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INTRODUZIONE
La questione del c.d. “Fine Vita” rappresenta senza alcun dubbio una delle
tematiche più controverse, che hanno caratterizzato questo primo ventennio degli
anni 2000.
Il presente elaborato ha quindi lo scopo di indagare i profili più controversi,
cercando di raccogliere, chiarire e riproporre in chiave critica le differenti
posizioni che si sono venute a creare.
Il dibattito giurisprudenziale, politico e sociale che ha per oggetto il presente
lavoro, abbraccia naturalmente, non solo l’annosa questione dell’eutanasia ma
anche, naturalmente, la spinosissima questione dell’aiuto al suicidio - che viene
discussa in particolare nel terzo capitolo – nonché del diritto
all’autodeterminazione.
Il quadro sopra delineato si completa con la nuova linfa che la tematica de
quo ha ricevuto grazie alla recentissima l. 219/2017 nonché al caso Cappato e le
conseguenti: ordinanza n. 207/2018 e sentenza n. 242/2019 della Corte
Costituzionale.
Prima di passare, però, all’analisi degli interventi politici e giurisprudenziali
sembra necessario comprendere il quadro generale nel quale si muove il dibattito
sul fine vita.
Lo studio si apre, dunque, nel primo capitolo, analizzando i profili di quelle
che sono le principali tematiche legate alle c.d. “scelte di fine vita”; in particolare
è stato ritenuto opportuno incominciare l’indagine dalla regolamentazione del
diritto alla salute e la libertà di curarsi, prendendo a riferimento i parametri
costituzionali per poi dirigersi verso un esame preliminare degli istituti della legge
219/2017.
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Nel secondo capitolo si prospetta un’esegesi degli istituti previsti dalla l. n.
219/2017. Si opera, dunque, una valutazione critica dell’operato del legislatore in
particolare prendendo a riferimento, in primo luogo, la figura del paziente c.d.
“competent”, per poi soffermarsi con grande attenzione alle c.d. disposizioni
anticipate di trattamento (D.A.T).
Proprio queste ultime hanno incidentalmente provocato un dibattito nel
dibattito scontrandosi con la complessissima tematica dell’obiezione di coscienza
e che è oggetto di grande approfondimento nella parte centrale del secondo
capitolo.
Il secondo capitolo si chiude infine con la ridefinizione del consenso
informato predisposta proprio all’interno della legge 219/2017.
Nel terzo capitolo, che conclude la presente indagine, si passa in rassegna la
spigolosa questione dell’aiuto al suicidio prendendo a rifermento il recentissimo
caso Cappato e proponendo una personalissima riflessione sul tema, soprattutto in
funzione della recentissima sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale.
Ad ogni buon conto si propone un’analisi di tipo comparatistico dei
principali rimedi adottati dai legislatori europei e non sulla definizione delle
politiche che regolano il fine vita.
L’indagine così strutturata prelude a delle conclusioni sicuramente non
facili.
Sommessamente si rileva come nell’affrontare la questione della liceità
dell’aiuto a morire all’interno della cornice dei valori costituzionali, la posizione
di aiuto al suicidio e di istigazione al suicidio finiscono per confondersi tra loro
ingenerando una confusone che merita sicuramente di essere al più presto chiarita.
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CAPITOLO I
I.I. EVOLUZIONE POLITICO-SOCIALE DELLE SCELTE DI FINE
VITA.
La tematica che questo lavoro si propone di affrontare riguarda la
controversa e dibattuta tematica delle “decisioni di fine vita”, da considerarsi
ormai una questione assolutamente non più eludibile, dal punto di vista giuridico,
oltre che da quello etico-morale e culturale.
L’argomento de quo è stato oggetto di ampissima discussione nella gran
parte delle società del c.d. mondo occidentalizzato riconoscendo un ruolo
determinante al riconoscimento e alla valorizzazione dei “diritti dell’uomo”.
Tale riconoscimento, come erroneamente potrebbe presumersi, non ha preso avvio
con il processo di integrazione europea, ma risale agli albori dell’età moderna,
appartenendo ai paesi fondatori dell’Unione, in particolare attraverso la pratica del
costituzionalismo.
Con il summenzionato termine si indica il movimento incardinato sul
riconoscimento, la promozione e la tutela dei diritti dell’uomo nella costituzione,
vale a dire la Legge Fondamentale dello Stato, e si è sviluppato tramite un
trapianto sistematico di costruzioni giuridiche (le costituzioni, appunto)
dall’Inghilterra al continente, con la mediazione importante e decisiva degli Stati
Uniti
1
.
Il tema dei diritti umani è stato affrontato, in Europa, da ogni sistema
giuridico attraverso gli strumenti suoi propri: in Germania, dove essi sono stati
oggetto di una elaborazione teorica ricca e sempre più sofisticata, in Inghilterra,
dove si sono affermati attraverso la prassi giudiziale, e soprattutto in Francia, da
considerarsi il paese leader, come modello legislativo di riferimento a partire da
quando, nel 1789, venne approvata la “Déclaration des droits de l’homme et du
citoyen”. Con tale atto veniva posto il primo tassello alla stagione dei diritti,
coevo alla formazione dello stato moderno di fine Settecento.
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Si può immaginare quanto sia vasta la bibliografia in materia di diritti umani. Per alcuni riferimenti essenziali, che
mettono in luce i profili storici e comparatistici indicati nel testo, si rinvia a: P. CARETTI e G. TARLI BARBIERI, I diritti
fondamentali. Libertà e diritti sociali, Torino, 2017, passim; M. FLORES, Storia dei diritti umani, 2008; P. RIDOLA,
Diritti fondamentali. Un'introduzione, Torino, 2006, passim; G.P. ORSELLO, Diritti umani e libertà fondamentali, Milano,
2005, passim; G. GOZZI (a cura di), Storia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, Bari, 2007, passim; P. RIDOLA,
(RIDOLA, Libertà e diritti nello sviluppo storico del costituzionalismo, 2006), in R. NANIA e P. RIDOLA, I diritti
costituzionali, Torino, 2006, I, p. 3; G. CONCETTI (a cura di), Diritti umani. Dottrina e prassi, Roma, 1982, passim.
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Questo atto ha sancito un passaggio estremamente importante in un’epoca
che può definirsi di transizione e di contraddizioni importanti mai del tutto risolte:
la differenza razziale, la disparità tra i sessi, le discriminazioni religiose.
Il fermento generato da questo primo riconoscimento dei diritti umani ha generato
un importantissimo processo di trasformazione nei rapporti tra governanti e
governati causato dall’affermazione dei diritti civili e politici con il simultaneo
smantellamento dei privilegi di un ceto sociale ed il sorgere di un modello nuovo
di società che pone al centro del sistema l’individuo, libero ed uguale.
A poco meno di un secolo e mezzo dall’approvazione della “Dichiarazione
dei diritti dell’uomo e del cittadino” veniva approvata, in Germania, la
“Costituzione di Weimar” del 1919.
Il modello teutonico differisce da quello francese, soprattutto per quanto
riguarda i contenuti. Infatti, viene qui abbandonata la visione atomistica ed
individualistica della società e dei diritti che tanto aveva caratterizzato il secolo
precedente, recuperando la dimensione sociale dell’esistenza umana.
Da tale concezione consegue il riconoscimento allo Stato di un ruolo
fondamentale ed imprescindibile, allo scopo di poter garantire diritti collettivi e
solidarietà-sicurezza sociale; viene così a delinearsi un sistema nel quale i diritti
dell’uomo si affermano non più solo come libertà dallo Stato, ma anche come
libertà attraverso lo Stato.
Il processo di innovazione sopra esposto ha subito una brusca interruzione,
naturalmente, durante il periodo nazista trovando nuovo impulso con la fine della
Seconda Guerra Mondiale.
Solo con il ripristino delle garanzie democratiche, è risorto anche un nuovo
costituzionalismo caratterizzato dal collocamento dei diritti dell’uomo in una
dialettica nuova tra poteri pubblici e forme di controllo costituzionale, dove i
capisaldi della centralità dell’uomo e della sua anteriorità rispetto allo Stato
escono addirittura rafforzati rispetto alle esperienze costituzionali precedenti
l’esperienza nazista. Qui il riconoscimento dei diritti umani si attesta su basi
comunque diverse e lontane dalla tradizione liberale, in cui alla realizzazione
piena dei diritti provvede il diretto interessato. Sono ora i poteri pubblici che
esercitano un ruolo attivo, derivatogli da veri e propri obblighi costituzionali.
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La Costituzione italiana, come noto, è figlia appunto di questa seconda
stagione dei diritti.
L’art. 2, infatti, ribadisce la centralità della persona umana, laddove recita
esplicitamente che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale”.
Come si evince chiaramente dalla seconda parte della disposizione, si
conferma nella nostra Carta un’impostazione che si distanzia dal modello
illuministico e che ne caratterizza l’intero impianto: è il principio solidaristico,
secondo cui l’uomo è parte integrante di una società dove bisogna garantirgli di
vivere in condizioni adeguate e dignitose, allo scopo di potergli permettere di
realizzare integralmente la sua personalità
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.
In tale contesto, sono molti i diritti che si riaffermano come sfera di
intangibilità dell’individuo. Tra questi figura, ad esempio, l’art. 13 Cost. sulla
inviolabilità della libertà personale.
Altro importante esempio è costituito dall’art. 32 Cost., che, oltre a
consacrare il diritto alla salute a fondamentale (e quindi, inviolabile) diritto
dell’individuo, stabilisce al secondo comma il divieto di trattamenti sanitari
obbligatori, essendo ancora fresca, anche in questo campo, la memoria degli orrori
nazisti con le diffuse pratiche di sperimentazione clinica.
I diritti in questione si collocano, però, in un contesto in cui non rileva più,
esclusivamente, l’individuo singolo, libero ed uguale, ma l’essere umano, come
inserito nella realtà sociale di cui è parte; è in questa prospettiva che l’art. 3,
proclamando il principio di uguaglianza, afferma che tutti i cittadini hanno,
innanzitutto, pari “dignità sociale”.
Il valore della persona umana e della dignità dell’uomo rilevano, in eguale
direzione, sia nei confronti dei pubblici poteri sia nei rapporti tra privati come, ad
esempio, il limite allo svolgimento dell’iniziativa economica privata (art. 41
comma 2 Cost.) e, nell’ambito del rapporto di lavoro, il diritto del lavoratore ad
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Per tutti F.P. CASAVOLA, I diritti umani, Padova, 1997, passim; A. BALDASSARRE, voce Diritti sociali, in Enc. giur.
Treccani, 1989, p. 772 ss.; P. CALAMANDREI, L'avvenire dei diritti di libertà, in G. PECORA (a cura di), La libertà dei
moderni, Milano, 1997, passim. (G.F., 2001) (MONTANARI, 2002; GIACOBBE, Autodeterminazione, famiglia e diritto
privato, 2010)