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Uno strumento relativamente giovane se si considera che, nonostante
sia entrato in vigore nel 1998, i primi accertamenti ai fini tributari, sono stati
emessi a partire dal 2002; quindi è solo di recente che gli uffici tributari e i
contribuenti si sono ritrovati a colloquiare sui motivi del mancato adeguamento
ai risultati degli studi.
Ed è stato proprio in questa fase, che si è potuto constatare come
eventuali lacune riguardanti conoscenze e competenze tecniche sulla materia,
finiscano per condurre a criticità nella gestione delle problematiche
applicative, con riflessi anche sugli sforzi fatti, sia dall’Amministrazione che dai
contribuenti, per realizzare uno strumento capace di individuare, con le
migliori probabilità, la capacità reddituale delle aziende.
Per gli operatori coinvolti, abituati ad argomentare in termini di
interpretazione giuridica delle norme e delle loro applicazioni, nasce la
necessità di avvicinarsi correttamente a questo nuovo mondo concettuale,
dato che il procedimento statistico per determinare l’imponibile attraverso uno
strumento del genere è abbastanza misterioso agli occhi di un giurista. In
questo senso, nel decidere se rispetto all’attività esercitata dal contribuente
sia più adeguato il reddito dichiarato o quello parametrico, occorre
necessariamente considerare le novità delle tecniche utilizzate nella
costruzione degli studi di settore e, di conseguenza si impone una loro
adeguata conoscenza.
Senza questo percorso conoscitivo, le comuni valutazioni circa la
capacità degli studi di settore di rappresentare le reali situazioni economiche,
rischiano di essere inficiate all’origine da equivoci concettuali in quanto, il
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travisamento delle logiche che sottendono la loro costruzione, finisce
inevitabilmente per coinvolgere anche l’interpretazione delle norme tributarie e
la gestione dei rapporti con i contribuenti.
L’esigenza è, dunque, quella di riuscire a coniugare i criteri tradizionali di
determinazione del reddito imponibile, che utilizzano i classici paradigmi
giuridici, tributari e contabili, con il sistema rappresentativo delle variabili
aziendali, proprio degli studi di settore, il quale utilizza anche altri paradigmi,
rinvenibili in diverse discipline, come la statistica descrittiva e la
microeconomia. In altre parole, quello che si vuole sostenere è che se la
dimensione giuridico-tributaria-contabile rimane il nucleo fondamentale degli
aspetti applicativi degli studi di settore, quella statistico-matematica ne spiega
la ratio. Ma le due dimensioni non sono separate, bensì strettamente
connesse e contestualmente coinvolte in ogni fase degli studi di settore.
Quindi, anche le fasi interpretative ed applicative non possono essere
correttamente sviluppate prescindendo dalla conoscenza dei meccanismi
elaborativi degli studi di settore.
Nel primo capitolo, dopo aver effettuato una breve analisi storica
dell’evoluzione delle metodologie di accertamento dei redditi, ho analizzato i
nuovi studi di settore nel contesto del sistema fiscale italiano specificandone,
nella sostanza: cosa sono, funzioni ed obiettivi preposti; i contribuenti nei
confronti dei quali esplicano la loro efficacia, le concrete modalità di
accertamento ed i soggetti che partecipano alla loro elaborazione.
Gli studi di settore sono uno strumento utile a valutare la capacità di
produrre ricavi o conseguire compensi da parte delle piccole e medie imprese
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e degli esercenti attività di lavoro autonomo e sono elaborati sulla base non
solo di dati di carattere fiscale, ma anche facendo riferimento ad una serie di
elementi strutturali che qualificano tanto la singola attività produttiva, quanto il
contesto economico e territoriale in cui la stessa viene svolta. La filosofia
sottesa consiste nel creare un “modello virtuale di contribuente” da raffrontare
anno per anno con il contribuente reale in modo che, qualora emergano
risultati reddituali inferiori al modello, la conseguenza sarà di considerare tale
divergenza indice di evasione, salvo che l’interessato riesca a giustificare lo
scostamento. Individuando sia i fattori interni, afferenti il processo produttivo
delle singole aziende, sia quelli esterni ad esse, ma comunque idonei a
rappresentare validamente quella che è la situazione di mercato, gli studi di
settore si propongono di misurare, in maniera oggettiva, quel livello di ricavi o
compensi verosimili che, senza troppa opinabilità, può derivare dall’attività di
qualsiasi contribuente ad essi assoggettato. Si tratta, quindi, di un processo di
valutazione microeconomica di quelle attività economiche definite “hard to
tax”; processo reso possibile grazie ad un insieme di sofisticate metodologie
statistico-matematiche applicate all’insieme dei dati forniti dalla totalità dei
contribuenti ed il cui risultato viene fatto confluire in un software applicativo
denominato Ge.Ri.Co., acronimo di gestione dei ricavi e costi. L’elaborazione
dei dati immessi nel citato software consente di verificare la posizione del
soggetto interessato in relazione a tre distinti aspetti della sua “normalità
statistico-contabile”: la congruità dei ricavi o compensi dichiarati rispetto al
ricavo puntuale stimato dalla funzione di ricavo;la normalità economica basata
su specifici indicatori economici che hanno la funzione di far emergere
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eventuali anomalie rispetto a comportamenti normali degli operatori del
settore, incidendo direttamente sull’’analisi di congruità attraverso un effetto “a
cascata” in termini di maggiori ricavi; la coerenza rispetto ai principali
indicatori economici-contabili atti a segnalare la normalità statistica dei conti
aziendali e, quindi, a misurare il livello di efficienza economica in rapporto ad
imprese operanti nello stesso settore. Un ulteriore elemento di novità che
merita di essere segnalato è la partecipazione dei contribuenti, sia
singolarmente sia attraverso le rispettive organizzazioni rappresentative di
categorie, in tutte le fasi di costruzione degli studi di settore. Una
partecipazione attiva e continua che prosegue, all’interno degli Osservatori
provinciali e della Commissione di esperti, per garantire la manutenzione e la
revisione degli studi nel tempo, in funzione del mutato scenario economico. In
questo modo si è cercato di spostare il baricentro del rapporto fisco-
contribuente verso il confronto trasparente, basato su una costruttiva
collaborazione dialettica e orientato a superare quell’atteggiamento guardingo
e diffidente che ha sempre contraddistinto i rapporti tra l’Amministrazione
Finanziaria ed i soggetti tassati.
Nel secondo capitolo passo ad analizzare la dimensione tecnica degli
studi di settore fornendo una dettagliata descrizione delle metodologie
statistiche utilizzate nella loro costruzione. L’elaborazione degli studi di settore
ha richiesto la specificazione di un modello empirico basato sull’approccio del
data mining in quanto, attraverso l’osservazione di un insieme di contribuenti,
appartenenti allo stesso settore di attività economica, si vogliono identificare
quegli elementi contabili ed extracontabili che maggiormente contribuiscono
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alla determinazione di una variabile reddituale, individuata dai ricavi e dai
compensi. Preliminare alla costruzione di tale modello è la raccolta della base
informativa sulla quale effettuare le successive analisi statistiche. A tal fine si
predispongono degli opportuni questionari da inviare alla totalità dei
contribuenti che svolgono le attività oggetto di indagine. Pertanto, almeno
negli intenti, la rilevazione è concepita come rilevazione totale e non
campionaria, per poter acquisire una base informativa il più possibile ampia e,
quindi, attendibile. Nella successiva fase di costruzione del prototipo si
identificano, per ciascun settore di attività economica, gruppi di contribuenti
omogenei in base alle caratteristiche strutturali comuni. A tal fine è stata
seguita una strategia di analisi che combina due tecniche statistiche: la prima,
basata su un approccio multivariato configurato come un'analisi in componenti
principali, consente di ridurre il numero delle variabili originarie di una matrice
di dati, attraverso l’individuazione di combinazioni lineari delle variabili
inizialmente osservate, denominate componenti principali, che sono
indipendenti tra loro e che spiegano il massimo possibile della varianza totale
delle variabili di partenza in modo da non disperdere l’informazione originaria;
la seconda, basata su un procedimento di Cluster Analysis, consente di
classificare le imprese al fine di formare gruppi (cluster) il più possibile
omogenei al loro interno ed eterogenei tra di loro, mettendo in evidenza le
caratteristiche strutturali che accomunano i soggetti appartenenti allo stesso
gruppo. Individuati i cluster di contribuenti nell’ambito di ogni settore, si passa
a stimare, per ciascuno di essi, la funzione matematica che meglio si adatta
all’andamento dei ricavi o dei compensi degli operatori economici interessati,
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ricorrendo al metodo della Regressione Multipla. Tale tecnica descrive
l’andamento di una variabile dipendente (ricavi) in funzione di una serie di
variabili indipendenti (dati contabili ed extracontabili delle imprese),
presumibilmente causative del fenomeno da stimare, in relazione alla loro
significatività statistica. Nel caso degli studi di settore la stima dei parametri di
regressione viene effettuata ricorrendo al metodo dei minimi quadrati che
minimizza lo scostamento tra valori osservati e valori teorici rappresentati
dall’interpolante dei valori osservati, mentre la significatività delle variabili
candidate ad entrare nella funzione viene valutata ricorrendo all’algoritmo
stepwise.
La fase applicativa degli studi di settore, fa ricorso all’analisi
discriminante e, più precisamente, alle tecniche di decisione basate su principi
probabilistici bayesiani. Si tratta di un metodo che permette di individuare la
relazione tra una variabile qualitativa y, caratterizzata da un numero prefissato
di modalità, ed un numero q di variabili , di solito quantitative, ad essa
collegate, che sono considerate esplicative. In questo modo è possibile
attribuire i singoli contribuenti ad uno o più cluster (variabile qualitativa)
tenendo conto delle probabilità di appartenenza calcolate sulla base dei valori
assunti da ciascuna variabile presente nella funzione ricavo (variabili
quantitative). Il passo finale è il calcolo del ricavo puntuale ottenuto come
somma dei prodotti tra i coefficienti della funzione dei ricavi del cluster di
appartenenza ed i valori delle variabili del contribuente a cui quei coefficienti
fanno riferimento.
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Il procedimento metodologico appena descritto, pur essendo improntato
all’obiettività scientifica, risente di alcuni punti deboli che si ricollegano, in
molti casi, alle scelte discrezionali operate da chi è chiamato a gestire l’intero
processo. L’analisi delle criticità individuabili nell’elaborazione degli studi di
settore, e delle loro ripercussioni sui profili applicativi, formano l’oggetto del
terzo capitolo. Le mie maggiori perplessità riguardano i criteri di selezione
della popolazione di riferimento. La scelta di effettuare una rilevazione totale
ha comportato l’invio del questionario a tutte le unità che compongono
l’universo oggetto di indagine. Come avviene per tutte le rilevazioni totali, il
numero dei questionari effettivamente presi in considerazione per la
successiva analisi non riguarda il 100% della popolazione di riferimento
poiché, di fatto, una parte dei contribuenti commette nella compilazione errori
che inficiano l’attendibilità delle informazioni comunicate, mentre un’altra parte
ignora l’obbligo di trasmettere il questionario all’Agenzia delle Entrate.
Esaminando i dati forniti dalle note tecniche e metodologiche, è possibile
notare come il combinato agire di questi due fattori provoca una forte
contrazione della base informativa di partenza, per cui, parlare di rilevazione
totale risulta inappropriato. Si tratta, invece, di un campione la cui costruzione
dà adito ad alcuni dubbi circa la sua reale capacità rappresentativa, e quindi,
alla possibilità di pervenire a risultati da estendere all’intera popolazione
obiettivo.
Infatti, se da una parte la numerosità campionaria risulterebbe
comunque salvaguardata, maggiori perplessità si addensano sulla
composizione delle unità che formano il campione, le quali sembrerebbero
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discendere da un meccanismo discrezionale, se non addirittura fortuito,
finendo per analizzare la posizione dei contribuenti più motivati o di coloro che
hanno riposto maggiore diligenza nella compilazione del questionario.
Un ulteriore rilievo critico, a lungo sottovalutato ma che sembra acquisire
maggiore dignità nel dibattito odierno, attiene al controllo dei dati e, in
particolare, alla loro veridicità ai fini della corretta ed affidabile elaborazione di
uno studio di settore. Qualsiasi dato prima di essere utilizzato deve essere
sottoposto ad un’analisi accurata per verificarne la qualità i cui caratteri, nel
caso in esame, sono l’accuratezza, la completezza, la controllabilità, la
coerenza nel tempo e nello spazio. Solo il rispetto di questi caratteri
consentirà di rendere pubblici i risultati raggiunti e trasparenti i processi di
elaborazione dei dati. Nel caso degli studi di settore, Il processo di selezione
delle dichiarazioni utilizzate per la stima dei parametri è particolarmente
severo ma poco trasparente, considerato il comportamento del contribuente
che può fornire dati errati per disattenzione, per ignoranza, per carenza di
documentazione ma non sono pochi i casi in cui si può parlare di volontà
preordinata. Il problema assume rilevanza in quanto una eventuale distorsione
nei dati di partenza si riflette automaticamente sull’intero impianto
metodologico seguito, conducendo, di conseguenza, a risultati ugualmente
distorti.
Alcune vulnerabilità sono rinvenibili anche in relazione alle tecniche
statistiche utilizzate. E’ il caso della regressione multipla che presenta in
maniera additiva e disgiunta gli effetti prodotti sui ricavi stimati dai vari
elementi contabili e strutturali ritenuti esplicativi degli stessi.
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Tale disaggregazione marginalistica del complesso dei ricavi in singole
quote è quanto di più artificiale si possa immaginare rispetto alla realtà
aziendale, finendo per contrastare anche con quello che rappresenta uno dei
fondamenti teorici degli studi di settore, vale a dire la concezione sistemica
che vede l’azienda come un complesso integrato capace di produrre ricavi in
quanto tale.
Il lavoro si conclude con alcune considerazioni riguardo al tema centrale
del dibattito sugli studi di settore: la natura della presunzione che legittima
l’applicazione degli studi di settore. Si tratta di capire se la complessa
procedura matematico-statistica debba essere considerata come una
presunzione semplice o come presunzione legale relativa. L’argomento è di
grande rilievo pratico, in quanto dalla sua definizione derivano gli effetti
concreti per la platea dei soggetti interessati.
Sulla base delle osservazioni svolte, ritengo che il metodo di
accertamento mediante gli studi di settore debba necessariamente basarsi su
presunzioni semplici. Infatti, l’iter che conduce dal fatto noto al fatto ignoto, pur
basandosi su una sofisticata ricostruzione statistica dell’ammontare dei ricavi
e dei compensi delle piccole imprese e dei professionisti, non può assurgere a
“verità inconfutabile”, in quanto soffre di evidenti criticità che ne
compromettono la possibilità di estenderne i risultati alla totalità dei
contribuenti. La tesi che voglio sostenere, dunque, è che gli studi di settore,
producendo un mero dato statistico, non possono essere legittimamente usati
per invertire l’onere della prova in maniera automatica, ma devono essere
sempre supportati da una successiva attività accertatrice da parte dell’Ufficio
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volta a dare concretezza documentata all’ipotesi di evasione. Non si mette in
dubbio che gli studi di settore possano essere utilizzati dall’ amministrazione
Finanziaria ai fini di contrastare i fenomeni di evasione, ma allo stesso modo
bisogna prendere atto che costringendo il contribuente a difendersi da una
realtà che non è la sua, lo si mette immediatamente in una posizione di
svantaggio, con grave violazione del suo diritto di difesa. Un utilizzo improprio
finirebbe per indurre nel contribuente la sensazione di essere di fronte più ad
una vessazione che ad un accertamento, compromettendo, in tal modo, quel
clima di fiducia e collaborazione reciproca funzionale al perseguimento del
massimo livello di adesione agli obblighi fiscali e al raggiungimento dell’equità
fiscale.