9
INTRODUZIONE
La criminalità è sempre esistita in ogni periodo storico e in ogni tipo di società, perché rappresenta
un elemento costitutivo naturale degli insediamenti umani. L’umanità però si evolve, dando vita a
nuove strutture sociali, e così si evolvono anche i crimini: oggi ci troviamo ad affrontare crimini
invisibili, che avvengono in una società immateriale, il cyberspazio, eppure molto più pericolosi di
quelli commessi nella realtà fisica.
Ci si chiede quindi quali siano le dinamiche dietro questo genere di crimini e se siano molto distanti
da quelli già conosciuti. A tal proposito, il primo capitolo propone le teorie del controllo sociale
elaborate nel secolo scorso da diversi sociologi. Queste teorie spiegano perché la maggior parte delle
persone non commettano reati, e siccome sono state sviluppate in un’epoca in cui Internet non
esisteva, servono a spiegare i rapporti conformi e devianti che le persone intrattengono tra loro e con
il loro ambiente di appartenenza, ai quali ora vanno aggiunti i rapporti con il cyberspazio e le sue
influenze nella realtà fisica.
Per questo motivo, il secondo capitolo mira ad integrare quelle teorie sociologiche, spiegando i
nuovi costrutti sociali e psicologici introdotti dall’uso diffuso di Internet. Nel capitolo sono presenti
elementi di cyberpsicologia e vengono analizzate le varie forme di disinibizione online, le
implicazioni positive e negative della disinibizione e le forme di dipendenza da Internet e dai
dispositivi informatici. L’analisi di tutti questi elementi conduce alla comprensione delle dinamiche
della società online, chiamata “network society”.
A partire dal capitolo successivo, vengono analizzati in modo approfondito diversi crimini di
nuova generazione. Nel terzo capitolo l’analisi si concentra sulla criminogenesi e sulla criminodina-
10
mica delle truffe affettive, sul modus operandi degli scammer e sulle conseguenze psicologiche sulla
vittima.
Il quarto capitolo tratta del revenge porn, e quindi della differenza rispetto al sexting, del problema
della vittimizzazione secondaria, dei movimenti nati per cercare di contrastare gli autori del reato e
della percezione del reato a livello mondiale. Il capitolo è inoltre arricchito da screenshot originali
delle chat segrete in cui viene commesso revenge porn, riportati da molteplici testate giornalistiche.
Il quinto capitolo pone l’attenzione sullo stalking informatico, proponendo la traduzione
dall’inglese all’italiano di tre documenti mai tradotti prima d’ora. Il primo documento analizza le
diverse tecniche utilizzate dagli stalker per raccogliere informazioni sulle loro vittime, e spiega i
metodi di profilazione del crimine; il secondo documento propone un nuovo metodo di profilazione
dello stalker informatico, elaborato tramite simulazioni digitali del comportamento dell’autore del
reato e della vittima, allo scopo di ridurre il tempo necessario alle indagini digitali; il terzo documento
analizza il problema della distanza fisica tra lo stalker informatico e la sua vittima: gli utenti
interessati potrebbero risiedere in Paesi diversi e ogni Paese sanziona il reato in modo diverso, quindi
questo rallenta le indagini e le procedure penali.
Nel sesto capitolo, in lingua inglese, vengono analizzati i fenomeni del body shaming e dello slut
shaming. Viene posta particolare attenzione al fatto che presi singolarmente non configurino reato,
ma che possano degenerare in condotte criminose, che spesso rientrano nel cyberbullismo, sanzionato
dal codice penale italiano. Vengono analizzate anche le cause di questi fenomeni e gli effetti che
possono avere sulle vittime.
11
Nel capitolo conclusivo sono proposti diversi metodi di prevenzione e soluzioni ai crimini trattati
nei capitoli precedenti. Segue poi una sezione dedicata alle considerazioni finali, in cui viene spiegato
quali metodi di prevenzione sono stati implementati per prevenire il crimine nella realtà fisica; questi
metodi vengono poi confrontati con le collaborazioni messe in atto negli ultimi anni per cercare di
contrastare il crimine informatico.
Questo elaborato mira ad accrescere la consapevolezza sul crimine informatico, sulle conseguenze
che le attività umane svolte online possono avere nella realtà fisica e sulla necessità, sempre più
urgente, di controlli che trascendano i confini nazionali.
13
CAPITOLO I
ASPETTI SOCIALI NELLE TEORIE DEL CRIMINE
1.0. Teorie del controllo sociale
Per comprendere come sia possibile una così vasta diffusione di tali crimini e l’emulazione che
avviene tra gli autori di essi, dobbiamo studiare le teorie del controllo sociale elaborate da sociologi
che si ispirarono alle idee della Scuola di Chicago.
La Scuola di Chicago è stata la prima scuola sociologica negli Stati Uniti d’America, nata i primi
anni del XX secolo. Questo periodo storico, in particolare gli anni Venti e Trenta, è stato caratterizzato
da grandi ondate migratorie verso gli Stati Uniti, che ne hanno cambiato per sempre la composizione
demografica e di conseguenza le dinamiche sociologiche: ben presto le città iniziarono ad essere
considerate le cause principali dei problemi delinquenziali, soprattutto perché gli emigrati,
discriminati dalla popolazione locale, erano concentrati soprattutto nelle aree più povere.
1
Quindi gli studiosi della Scuola di Chicago iniziarono ad occuparsi di sociologia urbana, ovvero
dello studio del comportamento umano nelle aree metropolitane, quindi del rapporto uomo-città.
Questi studiosi presero a modello la loro città d’origine, Chicago appunto, e alcuni di loro, come
Robert Ezra Park (1864-1944) ed Ernest Burgess (1886-1966), osservarono che essa poteva essere
divisa in zone concentriche immaginarie (La Città, 1925),
2
come mostrato in figura 1, alla pagina
successiva:
3
a) Il centro, chiamato anche “quartiere degli affari”, dove lavoravano la maggior parte delle
persone;
b) La cosiddetta “zona di transizione”, la più economica, in cui vivevano i nuovi immigrati che
non potevano permettersi di vivere nelle zone agiate e di percorrere lunghe distanze tra il loro
domicilio e il posto di lavoro. Era caratterizzata dalla presenza massiccia di fabbriche, case
fatiscenti e ruderi;
1
Scarpelli M., Criminologia e sociologia della devianza. Teorie ed evoluzione, LUISS Dipartimento di Scienze
Politiche, 2019.
2
Wkipedia, biografia di Robert Ezra Park, in en.wikipedia.org/wiki/Robert_E._Park, 09 maggio 2020.
3
Ernest Burgess: la nascita della sociologia urbana, in sociologicamente.it/ernest-burgess-la-nascita-della-sociologia-
urbana/, 09 maggio 2020.
14
c) La “zona residenziale operaia”, caratterizzata da condomini e case popolari, in cui la vita era
leggermente migliore rispetto a quella dei nuovi gruppi di immigrati nella zona di transizione;
d) La “zona residenziale borghese”, in cui si trovavano principalmente le villette di persone
benestanti. Era un’area caratterizzata da una sicurezza superiore alle altre zone;
e) La “zona dei pendolari”, in cui vivevano i lavoratori che non potevano permettersi una casa
più vicina al centro e volevano evitare la zona di transizione.
Gli studiosi Clifford Robe Shaw (1895-1957) e Henry Donald McKay (1899-1980) notarono che
la criminalità diminuiva man mano che ci si allontanava dal centro, quindi nel 1942 gli studiosi della
Scuola di Chicago elaborarono la teoria della “disgregazione sociale”:
4
le persone residenti nelle zone
più vicine al centro intrattenevano tra di loro rapporti superficiali e spesso temporanei, mentre nelle
zone più lontane i rapporti umani erano più forti e stabili.
5
Gli studi della Scuola di Chicago sono stati i primi in assoluto a dare una rilevanza al rapporto
delle persone con il loro ambiente di appartenenza; infatti, le teorie del controllo sociale che andremo
ad analizzare, proprio perché ispirate dalla Scuola di Chicago, continuano su questa strada, dando
però spazio anche ai rapporti delle persone con le istituzioni, con la famiglia e i processi mentali
dietro l’azione umana, sia essa conforme o deviante.
Queste teorie danno spiegazioni basate sulla genetica, la neurochimica, la sociobiologia, la
personalità e la matrice ambientale; il pessimismo nei confronti degli esseri umani che
contraddistingue alcune di queste teorie, ricorda il pensiero del filosofo Thomas Hobbes (1588-
1679),
6
infatti secondo i teorici del controllo sociale ci si dovrebbe sempre aspettare che le persone
4
Wikipedia, “Social disorganization theory”, in en.wikipedia.org/wiki/Social_disorganization_theory, 09 maggio 2020.
5
Williams III F.P., McShane M.D., Devianza e criminalità, tr. it. Il Mulino, Bologna 2002 (1994), p. 59.
6
Ibid., p. 159
Figura 1. Rappresentazione grafica di Chicago suddivisa in zone concentriche. [In sociologicamente.it/ernest-burgess-la-
nascita-della-sociologia-urbana/, 09 maggio 2020.]
15
compiano degli atti devianti, in particolare non dovremmo chiederci perché le persone delinquono,
ma piuttosto: “perché le persone rispettano le regole?”.
7
Si possono distinguere alcuni punti essenziali
che spiegano perché tutti non commettono reati:
• La devianza nasce quando viene interrotto o inibito il controllo sociale;
• Gli individui non compiono reati sulla base di motivi o fattori specifici;
• Se manca il controllo, è naturale che avvenga la trasgressione;
• L’impulso a commettere reati è presente in maniera uniforme in ogni tipo di società.
8
L’obiettivo di queste teorie è dunque cercare di capire cosa impedisca agli individui di delinquere.
Il processo di socializzazione è la forma di controllo più efficace, perché tramite esso vengono
insegnate regole e norme, sia a livello informale (famiglia) sia formale (scuola), infatti queste teorie
vengono chiamate anche “teorie della socializzazione”.
9
1.1. Teoria di Durkheim
Come abbiamo visto, le teorie del controllo sociale servono a spiegare cosa, a livello sociale,
impedisce agli individui di commettere atti dannosi per gli altri. La prima spiegazione fu data nel
1895 dal sociologo francese Émile Durkheim (1858-1917). Dopo aver esaminato diverse
organizzazioni sociali in varie parti del mondo, Durkheim concluse che la criminalità è presente in
ogni tipo di società, quindi essa è “normale”. Se questo è vero, significa che la criminalità ha un suo
ruolo nella società, e che la sua assenza la renderebbe anormale per definizione. Infatti, in Regole del
Metodo Sociologico, Durkheim affermava: “Quando ci si accinge a spiegare un fenomeno sociale,
bisogna cercare separatamente la causa efficiente che lo produce e la funzione che esso assolve”.
10
7
Ibid.
8
Baccaro L., Psicologia criminale. Personalità, psicopatologia e profili criminali, s.e., s.l., 2017, p. 28.
9
Williams III F.P., McShane M.D., cit., p. 159.
10
Bellè A., “Durkheim, la teoria sociologica”, in cultura.biografieonline.it/durkheim-teoria/, 03 maggio 2020.
16
Sempre secondo Durkheim, la devianza aiuta dunque a mantenere l’ordine sociale, in quanto i
“confini” tra atti consentiti e disapprovati sono vaghi; essi infatti sono determinati dalla reazione
sociale al comportamento deviante, e tale reazione “insegna” alle persone cosa non devono fare. In
poche parole, per Durkheim il comportamento è controllato dalla reazione sociale (che ha diversi
gradi: dall’indignazione all’imprigionamento).
11
Ciò che permette di definire quali azioni siano reati,
e quindi in grado di scatenare una reazione sociale di contrasto, sono le leggi. Le leggi infatti servono
a combattere un comportamento che entra in conflitto con gli interessi legali di altre persone,
12
quindi
secondo il sociologo gli individui compiono atti devianti quando si trovano in una condizione di
anomia (= “assenza di legge”), ovvero quando non hanno più modelli da seguire, né punti di
riferimento.
13
Per dimostrare che la criminalità definisce i confini da rispettare, Durkheim fece l’esempio della
“società di santi”: in questa società non esisterebbero quei crimini che invece avvengono nella società
reale, ma sarebbe comunque definito il concetto di criminalità, che si configurerebbe in
comportamenti per noi irrilevanti, ma considerati pericolosi e condannabili dai santi, come non dire
una preghiera prima di ogni pasto o dire una bestemmia; i santi allora percepirebbero una minaccia
per la loro società e riterrebbero necessario un controllo per garantire l’ordine sociale e per far capire
alle persone quali siano i confini dei comportamenti accettati.
14
Da questa teoria si evince quindi che le persone non delinquono, se all’interno della società in cui
vivono è ben chiaro quali comportamenti sono accettati e quali invece disapprovati. In altri termini,
una forte reazione sociale negativa, spingerebbe le persone a non ripetere il comportamento che l’ha
provocata.
11
Williams III F.P., McShane M.D., cit., p. 162.
12
Wikipedia, biografia di Émile Durkheim, in it.wikipedia.org/wiki/%C3%89mile_Durkheim, 03 maggio 2020.
13
Pignato S., “Socializzazione, gruppi, controllo sociale e devianza”, in www.liceovergadrano.edu.it/wp-
content/uploads/2017/11/Socializzazione-gruppi-controllo-sociale-e-devianza.pdf, 09 maggio 2020.
14
Williams III F.P., McShane M.D., cit., p. 162.
17
1.2. Teoria di Reiss
Nel corso degli anni cinquanta, molti criminologi spiegarono la delinquenza basandosi sulle teorie
del controllo sociale, così aprirono la strada all’approccio criminologico contemporaneo. Dai tempi
di Durkheim, i concetti di personalità e socializzazione sono diventati sempre più comuni.
Nel 1951, Albert J. Reiss (1922-2006) combinò i concetti di “personalità” e “socializzazione” con
il lavoro della Scuola di Chicago, costituendo una teoria del controllo sociale che anticipò molti lavori
successivi. Reiss sosteneva che la delinquenza fosse il risultato di:
• Autocontrollo non sviluppato durante l’infanzia;
• Allentamento dell’autocontrollo sopracitato;
• Assenza di (o conflitto con) regole condivise da gruppi sociali fondamentali (come ad esempio la
famiglia, la scuola, le amicizie ecc.).
L’autocontrollo, lo sviluppo di esso e la condivisione di regole sociali predominanti sono elementi
costitutivi del controllo sociale, quindi se vengono a mancare in un individuo, questo sarà più portato
a delinquere.
Questi fattori furono considerati così esplicativi che vennero ripresi dalla quasi totalità dei teorici
del controllo sociale che scrissero dopo Reiss; in effetti, le sue tesi riassumono al meglio la teoria del
controllo sociale.
15
1.3. Teoria di Nye
Nel 1958 F. Ivan Nye (1918-2014) osservò un legame tra famiglia, controllo sociale e
comportamento scorretto dei giovani, quindi elaborò una nuova teoria.
16
Secondo il sociologo, ogni
individuo sarebbe dominato da istinti animali e fin dalla nascita propenso a violare le norme sociali,
propensione che verrebbe limitata dalla società in cui l’individuo vive; in particolare, il maggior
controllo lo eserciterebbe la famiglia.
17
Quindi Nye distinse quattro tipi di controllo che possono
favorire o inibire il comportamento deviante:
15
Ibid. p. 163.
16
University of Greenwich, “Foundations of Criminology”, “Social Control Theories”, in www.studocu.com/en-
gb/document/university-of-greenwich/foundations-of-criminology/lecture-notes/social-control-theories/3353377/view,
03 maggio 2020.
17
Malizia N., “Dalla devianza alla rivalutazione della vittima”, in
books.google.it/books?id=Cv2hDwAAQBAJ&pg=PA115&lpg=PA115&dq=teoria+del+controllo+sociale+reiss&sourc
e=bl&ots=dC--
TirDmj&sig=ACfU3U2BEnYIqmrvxhNgpi2z5W0HtbvlzQ&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjrrcGzjJjpAhVhsYsKHYEh
DKUQ6AEwA3oECAkQAQ#v=onepage&q=teoria%20del%20controllo%20sociale%20reiss&f=false, 03 maggio
2020.
18
• “controllo interno”, attivato dai valori appresi in famiglia e da altre persone rilevanti per
l’individuo, nonché dalle norme sociali condivise (rappresenta la coscienza);
• “controllo indiretto”, esercitato dall’affetto verso i genitori e altre persone conformi importanti
per l’individuo;
• “controllo diretto”, derivato dagli insegnamenti e le punizioni praticati dalla famiglia;
• “soddisfazione dei bisogni legittimi”, sulla quale è la società stessa ad esercitare il controllo, e se
questo viene meno le persone possono ricorrere a mezzi non conformi per raggiungere i propri
obiettivi.
Secondo Nye, quando il controllo indiretto è forte, si dovrà ricorrere meno al controllo diretto e un
forte controllo interno necessita meno di altre forme di controllo.
18
1.4. Teoria di Reckless e Dinitz
Questa teoria viene chiamata “teoria del contenimento”. Essa descrive la delinquenza come il
risultato del tipo di interconnessione tra “forma di controllo interna” e “forma di controllo esterna”.
Walter Reckless (1899-1988) e il collega Simon Dinitz (1926-2007) esclusero dalla teoria sia i
comportamenti causati da disturbi mentali e della personalità, sia quelli causati dall’esercizio di ruoli
particolari, come avviene tra i membri della criminalità organizzata.
Il contenimento interno viene considerato uno degli elementi del Sé, gli altri sono ad esempio
l’autocontrollo, l’autostima, la resistenza alle frustrazioni e ai cambiamenti forzati, la responsabilità.
Il contenimento esterno sarebbe costituito dall’ambiente sociale, cioè dalla famiglia, la scuola, le
strade alternative alla delinquenza. Per quanto riguarda il contenimento interno, secondo Reckless le
persone hanno una “concezione di sé” che inizia a formarsi da quando sono molto giovani, ed essa
può influenzare il comportamento dell’individuo. Infatti, se la persona ha una concezione di sé nega-
18
Ibid., 03 maggio 2020.
19
tiva, allora i controlli sociali saranno poco o per niente efficaci, mentre la persona con una concezione
di sé positiva non commetterà reati anche se i controlli sociali dovessero essere deboli. Per quanto
riguarda invece il contenimento esterno, Reckless credeva anche nell’esistenza di “pulsioni verso il
crimine”, che prima o poi tutti percepiscono; il passaggio dalla pulsione all’atto criminale effettivo
dipende dalla forza dei due tipi di contenimento di un individuo.
È evidente che Reclkess desse molta più importanza alle forme di contenimento interne.
19
1.5. Teoria di Sykes e Matza
Grazie al lavoro di David Matza (1930-2018), il controllo sociale esterno acquisì un ruolo
predominante: egli sostenne che tutti, compresi i membri delle classi sociali inferiori, sono legati al
sistema di valori dominante. Partendo da questo assunto, Matza nel 1957 collaborò con Gresham
Sykes (1922-2010) per dimostrare che gli individui si sentono liberi di compiere reati dopo aver
utilizzato delle tecniche di neutralizzazione, chiamate anche “di normalizzazione”, che sono fruibili
da tutti, non soltanto dalle classi inferiori. Queste tecniche permettono all’individuo di percepire come
giustificabile l’azione che sta per compiere, quindi vengono momentaneamente “sospesi” i valori
condivisi per avere uno spazio di libertà d’azione. Sykes e Matza individuarono cinque forme di
neutralizzazione:
• Negazione della responsabilità; in questo caso l’autore considera l’azione compiuta più
forte del controllo che avrebbe potuto esercitare su di essa. Il soggetto percepisce sé stesso
sempre in preda a situazioni che non può controllare. Questa tecnica è rappresentata dalle
parole: “Non volevo farlo”;
• Negazione del danno; grazie a questa tecnica, l’autore può autoconvincersi del fatto che
le sue azioni non danneggino nessuno, perché la vittima può permettersi di subire danni o
19
Williams III F.P., McShane M.D., cit., p. 163.
20
perdite. Le parole che rappresentano questa tecnica sono: “Non intendevo fare del male a
nessuno”;
• Negazione della vittima; in questo caso gli atti compiuti non rappresentano dei crimini,
l’autore li ritiene giusti perché si stava vendicando di un torto subito dalla vittima, che
quindi non è più una vittima. La tecnica si riassume nelle parole: “Mi hanno portato fino a
questo punto”;
• Condanna di chi condanna; in questo caso l’autore ritiene che le persone che disapprovano
le sue azioni non siano del tutto affidabili, infatti le accusa di essere ipocrite o vendicative.
Questa tecnica è rappresentata dalle parole: “Ce l’hanno con me”;
• Richiamo a lealtà più alte; grazie a questa tecnica, la lealtà ad amici e conoscenti diventa
per il reo più importante delle regole sociali condivise, infatti si può riassumere nelle
parole: “Si aiuta sempre un amico” oppure: “Non l’ho fatto per me”.
20
Nel 1964, Matza elaborò il concetto di legame con l’ordine morale, che serviva a spiegare il legame
tra le persone e i valori sociali dominanti. Una volta neutralizzati i valori dominanti, l’individuo si
ritrova in una situazione incerta, nella quale può decidere di tornare sulla strada della conformità
oppure intraprendere quella della devianza. Secondo Matza, alla base di un’azione c’è sempre la
volontà di compierla, che allontana da questa situazione incerta (= drift, “deriva”) e rende possibile
prendere una decisione. A questo punto, il comportamento sarà conforme o deviante in base alla
situazione e alla tecnica di neutralizzazione utilizzata.
21
1.6. Teoria di Hirschi
Travis Hirschi (1935-2017) nella sua teoria (1969) riprese la teoria dell’attaccamento (1958) di
John Bowlby (1907-1990), e la applicò a livello sociale. La teoria di Bowlby infatti analizzava il
rapporto tra madre e figlio, l’importanza delle risposte della madre ai bisogni del figlio nel primo an-
20
Williams III F.P., McShane M.D., cit., p. 165.
21
Ibid.
21
no di età e le conseguenze psicologiche di tali risposte sul bambino.
22
Quindi Hirschi tradusse il
rapporto tra madre e figlio in rapporto tra individui e valori condivisi, le risposte della madre in limiti
imposti dalla società e le conseguenze psicologiche del bambino in caratteristiche dei legami sociali.
La teoria di Hirschi rappresenta la versione più completa e più nota della teoria del controllo
sociale. Egli riuscì a definire in modo più chiaro il concetto di legame sociale, ispirandosi anche ad
altri teorici della sua corrente:
• Da Durkheim prese la moralità, infatti Hirschi riteneva che le norme interiorizzate, la coscienza
e il desiderio di approvazione favorissero la conformità;
• Da Sykes e Matza prese la “libertà” di una persona di scegliere che strada intraprendere (conforme
o deviante), ma abbandonò le tecniche di neutralizzazione in favore dell’indebolimento o rottura
dei legami sociali.
Secondo Hirschi, gli individui non commettono crimini per una ragione specifica, semplicemente
sono egoisti, quindi cercheranno sempre di ottenere la maggiore quantità possibile di benefici. I limiti
imposti dalla società servono ad arginare questa ricerca continua, ma quando questi limiti si
indeboliscono, allora la ricerca egoistica si sprigiona.
23
Hirschi riconobbe quattro caratteristiche dei legami sociali:
• L’attaccamento a realtà importanti per l’individuo (parenti, amici, autorità, istituzioni), la cui
forza può ostacolare il comportamento deviante. Questo elemento è quindi alla base della
conformità, di conseguenza è considerato il più importante;
• Il coinvolgimento in attività, siano esse conformi o devianti. Questo elemento rappresenta il
tempo, l’energia, l’impegno che un individuo spende nello svolgimento di un’attività, quindi i
soggetti che partecipano attivamente alla vita sociale, impegnandosi in attività conformi, hanno
22
Iacucci M., “La teoria dell’attaccamento”, in http://psicocognitiva.altervista.org/it/la-teoria-dell-attaccamento/terapia-
cognitiva/la-teoria-dell-attaccamento, 1° maggio 2020.
23
Williams III F.P., McShane M.D., cit., p. 166.
22
meno tempo da dedicare ad attività devianti ed è meno probabile che siano interessati ad esse;
• L’impegno investito nella società conforme. Coloro che dedicano molte energie nell’istruzione,
nella carriera o nel costruirsi una buona reputazione, avrebbero molto da perdere se venissero
scoperti a commettere reati, perché diminuirebbe il valore del loro investimento;
• La convinzione di seguire le regole sociali condivise. Questo elemento rappresenta il sentimento
che anima coloro che decidono di seguire la strada della conformità. I soggetti conformi infatti
sentono l’obbligo morale di rispettare tali regole, perché si identificano in quei valori proposti
dalla società in cui vivono.
Se una di queste caratteristiche si allenta, allora aumenta la percezione di poter compiere reati
liberamente.
24
In breve, secondo Hischi gli individui intraprendono comportamenti devianti se non si riconoscono
nel sistema di valori condiviso dalla società. Questi valori vengono interiorizzati stando a contatto
con soggetti conformi, mentre la frequentazione di soggetti devianti porta alla delinquenza.
25
1.7. Teoria di Gottfredson e Hirschi
La versione più recente della teoria del controllo sociale è la teoria generale della criminalità, o
dell’autocontrollo, enunciata da Michael Gottfredson (1951) e Travis Hirschi tra il 1983 e il 1990. I
due autori partirono dal presupposto che il crimine deve essere innanzitutto gratificante per il soggetto
che vuole compierlo, deve cioè portargli dei benefici che siano superiori alle conseguenze negative
previste. Questo assunto portò i due teorici a convincersi del fatto che la causa del crimine fosse
soprattutto un basso autocontrollo. Più è limitato l’autocontrollo del soggetto, maggiori saranno le
possibilità che questo intraprenda la strada della devianza. L’autocontrollo viene acquisito nel corso
24
Ibid.
25
Unisal, “Teoria del controllo sociale”, in https://www.yumpu.com/it/vettorato.unisal.it, 1° maggio 2020.