3
dalle radicali trasformazioni generatesi nella società europea in
conseguenza del manifestarsi del processo di industrializzazione.
Tale fenomeno, legato ad una serie di fattori concomitanti ed
interagenti, fu accompagnato da una rivoluzione demografica e
tecnologica, da un grande sviluppo dell’attività commerciale e del
settore terziario, accanto al settore secondario.
Il processo di industrializzazione coinvolse in maniera rilevante
anche il comparto agricolo, che fu oggetto di numerose
trasformazioni ed assistette allo spostamento di grandi masse di
popolazione dalle zone rurali a quelle urbane
2
.
In alcune aree d’Europa, si manifestò la tendenza ad aumentare
il frazionamento della proprietà, in altre quella alla crescita delle
dimensioni aziendali. In ogni caso, si mise in moto un processo di
razionalizzazione del settore primario, che portò alla creazione di
esuberanza di manodopera nelle campagne,
3
il numero degli
occupati, invece, cresceva considerevolmente nell’industria urbana.
2
Cfr. A. BASSI, Delle imprese cooperative e delle mutue assicurazioni, Giuffrè Editore,
Milano, 1988, p. 3 ss.
3
Cfr. A. LEONARDI, Nascita sviluppo e concretizzazione dell’idea cooperativa in Europa, in
Rivista della cooperazione, 1998/3, p. 100
4
Le trasformazioni legate alla prima fase del processo di
industrializzazione furono, però, accompagnate da una serie di
rilevanti squilibri, sia sul piano economico, sia su quello sociale.
4
L’impatto della grande fabbrica, con i suoi intensissimi ritmi di
lavoro, che spesso sfociavano in un vero e proprio sfruttamento, la
suddivisione e la maggiore meccanicità dell’attività lavorativa, lo
sradicamento da ambienti di vita rurali, la concentrazione dei
lavoratori in aree ristrette e non preparate a così rilevanti e
repentini aumenti demografici, provocarono forti cambiamenti e
tensioni nella sfera sociale.
Di conseguenza, una rilevante parte della popolazione,
disancorata dai valori tradizionali e dai punti di riferimento propri
del mondo agricolo, fu soggetta a modalità di vita disagiata, ad
autentiche condizioni di degrado, e, nei sobborghi delle grandi città
industriali, nacquero nuove forme di emarginazione.
5
Questo fu il contesto socioeconomico in cui trovò terreno
fertile l’idea della cooperazione, come risposta a nuove esigenze e a
4
Cfr. A. LEONARDI, Nascita sviluppo e . . ., op. cit., p. 100
5
Cfr. A. BASSI, Delle imprese cooperative . . ., op. citata, p. 3 ss.
5
nuove difficoltà, conseguenza del repentino ed incontrollabile
sviluppo industriale.
La prima realizzazione del principio cooperativo ad avere più
fortuna fu la Rochdale Pioneers’ Equitable Society, ovvero i probi
pionieri del Rochdale, risalente al dicembre del 1844.
6
I ventotto soci fondatori ebbero, come punto di partenza, le
esperienze positive delle società oweniane, ed, in particolare,
fecero tesoro delle difficoltà, da queste incontrate, e, degli errori, da
esse commessi
7
.
Si trattava di una cooperativa “polisettoriale”, retta dalle
seguenti regole:
8
™ libertà d’ingresso per uomini e donne “di buona volontà”
™ “frugale” investimento di capitale
™ limitazione degli interessi sullo stesso
™ unicità del voto
6
Cfr. A. LEONARDI, Nascita sviluppo e . . ., op. cit., p. 104
7
Cfr. A. MINERVINI, Il ruolo della cooperazione nel sistema giuridico dalle origini agli anni
ottanta, in Dir. Lav., 1990, I, p. 337; v. di anche U. RABBENO, La cooperazione in
Inghilterra, Milano, 1885
8
Cfr. A. BASSI, Delle imprese cooperative . . . op. citata, p. 5
6
™ distribuzione del guadagno tra i soci, a titolo di “dividendo
sull’acquisto”
™ divieto di operazioni con i non soci
Negli anni successivi, il numero e le dimensioni delle società
cooperative aumentò considerevolmente.
2. Le cooperative di produzione in Italia
Le sventure politiche, che tennero così lungamente l’Italia
sotto il giogo straniero e, molte delle sue regioni, sotto potestà che
sicuramente non favorirono il progresso socio-culturale ed
economico, ritardarono lo sviluppo industriale del paese.
9
Negli anni che precedettero la conquista della nostra unità
nazionale, il pensiero e le energie degli italiani non potevano essere
rivolte alla <<lotta pacifica e feconda dell’industria>>
10
, esse
9
Cfr. U. RABBENO, Le società cooperative di produzione, edizione de La rivista della
cooperazione, Roma, 1953, p. 320, con prefazione di Alberto Basevi
10
ibidem
7
erano polarizzate intorno ad un unico progetto, una sola
aspirazione: libertà, indipendenza e unità della patria.
Le associazioni di mutuo soccorso, ed in particolare i cosiddetti
Magazzini di previdenza, i quali avevano la caratteristica di
vendere ai soci prodotti alimentari di prima necessità
11
, furono le
prime associazioni di tipo cooperativo a nascere in Italia. Esse
furono a malapena tollerate dai vari governi, che, sospettando di
tutto e di tutti, le consideravano un potenziale pericolo per la loro
esistenza, uno strumento, tramite il quale, sotto pretesto di scopi di
previdenza, la popolazione poteva cospirare contro di loro.
Ma venne, finalmente, l’ora del riscatto, il sangue sparso nei
campi di battaglia non fu necessario, soltanto, a cementare
l’edificio dell’unità nazionale, ma aprì, anche, la strada alla
prosperità economica, allo sviluppo industriale, al risveglio
culturale.
Gli italiani, liberatisi di grandi preoccupazioni politiche, e con le
rinnovate energie di un paese libero e unito, diedero nuovo impulso
11
Cfr. A. LEONARDI, Nascita sviluppo e . . ., op. citata, pp. 106-107
8
al commercio, allo sviluppo economico, alla creazione di nuovi
strumenti di carattere associativo.
12
Lo statuto di Carlo Alberto e la nuova legislazione liberale
eliminarono gli ultimi residui di privilegio e feudalesimo,
introdussero la libertà di associazione, di riunione e di pensiero.
Il primo esempio di cooperativa di produzione in Italia fu
dato dall’<<Associazione artistico-vetraria di Altare>>, in
Liguria.
Essa fu costituita nel 1856, per iniziativa di un medico, fra
ottantasei artieri vetrai, allo scopo di conservare quest’arte antica e
di migliorare le loro condizioni socio-economiche, che in seguito al
colera e alle difficoltà a livello industriale, erano divenute molto
misere.
13
L’associazione, grazie ai sacrifici posti in essere dai soci,
prosperò, ma non ebbe mai vita facile, attraversò gravi difficoltà,
danneggiata più volte dai trattati di commercio e dal fisco, prima
12
Cfr. U. RABBENO, Le società cooperative di produzione, edizione de La rivista della
cooperazione, Roma, 1953, p. 322
13
ivi, pp. 339-340;
0
V. di anche A. LEONARDI, Nascita sviluppo e concretizzazione dell’idea cooperativa in
Europa, op. citata, pp. 106-107 e U. Rabbeno, La cooperazione in Italia, Milano, 1886
9
osteggiata, e, soltanto in seguito, tollerata dal governo sardo, grazie
all’intervento di uomini influenti.
Essa fu scoperta dall’onorevole Luzzati, all’esposizione di
Milano del 1881, che le fece assegnare la medaglia d’oro e ne prese
spunto per scrivere un brillante articolo, dal titolo: <<Una
rivelazione della previdenza all’Esposizione di Milano>>.
E’ importante citare, anche, la <<Società cooperativa ceramica
d’Imola>>, nata nel 1874, con l’appoggio dell’industriale Giuseppe
Bucci, il quale cedette ai suoi operai il proprio opificio, dietro
l’accordo che essi ne avrebbero ammortizzato ratealmente il valore.
Buon esempio di società cooperativa, assegnava una rilevante
parte di utili al lavoro, concedeva agevolazioni ai lavoratori non
soci, affinché potessero divenire anch’essi soci, tutti i suoi membri
lavoravano per conto della società.
Le cooperative di produzione italiane, sovente, nacquero per
impulso, ed anche, grazie ai finanziamenti degli stessi industriali, i
quali, in questo modo, cercavano di trovare uno sbocco alle
tensioni sociali, che così forti erano in quegli anni; in altri casi, esse
10
si costituivano per iniziativa degli stessi operai, soprattutto in
occasione di scioperi
14
.
Tre sono le principali forme che le cooperative di produzione
assunsero nel nostro paese: le associazioni di operai, lavoranti in
industrie manufattrici, le cooperative di lavoro bracciantili e le
cosiddette <<latterie sociali>>.
15
Sulle prime, ci si è già soffermati; per quanto riguarda le
seconde, è da mettere in evidenza come esse costituissero un
esempio di cooperativa tipicamente italiano ed un efficace
strumento, per dare lavoro a quella manodopera, che, espulsa dalle
campagne in conseguenza della crisi agraria, non poté o non volle
emigrare nelle città industriali.
Il primo caso di queste particolari società è da ritrovare a
Ravenna, nel 1883, in una cooperativa che assumeva
prevalentemente appalti pubblici, riuscendo, così, a dare luogo a
continuità di lavoro per i braccianti.
14
Cfr. A. LEONARDI, Nascita sviluppo e . . ., op. citata, p. 107
15
Cfr. U. RABBENO, Le società cooperative . . ., op. citata, p. 329
11
Le latterie sociali, diffuse soprattutto nelle regioni alpine, da
sole, secondo il resoconto del II Congresso dei cooperatori italiani,
compilato dal dott. Ercole Bassi (era proprio destino che i Bassi si
occupassero del fenomeno cooperativo, e ciò, già dal XIX sec.), e
pubblicato nell’ottobre del 1888, ammontavano a 231, contro circa
176 cooperative appartenenti agli altri rami del settore della
produzione, tra i quali sono da annoverare anche le cooperative di
costruzione, che erano nate, con il fine di rendere accessibile la
proprietà della casa, anche alle classi meno abbienti.
16
3. Evoluzione legislativa della cooperazione di produzione:
dal codice di commercio del 1865 fino al codice civile vigente
Volendo osservare lo sviluppo del movimento cooperativo
italiano, fino ad arrivare alla creazione delle cooperative sociali, da
un’angolazione giuridico-legislativa e, tenendo anche presente il
16
Cfr. U. RABBENO, Le società cooperative . . ., op. citata, p. 332
12
clima favorevole, venutosi a creare nel paese, in conseguenza
dell’emanazione dello statuto albertino, il punto di partenza è stato
individuato nel codice di commercio del 1865.
Esso, pur introducendo una prima disciplina delle società
commerciali e <<sobrie e prudenti regole>> sulle <<associazioni
mutue>> (artt. 183-187), non dedicava alcuna disposizione a
questo nuovo tipo di società, probabilmente perché esso utilizzava,
come punto di riferimento, il codice francese del 1807, momento
storico, quest’ultimo, in cui il fenomeno era ancora lontano dal
ricevere riconoscimenti legislativi.
17
Nel breve lasso temporale che precedette il nuovo codice di
commercio, risalente al 1882, acquisì sempre maggior peso la
richiesta di disciplinare un fenomeno, come quello cooperativo, il
quale aveva ormai raggiunto, in Italia, dimensioni ragguardevoli,
specie nei settori delle banche popolari e delle casse rurali, delle
cooperative di produzione e lavoro e di quelle di consumo
18
.
17
Cfr. BONFANTE, La legislazione cooperativa. Evoluzione e problemi. Quaderni di
Giurisprudenza commerciale, Milano, 1984, p. 15, 21 ss.
18
Cfr. MARGHIERI, I motivi del nuovo codice di commercio italiano, Napoli, 1886, p. 140
13
Sorse, poi, il problema, ancora oggi non completamente risolto,
se risultasse più opportuno dedicare alla cooperazione, una
legislazione speciale, o, ritagliarle, con i dovuti adattamenti, un
apposito spazio nell’ambito del nascente codice civile, accanto agli
altri tipi di società commerciali.
19
La tendenza che prevalse fu quella che voleva la disciplina delle
cooperative, collocata nell’ambito del codice di commercio, per
<<l’apparente affinità morfologica tra società ordinarie e società
cooperative>> e per la convinzione che anche queste ultime
avessero <<carattere commerciale>>.
20
Il codice del 1882 riservò alle cooperative dieci articoli (219-
228) e altri sette alle associazioni di mutua assicurazione (239-
245), nei quali, per altro mancava ogni definizione di tale forma di
società, che veniva disciplinata, come una semplice variante delle
società commerciali, ed, in special modo, delle società anonime.
Le prime venivano caratterizzate dal principio della variabilità
del capitale, dalla limitazione di valore alle partecipazione dei soci,
19
Cfr. BONFANTE, La legislazione cooperativa . . ., op. cit., p. 15 ss.
20
Cfr. BONFANTE, La legislazione cooperativa . . ., op. cit., p. 15 e ss.
14
dall’unicità del voto, dalla nominatività delle azioni, dalla necessità
dal gradimento degli amministratori per il trasferimento delle stesse
(antico preludio alle attuali clausole di gradimento e di prelazione)
e dalla concessione di agevolazioni fiscali.
21
Subito dopo l’entrata in vigore del codice di commercio del
1885, si ebbe un’ampia fioritura di leggi speciali e di progetti di
riforma
22
.
Emergeva una tendenza legislativa, che si ritrova ancora oggi
presente nel nostro ordinamento, a far beneficiare, le cooperative di
agevolazioni di carattere fiscale e creditizio e, quasi come
conseguenza logica, a sottoporre le stesse al controllo e alla
vigilanza dello stato o di enti da essa delegati.
23
In proposito, si vedano, il r.d. n. 217 del 1897 (artt. 145 e 153),
che concedeva l’esonero dell’imposta di registro, ed il r.d. n. 414
del 1897 (art.27), che riguardava l’imposta di bollo.
21
Cfr. A. BASSI, Delle imprese cooperative . . . op. citata, p. 9
22
Per i progetti di riforma successivi al codice di commercio, v.di VERRUCOLI, La società
cooperativa, Milano, 1958, p. 27 ss; v.di anche A. BASSI, Delle imprese cooperative . . . op.
citata, p. 10, e U. RABBENO, Le società cooperative di produzione, op. citata, p. 328.
23
U. RABBENO, Le società cooperative di produzione, op. citata, p.10
15
La legislazione settoriale, che si andava man mano affermando,
e la disorganicità delle norme che prevedevano esenzioni tributarie,
fecero crescere l’esigenza di fissare, almeno per quanto riguarda le
agevolazioni fiscali, un quadro di requisiti essenziali, che dovevano
essere presenti nelle cooperative, al fine di dimostrare il carattere
mutualistico, e, quindi, non speculativo delle stesse
24
.
A ciò si giunse, per la prima volta, con il testo unico delle
imposte di registro, ovvero con il r.d. n. 3269 del 1923, il quale
subordinava la mutualità presunta della società, alla presenza di tre
clausole nel suo statuto (art. 66 t. u.):
1. divieto di distribuzione di dividendi superiori alla ragione del
5% rispetto al capitale
2. divieto di distribuzione delle riserve, durante la vita della
società
3. divieto di divisione fra i soci, in caso di scioglimento della
società, del patrimonio eccedente il capitale versato.
24
MANFREDI, Cooperative <<rette coi principi della mutualità>> ai sensi dell’imposta di
registro e di bollo, in Riv. Dir. comm., 1905, II, p. 73
16
Il suddetto testo unico è divenuto una pietra miliare nella storia
legislativa del fenomeno cooperativo in Italia, specialmente per la
esplicitazione, che fa, delle clausole di presunta mutualità, le quali
che sono state un importante punto di riferimento, sia per la Legge
Basevi, sia per la riforma tributaria del 1973.
Il ramo della cooperazione al quale il legislatore italiano dedicò
una più immediata attenzione, fu quello delle cooperative di
produzione e lavoro ammissibili a pubblici appalti
25
.
La necessità di riorganizzare le norme di questo settore trovò,
poi, risposta nella L. 442/1909 e nel r.d. 278/1911, che approvava
il regolamento relativo alla concessione di pubblici appalti alle
cooperative di produzione e lavoro.
Queste due disposizioni legislative costituiscono ancora oggi
una importante meta nella formulazione di principi fondamentali
della cooperazione, come la differenza, nell’ambito della
ripartizione degli utili, tra dividendi e ristorni, il numero minimo
dei soci, il principio della porta aperta, e così via.
25
Cfr. BONFANTE, La legislazione cooperativa . . ., op. cit., pp. 48 ss.