tredici insegnanti di storia in tre
delle quattro Scuole Europee che si trovano a Bruxelles, indagando sulla loro visione
27
Verga, Marcello,. Storie d´Europea. Secoli XVIII – XXI. Roma : Carocci, 2004, pp. 85-87.
28
Per più informazioni sul ruolo del Consiglio d’Europa sotto questo riguardo, si veda Galimberti, Il
Consiglio d'Europa e l'insegnamento della storia, cit., particolarmente i capitoli 2 e 3. Per l’UE, si
veda Shore, Building Europe, cit., pp. 54-60.
29
Ferry, Jean-Marc. La question de l'Etat européen. Paris: Gallimard, 2000, p.67.
30
Ivi, pp. 166-169.
14
personale circa la loro funzione e sulla loro impressione di che cosa la direzione si
aspetta da loro. Come vedremo, la dimensione europea ha acquisito una certa
importanza nelle discussioni sull’insegnamento storico nelle scuole, anche se essa
assume dei significati diversi da quelli con cui è normalmente associata. Inoltre
abbiamo cercato di crearci un’idea sul se e come questa discussione prenda forma
nella pratica del’insegnamento, aggiungendo alle conversazioni con l’ispettrice e gli
insegnanti anche interviste con undici allievi e dando un’occhiata ai materiali usati in
classe. Nelle conversazioni con gli allievi però abbiamo incontrato anche altri aspetti
delle scuole, oltre all’insegnamento della storia, che possono contribuire allo sviluppo
di un’identità europea negli allievi, e ci sembrava interessante riportarne gli elementi
principali. Infine sulla base della nostra ricerca orientativa faremo alcune osservazioni
preliminari, e produrremo delle ipotesi che potranno fornire una base per ulteriori
ricerche sull’argomento.
15
Parte prima.
Alla ricerca di un senso d’appartenenza
La ‘dimensione europea nell’insegnamento’ e le
politiche d’identità delle istituzioni europee.
16
2. La costruzione europea e i limiti dell’approccio funzionalista
2.1. Quale posto per l’istruzione nella costruzione europea? I primi
decenni dopo la seconda guerra mondiale
Non è questo il luogo per analizzare i processi che hanno condotto a quel particolare
compromesso di interessi e di idee sul futuro d’Europa che si chiama la ‘costruzione
europea’, ma è necessario delinearne quegli elementi che hanno condizionato e
limitato il campo d’azione della Comunità Economica Europea (CEE) e del suo
successore, l’Unione Europea. I fondamenti di questa costruzione sono già
chiaramente riconoscibili all’inizio degli anni sessanta nella forma di una CEE
finalizzata all’integrazione economica, una Corte dei diritti dell’uomo a Strasburgo, e
un Consiglio d’Europa con un budget limitato e funzioni soprattutto deliberative su un
vasto campo di argomenti. Questa ‘costruzione’, che per la sua difesa dipendeva
dall’alleanza intergovernativa transatlantica della NATO, era ben lontana dal
soddisfare le aspirazioni di coloro che, come i federalisti Altiero Spinelli e Denis de
Rougemont, avevano desiderato una profonda integrazione politica, culturale ed
economica dell’Europa. Nel frattempo, la metà orientale del continente ne restava
totalmente esclusa.
Mentre oggi l’Unione Europea è generalmente percepita come il principale
rappresentante della costruzione europea, il suo precursore, la CEE, nei primi anni
dopo la sua fondazione difficilmente poteva vantare tale funzione. I suoi sei Stati
membri
31
costituivano meno della metà degli stati europei rappresentati nella più
grande Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (OCSE),
mentre il Regno Unito e sei altri stati dell’Europa occidentale nel 1960 avevano
fondato un’alternativa ‘Associazione europea di libero scambio’ (EFTA).
32
In
confronto con la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) del 1951, il
precursore della CEE, il trattato di Roma del 1957 aveva istituito per la comunità
economica un organo sopranazionale più debole della ‘Alta Autorità’ della CECA,
nella forma della ‘Commissione’. Nella CEE il potere decisionale risiedeva in un
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La Francia, l’Italia, la Repubblica Federale Tedesca, il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi.
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I membri erano l’Austria, la Danimarca, La norvegia, il Portogallo, la Svezia, la Svizzera e il Regno
Unito.