familiare, sostituita dall’effettiva garanzia di una posizione paritaria dei coniugi,
libera da ruoli precostituiti, nella scelta dell’indirizzo familiare e nell’individuazione
dei mezzi per realizzarlo. A ciò si aggiunga la tutela accordata agli interessi della
moglie e il riconoscimento dell’eguale valore del lavoro domestico rispetto a quello
produttivo di reddito, a cui corrisponde l’obbligo comune di provvedere ai bisogni
della famiglia.
Uno dei caratteri più originali della riforma sta nel non aver posto regole
distinte per i rapporti personali e patrimoniali, tenendo conto che la Costituzione
detta principi, tra cui quello della eguaglianza morale e giuridica dei coniugi (art. 29)
e del rispetto della personalità degli individui nelle comunità intermedie (art. 2),
validi per tutti i settori dell’ordinamento familiare.
1
Così, in corrispondenza di questo mutamento già registrato nei rapporti
personali, anche la disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi e del governo
economico della famiglia è stata profondamente innovata.
Infatti, prima della riforma del diritto di famiglia il regime patrimoniale legale,
operante in mancanza di volontà contraria dei coniugi, era la separazione dei beni; ai
coniugi, comunque, veniva data la possibilità di adottare, con apposita convenzione,
il regime di comunione dei beni. Tale disciplina rispondeva alla tradizione storica
dell’Italia fin dal diritto romano, che, diversamente dalla tradizione giuridica
1
ALAGNA, Famiglia e rapporti tra coniugi nel nuovo diritto, Milano, 1983, p. 2 ss.
germanica che riconosceva nella comunità familiare il nucleo principale del traffico
giuridico, era più individualista.
Con la riforma del 1975 il legislatore ha voluto attuare una inversione totale,
sancendo la regola della comunione legale tra i coniugi, mentre la separazione dei
beni veniva ridotta a regime convenzionale.
Non si è trattato di una riforma rispondente ad un mutamento di costumi tale da
richiedere un adattamento della disciplina legale ad una pratica ormai consolidata: lo
dimostra il fatto che la comunione dei beni, già prima prevista come regime
convenzionale, era adottata da un numero esiguo di coppie.
Le ragioni che hanno portato alla scelta della comunione come regime legale
sono, invece, da ricollegarsi all’idea della contrarietà del regime della separazione
dei beni ai principi di eguaglianza morale e giuridica e di pari dignità sociale dei
coniugi, proclamati dagli artt. 29 e 3 Cost.
Inoltre, l’autonomia patrimoniale conseguente alla separazione dei beni non
veniva ritenuta in sintonia con l’unità della famiglia, poiché in base ad essa non
veniva riconosciuto al coniuge eventualmente privo di redditi propri una
partecipazione al reddito complessivo prodotto dalla famiglia.
Così, infatti, risulta dalla relazione sul testo unificato del disegno di legge per la
riforma del diritto di famiglia: ”Una parte importante e innovativa di questo testo è
il regime patrimoniale legale della famiglia che, in mancanza di diversa
convenzione, è costituito dalla comunione dei beni. Anche qui la motivazione è
l’unità della famiglia: se la famiglia è una comunità, se i coniugi hanno costituito
insieme il patrimonio ed insieme lo gestiscono, la comunione dei beni è la logica
conseguenza. E’ vero che questo regime patrimoniale è anche oggi esistente, però ad
esso si può adire con convenzioni particolari, per cui in pratica è inesistente”.
2
La comunione poteva, perciò, costituire uno strumento efficace per retribuire il
lavoro della casalinga, che con la sua attività contribuiva alla formazione di un
risparmio familiare e, pertanto, doveva essere riconosciuta destinataria di una quota
pari alla metà del reddito complessivo prodotto dalla famiglia durante il periodo della
comunione legale.
In contrasto con tale soluzione è, comunque, possibile rilevare che sempre più
frequentemente anche le donne svolgono attività lavorativa all’esterno della famiglia
e percepiscono conseguentemente un reddito. Ma, a questo proposito, occorre
considerare che il diritto alla metà del reddito prodotto in costanza di matrimonio non
si basa sul presupposto di un contributo effettivo ai bisogni della vita familiare, ma
sul semplice fatto che esiste un’unione coniugale.
Una parte della dottrina, però, ritenne l’atteggiamento del legislatore neutrale
rispetto all’obiettivo costituzionale della parità di posizioni dei coniugi, anche sul
2
Relazione sul testo unificato, predisposto dal Comitato ristretto, del disegno di legge per la riforma
del diritto di famiglia (Camera dei Deputati, seduta del 23 giugno 1971); relatrice M.E. Martini: tratto
da BESSONE – ALPA – D’ANGELO – FERRANDO, La famiglia nel nuovo diritto, Bologna, 1980,
p. 177.
piano patrimoniale, perché non si determinò a bandire la separazione dei beni, ma si
limitò a sostituire ad essa la comunione, mantenendo la separazione come regime
convenzionale.
In realtà, questi rilievi sembrano muovere dall’attribuzione al vincolo
costituzionale di un contenuto diverso, più intenso, rispetto a quello reale. Infatti
l’obiettivo a cui è tenuto il legislatore ordinario non è quello di promuovere
l’eguaglianza economica tra i coniugi all’interno della società familiare, bensì quello,
distinto, di rimuovere gli ostacoli, anche di ordine economico, che pregiudicano
l’eguaglianza morale e giuridica fra i coniugi (art. 29 Cost.).
Tale obiettivo è sicuramente favorito dall’applicazione del regime di
comunione: è evidente, infatti, che un regime patrimoniale in cui le quote siano
inderogabilmente uguali, com’è imposto nel nostro ordinamento (art. 194 c.c.),
costituisce fattore rilevante di promozione della parità, anche sul piano economico,
fra i coniugi. Ma è eccessivo ritenere che quest’applicazione sia mezzo
imprescindibile per il perseguimento dell’obiettivo stesso.
Il meccanismo normativo attraverso cui viene attuato, anche sul piano
patrimoniale, il principio di uguaglianza dei coniugi è, invece, dato dalle norme
inderogabili degli artt. 144 e 143, co. 2, c.c., secondo le quali i coniugi medesimi, in
perfetta parità, devono concordare fra loro l’indirizzo della vita familiare, nel quale
sono evidentemente compresi anche gli aspetti patrimoniali, ed i coniugi stessi sono,
inoltre, obbligati, in proporzione ai mezzi individuali già esistenti e alle proprie
capacità lavorative, professionali e casalinghe, a rendere possibile l’attuazione
dell’indirizzo concordato.
Per questo motivo la disciplina che consente di escludere o limitare il regime
legale di comunione non può ritenersi contraria ai principi costituzionali: non è il
regime patrimoniale tra i coniugi, ma sono i diritti e i doveri che nascono
inderogabilmente dal matrimonio a garantire l’eguaglianza morale e giuridica dei
coniugi
3
.
La legge di riforma ha, quindi, optato a favore del regime di comunione dei
beni, ma se si considera attentamente il complesso delle norme introdotte dalla
riforma in questo settore, ci si accorge che il modello seguito dal legislatore non è
quello della comunione universale, bensì un sistema misto, che per alcuni aspetti
attinge i suoi caratteri dal regime di comunione, per altri invece, esso è ritagliato sul
regime di separazione.
Infatti “oggetto della comunione sono gli acquisti compiuti dai due coniugi
insieme o separatamente durante il matrimonio (esclusi i beni personali), i risparmi,
i frutti dei beni, i redditi delle imprese personali non immediatamente reinvestiti in
esse, le aziende a conduzione familiare nella quale prestino attività entrambi i
coniugi”, “resta[no invece] di proprietà del singolo coniuge i beni che precedono il
3
GABRIELLI – CUBEDDU, Il regime patrimoniale dei coniugi, Milano, 1997, p.12 ss.
matrimonio, quelli acquisiti a seguito di donazioni o di eredità e quelli che rivestono
carattere personale, nonché i beni che servono per lo svolgimento della propria
attività professionale”
4
.
La scelta effettuata dal legislatore a favore del regime di comunione legale dei
beni non è peraltro inderogabile; infatti l’art. 159 c.c. attribuisce alle parti la
possibilità di derogare, in tutto o in parte, al regime legale previsto in termini
generali, mediante apposite convenzioni matrimoniali.
Le convenzioni matrimoniali, pertanto, meritano particolare attenzione perché
costituiscono degli atti negoziali peculiari, rispetto ai quali la volontà dei soggetti
acquista un valore fondamentale; infatti la stipulazione delle convenzioni
matrimoniali costituisce espressione di quell’autonomia privata riconosciuta
espressamente dall’art. 159 c.c. ai coniugi, che si sostanzia nella possibilità di
scegliere il regime patrimoniale più opportuno e nella facoltà di articolare il modo di
essere di questo regime.
4
Relazione sul testo unificato, predisposto dal Comitato ristretto, del disegno di legge per la riforma
del diritto di famiglia (Camera dei deputati, seduta del 23 giugno 1971), tratto da BESSONE – ALPA
– D’ANGELO – FERRANDO, op. cit.
PARTE I
I CARATTERI GENERALI
DELLE
CONVENZIONI MATRIMONIALI
CAPITOLO I
LE CONVENZIONI MATRIMONIALI:
DEFINIZIONE E CARATTERI GENERALI
I.1 § Le convenzioni matrimoniali: definizione e natura
Invano si ricercherebbe nel codice una definizione del concetto di
“convenzione matrimoniale”, assente non solo nella legislazione vigente, ma anche
in quelle che l’hanno preceduta (cfr. artt.159 ss. c.c. 1942).
Prima della riforma del 1975, si intendevano per convenzioni matrimoniali
1
gli
atti che avevano lo scopo di regolare i rapporti patrimoniali dei coniugi nel
matrimonio – come la stipulazione della comunione dei beni, la costituzione di dote,
la determinazione della partecipazione dei coniugi agli oneri del matrimonio –
nonché i patti accessori – come il patto di alienabilità della dote, di reimpiego del
capitale dotale, il riparto disuguale della comunione – e tutte le altre donazioni e
stipulazioni fatte, prima delle nozze, nel contratto di matrimonio, allo scopo di
agevolare gli sposi nella costituzione della nuova famiglia – come la donazione
1
TEDESCHI, Il regime patrimoniale della famiglia, Torino, 1950, p. 469 ss.
Cap. I Le convenzioni matrimoniali: definizione e caratteri generali
obnuziale, fatta in riguardo di un determinato futuro matrimonio, e le altre
stipulazioni (contratto di società, di locazione, di mandato, etc.), purché aventi
carattere di obnuzialità analogo a quello della donazione obnuziale –.
Dopo la riforma del 1975, per convenzioni matrimoniali, in una prima
approssimazione, si intendono gli atti di autonomia privata con cui gli sposi o i
coniugi regolano il regime patrimoniale della famiglia, nata dal matrimonio, in modo
diverso dal modello legale della comunione dei beni, previsto come ordinario dalla
legge.
Questa più limitata nozione di convenzioni matrimoniali si desume
indirettamente dal testo dell’art. 159 c.c. che, nell’attribuire alla diversa convenzione,
stipulata a norma dell’art. 162 c.c., la forza di derogare al regime patrimoniale legale
della famiglia, chiaramente intende far riferimento ai soli atti diretti a porsi come
fonti di regimi patrimoniali diversi dalla comunione legale
2
.
In riferimento all’elemento strutturale dell’accordo, è abbastanza frequente in
dottrina l’affermazione secondo cui le convenzioni matrimoniali sarebbero
sostanzialmente dei contratti.
Nel sistema precedente la riforma del diritto di famiglia, i rapporti patrimoniali
tra coniugi erano regolati dalle convenzioni matrimoniali e dalla legge (ex art. 159
c.c.). Da tale regola discendeva l’opinione che la normativa del regime patrimoniale
2
DE PAOLA, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, II, Milano, 1995, p. 29 ss.
Cap. I Le convenzioni matrimoniali: definizione e caratteri generali
della famiglia, non facendo specifico riferimento alla relazione coniugale, andava
ricondotta al diritto comune: conclusione certamente coerente al sistema all’epoca
vigente e all’assunto che il principio della separazione dei beni non valeva ad alterare
i rapporti di proprietà dei coniugi sui rispettivi beni; infatti, poiché il regime della
comunione dei beni, come la dote ed il patrimonio familiare, poteva essere costituito
solo con apposita convenzione matrimoniale, gli effetti di contenuto economico che
ne derivavano non potevano ritenersi caratteristici del vincolo familiare, ma erano la
conseguenza dell’autonomia privata che presiedeva al diritto comune. Di qui
l'equivalenza tra il contratto e le convenzioni matrimoniali, quali negozi giuridici
bilaterali con contenuto patrimoniale
3
.
Il dibattito dottrinale, successivo alla riforma, sulla natura contrattuale delle
convenzioni matrimoniali vede senz’altro prevalere la tesi affermativa, pur non
facendo difetto, nelle posizioni degli autori, voci discordi
4
.
Così il richiamo, anche sul piano terminologico, al concetto di convenzione,
anziché a quello di contratto, consentirebbe, secondo taluno
5
, di ravvisare, quale
categoria di riferimento, quella di negozi idonei a incidere su valori che certamente
trascendono la dimensione dell’individuo, in ragione della loro peculiare inerenza
3
MESSINEO, voce Convenzione (dir. priv.), in Enc. dir., X, Milano, 1962, p. 512, per il quale sono
contratti in senso tecnico, quelli che disciplinano il regime patrimoniale della famiglia (art. 159 ss.
c.c.), sebbene il codice li chiami – ma in senso non tecnico – “convenzioni”.
4
OBERTO, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, p. 685 ss.
5
MOSCARINI, Convenzioni matrimoniali in genere, in La comunione legale, a cura di C.M. Bianca,
II, Milano, 1989, p. 1007.
Cap. I Le convenzioni matrimoniali: definizione e caratteri generali
agli interessi del gruppo familiare. Tuttavia, la riconduzione di questi tipi negoziali
ad una nozione lessicalmente diversa da quella generale, non consente, sul piano
applicativo, di sottrarle alla disciplina generale dei contratti, anche se restano da
considerare come contratti sui generis, regolati in primis e innanzitutto dalle norme
speciali appositamente dettate per essi dagli artt. 160-166bis, e solo in via sussidiaria
ed integrativa assoggettati alla disciplina generale dei contratti.
Sotto un altro profilo, si è sottolineata la differenza che, rispetto alla figura
contrattuale, sarebbe data dal carattere programmatico tipico della convenzione
6
.
Ora, se è sicuramente innegabile che, quanto meno in linea di massima, le
convenzioni sono negozi regolatori in astratto del regime patrimoniale e non già
dispositivi, in concreto, di singoli beni determinati
7
, non va, però, dimenticato che il
carattere “programmatico” di un accordo patrimoniale tra due soggetti non è certo di
ostacolo alla sua natura contrattuale
8
.
Qualcuno, poi, ha ritenuto di poter riscontrare un elemento di diversità tra il
contratto e le convenzioni matrimoniali, in considerazione del particolare oggetto
dell’intesa che, nelle convenzioni matrimoniali, sarebbe dato non già da “un rapporto
giuridico patrimoniale”, bensì “dalla complessa situazione giuridica, che compete
6
RUSSO, L’autonomia privata nella stipulazione di convenzioni matrimoniali, in Le convenzioni
matrimoniali e altri saggi sul nuovo diritto di famiglia, Milano, 1983, p. 156, il quale intende per
“convenzioni matrimoniali” gli atti che, programmaticamente, sono diretti a porre e regolare il regime
patrimoniale della famiglia.
7
GABRIELLI, Acquisto in proprietà esclusiva di beni immobili e mobili registrati da parte di
persona coniugata, in Vita not.,. 1984, p. 658.
8
OBERTO, op .ult. cit., p. 685 s.
Cap. I Le convenzioni matrimoniali: definizione e caratteri generali
normativamente ai coniugi nel campo delle relazioni patrimoniali con i terzi”, ed ha
individuato quale unico elemento di contatto tra le due categorie quello di porsi come
accordi diretti a riflettersi su interessi patrimoniali delle parti, il che consente
l’estensione analogica della disciplina generale dei contratti alle convenzioni
matrimoniali, ai sensi dell’art. 1324 c.c.
9
.
All’esaltazione del carattere contrattuale delle convenzioni matrimoniali aveva
del resto già contribuito
10
, prima ancora della riforma del 1975, la Corte
Costituzionale che, in un suo intervento risalente al 1970
11
, aveva dichiarato in
contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. l’art. 164, 1° co., c.c. per la parte in cui – in deroga
alle regole comuni in materia di simulazione – non consentiva la prova della
simulazione ai terzi, in tal modo sottolineando, nella maniera più evidente, “la
disparità di trattamento istituita tra i contratti in genere e le convenzioni matrimoniali
in specie” e consentendo all’interprete di ritenere che “anche in futuro le regole
specifiche, destinate alle convenzioni patrimoniali tra coniugi, e divergenti dalle
regole comuni sui contratti, potranno subire più o meno penetranti sindacati di
costituzionalità”
12
.
9
DE PAOLA, op. cit., p. 44 ss.
10
Come rilevato da SACCO, Regime patrimoniale e convenzioni, nel Commentario alla riforma del
diritto di famiglia a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, Padova, 1977, p. 316 s.
11
Corte Cost., 16 dicembre 1970, n. 188 in Giur. it., 1971, I, 1, p. 801.
12
SACCO, Regime patrimoniale e convenzioni, nel Commentario alla riforma del diritto di famiglia
cit., p. 316 ss.
Cap. I Le convenzioni matrimoniali: definizione e caratteri generali
I.2 § Il necessario collegamento delle convenzioni matrimoniali con uno dei
regimi patrimoniali della famiglia.
L’elemento caratterizzante l’attuale nozione di convenzione matrimoniale, così
come desumibile dall’art. 159 c.c., è costituito dall’intimo legame di questa con uno
dei regimi patrimoniali della famiglia, nel senso che per “convenzione matrimoniale”
deve intendersi, oggi, solo quell’atto che si pone quale fonte di un regime diverso da
quello legale.
Ma lo stretto legame esistente tra la convenzione matrimoniale, da un lato, e i
regimi patrimoniali “eccezionali”, dall’altro, non va esente da contraddizioni e
perplessità. Se, infatti, è innegabile che la separazione dei beni trovi la sua origine in
una apposita convenzione, va constatato che l’art. 228, 1° co., l. 19 maggio 1975, n.
151
13
, ha consentito, in via transitoria, la nascita di tale regime in forza non già di
una convenzione, bensì di un atto unilaterale. Discorso per certi versi analogo va
compiuto in relazione al fondo patrimoniale, che può costituirsi anche per testamento
e rappresenta, anche per altre ragioni, un regime, per così dire anomalo, non
riguardando categorie generali ed astratte di beni, bensì beni determinati e potendo il
medesimo coesistere tanto con il regime comunitario che con quello separatista.
13
Art 228, co. 1°, l. 151/1975: ”Le famiglie già costituite alla data di entrata in vigore della presente
legge, decorso il termine di due anni dalla detta data, sono assoggettate al regime della comunione
legale per i beni acquistati successivamente alla data medesima, a meno che entro lo stesso termine
uno dei coniugi non manifesti volontà contraria in un atto ricevuto da notaio o dall’ufficiale dello stato
civile del luogo in cui fu celebrato il matrimonio”.
Cap. I Le convenzioni matrimoniali: definizione e caratteri generali
Per concludere questa rapida rassegna delle ipotesi in contrasto con
l’affermazione di fondo che lega la convenzione ai regimi patrimoniali “eccezionali”,
occorre osservare come lo stesso regime legale possa trovare applicazione anche in
forza di convenzione, quando una coppia decida di abbandonare il regime di
separazione anteriormente prescelto.
Pertanto in considerazione dell’attuale interpretazione restrittiva del concetto di
convenzione matrimoniale , è oggi certa la risposta negativa circa la riconducibilità a
tale categoria delle donazioni obnuziali, così come di tutti quegli atti che, sebbene
obnuziali, cioè compiuti in contemplazione causale di un determinato matrimonio
(come potrebbero essere mandati o contratti sociali), non abbiano per oggetto la
scelta di un regime patrimoniale della famiglia, ma si riferiscono a specifici beni o
rapporti. Lo stesso deve valere per quegli atti con cui i coniugi decidono di immettere
nella – o di estromettere dalla – comunione legale singoli beni determinati, cui va
pertanto negata la natura di convenzione matrimoniale.