9
questione e la ritorsione, l’inadimplenti non est
adimplendum e la legittima difesa.
Sebbene questo studio riguardi soltanto le
contromisure pacifiche lo studio richiama brevemente
anche la nozione di contromisura armata. Il richiamo alla
suddetta contromisura è particolarmente importante poiché
è stato proprio il divieto di ricorrere a contromisure
implicanti l’uso della forza, stabilito dal diritto
internazionale generale, a fare in modo che nella maggior
parte dei casi di illeciti il ricorso alla contromisura
pacifica costituisca l’unica reazione possibile.
La seconda sezione del primo capitolo è dedicata,
invece, alle gross violations. L’argomento sarà
introdotto con un’analisi approfondita della nozione di
obblighi erga omnes, dei quali fanno parte i diritti
umani essenziali, dove verranno esposte le varie opinioni
della dottrina relative al significato di questi
obblighi. Si prenderanno in considerazione soprattutto le
opinioni che fanno derivare dagli obblighi erga omnes la
possibilità da parte di tutta la comunità internazionale
di reagire in caso di violazione dei suddetti obblighi.
Ne segue poi una definizione dettagliata di “gross
violation” e un’analisi delle violazioni di diritti umani
che sono comunemente accettate dal diritto internazionale
10
come rientranti nella suddetta categoria: schiavitù,
tortura, genocidio, apartheid e sparizione di prigionieri
politici.
Una volta esaminata la definizione di contromisura,
nel secondo capitolo verranno esposti i limiti che gli
Stati devono rispettare nell’esercizio di questo
istituto, stabiliti dal diritto internazionale e
riconosciuti dalla comunità mondiale. Difatti, il ricorso
a contromisure pacifiche incontra, nel momento della sua
attuazione, una serie di limiti imposti dal diritto
internazionale generale a cui lo Stato o l’organizzazione
internazionale che decidono di reagire si devono
conformare. Il limite su cui la maggior parte della
dottrina è concorde è quello della proporzionalità, ma si
esaminerà anche il più controverso obbligo di adempimenti
preventivi all’adozione di contromisure pacifiche,
considerando le differenti opinioni esistenti in dottrina
al riguardo. Sempre in relazione al problema di un
eventuale obbligo di procedura preliminare, si esaminerà
l’incidenza dell’obbligo di regolamento delle
controversie in via amichevole e i lavori della
Commissione di diritto internazionale in tema di
adempimenti preventivi.
11
Il terzo capitolo, suddiviso in due sezioni, è
dedicato ad un esame della prassi. La prima sezione
contiene un esame generale della prassi in materia di
contromisure pacifiche. Sono state elencate le varie
tipologie di contromisure pacifiche, come per esempio
quelle riguardanti le immunità diplomatiche, lo status
territoriale o la nazionalizzazione di beni stranieri.
Ogni tipologia di contromisura pacifica analizzata sarà
accompagnata da un esempio della prassi, che verrà poi
valutata in base ai parametri esposti nel capitolo II,
ossia il rispetto del limite di proporzionalità, di
un’attività preliminare, del limite temporale e il
rispetto del diritto cogente.
La seconda sezione di questo capitolo riguarda da
vicino il punto centrale di questo lavoro: le
contromisure pacifiche attuate in reazione a gross
violations. Questa parte è dedicata all’analisi di casi
emblematici di contromisure pacifiche in reazione a
violazioni di diritti umani fondamentali, come il
freezing, la revoca di rapporti di assistenza economica e
l’embargo. Anche l’analisi della prassi riguardante la
violazione di diritti umani essenziali è caratterizzata
da una valutazione sulla base dei limiti esposti nel
capitolo II.
12
La maggior parte di questo lavoro analizza le
contromisure pacifiche adottate dagli Stati. Poiché a
questo istituto possono ricorrere anche le organizzazioni
internazionali, l’ultimo capitolo di questo studio è
dedicato alle contromisure pacifiche decise in seno alle
Nazioni Unite e all’Unione Europea. Verranno analizzate
le due organizzazioni internazionali di maggiore
rilevanza all’interno della comunità internazionale e le
ipotesi in cui esse possono ricorrere a contromisure
pacifiche. Per quanto riguarda l’Unione Europea si
prenderanno in considerazione le contromisure adottate a
seconda del caso in cui vi sia o meno una precedente
delibera del Consiglio di sicurezza dell’ONU al riguardo.
In questo modo è possibile analizzare anche le
interazioni tra le due organizzazioni su questo tema.
13
CAPITOLO I
NOZIONE DI CONTROMISURA E DI OBBLIGHI ERGA OMNES NEL
DIRITTO INTERNAZIONALE
Sezione I. Nozione di contromisura nel diritto
internazionale
1. Evoluzione storica dell’istituto della contromisura
L’importanza della contromisura è legata al fatto
che l’effettività di un ordinamento giuridico dipende in
larga misura dalle conseguenze reali o prevedibili della
mancata osservanza degli obblighi da esso imposti
1
.
Difatti, esempi di autotutela, individuale o
collettiva, possono essere individuati in ogni epoca e
presso ogni popolo
2
. Le prime tracce di contromisura
documentate, anche se in forma embrionale, possono essere
fatte risalire al tempo dello sviluppo dei Comuni, ai
primi del Mille
3
. Con il crollo dell’impero romano, e
quindi con il venir meno dell’autorità centrale, emerse
1
Forlati Picchio, “La sanzione nel diritto internazionale”, pagg.
71 ss.
2
Rinaudo, “Rappresaglia”, in “Novissimo Digesto Italiano, vol. XIV”
(Torino, 1968), pag. 793.
3
De Mas Latrie, “Du droit de marque ou droit de représailles au
moyen âge” (Parigi, 1875)
14
sempre di più la tendenza a farsi giustizia da sé. La
contromisura è quindi nata e si è sviluppata come mezzo
per conseguire il risarcimento di un danno o la
soddisfazione di un’offesa mediante l’appropriazione, da
parte del soggetto leso, dei beni appartenenti al
debitore. In un momento di instabilità e cambiamenti la
contromisura si prestava a produrre “abusi ed
inconvenienti gravissimi, svolgendosi senza freno né
leggi”
4
. L’ovvia conseguenza di questa situazione è che,
appena vennero a formarsi nuovi centri di autorità,
questi hanno concentrato le loro forze a cercare di
eliminare, o quantomeno disciplinare, il ricorso alla
contromisura. Il ricorso a tale misura di autotutela è
stato gradualmente regolamentato dagli Statuti comunali
che disponevano indicazioni sui soggetti legittimati ad
adottare queste misure e sull’entità del danno che poteva
essere inflitto, fino a giungere a norme molto più
restrittive, in base alle quali determinati beni e
persone erano da considerarsi immuni dalle misure
unilaterali
5
. L’evoluzione normativa dell’istituto ha
comportato un suo cambiamento sostanziale; da misura di
4
Anzilotti, “Corso di diritto internazionale vol. III, I modi di
risoluzione delle controversie internazionali, Parte I” (Roma,
1952), pag. 152.
5
De Guttry, “Le rappresaglie non comportanti la coercizione
militare nel diritto internazionale” pagg. 5-11.
15
autotutela attuabile da privati cittadini, la
contromisura è entrata nella sfera di potere dei Comuni i
quali poi, eventualmente, concedevano ai cittadini
richiedenti, il diritto di intraprendere determinate
azioni. Questo sistema si perfezionò fino ad arrivare al
rilascio di vere e proprie Carte di rappresaglia che
introdussero consistenti limitazioni riguardanti i
presupposti, l’oggetto e le modalità di esercizio di
queste forme di autotutela. In altri termini, si è
passati da un sistema di contromisure privato ad uno
pubblico. Questo cambiamento si riflette anche in un
diverso contenuto dell’istituto: nelle sue forme iniziali
la contromisura aveva come scopo principale il
risarcimento immediato del danno sofferto, mentre la
contromisura “pubblica”, ossia non adottata dal singolo
cittadino, mira a punire un altro Stato o comunque a
indurlo a mutare il proprio comportamento illecito. Nella
prima fase di attività statale l’esercizio delle
contromisure era talmente privo di limiti che una
distinzione vera e propria tra il suddetto istituto e la
guerra risultava spesso difficile
6
. Con il passare degli
anni, i caratteri della contromisura vennero delineati
6
Cavaglieri, “Note critiche sulla teoria dei mezzi coercitivi al di
fuori dela guerra” in “Rivista di diritto internazionale” (1915)
pag. 23 ss e pag. 305.
16
con maggior precisione e i presupposti che ne legittimano
il ricorso e le modalità di esercizio furono limitati. La
Convenzione Drago Porter
7
, che introdusse limiti molto
stringenti alla possibilità di ricorrere alla forza
armata per il recupero dei crediti, è la prova di questa
evoluzione.
Anche le contromisure comportanti l’uso della forza
militare adottate in tempo di pace sono state severamente
limitate nel corso del tempo, fino ad arrivare ad oggi
dove l’uso della forza armata è vietato dallo Statuto
delle Nazioni Unite. Lo Statuto ha, infatti, fatto luce
sulla legittimità delle misure di autotutela implicanti
l’uso della forza. I numerosi statements fatti durante le
riunioni del Consiglio di Sicurezza
8
, le precise
disposizioni contenute in importanti risoluzioni adottate
dall’Assemblea Generale
9
e in altri atti internazionali
di rilievo
10
, nonché le opinioni espresse da parte della
7
Convenzione Drago-Porter sul divieto dell’uso della violenza
militare per il recupero dei debiti contrattuali del 18 ottobre
1907.
8
Higgins, “The development of international law throught the
polical organs of the United Nations” (Londra, New York, Toronto
1963), pagg. 155 ss.
9
Vedi ad esempio la “Declaration on principles of international law
concernine friendly relations and cooperation among states in
accordane witrh the charter of the United Nations” adottata
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 24 ottobre 1970 con
Risoluzione 2625.
10
Vedi ad esempio l’Atto Finale della Conferenza sulla Sicurezza e
la Cooperazione in Europa, sottoscritto a Helsinki l’1 agosto 1975,
in cui è stato previsto un espresso obbligo degli Stati di
17
dottrina
11
contribuiscono, infatti, a rafforzare la
convinzione che il divieto di ricorrere a contromisure
comportanti la coercizione militare si possa ormai
considerare una norma di diritto internazionale generale.
E’ però da rilevare che la dottrina non è
completamente concorde su questo tema
12
.
Come rileva dall’analisi appena esposta, le forme e
le modalità di esercizio dell’istituto della contromisura
sono molto cambiate nel corso degli anni. Questa
evoluzione è però segnata da un momento di cruciale
cambiamento dell’istituto: l’entrata in vigore della
Carta delle Nazioni Unite nel 1945. Difatti, come è stato
già menzionato, costituisce convinzione diffusa che prima
di questa data il ricorso alle contromisure (al tempo
vere e proprie rappresaglie) era ritenuto perfettamente
lecito a meno che specifiche norme non disponessero il
astenersi da qualsiasi atto di rappresaglia esercitato per mezzo
della forza
11
Albert, “ Du droit de se faire justice dans la société
internationale depuis 1945” (Parigi, 1983), pag. 34.
12
Sono Autori che, riferendosi alle mutate esigenze della comunità
internazionale, al mancato funzionamento del sistema di sicurezza
collettiva, alle conseguenze del terrorismo e alla prassi più
recente (specialmente di Israele e degli Stati Uniti), hanno
configurato la possibilità di ricorrere a rappresaglie armate
almeno in determinate circostanze: vedi Falk, “The Beirut Raid and
the International Law of Retaliation” in “American Journal of
International Law” (1969), Bowett, Reprisals Involving Recourse to
Armed Force, ibidem, (1972), Levenfeld “Israel’s Counter-Fedayeen
Tactics in Lebanon: Self-defense and Reprisal Under Modern
International Law”, in “Columbia Journal of Transnational Law”
(1982).
18
contrario
13
. Un esame della prassi di tale periodo
testimonia l’esistenza di numerosi precedenti in cui gli
Stati adottarono misure di rappresaglia senza incontrare
particolari proteste da parte da parte degli altri membri
della comunità internazionale
14
. Infatti, durante il XIX
secolo gli Stati adottavano costantemente “measures of
short of war” giustificandole come rappresaglie
15
.
Nonostante la grande libertà di cui godevano gli Stati
nel ricorrere alle contromisure, essi osservavano
comunque determinate modalità. Prima di prendere una
misura di autotutela veniva esperito un tentativo di
soluzione della controversia, inoltre il provvedimento
non doveva essere sproporzionato rispetto all’illecito
commesso dalla Stato offensore. Era stato inoltre più
volte affermato che le decisioni sarebbero state revocate
appena fosse stato raggiunto lo scopo della contromisura
intrapresa
16
. Questi limiti che si possono scorgere nella
procedura d’adozione della contromisura venivano
considerati, comunque, con un alto grado di flessibilità,
a tal punto che, secondo una parte della dottrina essi
13
Un esempio di simili norme è la citata Convenzione di Drago
Porter del 1907.
14
Moore, “A Digest of International Law” vol. VII, pagg. 105 ss.
15
Hindmarsh, “Force in Peace”(Cambridge, 1933), pag. 58.
16
Bluntschili, “Le droit international codifié” (Parigi) pagg. 291
ss.
19
costituivano solo delle regole d’umanità, d’equità e di
buona fede cui lo Stato non era giuridicamente
vincolato
17
.
Con la nascita della Società delle Nazioni
18
sono
sorti i primi dubbi circa la legittimità della
contromisura militare. Infatti, il Patto della Società
delle Nazioni aveva introdotto il divieto di ricorrere
alla forza armata; nonostante questo divieto avesse
numerose eccezioni, tra queste non era presente la
rappresaglia.
Il problema della compatibilità delle contromisure
implicanti la coercizione militare con le disposizioni
del suddetto Patto è emerso in particolar modo in
occasione del bombardamento e della successiva
occupazione (31 agosto 1923) dell’Isola di Corfù da parte
della flotta italiana
19
. Tale azione era stata posta in
atto come reazione al rifiuto del governo greco di
conformarsi a tutte le richieste avanzate dall’Italia in
seguito all’incidente avvenuto a Janina in cui era stato
ucciso il Generale Tellini, Presidente della Commissione
17
Cavaglieri, “Règles générales du droit de la paix” in 26
R.C.A.D.I. (1929) pag. 576.
18
La Società delle Nazioni fu fondata il 25 gennaio 1919 dalla
parte I del Trattato di Versailles e tenne la sua prima conferenza
a Ginevra il 15 novembre 1920. La Società si dissolse formalmente
il 18 aprile 1946 e trasferì la sua missione alle Nazioni Unite.
19
Hackworth, “Digest of international law” vol. VI (Washington,
1943) pag.151 ss.
20
per la delimitazione della frontiera dell’Albania, e
quattro suoi collaboratori (27 agosto 1923).
Di fronte a questo problema, e viste le incertezze
emerse in quella occasione circa la compatibilità
dell’azione italiana con le norme previste dal Patto
della Società delle Nazioni, il Consiglio della Società
decise di rivolgere un quesito ad hoc ad un Comitato di
Giuristi. Il Comitato rispose che le misure di
coercizione che non sono destinate a continuare degli
atti di guerra possono essere conciliabili o non con gli
articoli 12 e 15 del Patto, e spetta al Consiglio
responsabile della controversia di decidere
immediatamente, tenendo conto di tutte le circostanze e
della natura delle misure prese, se è il caso di
raccomandare il mantenimento o la cessazione delle misure
in questione
20
.
Il caso appena illustrato non è stato l’unico a
sollevare dubbi sulla legittimità delle rappresaglie
armate; questo problema si è proposto ripetutamente nel
corso degli anni successivi, ed in particolar modo in
occasione della stipulazione del Patto di Parigi (1928).
20
Le risposte fornite dal Comitato e fatte proprie dal Consiglio
della Società delle Nazioni il 13 marzo 1924, sono riprodotte in
“Journal Officiel de la Société des Nations” V num. IV (Aprile
1924).
21
Le disposizioni del suddetto Patto condannarono il
ricorso alla guerra come mezzo di soluzione delle
controversie internazionali e come strumento di politica
nazionale
21
.
La dottrina era sostanzialmente concorde nel
riconoscere, in presenza dei giusti presupposti, la
legittimità del ricorso alle contromisure, intese come
tutte le misure di costrizione (militari, economiche,
ecc.) che tendono ad obbligare la controparte sia a
cessare che a riparare un illecito commesso
22
.
Alla luce di quanto detto risulta quindi evidente
che, prima dell’entrata in vigore della Carta delle
Nazioni Unite gli Stati godevano di un’ampia libertà,
salvo limitate eccezioni, di ricorrere sia a contromisure
pacifiche che armate.
Il 1945 rappresenta quindi uno spartiacque, visto
che la Carta dell’ONU ha introdotto una serie di norme e
principi che hanno ristretto notevolmente la possibilità
di ricorrere a determinate misure di autotutela e
specialmente a quelle comportanti l’uso della forza
armata.
21
Sul Patto di Parigi vedi Balbareu, “Le Pacte de Paris” (Parigi,
1928).
22
Bourquin, “Règles générales du drot de la paix” in Recueil de
Cours I (1931), pagg. 222 ss.
22
2. Nozione di contromisura e di rappresaglia
La contromisura indica, in senso tecnico, comportamenti
in sé illeciti adottati in risposta ad illeciti altrui
23
.
Ciò significa che, in seguito ad un illecito
internazionale, lo Stato leso può violare a sua volta un
diritto soggettivo dello Stato offensore.
Il termine “contromisura” è stato utilizzato per la
prima volta nella sentenza del 1978 del Tribunale
arbitrale istituito da Stati Uniti e Francia in relazione
al caso dell’Accordo sui servizi aerei
24
. Il termine è
stato poi impiegato, oltre che dalla dottrina e dalla
Corte internazionale di giustizia nelle sentenze relative
ai casi sul Personale diplomatico e consolare degli Stati
Uniti a Teheran
25
, e sulle Attività militari e
paramilitari degli Stati Uniti in Nicaragua
26
, e da alcuni
suoi giudici in opinioni individuali (Opinione
individuale di Gros nel parere del 1980 reso dalla Corte
23
Focarelli, “Le Contromisure nel Diritto Internazionale”, (Milano,
1994), pag. 1; Conforti, “Diritto internazionale” (Napoli, 2002),
pagg. 358-361; Iovane, “La tutela dei valori fondamentali nel
diritto internazionale” (Napoli, 2000), pagg. 127 ss.; Giuliano,
Scovazzi, Treves, “Diritto internazionale, Parte generale” (Milano,
1991), pag. 440; De Guttry, “Le rappresaglie non comportanti la
coercizione militare nel diritto internazionale” (Milano, 1985),
pagg. 5 ss.
24
“International Law Reports” vol. 54.
25
International Court of Justice Reports, 1980.
26
Ivi, 1986.