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quelle precedenti e la distingueranno da quelle future. Risulta perciò difficile
e, soprattutto poco significativo, definire concettualmente, tramite dei criteri
oggettivi, cosa sia una crisi, poiché ogni definizione potrebbe essere adeguata
per alcune crisi, ma rivelarsi non confacente ad altre. Per cui tenendo conto
dell’esistenza di diverse cause generatrici di altrettanti diversi stati di crisi,
l’analisi si sposta sulla differenza esistente tra semplice declino e stato di crisi
vero e proprio.
Sulla base di queste premesse, il Capitolo Secondo inquadra il tema
della gestione delle crisi d'impresa. In tale capitolo, l'attenzione sarà
focalizzata sulle modalità di prevenzione e di individuazione degli stati di
crisi. Solo da un valido e approfondito lavoro di individuazione si possono
impostare diagnosi corrette e interventi risanatori appropriati.
L'individuazione delle cause, inoltre, è fondamentale per una corretta
diagnosi. In tale ottica, vengono presentati i principali strumenti di diagnosi
della crisi, tra cui l'analisi dei bilanci, dei quozienti di bilancio, finanziaria, di
mercato e della formula imprenditoriale. Dalle analisi suddette scaturisce la
scelta se mantenere in vita l’impresa o se liquidarla: la convenienza tra l’una
o l’altra scelta è l’oggetto dell’ultima parte del secondo capitolo.
Il Capitolo terzo, il cuore di codesto lavoro, si concentra, invece, sulle
soluzioni di risanamento dell’impresa in crisi. Anche in questo caso l’analisi
si sdoppia tra la possibilità di intraprendere la via giudiziale e quella di
intraprendere la via stragiudiziale al risanamento. Dopo un attenta
considerazione sui vantaggi e svantaggi delle procedure pubbliche, l’analisi si
sposta sul turnaround e quindi sulla formulazione del vero e proprio piano di
risanamento, consistente nella predisposizione del piano finanziario e del
piano industriale. Secondo i maggiori esperti internazionali di turnaround, si
possono distinguere tre tipi di piano che si distinguono in quanto a tempi di
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realizzazione e al differente orizzonte visivo: il piano di emergenza, con il
quale l'impresa tenta di tamponare ed arrestare l'emorragia economico-
finanziaria mediante strategie volte alla riduzione dei costi e tagli di attività,
tipica di ogni crisi acuta, con l'obiettivo di generare flussi di cassa positivi; il
piano di stabilizzazione, con il quale si cerca di riportare l’impresa
all’equilibrio economico; e il piano di rilancio, che intende riportare l’impresa
ad adeguati risultati e a livelli di performance paragonabili a quelli precedenti
al declino.
L’oggetto del Capitolo Quarto è concentrato sull’individuazione del
ruolo svolto dall’advisor nella predisposizione del piano di risanamento,
nonché nella gestione dei non facili rapporti con i creditori, che rappresentano
i maggiori destinatari del piano.
Lo studio nel Capitolo Cinque dello stato di crisi di una grande impresa
bancaria italiana, quale il Banco di Napoli (vecchia gloria del Mezzogiorno),
e delle caratteristiche che ha assunto il processo di risanamento, ha permesso
di trovare conferma in quanto si era sottolineato nella prima parte teorica di
questo lavoro. La prima parte del capitolo in questione è dedicata all’analisi
delle cause delle crisi bancarie e degli interventi di soluzione, al fine di
introdurre alcuni concetti chiave che saranno poi esplicati nell’analisi del
caso. Si è preferiti suddividere la tormentata vicenda del risanamento del
Banco di Napoli in tre paragrafi: l’uno dedicato al risanamento condotto negli
anni ’90, quando ancora era un’azienda pubblica, e alle accese discussioni
aperte attorno sia alla predisposizione del piano, sia alla cessione avvenuta a
favore della cordata INA-BNL per pochi miliardi di lire; l’altro dedicato alla
ristrutturazione del Banco, all’alba del nuovo millennio, realizzata dal nuovo
acquirente, il S. Paolo-IMI; l’ultimo dedicato all’analisi del progetto di
fusione, previsto dal S. Paolo, come ultima fase del processo di risanamento.
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PARTE PRIMA
LE CRISI D’IMPRESA E LE STRATEGIE DI
RISANAMENTO
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Capitolo primo
LE CRISI D’IMPRESA
1.1. Le crisi: alcune definizioni
Ogni organizzazione è caratterizzata da un ciclo vitale, risultante dalla
successione delle seguenti fasi: creazione (aggregazione ed organizzazione a
scopo sinergistico degli elementi costitutivi), evoluzione (processo di
adeguamento, di sviluppo e di implementazione), decadenza (progressiva
incapacità di rispondere alle sollecitazioni dell’ambiente e di porre in essere
le condizioni per il raggiungimento degli obiettivi) ed estinzione
(disgregazione del complesso e cessazione dell’attività).
La vita delle “organizzazioni imprese” si svolge dunque, sia pure in
varie misure, con un’alternanza di fasi positive e negative.
Le situazioni di crisi aziendale, pur presentando il carattere di
eccezionalità, sono componenti permanenti del sistema produttivo moderno
ed hanno subito una rilevante accentuazione nel corso dell’ultimo decennio,
registrando una crescita superiore al 200% (si è infatti passati, secondo le
statistiche giudiziarie elaborate dall’ISTAT, da un numero di fallimenti
dichiarati pari a 5.967 del 1981 a 13.407 del 1998).
Il carattere distintivo delle crisi aziendali degli anni novanta non è
costituito soltanto dalla loro diffusione e pervasività: esse infatti si rivelano,
rispetto a quelle del passato, anche più complesse nei tempi, nei modi di
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10
manifestazione e nelle soluzioni adottate per il loro fronteggiamento
1
.
Possiamo sintetizzare quelle che sono le principali peculiarità delle
situazioni patologiche aziendali degli anni novanta:
− la tipologia di azienda in dissesto (grandi imprese, gruppi
finanziari, gruppi industriali diversificati);
− il superamento di logiche di gestione delle crisi basate sulla
filosofia del salvataggio da parte dello stato;
− il ruolo assunto dai creditori, soprattutto bancari, nell’ambito della
predisposizione e della gestione dei piani di ristrutturazione;
− gli attori coinvolti (banche d’investimento, società di consulenza,
singoli professionisti);
− l’ampio spettro delle soluzioni di risanamento.
Quanto a quest’ultimo aspetto, particolare attenzione è riservata alla
ricerca di sistemi di gestione delle crisi sempre più efficienti ed efficaci, come
risposta alla ridotta efficienza delle procedure concorsuali, sia in ordine ai
costi e ai tempi necessari per il loro svolgimento, sia all’identificazione delle
imprese che debbano essere ristrutturate.
1
Su questo argomento si veda Bertoli, Crisi d’impresa, ristrutturazione e ritorno al valore, (cap. 1, vari punti).
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Tali sistemi di gestione delle crisi dovrebbero rispettare alcune caratteristiche
fondamentali, quali:
− salvaguardare le imprese generatrici di valore (ovvero quelle che
presentano un valore di funzionamento maggiore del valore di
liquidazione) e liquidare quelle non economiche;
− incentivare il soggetto economico a minimizzare i costi di agenzia;
− tutelare i diritti dei creditori;
− minimizzare i costi sopportati dagli altri portatori di interesse;
− minimizzare i costi di gestione dell’insolvenza;
− favorire un regolamento concorsuale tempestivo;
− favorire le rinegoziazioni privatistiche, che possono in taluni casi
regolare a minor costo l’insolvenza.
Per un’ impresa gli equilibri strutturali e di base
2
ai quali tendere sono
principalmente i seguenti:
− equilibrio tra domanda e capacità produttiva;
− equilibrio tra fabbisogni finanziari e relativi mezzi di copertura;
2
Si rimanda a S. Sciarelli, La crisi d’impresa, (Cedam, Padova, 1995, cap. 1 da pag. 1 a pag. 14)
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− equilibrio, cioè giusta proporzione, tra mezzi propri e capitale
investito (debt ratio), nonché tra capitale netto e immobilizzazioni
nette (margine di struttura).
I suddetti equilibri trovano complessiva e sintetica espressione in un
conveniente rapporto tra le varie classi dell’attivo e del passivo patrimoniale,
nonché tra i componenti positivi e negativi di reddito. L’attuazione in misura
adeguata degli equilibri dianzi indicati costituisce un’imprescindibile
condizione per l’ottenimento di risultati soddisfacenti e, quindi, per la
competitività, la sopravvivenza e lo sviluppo di ogni impresa, evitando così
l’innesco della spirale squilibri e inefficienze, perdite economiche, insolvenze,
dissesto
3
.
SQUILIBRI E INEFFICIENZE
PERDITE ECONOMICHE
INSOLVENZE E SQUILIBRI FINANZIARI
AGGRAVAMENTO DELLE PERDITE ECONOMICHE
DISSESTO/DECLINO/CRISI
3
Confrontare AA.VV, Economia delle aziende industriali e commerciali, (Egea, Milano, 1992, pag. 472)
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Un alto grado di efficienza ed efficacia può essere raggiunto solo a
condizione che tutti i settori e i centri di attività siano razionalmente
organizzati oltre che sviluppati in modo equilibrato e compatibile. L’attività
direttiva ed organizzativa dovrà essere orientata a tal fine, mirando alla
realizzazione di una situazione di armonia, equilibrio e adeguamento ai
cambiamenti ambientali.
Equilibrio non significa necessariamente livellamento e assenza di
situazioni conflittuali, ma armonico sviluppo di dimensioni, attività, mezzi,
funzioni, etc. E quando un’attività d’impresa non è tesa al raggiungimento di
tale sviluppo equilibrato e armonico, si manifesta una situazione teratistica
ovvero un fenomeno caratterizzato da squilibrio, disarmonia e anomalia
d’insieme, in altre parole crisi.
In particolare, si ha crisi d’impresa quando “si crea uno squilibrio
economico-finanziario destinato a perdurare e a portare all’ insolvenza e al
dissesto in assenza di opportuni interventi di risanamento”. Una crisi
attraversa quattro stadi: una fase preliminare, una acuta, una cronica e una
risolutiva.
Il momento decisivo è rappresentato dalla fase acuta, dove il confine tra
semplice declino e crisi vera e propria è molto labile: durante tale fase la crisi
ha sì assunto caratteri gravi e di forte compromissione degli equilibri
aziendali, ma non ha ancora raggiunto lo stadio dell’irreversibilità, del punto
di non ritorno, dove è inevitabile il fallimento o la liquidazione dell’azienda.
È solo nella fase acuta reversibile che è possibile evitare lo spettro della crisi
risolutiva, naturalmente dopo un’attenta valutazione delle cause, delle
possibilità di rimuoverle e della convenienza economica della loro rimozione.
Nessuna organizzazione, nessun processo, organismo o sistema sociale
posto in essere dall’uomo è destinato a perdurare e/o funzionare in eterno, né
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tanto meno un’impresa. È la legge del capitalismo: arriva un momento, un
dato istante della vita aziendale in cui occorre prendere delle decisioni
drastiche e repentine, ponendo in discussione le scelte del passato realizzando
cambiamenti di fondo nella mission e negli obiettivi dell’impresa, nella sua
strategia e nei suoi principali aspetti gestionali (cultura manageriale, stili di
direzione, assetto organizzativo generale, strutture fondamentali e
meccanismi operativi), “re-ingegnerizzando” e rimodellando l’intero sistema
per garantire un funzionamento economico e produttivo e ripristinare le
originarie condizioni di gestione.
1.2. La distinzione tra declino e crisi
Il fondamentale obiettivo aziendale è l’accrescimento del valore del
capitale economico. La variazione della dimensione del capitale economico
può essere misurata con appropriate formule valutative; e quando, in seguito a
tale misurazione, si palesano accrescimenti nulli o negativi della grandezza in
questione, ciò significa che l’impresa non realizza adeguatamente la propria
finalità istituzionale di autogenerazione nel tempo: è su tale base che risulta
possibile distinguere due momenti di diversa gravità: il declino e la vera e
propria crisi
4
.
Il concetto di declino può essere collegato all’ottenimento di una
performance negativa in termini di variazione di valore in un definito arco
temporale, per cui un’impresa è in declino quando perde valore nel tempo. Ciò
non significa che essa generi necessariamente perdite economiche, ma che i
4
Si veda Bertoli, Crisi d’impresa, ristrutturazione e ritorno al valore, (Egea, Milano, cap. 1)
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suoi flussi economici, pur se positivi, registrino un andamento decrementativo
nel tempo: è la perdita di capacità reddituale dell’impresa a determinare
dunque una situazione di declino.
La crisi in senso stretto rappresenta un’ulteriore degenerazione rispetto
alle condizioni del declino. Tecnicamente si tratta di uno stato di grave
instabilità originato da rilevanti perdite economiche, da conseguenti forti
squilibri nei flussi finanziari, dalla caduta della capacità di credito per perdita
di fiducia (da parte dei clienti, dei fornitori, del personale, etc.),
dall’insolvenza (ossia dall’incapacità di far fronte ai pagamenti in scadenza), e
dal dissesto (ossia da uno squilibrio patrimoniale definitivo). L’insolvenza,
misurata in termini di flussi, indica l’incapacità dei flussi finanziari generati
dall’impresa di far fronte alle obbligazioni in essere; il dissesto, misurato in
termini di stock, palesa una situazione tale per cui il valore delle attività è
insufficiente a garantire il rimborso dei debiti. La crisi è la fase conclamata del
declino, cioè la conseguenza dell’accumularsi di risultati sfavorevoli di
gestione, dovuto all’incapacità del gruppo imprenditoriale e manageriale di
governare i complessi rapporti tra le dinamiche esterne ambientali e quelle
interne aziendali: il deficit finanziario della gestione viene aggravato dalla
perdita di fiducia da parte del mercato e l’insolvenza diventa irrimediabile
senza consistenti interventi di ristrutturazione industriale e finanziaria.
Il verificarsi di uno stato di crisi aziendale non è imputabile
esclusivamente ad un drastico e improvviso cambiamento ambientale;
normalmente essa si configura come l’emersione di un lento deterioramento
nel tempo della strategia e della struttura aziendale
5
.
Le imprese nel corso del loro ciclo di vita non possono prescindere
dall’esigenza di cambiamenti, che possono interessare sia lo scenario nel
5
Confrontare S. Sciarelli, La crisi d’impresa: percorso gestionale di risanamento delle piccole e medie
imprese, (Cedam, Padova, 1995, pag. 8).
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quale si colloca l’impresa (cambiamenti riguardanti il mercato, la tecnologia,
le influenze e la pressione della società, la concorrenza, i mezzi di
informazione, la situazione politico-sociale, il contesto legislativo e così via);
sia l’impresa stessa (cambiamenti che riguardano le politiche di
diversificazione, l’orizzonte di mercato e la conseguente struttura
organizzativa, l’atteggiamento concorrenziale, lo sviluppo dimensionale,
etc.). Detti cambiamenti debbono essere convenientemente gestiti al fine di
garantire la sopravvivenza dell’impresa nonché di cogliere le opportunità
derivanti da tali mutamenti. Capacità morfogenica, capacità di adattamento e
un elevato grado di flessibilità sono i requisiti richiesti per poter competere
sul mercato
6
; in mancanza di ciò le imprese conservano la natura di sistema
chiuso che tende alla conservazione della propria originaria forma, a
perpetuare strategie di gestione tattiche e politiche dimostratesi appropriate in
relazione a situazioni passate, con la conseguenza di accentuare il grado di
staticità e il rischio di trovarsi, prima o poi, ad affrontare stati di crisi. Nel
corso della gestione si individuano, infatti, fasi di adattamento, fondate su
cambiamenti incrementali o di tipo lineari, e fasi di evoluzione, basate su
cambiamenti per salti quantistici o di tipo esponenziale
7
.
La crisi è dovuta al sommarsi di più cause, all’incapacità di individuarle
tempestivamente e qualificarli come eventi pregiudizievoli, e al ritardo degli
interventi di correzione. Le condizioni caratterizzanti uno stato di crisi sono
tre:
1. la sorpresa, ovvero la percezione improvvisa della situazione di
grande difficoltà aziendale;
6
Confrontare S. Sciarelli, Il sistema d’impresa, (Cedam, Padova, 1982, pag. 37, nota n. 1).
7
Vedi M. Tushman, W. H. Newman, E. Romanelli, in Gestire l’irregolare cammino dell’evoluzione
organizzativa, (pag. 69).
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2. il limitato tempo di reazione, legato all’urgenza di assumere
decisioni e promuovere interventi di fronteggiamento delle crisi;
3. la seria compromissione del raggiungimento degli obiettivi.
A tali condizioni è possibile associare tre eventuali risposte:
a. l’inazione, quando si ritiene che la situazione è destinata a risolversi
positivamente per il verificarsi di nuovi eventi;
b. assunzione di decisioni di routine, allorché la crisi si ritenga
fronteggiabile mediante una risposta organizzativa;
c. l’assunzione di decisioni originali, allorché la crisi non appaia
reversibile con il patrimonio di conoscenze a disposizione e scelte
già sperimentate.
Un’azienda è in crisi quando non è più in grado di soddisfare il suo
equilibrio economico, di soddisfare le attese degli stakeholders e quando non è
in grado di garantire tale soddisfacimento per un intervallo di tempo non
breve. Nelle indagini miranti all’accertamento delle situazioni di crisi
assumono un’importanza preponderante l’analisi riguardante la “tendenza” dei
risultati economici, più che l’osservazione dello stato di “economicità”
8
.
L’equilibrio fondamentale è quello economico; è difficile imbattersi in crisi
esclusivamente a matrice finanziaria, che cioè si leghino ad ipotesi di
sottocapitalizzazione in fase di avviamento dell’impresa o all’aumento di
8
Vedi C. Vergara in Disfunzioni e crisi aziendali, (pag. 50).
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fabbisogno finanziario dovuto all’ampliamento del capitale circolante e
conseguente ad uno sviluppo rapido e finanziariamente non sostenibile del
giro d’affari (overtrading). In questi casi il ripristino dell’equilibrio finanziario
è sufficiente per risolvere la presunta condizione di crisi. Se questa, invece, ha
radici economiche legate a fattori di carattere tecnico-produttivo e
commerciale (decadimento dei prodotti, produzione non competitiva quanto a
costi, prezzi e qualità, insufficiente attività promozionale), di carattere
organizzativo strutturale e strategico, il riequilibrio finanziario non può mai
assumere un valore risolutivo perché non è in grado di eliminare le cause delle
perdite economiche che fanno emergere anche squilibri finanziari, richiedendo
queste cause altri tipi di interventi.
Una crisi a matrice finanziaria può manifestarsi solo in due ipotesi o
momenti di vita aziendale: nella fase di avvio, allorché l’insufficienza di
mezzi propri può impedire la nascita dell’impresa, o nella fase di sviluppo
dimensionale, quando la crescita è superiore alle dotazioni iniziali di mezzi
propri. In questi casi sarà sì difficile porre rimedio all’errore finanziario-
patrimoniale legato al mancato rispetto delle esigenze della nascita e della
crescita, ma è pur vero che, anche in presenza di tali errori, un progetto
d’investimento economicamente valido permette di reperire le risorse
finanziarie sul mercato.
Individuare e valutare le componenti economiche e finanziarie della crisi
aziendale è il primo obiettivo da raggiungere per impostare correttamente gli
interventi di risanamento. Responsabile di tale compito è di chi governa
l’azienda: per evitare che date situazioni critiche portino ad una crisi aziendale
si rende necessario cogliere tempestivamente tali situazioni ed intervenire
efficacemente. Ma nella realtà molto spesso accade che il management non si
renda conto del progressivo deterioramento delle condizioni di gestione, che
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sia incapace di individuare i sintomi della crisi e che sia inadatto a
fronteggiarla con la dovuta tempestività.
Nella maggioranza dei casi lo stato di crisi viene avvertita dal gruppo
proprietario o da qualche stakeholders (molto spesso, sono le banche che
fungono da agente rivelatore della crisi, in quanto avvertono, nella pesante
situazione finanziaria aziendale, i problemi di una crisi che, se non affrontata
tempestivamente, potrà porre in pericolo la sopravvivenza aziendale e i loro
crediti). L’ emersione di una crisi rappresenta una prova dell’incapacità del
gruppo dirigenziale di valutare i livelli di efficacia ed efficienza della
gestione, di prevedere le tendenze in atto dell’ambiente e del mercato, di
analizzare l’andamento della congiuntura e dei suoi effetti sull’impresa.
Non è un caso che molte imprese nell’attuazione del processo di
risanamento ricorrono ad un nuovo management, in sostituzione o in aggiunta
al preesistente vertice aziendale, temporaneamente (temporary management) o
definitivamente.
Il tempo è una variabile fondamentale per la continuazione dell’attività,
dopo aver constatato le difficili condizioni in cui imperversa l’impresa. Infatti
la gravità di una crisi può essere misurata dai tempi disponibili per il suo
fronteggiamento: più che dall’entità delle risorse da investire, è il grado di
urgenza che segnala la minore o maggiore gravità della crisi. Come già si è
avuto modo di specificare, il momento critico è rappresentato dalla fase acuta
in cui la crisi è ancora reversibile, ovvero non si è superato il limite al di là del
quale ogni tipo di intervento sarebbe inutile. L’elemento dell’urgenza genera,
da un lato, la necessità di assumere decisioni immediate, che servono ad
avviare il processo di risanamento; dall’altro, di porre in essere interventi
decisivi, in proiezione meno breve, ai fini della risoluzione del problema.