2
la questione dell’ampio divario tra gli spread e le perdite attese si è meritato il
nome di “enigma dei credit spread” (Amato e Remolona, 2003).
Il capitolo 1 introduce il concetto di “credit spread”; ha lo scopo di
presentare le nozioni di base e la terminologia adoperata nel corso della
trattazione. Per completezza, sono analizzate le ricerche che si occupano delle
“forme” delle curve di credit spread per categorie di rating. I lavori di analisi,
di sintesi e di confronto risultano non facili sin dal primo capitolo a causa della
discordanza tra i risultati raggiunti dalla letteratura finanziaria.
Il capitolo 2 affronta il tema delle determinanti dei credit spread anche
conosciuto, appunto, con il nome di “enigma degli spread creditizi”. Lungi
dall’essere una raccolta asettica e impersonale di risultati, questo capitolo
tratta la questione delle determinanti dei credit spread in modo critico,
armonico ed innovativo così come richiede la complessità dell’argomento.
Infatti, l’obiettivo è quello di un’esposizione che tratti a fondo ogni singola
determinante mediante l’analisi congiunta dei principali lavori inerenti.
Il secondo capitolo informa che non si conoscono a fondo le determinanti
dei credit spread e che a riguardo della componente “premio a rischio”
esistono diverse interpretazioni. Tuttavia, gli studiosi sono concordi sul fatto
che le variabili del modello di Merton riescono a catturare, almeno in parte, le
variazioni dei credit spread. A livello di portafoglio obbligazionario, ciò
significa che sussiste una relazione negativa tra “credit spread” e “valore di un
indice azionario significativo” ed una relazione positiva tra “credit spread” e
“volatilità” di tale indice azionario. Queste relazioni hanno suggerito la tecnica
di copertura dei portafogli obbligazionari che prevede l’utilizzo congiunto di
“Treasury future” e di “stock index future”. Il TRES di un portafoglio
obbligazionario è dato dalla somma tra il tasso “risk-free” ed il “credit
spread”: secondo la metodologia di copertura in esame, i rendimenti
determinati dalla variazione del tasso risk free sono coperti tramite i “treasury
future”, mentre quelli derivanti dalla variazione del credit spread (o dal rischio
di credito) sono coperti mediante gli “stock index future”.
3
Il tema della copertura del “credit risk” dei corporate bond, trattata nel
corso del capitolo3, è stato affrontato dalla letteratura solo mediante gli “stock
index future”, poiché non esistono, ad oggi, future o opzioni che abbiano come
sottostante panieri di obbligazioni societarie. Negli Stati Uniti, in passato, fu
introdotto un future basato su un indice di corporate bond. Questo contratto
cessò di esistere nel 1986 a causa dello scarso utilizzo da parte degli
investitori. Il fallimento di tale contratto è da attribuire all’incapacità dello
stesso di fornire una miglior performance di copertura rispetto ai semplici
contratti “treasury future”. Alcuni autori, tra i quali Frank Skinner,
propongono la costruzione di “nuovi contratti future su panieri di corporate
bond” in grado di assicurare una copertura più efficace del precedente future.
Quindi, nonostante esistano suggerimenti per costruire contratti che coprono il
rischio di credito in un modo più diretto, ad oggi, non resta che compiere le
analisi di copertura con gli strumenti finanziari esistenti sul mercato.
Molti autori negano la possibilità di coprire il “credit risk” dei corporate
bond tramite i Credit Default Swap. Infatti, la forte componente di
personalizzazione nei contratti dei mercati OTC, la mancanza di liquidità e
l’assenza di metodologie standard di pricing costituiscono solo alcuni degli
ostacoli che impediscono l’utilizzo e la crescita di questi mercati.
Nel corso del terzo capitolo è analizzato il lavoro di Clare, Ioannides e
Skinner (2000), in cui gli autori mettono in discussione la stessa possibilità di
migliorare la copertura del “credit risk” dei corporate bond tramite gli “stock
index future”. Segue subito un breve commento critico a riguardo delle
conclusioni di questo lavoro che nega la validità delle ricerche precedenti e
che minaccia la ragion d’essere della stessa verifica empirica presentata nel
capitolo 4. Tuttavia, i concetti espressi con un taglio meramente qualitativo e
sintetico durante il commento citato sono ripresi, in modo analitico e
dettagliato, nel corso del capitolo 4, dove le argomentazioni sono supportate
dalla presentazione dei risultati delle dovute verifiche empiriche.
Ancor prima di analizzare qualsiasi tecnica di copertura, bisogna essere
4
consapevoli del fatto che, ad oggi, nessuna metodologia di hedging può
assicurare una copertura perfetta, dato che la letteratura finanziaria non
conosce “in toto” le determinanti dei credit spread. Tuttavia, questo non
preclude la possibilità di migliorare le tecniche di hedging finora conosciute.
Si ricordi che, a livello di portafoglio obbligazionario, esiste una relazione
negativa tra “credit spread” e “valore di un indice azionario significativo” ed
una relazione positiva tra “credit spread” e “volatilità di tale indice”. Gli
“stock index future” sono in grado di coprire solo la variazione di valore dei
portafogli obbligazionari determinati dai “rendimenti azionari”. Si considerino
ora le variabili alla base della formula di “Black & Scholes” per il pricing
delle opzioni. Si noti che il premio dell’opzione di tipo europeo su indice
dipende sia dal “valore” dell’indice azionario di riferimento che dalle
variazioni della sua “volatilità implicita”. In particolare, il premio dell’opzione
put europea su indice reagisce alle variabili “rendimento del sottostante” e
“volatilità del sottostante” in modo esattamente opposto a quello in cui il
valore di un portafoglio obbligazionario reagisce ai “rendimenti di un indice
azionario significativo” ed alla sua “volatilità”. D’altronde, lo stesso modello
di Merton (1974) suggerisce di considerare l’opzione put in qualità di una
possibile candidata ai fini di copertura. Infatti, il modello sancisce che il
payoff a scadenza derivante dal possesso di un corporate bond è simile al
payoff di un portafoglio derivante dalla combinazione di un titolo risk-free,
con lo stesso valore nominale e con la stessa maturity del bond, ed una
posizione corta su una put, con prezzo di esercizio pari al valore nominale del
bond.
Tuttavia, lo spirito che anima la parte empirica del presente lavoro
prescinde totalmente dal modello di Merton e si presenta come una naturale
evoluzione della strategia di hedging tradizionale che utilizza gli “stock index
future”.
Rispetto alle analisi precedenti, il presente lavoro si propone di coprire
soltanto i rendimenti dei corporate bond determinati dalla variazione del credit
5
spread per due motivi:
1) in passato, gli economisti finanziari non hanno avuto problemi nel
coprire i rendimenti dei corporate bond (soprattutto di classe “investment”),
determinati dalle variazioni dei tassi risk-free, tramite i “treasury future”;
2) un’imminente situazione di crisi economica potrebbe determinare un
aumento dei credit spread ed una riduzione dei tassi risk-free; pertanto, è
auspicabile che un investitore desideri coprire il portafoglio di corporate bond
dalle variazioni dei credit spread e lasciare aperta la posizione nei confronti
delle variazioni dei tassi risk-free.
Il capitolo 4 espone la procedura utilizzata per derivare il rendimento dei
corporate bond determinato dalla variazione dei credit spread; nel corso della
trattazione, sarà brevemente chiamato “rendimento assoluto dei credit spread”.
La nuova tecnica di hedging con le opzioni put europee su indice, ben lontana
dal suggerimento del modello di Merton, si ispira alle strategie di copertura
che utilizzano le greche delle opzioni. Pertanto, grazie alla proxy “rendimento
assoluto dei credit spread” e grazie ai suggerimenti della letteratura a riguardo
della sensibilità dei credit spread all’andamento di certe variabili, si calcolano
nuovi coefficienti di sensibilità ai quali è dato il nome di “greche dei credit
spread”: “delta dei credit spread”, “vega dei credit spread” e “rho dei credit
spread”. Con l’aiuto di questi nuovi coefficienti, che, intuitivamente, hanno la
stessa funzione delle greche delle opzioni, si procede al calcolo delle
performance di copertura delle strategie più significative: “delta-hedged” (che
adopera solo le opzioni put europee su indice) e “delta-vega hedged” (che
adopera sia le opzioni put europee su indice che gli “stock index future”).
Ci si attende che ambedue le strategie diano migliori performance di
copertura rispetto a quella tradizionale che utilizza gli “stock index future”.
L’aspettativa nasce dal fatto che le nuove strategie sono ideate per coprire il
rischio di credito dei corporate bond in un modo più completo rispetto al
metodo tradizionale, dato che esse sono in grado di catturare, in più, i segnali
provenienti dalla volatilità degli indici azionari.
6
CAPITOLO 1
I corporate bond ed i “credit spread”
I. Introduzione allo strumento
I.1 I corporate bond
I “corporate bond” sono titoli mobiliari espressivi di rapporti di natura
creditizia tra due soggetti: gli emittenti, imprese pubbliche o private, ed il
pubblico di investitori privati o istituzionali. Il rapporto obbligazionario
consiste nel pagare alla controparte (l’investitore) una serie di flussi di cassa,
in termini di cedole e di valore nominale, in cambio di una somma ricevuta
(dall’emittente) al momento della sottoscrizione.
I corporate bond rappresentano uno dei tanti strumenti di finanziamento
dell’attività d’impresa ad oggi disponibili ed offrono interessanti opportunità
da cogliere sia per le imprese che per gli investitori. Dall’altro lato un’impresa
che intenda ricorrere al finanziamento obbligazionario deve tenere conto di
svariati vincoli normativi volti a tutelare sia l’investitore sia la funzionalità del
sistema finanziario.
Da un punto di vista meramente matematico i “corporate bond” non
differiscono dai “titoli di stato”, poiché entrambi rappresentano semplici
scambi di flussi di cassa intertemporali. A differenza dei “titoli di stato” (detti
anche “government bond” o “treasury bond”), i corporate bond sono soggetti
al “rischio di default”, cioè al rischio che l’emittente sia incapace di far fronte,
di volta in volta, ai pagamenti promessi (cedolari o nominali). Questo aspetto
rende aleatori i flussi di cassa futuri dei corporate bond che, in virtù di questa
loro caratteristica distintiva, sono anche chiamati “defaultable bond”.
Il rischio di credito non è solo l’unica caratteristica per cui un “corporate
bond” può differire da un “treasury bond”.
7
In primo luogo si consideri che i titoli in esame sono caratterizzati da un
minore grado di liquidità rispetto ai titoli pubblici; infatti la minore
dimensione che in genere caratterizza le emissioni obbligazionarie delle
imprese determina un flottante ridotto.
Inoltre, da un punto di vista finanziario, è utile esaminare le specificità
dei corporate bond relativamente alle modalità di rimborso dei titoli e alla
periodicità di pagamento. Per esempio, le clausole di callability attribuiscono
la facoltà di rimborsare il debito prima della sua naturale scadenza e la
“sinking fund provision” rappresenta un impegno di rimborso progressivo
annuale del debito in luogo del rimborso in un’unica soluzione a scadenza.
Esistono poi “obbligazioni convertibili” che offrono l’opportunità di
trasformare, secondo tempi e modi predefiniti, il titolo obbligazionario in
azionario. I corporate bond possono prevedere frequenze di pagamento
cedolari non semestrali: possono presentare frequenze più brevi (trimestrali)
oppure possono essere zero coupon bond di lungo periodo (oltre la scadenza a
24 mesi dei CTZ).
Tutte queste caratteristiche contribuiscono a far sì che ogni corporate
bond sia “unico” complicando le analisi di valutazione e gli studi a livello
aggregato.
I.2 Il credit risk
Le obbligazioni societarie espongono l’investitore al rischio creditizio. Il
rendimento offerto da un “corporate bond” varia in ogni istante di tempo in
accordo non solo con i tassi di interesse di mercato, ma anche con la
percezione del mercato sull’incertezza dei futuri pagamenti degli interessi e
dei valori nominali. Il rendimento dipende, dunque, dalla sua classificazione
creditizia. Per compensare un rischio maggiore, le emissioni con basso
giudizio di qualità devono offrire rendimenti più elevati rispetto a quelli dei
bond migliori.
8
I grandi investitori istituzionali si affidano a “società di rating” che
effettuano l’analisi e divulgano le proprie conclusioni sotto forma di
classifiche. Le società di rating sono Moody’s, Standard & Poor’s, Duff and
Phelps, McCarthy, Crisanti & Maffei, Fitch Investors Service, ma i sistemi più
comunemente utilizzati sono i primi due. Il giudizio finale è espresso mediante
caratteri alfanumerici ed è basato su fattori di natura quantitativa (analisi di
bilancio) e di natura qualitativa (analisi competitiva).
La tabella 1 riporta le classificazioni delle principali società di rating. I
corporate bond peggiori sono chiamati “speculative bond” o “high yield bond”
o “junk bond”, mentre quelli migliori prendono il nome di “investment grade”.
L’evidenza empirica dimostra che il
rating dei titoli obbligazionari ne riflette
semplicemente il rischio e non esiste prova che
è il rating ad influenzare il rischio (Weinstein
1981). Non è sorprendente che le quotazioni
obbligazionarie non dimostrino alcun
andamento anomalo nei giorni attorno a una
variazione del rating delle obbligazioni; dato
che il rating si basa su informazioni pubbliche
le variazioni, da sole, non forniscono alcuna
nuova informazione al mercato.
Il rischio di default è solo una
componente del rischio di credito che si
suddivide in:
- rischio di insolvenza;
- recovery risk;
- rischio di migrazione;
- rischio di variazione dello spread.
Tabella 1
Moody’s S & P
Investment grade
Aaa AAA
Aa1 AA+
Aa2 AA
Aa3 AA-
A1 A+
A2 A
A3 A-
Baa1 BBB+
Baa2 BBB
Baa3 BBB-
Speculative grade
Ba1 BB+
Ba2 BB
Ba3 BB-
B1 B+
B2 B
B3 B-
Caa CCC
Ca CC
C C
Default Default
Fonte: Carluccio Emanuele
“Economia del mercato
mobiliare”, ECONOMIA
CUSL, Milano 2004.
9
Il rischio di insolvenza si riferisce al fatto che non è mai certo se e
quando un’impresa fallirà. Il recovery risk riguarda l’incertezza sulla gravità
della perdita in caso di default. Il rischio di migrazione (migration risk)
consiste nella variazione del giudizio di qualità attribuito dalle agenzie di
rating e può sostanziarsi in un up-grading o down-grading, modificando la
percezione della rischiosità e determinando variazioni nel prezzo. Il rischio di
variazione dello spread consiste nella variazione dell’extra rendimento,
richiesto dagli investitori, dei corporate bond rispetto ai treasury bond della
stessa scadenza.
In particolare, gli studi sul rischio di credito fanno spesso riferimento a
grandezze quali:
- default rates: tassi di insolvenza annuali, per categoria di rating, ottenuti
dal rapporto tra i default avvenuti all’anno “t” e il numero di soggetti
esposti a rating nell’anno “t”
- cumulative default rate: probabilità d’insolvenza cumulata, per categorie
di rating, ottenuti a partire dai tassi di insolvenza in ciascun anno “t”. Sono
anche espressi come complemento ad 1 della produttoria dei tassi di
sopravvivenza.
- Perdita attesa: è ricavata dalla seguente equazione:
Valore Nominale del Corporate Bond x default rate x (1 – recovery rate)
- conditional default probability: la probabilità che l’emittente diventi
insolvente in T2 dopo essere sopravvissuto al tempo T1, essendo T2 ! T1.
- probabilità di migrazione: esprime la probabilità (generalmente annuale)
di transizione da una classe di rating ad un’altra fornita dalle agenzie di
rating mediante una “matrice di transizione”.
10
II. I “Credit Spread” e la “Credit spread Curve”
II.1 “Credit Spread”: la definizione
Per compensare il maggior rischio presentato dai corporate bond rispetto
ai treasury bond gli investitori richiedono un maggior rendimento: il
differenziale di rendimento è misurato dal “credit spread”.
La maggior parte degli studi di misurazione delle proprietà statistiche e
dell’individuazione delle determinanti dei “credit spread” definisce il
“corporate spread” come la differenza tra lo “yield to maturity” di un
corporate bond (o un indice di corporate bond) e lo “yield to maturity” di un
government bond (o un indice di government bond) con la stessa scadenza.
Elton-Gruber-Agarwal-Mann (1999)
1
evidenziano che questa prassi è da
abbandonare a favore di una definizione di “credit spread” fondata sui tassi
spot: il credit spread è da intendersi come la differenza tra il tasso spot di un
corporate bond e quello di un government bond della stessa scadenza.
La variazione che gli autori apportano alla definizione di credit spread è
giustificata, prima di tutto, dal fatto che la prima definizione non rispetta le
condizioni di non arbitraggio. Un “coupon paying bond” può essere
considerato come un portafoglio di zero coupon bond: ogni cash flow può
essere considerato come un titolo di puro sconto. Pertanto due corporate bond
caratterizzati da differenti yield to maturity ed uguale scadenza non indicano
necessariamente una opportunità di arbitraggio, ma due zero coupon bond con
diversi tassi spot ed uguale scadenza offrono indubbiamente una profittevole
opportunità di arbitraggio.
Il mancato rispetto della condizione di non arbitraggio comporta che gli
spread tra gli “yield to maturity” dei corporate bond e dei government bond
possono variare anche se c’è stato un semplice cambiamento nella forma della
term structure dei treasury bond. Pertanto, le variazioni degli spread “yield to
1
Elton, Gruber, Agrawal, Mann “Explaining the rate spread on corporate bonds”, working paper New
York University, September 1999
11
maturity” possono non rappresentare variazioni della rischiosità del singolo
bond o del mercato obbligazionario.
Data la complessità del concetto, ho ritenuto opportuno mettere a punto
una simulazione con l’ausilio di un foglio elettronico.
Ho considerato sette treasury bond e sette corporate bond con scadenza
pari a sette periodi diversi. I due bond (treasury e corporate) con scadenza
“uno” sono zero coupon bond. I bond treasury e corporate con scadenza 2, 3,
4, 5, 6, 7, per semplicità, si considerano aventi la stessa cedola e cioè
rispettivamente 3% – 3,2% – 3,5% – 4% – 4,2% – 5%. La simulazione è
naturalmente al lordo di tasse e di costi di transazione. Data una term structure
“treasury” ed una term structure “corporate” (seconda e quinta colonna) il
primo passo è quello di calcolare la yield curve “treasury” e la yield curve
“corporate” (terza e sesta colonna) e poi i credit spread “yield” ed i credit
spread “corporate” (settima e ottava colonna). I risultati sono riportati in
tabella 2.
Tabella 2 – Credit spread
TREASURY CORPORATE CREDIT SPREAD
Periodi Tassi spot Tassi ytm Periodi Tassi spot Tassi ytm cs term cs yield
1 0,02041 0,02041 1 0,03093 0,03093 0,01052 0,01052
2 0,02598 0,02589 2 0,03695 0,03686 0,01097 0,01097
3 0,02818 0,02805 3 0,04751 0,04709 0,01933 0,01904
4 0,03247 0,03216 4 0,05086 0,05033 0,01839 0,01817
5 0,03549 0,03495 5 0,05922 0,05804 0,02374 0,02309
6 0,03789 0,03718 6 0,06125 0,05996 0,02336 0,02278
7 0,03804 0,03729 7 0,06347 0,06180 0,02543 0,02451
Fonte: Elaborazione personale
Successivamente si simula un appiattimento (flattening) della term
structure “treasury” ed un flattening, della stessa intensità, della term structure
“corporate”. Si mantengono invariati i tassi spot relativi alle prime due
scadenze e si riducono i tassi spot relativi alle scadenze successive (sia per i
treasury che per i corporate) con degli shock assoluti pari a – 0,0037 , –
0,00578 – 0,00959 – 0, 01043 , – 0,00565. I risultati sono mostrati in tabella 3
12
Tabella 3 – Simulazione di flattening
TREASURY CORPORATE CREDIT SPREAD
Periodi Tassi spot Tassi ytm Periodi Tassi spot Tassi ytm cs term cs yield
1 0,02041 0,02041 1 0,03093 0,03093 0,01052 0,01052
2 0,02598 0,02589 2 0,03695 0,03686 0,01097 0,01097
3 0,02449 0,02447 3 0,04381 0,04350 0,01933 0,01903
4 0,02669 0,02656 4 0,04508 0,04478 0,01839 0,01822
5 0,02590 0,02584 5 0,04963 0,04900 0,02374 0,02316
6 0,02746 0,02725 6 0,05082 0,05010 0,02336 0,02285
7 0,03239 0,03151 7 0,05782 0,05606 0,02543 0,02455
Fonte: Elaborazione personale
Si può facilmente osservare che, mentre i credit spread “term”, per
costruzione, rimangono invariati, i credit spread “yield” mostrano
generalmente un aumento, ad eccezione naturalmente delle prime due
scadenze. Come previsto da Elton et al. i credit spread “yield” hanno
annunciato una variazione della rischiosità percepita dal mercato (in questo
caso un peggioramento), ma, come dimostrato, la loro variazione può essere
dovuta al semplice mutamento della forma della term structure “government”.
II.2 “Credit spread” e “agency rating”: due indicatori di
rischiosità
Sia i “credit spread” che gli “agency rating” sono espressivi della
rischiosità dei corporate bond. Per comprendere le differenze sostanziali tra i
due indicatori, bisogna far riferimento a due criteri di valutazione: “through
the cycle” e “point in time”.
Le agenzie di rating apportano in ritardo le variazioni delle proprie
valutazioni in parte perché sono restie a farlo e in parte perché utilizzano un
criterio di valutazione detto “through the cycle”. Le valutazioni delle agenzie
di rating derivano da una previsione del comportamento dell’emittente in un
arco temporale esteso e quindi da un giudizio di qualità creditizia indipendente
dalla specifica fase del ciclo economico attraversata.
L’approccio “point in time”, al contrario, consiste in un giudizio di
qualità condizionato dalla fase congiunturale in cui si trova l’impresa. Pertanto
questo metodo di valutazione giunge a determinare classi creditizie
13
caratterizzate da tassi di default più stabili nel tempo e tassi di migrazione più
elevati rispetto alla valutazione “point in time”.
La variazione del “credit spread” consiste nella variazione dell’extra-
rendimento, richiesto dagli investitori, del “corporate bond” rispetto al
“government bond” di uguale scadenza. Il downgrading o l’upgrading del
bond è uno dei principali fattori determinanti la variazione dello spread, ma
questo non toglie autonomia alle informazioni traibili dallo studio dei credit
spread.
L’evidenza empirica mostra una maggiore reattività dei credit spread a
variazioni dello stato di salute dei bond rispetto agli “agency rating”. I credit
spread, infatti, sono strettamente legati alle fasi di ciclo economico
2
.
Due componenti fondamentali dell’analisi del rischio di credito, e quindi
dei credit spread, sono rappresentate dal “default rate” e dal “recovery rate”.
Le fluttuazioni macroeconomiche impattano pesantemente su ognuna delle
due componenti. Pertanto, è facile osservare empiricamente un
comportamento ciclico dei credit spread, ovvero una tendenza ad aumentare
durante le fasi di ciclo economico recessivo e a diminuire durante quelle
espansive. Durante le espansioni, quando le imprese possono beneficiare di
utili mediamente più alti e di prospettive rosee, il valore dell’impresa aumenta.
Questo miglioramento di condizioni induce le banche e gli investitori
istituzionali a concedere crediti a tassi più favorevoli, determinando
l’espansione del credito, il sostenimento della fase espansiva e la contestuale
riduzione dei credit spread. L’espansione, a sua volta, causa una maggiore
inflazione che determina un aumento dei tassi di mercato. I profitti cominciano
a diminuire, le prospettive future diventano negative, il valore degli asset si
riduce ed il credito è contratto: i credit spread cominciano nuovamente ad
aumentare.
I risultati empirici evidenziano caratteristiche di “leading indicator delle
condizioni di business” dei credit spread: essi, infatti, riescono perfino ad
2
Debashis Guha, Lorene Hiris “The aggregate credit spread and the business cycle” IRFA 2002
14
anticipare le reali variazioni dei cicli macroeconomici.
II.3 La corretta costruzione della “credit spread curve” per
categorie di rating
Elton et al. (1999) si pongono l’obiettivo di stimare le curve di tassi di
sconto per categorie di rating e, pertanto, cercano di dare una risposta a come
sia possibile costruire gruppi di bond omogenei rispetto al rischio. Dato che le
curve di credit spread derivano dalla differenza tra le term-structure
“corporate” e “government”, facciamo tesoro delle loro osservazioni al fine di
individuare delle regole per la costruzione delle “credit spread curve” per
categorie di rating.
Elton et al utilizzano gruppi di bond appartenenti alla stessa classe di
rating: il loro modello di pricing deriva dalle stime della term-structure,
calcolate tramite la procedura Nelson – Siegel (trattata in II.4), per ogni classe
creditizia.
Anche se appartenenti alla medesima classe di rating, gli investitori
potrebbero assegnare ai bond un diverso grado di rischiosità a causa dei
“recovery rate”. Infatti, l’esistenza di bond della stessa impresa con rating
diversi implica che l’agenzia di rating creda che abbiano diversi “recovery
rate”. Pertanto, anche gli investitori possono credere che il bond “A” di
un’impresa con rating “Aa” abbia un “recovery rate” atteso più basso rispetto
ad un bond “Aa” della stessa impresa.
Moody’s e S&P determinano i loro rating in base sia al “default risk” sia
al “recovery rate”. I due fattori entrano nel giudizio di rating finale con pesi
diversi. Se i pesi utilizzati dalle agenzie coincidono con quelli che gli
investitori adoperano nelle loro valutazioni, non dovrebbero presentarsi errori
di pricing. I bond che hanno rating migliori dell’impresa hanno un rischio di
default maggiore e dei recovery rate più elevati rispetto ai bond che hanno lo
stesso rating dell’impresa. Elton et al. dimostrano che questi bond hanno un
prezzo di mercato più basso di quello stimato; questo significa che gli
15
investitori stanno dando maggior peso alla probabilità di default che non al
recovery rate calcolato dall’agenzia.
Alla luce di ciò è lecito chiedersi se, per il calcolo delle term-structure
“corporate” (e quindi delle credit spread curve) per categoria di rating, sia più
corretto utilizzare gruppi di bond della stessa categoria di rating o gruppi
formati da bond emessi da imprese con lo stesso rating. Gli errori di pricing
diminuiscono quando si usano i tassi spot stimati da gruppi formati da bond
con lo stesso rating, mentre aumentano quando sono utilizzati gruppi di
emittenti con lo stesso rating. Quindi, anche i credit spread devono essere
calcolati da tassi corporate stimati da gruppi di bond aventi lo stesso rating.
Tutti i bond all’interno di una classe di rating possono non essere
giudicati dagli investitori come bond aventi uguale rischio. A tal fine Moody’s
ha introdotto i segni “+” e “–” per identificare una diversa rischiosità
all’interno di ogni categoria di rating. A dimostrazione di ciò gli autori
mostrano empiricamente che, per tutte le categorie di rating, i bond con segno
“+” hanno un prezzo teorico sistematicamente più basso di quello di mercato,
mentre quelli con segno “-” hanno un prezzo teorico più alto. Inoltre, gli errori
tendono ad aumentare con le scadenze e al diminuire del rating.
Questi risultati suggerirebbero di stimare una curva di credit spread per
ogni sottoclasse, ma la scarsità di bond, nella maggior parte delle sottoclassi,
rende difficoltosa una stima di tassi spot significativi e di conseguenza credit
spread stabili e robusti.
In conclusione, la curva di credit spread per categorie di rating deve
essere stimata da gruppi costituiti da bond con lo stesso rating e, inoltre, deve
ignorare le sottoclassi.
II.4 La procedura “Nelson-Siegel ”
Molti studi sulle determinanti dei credit spread si avvalgono della
procedura Nelson-Siegel
3
per stimare le term-structure dei tassi dei “corporate
3
Nelson, Siegel “Parsimonious modeling of yield curves” Journal of Business, 1987