Introduzione
3
La struttura dell’analisi proposta affronta l’argomento delle crisi bancarie
articolandosi in quattro capitoli.
Nel primo capitolo si fornisce il quadro di riferimento del lavoro,
affrontando i problemi legati alla definizione del concetto di crisi della banca,
alle cause e alle modalità di manifestazione.
Tra i diversi punti di vista da cui può essere analizzato il fenomeno delle
crisi bancarie, è stato privilegiato quello microeconomico, che focalizza
l’attenzione sulle cause della crisi che attengono più propriamente alla gestione
aziendale e che ha reso utile la distinzione tra cause esterne ed interne.
Anche l’analisi delle modalità d’identificazione delle criticità è stata
analizzata tenendo presente questo punto di vista.
Tuttavia, rimane piena consapevolezza dello stretto legame fra aspetto
microeconomico e macroeconomico delle crisi bancarie
2
.
Inoltre, dato che la principale negatività del dissesto di una banca è una
diffusa distruzione di ricchezza, si analizza la distribuzione dei costi tra gli
stakeholders e il tentativo di quantificarli da parte di alcuni studi empirici.
Nel secondo capitolo si illustrano gli strumenti per l’analisi tecnica delle
banche, in considerazione dell’aumento dell’importanza del monitoraggio
cartolare a seguito del passaggio alla vigilanza prudenziale. Le sole regole
prudenziali, infatti, non sono sufficienti a garantire la stabilità delle banche e le
ispezioni on-site hanno una frequenza incompatibile con le attuali esigenze di
conoscenza delle situazioni delle banche. Un costante controllo della situazione
tecnica delle banche e dei gruppi bancari è indispensabile per prevedere e
prevenire l’insorgere delle crisi.
L’analisi dell’evoluzione futura degli equilibri aziendali è cresciuta
d’importanza in seguito allo sviluppo di moderne tecniche informatiche per
l’elaborazione dei dati e l’affinamento di modelli statistici volti alla previsione
delle situazioni di crisi.
2
In linea con Caprio e Kligebiel (1999): “…although macroeconimic factors are important,
microeconomic and incentive factors likely are key to determining the magnitude of banking problems
and in some cases are even the main cause.”, pag. 292.
Introduzione
4
Da cui, lo stretto legame logico tra elaborazione delle informazioni e
formulazione delle previsioni, motivazione principale della scelta di accostare
modelli d’analisi e modelli di previsione.
Il core business dell’attività di vigilanza della Banca d’Italia è la costante
osservazione delle situazioni finanziarie e dei comportamenti delle banche,
insieme all’analisi delle strutture organizzative e della trasparenza
dell’informazione resa attraverso statistiche e bilanci.
Nonostante la disponibilità e l’interesse riscontrati in Banca d’Italia, su
molti aspetti operativi della Vigilanza vige un rigido segreto d’ufficio. In via
formale non è stato possibile ottenere informazioni più dettagliate sulle
procedure interne, sul contenuto delle valutazioni e sull’esistenza di specifici
modelli di previsione delle crisi. Una riservatezza che pare giustificata dal timore
di suggerire ai manager bancari il modo di “aggiustare” i dati contabili da fornire
alla Vigilanza per ottenere i giudizi desiderati.
Sulla base delle informazioni pubblicamente disponibili, si esaminano il
modello d’analisi PATROL, utilizzato dalla Banca d’Italia, e il modello d’analisi
CAMELS, usato dalla Federal Reserve Bank, sulla base del quale è stato
concepito il modello italiano.
Inoltre, dato che in paesi con sistemi finanziari più sviluppati del nostro gli
organi di vigilanza hanno incrementato l’utilizzo di early warning system, sono
stati illustrati i modelli di previsione utilizzati dalla Federal Reserve Bank, dal
Federal Deposit Insurance Corporation e dall’Office Comptroller Currency.
Si tratta di metodi di previsione basati su indici economico-finanziari che
permettono di identificare con maggiore anticipo le future problem banks.
L’altra tecnica previsionale esaminata è l’analisi discriminante, che cerca
di distinguere tra banche “sane” e “a rischio” utilizzando lo strumento statistico
della regressione lineare, logit o probit.
Entrambi i modelli hanno l’obiettivo di stimare la relazione tra i dati
contabili e la probabilità di crisi di una banca.
La possibilità di prevedere le crisi bancarie dipende comunque dal tipo e
dal numero di cause della crisi. A volte i dissesti sono riconducibili a fattori
Introduzione
5
assolutamente imprevedibili (shock settoriali, fraudolenza del management) o
sono ben mimetizzati dai dirigenti con particolari politiche di bilancio.
Tuttavia, aggiornati modelli d’analisi e innovativi modelli di previsione
possono svolgere un ruolo importante nella prevenzione delle crisi bancarie,
soprattutto se associati ad un sistema d’interventi meno discrezionale.
Dalla ricerca effettuata risulta, infatti, che potrebbe rivelarsi utile
introdurre anche in Italia maggiore automatismo, almeno per alcune tipologie
d’interventi di vigilanza.
Un parziale automatismo, affiancato da modelli di previsione delle crisi, è
la safety net sperimentata con successo negli ultimi anni dagli Stati Uniti.
Nel terzo capitolo si illustrano gli strumenti di gestione delle crisi a
disposizione sia della singola banca sia dell’Organo di vigilanza.
Si è riscontrato che, rispetto a quanto accade nel settore industriale, nel
settore bancario le uscite dal mercato con liquidazione atomistica dell’azienda
sono un evento raro. Questo perché alle banche non sono applicabili gli strumenti
previsti dalla legge fallimentare. Le norme civilistiche sul fallimento non sono
adatte alle banche, in considerazione degli stretti legami che s’instaurano tra le
istituzioni finanziarie e della conseguente possibilità di trasmissione delle crisi.
Per le stesse esigenze di stabilità, i controlli della Vigilanza italiana,
unitamente al Fondo interbancario di tutela e al credito di ultima istanza, cercano
di costruire una rete di sicurezza con l’obiettivo di ammortizzare l’eventuale
impatto negativo di una crisi bancaria
3
.
Nella gestione delle crisi bancarie l’Organo di vigilanza è sempre
presente. Questo ha, innanzi tutto, il compito di costatare se la banca ha la
possibilità di risolvere autonomamente le criticità, ricorrendo ad uno o più
strumenti messi a disposizione dalla prassi (ricambio manageriale,
ricapitalizzazione, piani di risanamento, cartolarizzazione delle sofferenze, ecc.),
oppure se è necessario un intervento esterno (credito di ultima istanza,
commissariamento, fusione, ecc.).
3
Cfr. Giglio e Setola (2002), pag. 218.
Introduzione
6
In assenza di qualsiasi possibilità di turnaround rimangono le procedure
liquidatorie che comportano l’estinzione della banca come soggetto giuridico. In
tal caso però sono strenuamente ricercate modalità di realizzo che permettano la
cessione in blocco della banca, in modo da preservare la “parte buona”
dell’azienda.
La scelta degli strumenti d’intervento non è semplice né neutra, perché
legata agli obiettivi che si perseguono e alla priorità degli interessi che si decide
di preservare. Ogni soluzione riflette una certa composizione degli interessi
coinvolti.
Nella scelta ha un peso decisivo anche la natura congiunturale o
strutturale della crisi; cioè se si tratta di una situazione transitoria e di breve
periodo o se invece i disequilibri hanno intaccato in profondità la banca.
L’azione nei confronti delle banche problematiche può anche assumere
contenuti soltanto correttivi, essendo volta a stimolare l’avvio di un piano di
risanamento. Tali interventi cercano di favorire la presa di coscienza dello stato
di difficoltà e di anticipare il momento in cui questo è percepito.
A distinguere i due gruppi di strumenti (interni ed esterni), oltre ai diversi
presupposti, contribuisce la loro diversa natura: una privatistica, l’altra
amministrativa
4
.
In tale quadro operativo l’Organo di vigilanza è al centro, arbitro degli
interessi coinvolti e coinvolgibili, con il potere di decidere quale procedura è la
più idonea ad affrontare la crisi in atto. E anche in presenza di presupposti
“atipici”, è stata rilevata una radicata prassi che attribuisce alla Vigilanza
un’ampia discrezionalità nel giudicare le situazioni aziendali delle banche.
Preme precisare che tale modello operativo non “salva” l’impresa bancaria
dall’insolvenza. Nei casi più gravi il soggetto giuridico si estingue e i
responsabili del dissesto rispondono in sede civile e penale della violazione delle
regole e dell’insolvenza. La peculiarità sta semmai nel “salvataggio” del
complesso aziendale, quasi sempre mediante trasferimento ad altro soggetto
4
Cfr. Porzio (1999b), pag. 89.
Introduzione
7
economico bancario. L’oggetto della tutela istituzionale è dunque la banca e
soltanto la sua “parte sana”, non il banchiere.
Nell’affrontare un argomento così ampio e complesso, si è cercato di
fornire una panoramica che, senza pretesa di esaustività, percorre idealmente il
processo d’involuzione degli equilibri e di turnaround della banca; in un unicum
che analizza i segnali premonitori, le cause, le modalità di manifestazione e
identificazione, i costi, i modelli d’analisi e previsione e gli strumenti di gestione,
da quelli solo correttivi a quelli più incisivi.
Il lavoro si chiude con l’analisi empirica e l’elaborazione grafica dei dati
promananti dalla collaborazione con la Banca d’Italia. I dati elaborati riguardano
le procedure avviate e la loro evoluzione nel periodo 1980-2003, il processo di
concentrazione del sistema bancario italiano (fusioni, acquisizioni, cessioni di
attivo e passivo), i risultati delle ispezioni e le principali aree d’intervento della
Vigilanza.
Capitolo Primo
8
Capitolo Primo
LE CRISI BANCARIE
Sommario: 1.1. Premessa. – 1.2. Definizioni e classificazioni. – 1.3. Cause e
modalità di manifestazione. – 1.3.1. Cause esterne. – 1.3.2. Cause interne. – 1.3.3.
Modalità di manifestazione. – 1.4. Identificazione. – 1.5. Costi. – 1.5.1. Costi
diretti. – 1.5.2. Costi indiretti.
1.1. Premessa.
Le caratteristiche che rendono “speciali”, e più vulnerabili, le banche
rispetto ad altre tipologie d’imprese sono note
1
. Tra le altre: l’alto grado di
leverage, la strutturale sottocapitalizzazione
2
, complessità e delicatezza della
gestione della liquidità, ramificazione d’interessi e legami economici.
La crisi della banca si distingue dalla crisi dell’azienda non bancaria per la
sua elevata capacità di diffondere instabilità all’intero sistema
3
. Diverse fonti
ritengono ancora presenti i rischi legati al c.d. effetto domino, perlomeno nelle
crisi bancarie di tipo sistemico. Un esempio significativo sono state le crisi
asiatica, messicana e argentina
4
.
Un’altra peculiarità che contraddistingue l’intermediario bancario, è la sua
possibilità esclusiva di effettuare la raccolta a vista di risorse finanziarie dal
pubblico. Ciò rende il tema della tutela del creditore-depositante, oltre che
ancora controverso, di fondamentale importanza.
1
Cfr. Caprio e Klingebiel (2000), pagg. 269-272.
2
Cfr. Diamond e Dybvig (1983).
3
Cfr. Messina (1995), pag. 32.
4
Cfr. Demirguc et al. (2000).
Le crisi bancarie
9
L’esigenza di tutela del pubblico risparmio non rende applicabile alle
banche la teoria del fallimento degli operatori come meccanismo di selezione
verso maggiori livelli di efficienza del sistema
5
.
Permettendo il fallimento delle banche, le negative conseguenze sulla
capacità di raccolta avrebbero effetti deleteri sull’intero sistema economico. Per
questo un principio applicato in tutti i paesi, anche quelli ad economia
tradizionalmente più liberista, è che tale “specialità” della banca imponga una
particolare vigilanza, trasparenza e controllo dell’attività creditizia.
Nelle trasformazioni in corso nei sistemi bancari sono stati rilevanti gli
effetti della liberalizzazione normativa, della maggiore turbolenza dei mercati a
seguito della globalizzazione, dei nuovi profili di rischio conseguenti ai
mutamenti del core business tradizionale.
La disintermediazione, infatti, ha ridotto la capacità della funzione
tradizionale del business bancario
6
di fornire sufficiente valore aggiunto. E’
diventato indispensabile ampliare e sviluppare la funzione dei servizi, per non
perdere ulteriori quote di mercato e compensare l’erosione del margine
d’interesse.
Quest’evoluzione ha portato, a livello operativo, una nuova articolazione e
complessità dei rischi d’intermediazione
7
che la banca ha dovuto affrontare.
Inoltre, si deve ricordare che il sistema bancario nostrano, giustamente
definito in passato la “foresta pietrificata”
8
, sta scontando le conseguenze del
lungo letargo avallato dalla precedente gestione di tipo amministrativo-dirigista
del settore del credito.
Oggi l’industria del credito si trova in un contesto competitivo più
dinamico, con maggiori interdipendenze dei mercati e maggiore volatilità
9
.
Contestualmente, una bassa qualità delle operazioni attive e l’aumento delle
5
Il risparmio è un valore sociale riconosciuto e tutelato dalla Costituzione (art. 47). La banca in
crisi dovrebbe essere lasciata fallire solo a condizione che le perdite non si estendano ai depositanti.
6
La funzione tradizionale è quella di trasferire fondi dai soggetti in surplus ai soggetti in deficit,
definita anche funzione di “trasferimento dei saldi finanziari”, cfr. Colombini (2001), pag. 9 e pagg. 51-
52.
7
Cfr. Revell (1993), pag. 31.
8
Cfr. Patalano (1998), pag. 83.
9
Cfr. Anderloni (1999), pag. 13.
Capitolo Primo
10
sofferenze sta permettendo alle leggi di mercato di espellere le imprese meno
efficienti, in una sorta di selezione naturale
10
.
Tuttavia, durante la crisi di una banca, ci sono interessi che devono essere
tutelati nel migliore modo possibile, utilizzando i più opportuni e moderni
strumenti di analisi. Ciò in un’ottica di prevenzione più incisiva che in passato, in
considerazione del fatto che il passaggio alla vigilanza prudenziale ha reso
l’Organo di vigilanza un semplice arbitro che agisce sia facendo rispettare delle
regole oggettive sia modulando il suo potere di moral suasion.
10
Cfr. Trequattrini (1997), pag. 33.
Le crisi bancarie
11
1.2. Definizioni e classificazioni.
Il concetto di crisi fa riferimento ad una situazione di criticità che non si
può definire in modo univoco. Essa può assumere connotazioni, forme e gradi
d’intensità molto diversi, soprattutto in presenza di contesti molto competitivi o
caratterizzati da numerosi rischi
11
.
E’ opportuno distinguere subito tra la nozione giuridica, piuttosto ampia, e
la nozione economica di crisi della banca. La prima fa riferimento all’incapacità
della banca di far fronte ai propri impegni (dichiarazione d’insolvenza). La
seconda fa riferimento al deterioramento, più o meno diffuso ed intenso, degli
equilibri aziendali
12
.
La crisi bancaria può essere intesa come “un possibile stato di insolvenza
che si prospetta a seguito di una constatata difficile situazione finanziaria”
13
; ma,
pur riconoscendo la particolarità e la delicatezza del legame tra illiquidità e
insolvenza nelle banche
14
, a questa definizione mancherebbe un esplicito
richiamo al disequilibrio reddituale della banca.
Altri autori definiscono la situazione come “patologica” quando il valore
di mercato delle attività dell’intermediario diventa inferiore a quello delle sue
passività
15
. Una definizione poco utilizzabile, dato che richiede sia una
contabilità a valori di mercato sia una sua rapida e costante disponibilità.
Tra le diverse definizioni sondate, la più completa, che qui si assume,
sembra quella che indica la crisi come “uno stato di profonda alterazione degli
equilibri economici, finanziari e patrimoniali, il cui superamento richiede
interventi tempestivi e mirati, correlati alle cause e alle forme di
manifestazione”
16
.
Passando alle possibilità di classificare le crisi bancarie, si è costatato che
una delle variabili più utilizzate è il grado d’intensità. Anche l’economia
11
Cfr. Boccuzzi (1999), pag. 85.
12
Cfr. Tarantola Ronchi (1996), pag. 195.
13
Così, Porzio (1999b), op. cit., pag. 7.
14
Sulla relazione tra liquidità e solvibilità nelle banche, cfr. Revell (1993) , op. cit..
15
Cfr. Sundararajan e Balino (1991), pag. 3, distinguono tra banking distress e banking crisis.
16
Cfr. Boccuzzi (1998), pag. 30.
Capitolo Primo
12
aziendale suggerisce distinzioni basate sull’intensità delle criticità, distinguendo
un semplice “stato di declino” dallo “stato di crisi”
17
.
All’intensità dello squilibrio fa riferimento anche un’altra importante
classificazione: tra crisi reversibile e crisi irreversibile. Le crisi irreversibili sono
quelle non superabili autonomamente dalla banca con strumenti ordinari.
La natura di reversibilità o irreversibilità del dissesto è determinante nelle
scelte relative al mix più opportuno tra interventi delle Autorità di vigilanza e/o
soluzioni di matrice aziendale
18
.
In relazione a quest’ultima classificazione, generalizzando si può dire che
le crisi di liquidità sono considerate reversibili mentre le crisi di solvibilità sono
più spesso irreversibili
19
.
L’esistenza di una nozione economica e una nozione giuridica delle crisi
bancarie ha suggerito ad un autore la distinzione tra crisi dichiarate e crisi non
dichiarate. Più precisamente, tra situazioni patologiche che hanno richiesto
l’emanazione di un provvedimento di rigore e quelle che invece sono state risolte
senza una dichiarazione ufficiale di difficoltà
20
. Anche altre fonti concordano sul
fatto che il numero di crisi di cui si ha conoscenza dalle statistiche ufficiali può
risultare inferiore, anche in misura consistente, rispetto a quello effettivo
21
.
Un riferimento non trascurabile è la classificazione dello stato di salute
delle banche svolta dalla Banca d’Italia. La classificazione è il risultato
dell’analisi della situazione aziendale c.d. PATROL
22
, una metodologia d’analisi
che ha la sua matrice storica e logica nel modello statunitense CAMELS.
Senza soffermarci qui sulle tecniche di valutazione, il PATROL individua
un giudizio sintetico in numeri interi da uno a cinque sullo stato tecnico-
qualitativo complessivo della banca esaminata, pertanto anche del suo rischio
”crisi”.
Le cinque classi di giudizio sono:
17
Cfr. Guatri (1996), pag. 15.
18
Cfr. pgf. 3.1. del capitolo terzo.
19
Cfr. Tarantola Ronchi (1996), op. cit., pag. 196.
20
Cfr. Porzio (1999b), op. cit..
21
Cfr. Cacciamani (1995), pag. 17.
22
Cfr. pgf. 2.2. del capitolo secondo.
Le crisi bancarie
13
Tabella 1.1. – La classificazione PATROL.
La Banca d’Italia deciderà rapidità e intensità degli interventi in funzione
delle classificazioni, modulando opportunamente gli strumenti a disposizione;
dalle più blande forme di moral suasion ai più incisivi provvedimenti di rigore,
in modo da coordinare l’intervento alle condizioni riscontrate.
VALUTAZIONE SIGNIFICATO
1 e 2
Rappresentano, sia pure con una diversa
graduazione, situazioni soddisfacenti che
comportano una normale attività di
monitoraggio.
3
Individua banche con profili di parziale
anomalia che richiedono una particolare
attenzione e possono rendere opportuni
interventi volti a prevenire ulteriori
deterioramenti.
4 e 5
Sono entrambi giudizi espressivi di condizioni
tecniche problematiche per le quali sono
necessari interventi correttivi incisivi o, nei
casi più gravi, iniziative di carattere
straordinario.
Fonte: Finocchiaro e Contessa (2002).
Capitolo Primo
14
1.3. Cause e modalità di manifestazione.
L’argomento possiede una copiosa letteratura, soprattutto all’estero
23
.
In questa sede si vedranno le cause proposte più frequentemente,
precisando ancora che il punto di vista scelto privilegia l’attenzione alle cause
aziendali o interne delle patologie bancarie.
La preferenza per l’ottica microeconomica è basata sulla considerazione
del ruolo determinante del management nelle banche; il “sistema immunitario”
contro le crisi
24
.
Si può affermare, infatti, che spesso le crisi indotte da fattori esterni hanno
a monte errori e disfunzioni di origine interna, come ad esempio: l’incapacità di
prevedere le difficoltà, di monitorare più variabili, l’incapacità di rimuovere le
cause delle criticità riconoscendo rapidamente gli errori decisionali.
Alcuni autori confermano che comportamenti aziendali responsabili e
imprenditorialmente corretti possono essere un “efficace presidio contro
l’emergere di cause interne e per una rapida percezione di quelle esterne”
25
.
Tra le nuove competenze, in aggiunta alle tradizionali professionalità del
core business bancario, è diventata fondamentale la capacità di gestire e
monitorare costantemente e in modo sistematico i rischi da intermediazione
finanziaria con strumenti adeguati ed innovativi.
Per quanto riguarda l’Italia, in passato le crisi principali sono derivate
soprattutto da operazioni irregolari e da gestioni fraudolente. Recentemente
invece le crisi sembrano più imputabili a gestioni sbagliate e alle difficoltà ad
operare nel nuovo contesto concorrenziale.
23
Sulle cause delle crisi bancarie, tra gli altri: Caprio e Klingebiel (2000), Demirguc e
Detragiache (1997), FDIC (2003b), Gonzales Hermosillo (1999a), Herring (1998), Llewellyn (2002),
Wheelock e Wilson (2000).
24
In linea con Caprio e Klingebiel (2000), op. cit.: “…but for the subset of 29 episodes for which
we could obtain better information and which includes the most and severe cases of banking sector
insolvencies of the past 15 years, the primary causes of bank insolvency are considered to be deficient
management.”, pag. 283.
25
Così, Tarantola Ronchi (1996), op. cit., pag. 202.
Le crisi bancarie
15
Studiando le cause delle crisi, si deve premettere che i processi involutivi
degli equilibri aziendali danno luogo a spirali perverse in cui spesso diventa
facile confondere le cause con gli effetti
26
.
Inoltre è raro che una crisi sia riconducibile ad una singola causa, ma più
frequentemente è provocata da una serie di concause
27
.
La scomposizione che segue ha lo scopo di semplificare analisi ed
esposizione, pur nella consapevolezza che “nelle situazioni di crisi le cause sono
di solito molto più complesse”
28
.
1.3.1. Cause esterne.
Cause di natura macroeconomica.
Negli studi sulle crisi bancarie sistemiche, le variabili di tipo
macroeconomico sono considerate piuttosto rilevanti.
Per alcuni autori le crisi bancarie traggono origine innanzi tutto dal
deterioramento dei fondamentali dell’economia, dall’esposizione di troppi istituti
agli stessi rischi e dall’accumularsi nel tempo di una serie di vulnerabilità legate
ai cicli finanziari
29
. Un’interpretazione che ridimensiona il ruolo degli
imprevedibili mutamenti d’umore di investitori e depositanti, messo invece in
luce in passato da altri osservatori
30
.
In effetti oggi si potrebbe anche essere d’accordo con chi sostiene che la
cosiddetta “corsa agli sportelli” è diventata una situazione più che altro teorica
31
;
ed in ogni caso andrebbe considerata semmai come un effetto aggravante, più che
la causa della crisi.
26
Cfr. Boccuzzi (1998), op. cit., pag. 31.
27
Cfr. Llewellyn (2002), op. cit., pagg. 153-154.
28
Riportando Guatri (1996), op. cit., pag. 16.
29
Così, Borio e Lowe (2002), pag. 48. Inoltre, per Caprio e Klingebiel (2000): “Macroeconomic
disturbances of any kind weaken the non financial sector and then show up in the portfolios of banks.”,
op. cit., pag. 283.
30
Come, ad esempio, da: Diamond e Dybvig (1983), op. cit..
31
Cfr. Marullo Reedtz (1992), pag. 38. In caso di rumor e corsa agli sportelli i fondi sono
prevalentemente “drenati” da un istituto ad un altro, rendendo sempre più rari i c.d. bank run di tipo
catastrofico.
Capitolo Primo
16
Accenniamo sinteticamente alle spiegazioni delle crisi bancarie proposte
più spesso dagli economisti.
Si hanno due filoni principali: la Credit View e la Scuola Monetarista.
La prima individua la determinante delle crisi bancarie nella rigidità della
domanda di credito o addirittura nella sua correlazione positiva rispetto ai tassi di
interesse. Secondo questa scuola di pensiero, a provocare l’inversione del ciclo
economico e poi le crisi bancarie è dunque il razionamento del credito,
intendendo con questo l’eccesso di domanda di credito (rigida) rispetto all’offerta
al prezzo corrente.
Per i Monetaristi invece la crisi origina perché le banche, durante una
stretta creditizia da parte della banca centrale, nei momenti di necessità sono
costrette a rinunciare ad attività remunerative per mantenere le riserve di
liquidità. In tal modo, oltre all’aumento dei tassi d’interesse, viene compromessa
sia la capacità reddituale sia la solvibilità del settore bancario
32
.
In effetti certe misure di politica monetaria hanno un impatto diretto sugli
intermediari bancari ed indiretto sui loro affidati, in modo da poter mettere in
difficoltà l’industria del credito.
Si deve però concludere osservando che gli andamenti negativi dei
fondamentali dell’economia avranno un maggiore impatto negativo sulle banche
scarsamente diversificate, sia in termini di portafoglio titoli sia in termini di
portafoglio crediti. Decisamente più vulnerabili sono gli istituti i cui risultati
sono legati eccessivamente all’andamento di un particolare settore economico,
all’economia di una certa area geografica, alle oscillazioni di mercato di uno
specifico strumento o prodotto finanziario.
Mercato.
Il mercato può diventare una minaccia per gli equilibri aziendali della
banca. Soprattutto se ci sono difficoltà a rimanere competitivi in presenza di una
concorrenza aggressiva.
32
Cfr. Tarantola Ronchi (1996), op. cit., pag. 198.