2
Il capitolo conclusivo sarà dedicato alla comparazione dei due casi al fine di
valutare in che misura i sistemi misti italiano e giapponese hanno raggiunto gli
obiettivi insiti nella loro adozione nei rispettivi sistemi politici.
3
- CAPITOLO 1 -
SISTEMI ELETTORALI E CONSEGUENZE POLITICHE
1.1
DEMOCRAZIA E SISTEMI ELETTORALI
UN RAPPORTO IMPRESCINDIBILE
Il sistema elettorale è un elemento imprescindibile dall’assetto di qualsiasi
regime democratico. A parte in alcune piccole comunità, per democrazia
s’intende “democrazia rappresentativa” (Lijphart 1994, 1) in cui individui eletti
dal popolo prendono delle decisioni per conto di questo. Secondo Joseph
Schumpeter il “metodo democratico” è “lo strumento istituzionale per giungere
a decisioni politiche, in base al quale singoli individui ottengono il potere di
decidere attraverso una competizione che ha per oggetto il voto popolare”
(Schumpeter citato in Pasquino 1986, 86), mentre Giovanni Sartori definisce la
democrazia come “un sistema etico-politico nel quale l’influenza della
maggioranza è affidata al potere di minoranze concorrenti che l’assicurano”
(Sartori citato in Pasquino 1986, 86).
In queste definizioni sono due gli elementi che risaltano particolarmente: la
competizione elettorale (quindi il sistema che ne disciplina la dinamica) e la
presenza di una minoranza cha possa sostituirsi alla maggioranza.
Ci sono altri elementi che sostanziano la competizione elettorale democratica,
come per esempio il fatto che il suffragio sia universale e che le “elezioni siano
libere, corrette, competitive e periodiche” (Pasquino 1986, 85), la presenza di un
Parlamento che riunisca gli eletti ed un governo responsabile di fronte a
quest’ultimo.
Ma è la competizione per il potere politico ad essere determinante e come
afferma Arend Lijphart, uno dei più grandi studiosi di sistemi elettorali, “il
sistema elettorale è l’elemento più fondamentale della democrazia
rappresentativa” (Lijphart 1994, 1).
4
L’importanza dei sistemi elettorali si coglie anche scorrendo l’evoluzione e “la
natura delle istituzioni rappresentative delle democrazie moderne” (Fisichella
1982, 288). Queste istituzioni nascono in principio come organismi i cui
componenti rappresentano gli interessi di alcuni settori della società. Questi
delegati hanno il compito di contrattare con il potere politico, che consiste
solitamente nella figura del monarca.
E’ interessante notare che in questa forma primordiale di rappresentanza vi è
insito già un rapporto di responsabilità politica dato che i rappresentanti devono
rendere conto ai rappresentati degli esiti della contrattazione. Questa
responsabilità però non è ancora di natura democratica in quanto non è
legittimata dal voto popolare. E’ infatti con l’elettività dei rappresentanti che si
può parlare di responsabilità politica democratica, fatto questo che comporta
due conseguenze già riscontrate in precedenza: che l’elezione sia libera e
periodica e che il sistema elettorale garantisca una corretta competizione e cioè
che “non pre-determini l’impossibilità che una minoranza diventi una
maggioranza” (Fisichella 1982, 292). Una democrazia per essere tale non può
prescindere dalla competizione elettorale e, quindi, da un sistema che renda
questa competizione idonea ai fini che deve perseguire.
Una definizione normativa del sistema elettorale vede questo costituito da “un
complesso di regole e da una combinazione di varie procedure che mirano a
consentire l’efficace traduzione dei voti espressi in seggi e cariche” (Pasquino
1997, 67).
Più in generale, il sistema elettorale è quell’insieme di regole che disciplinano la
competizione elettorale non solo in termini di una mera traduzione di voti in
seggi, ma anche per “il ridisegno delle circoscrizioni, l’esistenza o meno delle
preferenze […], la disciplina dell’informazione politica e della propaganda
elettorale” (Pasquino 1997, 67), nonché per l’influenza sulla struttura del
sistema partitico. Questa influenza, che alcuni studiosi tendono a minimizzare, è
la ragione per la quale i sistemi elettorali e le loro eventuali modifiche sono
ancora oggi un tema di dibattito acceso nelle comunità politiche di molte
democrazie. Se da una parte John J. Grumm afferma che “la proporzionale è un
risultato piuttosto che una causa del sistema partitico” (Grumm citato in Sartori
5
1994, 39), e Vernon Bogdanor sostiene che “ogni teoria che fa del sistema
elettorale un fattore causale fondamentale nello sviluppo dei sistemi partitici è
insostenibile” (Bogdanor citato in Sartori 1994, 39), dall’altra abbiamo tesi,
quali quelle di Maurice Duverger o dello stesso Sartori, che invece affermano
non solo che i sistemi elettorali influenzano i sistemi partitici, ma che si può
valutarne gli effetti in anticipo con una certa precisione.
Il rapporto tra sistema elettorale e sistema partitico sarà trattato
approfonditamente più avanti; qui di seguito darò una definizione ed una
classificazione dei diversi sistemi.
1.2
SISTEMI ELETTORALI
DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE
Un sistema elettorale è quindi un insieme di regole e procedure che traduce i
voti dei cittadini in seggi. Questa definizione non è tuttavia esauriente, poiché è
necessario specificare quali siano queste regole e queste procedure.
Tre sono le proprietà di un sistema elettorale: la formula elettorale, l’ampiezza
del collegio e la soglia elettorale di rappresentanza (Lijphart 1994, 1) anche se ci
sono altri attributi del sistema elettorale, come per esempio l’influenza delle
elezioni presidenziali su quelle legislative (Lijphart 1999,164).
E’ importante focalizzare l’analisi sui primi tre aspetti, poiché, a seconda della
formula, dell’ampiezza del collegio e della soglia elettorale, un sistema inciderà
su due fattori politici essenziali per una democrazia:
1. il grado di proporzionalità dei risultati elettorali
2. la struttura del sistema partitico e il numero dei partiti, con tutto ciò che
ne consegue.
In via generale possiamo identificare tre tipi di sistemi elettorali: il sistema
maggioritario, il sistema proporzionale ed il sistema misto, ognuno
caratterizzato da una diversa formula elettorale, grandezza di collegio e soglia di
rappresentanza.
6
1.2.1 FORMULE ELETTORALI
Per formule elettorali s’intende il “mero meccanismo di traduzioni di voti in
seggi” (Pasquino citato in Amato-Barbera 1997, 68). Dal punto di vista teorico
sono infinite le formule elettorali che possono essere elaborate
1
, ma sono due
principali, ciascuno con numerose varianti al proprio interno:
a) formule maggioritarie
b) formule proporzionali
a) formule maggioritarie
All’interno di questo tipo ci sono altri tre sottotipi: formula plurality, majority-
plurality o maggioritario a doppio turno ed il voto alternativo.
La formula plurality, secondo la logica del “first past the post”, prevede che in
un collegio uninominale gli elettori dispongano di un singolo voto e che il
candidato che ottiene più voti viene eletto. Questa è una formula adottata, per
esempio, in Canada e nel Regno Unito.
L’unico esempio di majority-plurality a doppio turno è quello usato nella Quinta
Repubblica francese. Questa formula prevede che al primo turno venga eletto
chi ottiene la maggioranza assoluta dei voti validi (majority), ma nel caso in cui
nessuno ottenga tale risultato, si passa al secondo turno dove si applica la
formula plurality per cui, chi ottiene più voti, vince il seggio. L’accesso al
secondo turno non è limitato a due soli candidati, ma a tutti coloro i quali nel
primo turno superino una soglia elettorale minima
2
. Diverso il caso per alcune
elezioni presidenziali, dove l’accesso al secondo turno è limitato ai migliori due
piazzati al primo turno (majority runoff), formula questa adottata sempre in
Francia, in Portogallo e in Austria.
L’Australia è l’unico paese che adotta la formula del voto alternativo. Secondo
questa formula gli elettori devono elencare sulla scheda i candidati secondo un
1
Secondo lo studioso Ferdinand Hermens c’erano trecento varietà di sistemi elettorali a rappresentanza
proporzionale già prima della guerra 1914-1918 (Fisichella 1982, 151)
2
Nel sistema elettorale francese, questa soglia è del 12,5% ma non dei voti validi, bensì del numero
degli elettori aventi diritto dell’intero collegio (che corrisponde circa al 17% dei voti validi).
7
proprio ordine di preferenza e il candidato che ottiene la maggioranza assoluta
di “ prime preferenze” vince il seggio.
Nel caso in cui questo non si verifica, il candidato che ha ricevuto il minor
numero di “prime preferenze” viene escluso e le “seconde preferenze” delle sue
schede vengono ridistribuite tra gli altri candidati finché uno di questi non
ottiene la maggioranza assoluta.
b) formule proporzionali (PR)
Rispetto alle formule maggioritarie, le formule proporzionali sono le più
numerose nelle democrazie
3
e di conseguenza hanno molte più varianti.
La formula elettorale proporzionale più comune è quella con scrutinio di lista in
cui i partiti formano delle liste di candidati in collegi plurinominali. Gli elettori
danno il loro voto alla lista di partito che ottiene un numero di seggi in misura
proporzionale al numero dei voti. Le varianti riguardano la formula matematica
utilizzata per tradurre il numero dei voti in seggi elettorali:
- formula delle medie più alte o del sistema dei divisori: la formula d’Hondt è
in assoluto la formula più usata perché è un buon compromesso perché
produce dei risultati proporzionali, ma in misura minore alle altre formule
PR
4
. Di questa categoria fa parte anche il Sainte-Lague modificato
5
che
invece produce dei risultati maggiormente proporzionali.
- formula dei resti più alti o sistema di quote: la formula più datata di questo
tipo è quella elaborata da Thomas Hare che è in assoluto la più
proporzionale della famiglia PR.
Secondo questa formula, si calcola una quota che deriva dal rapporto tra il
numero totale dei voti espressi ed il numero dei seggi a disposizione. In
seguito si assegnano ai partiti “tanti seggi quante le quote che hanno vinto”
(Lijphart 1994, 23).
3
Su trentasei democrazie, oggetto di studio del manuale di Arend Lijphart “Le democrazie
contemporanee” del 1999, ben 18 adottano la formula elettorale proporzionale, tredici la formula
maggioritaria e cinque un sistema misto (Lijphart 1999, 165).
4
Per conoscere l’esatto funzionamento delle formule PR, consultare l’appendice A del manuale di A.
Lijphart “Sistemi elettorali e sistemi di partito” pubblicato nel 1994.
5
La formula originaria ha il primo divisore più basso, rendendo maggiormente accessibili i primi seggi
ai partiti minori (Lijphart 1994, 23).
8
I seggi che avanzano sono assegnati ai partiti con i resti più alti. Le
formule Droop, Imperiali e Imperiali rafforzata prevedono la stessa
dinamica, sebbene diano risultati meno proporzionali in quanto
aumentano le unità del denominatore rispettivamente di 1, 2 e 3, per
evitare una rappresentazione eccessiva dei partiti minori.
- l’ultima forma PR è il voto singolo trasferibile (VST) che si differenzia
dalle formule elencate in precedenza in quanto l’elettore non vota per una
lista
6
, ma per candidati individuali all’interno della lista. I candidati
devono raggiungere una quota di voti per essere eletti e, nella quasi
totalità dei paesi che usano il VST, il metodo di calcolo della quota è la
formula Droop.
All’interno delle formule PR, c’è un’ulteriore distinzione da fare: da una parte ci
sono sistemi che prevedono un solo livello di assegnazione dei seggi, dall’altra
quelli che invece funzionano su due o più livelli. Tutte le formule
precedentemente descritte implicano un solo livello di assegnazione di seggi. Al
contrario esistono altre formule proporzionali che sono compatibili con un
assegnazione di seggi a più livelli. A tal fine possono essere adottati due metodi:
il trasferimento dei resti e/o l’assegnazione di seggi di aggiustamento.
Nel primo caso, una delle formule PR dei resti più alti viene applicata per
l’assegnazione di seggi a livello circoscrizionale inferiore (questo livello
solitamente prevede un maggior numero di circoscrizioni e di seggi da
attribuire). Tutti i seggi e voti che avanzano vengono poi trasferiti e assegnati a
livello superiore (che può corrispondere al collegio unico nazionale). Nel
secondo caso, si possono applicare diverse formule PR e non necessariamente di
un tipo solo. Si effettua una prima allocazione di seggi a livello
circoscrizionale inferiore, sebbene l’assegnazione più consistente avvenga a
livello superiore dove i partiti ottengono i seggi in funzione del totale dei voti
ottenuti a livello inferiore, voti che nel loro insieme formano il livello
circoscrizionale superiore.
6
Bisogna specificare però che anche in alcune formule con lo scrutinio di lista, l’elettore può dare dei
voti di preferenza ai candidati di una lista, come avveniva in Italia fino la riforma del 1994.
9
La scelta di adottare un sistema elettorale a due livelli di assegnazione è dettata
dalla volontà di correggere le eventuali non proporzionalità che possono
verificarsi con un livello solo.
1.2.2 GRANDEZZA DEL COLLEGIO
La grandezza di un collegio consiste nel numero di candidati che devono essere
eletti nel collegio stesso. Le formule maggioritarie possono funzionare sia in
collegi uninominali che plurinominali, mentre le formule proporzionali
richiedono obbligatoriamente dei collegi plurinominali da un minimo di due
seggi in palio, fino a comprendere tutti i seggi parlamentari. “La grandezza del
collegio ha una grande influenza sul livello di proporzionalità e sul numero dei
partiti” (Lijphart 1999, 170).
L’influenza della grandezza del collegio è riscontrabile sia nei sistemi
maggioritari, in cui aumenta la non proporzionalità degli esiti elettorali, sia nei
sistemi proporzionali, in cui aumenta la proporzionalità.
Nel caso del maggioritario, i collegi plurinominali aumentano la non
proporzionalità perché tutti i seggi in palio in un particolare collegio sarebbero
appannaggio del partito più forte in quell’area geografica, quando invece,
dividendo quel collegio in tre di tipo uninominale, un altro partito, più forte “in
una sotto-area più ristretta”, ne avrebbe vinto uno. Pochi sono i casi in cui
sistemi maggioritari hanno adottato dei collegi plurinominali, tra cui, per
esempio, Mauritius. Nel sistema maggioritario il collegio plurinominale non è
praticamente usato perché tende a incrementare la non proporzionalità rispetto
ai collegi uninominali che, già di per sé, sono altamente non proporzionali.
Per quanto riguarda i sistemi proporzionali, se aumenta la grandezza del
collegio aumenta la proporzionalità poiché, con un numero ampio di seggi in
palio, risulta più facile per i partiti più piccoli vincerne uno. Un partito che
rappresenti una minoranza del 10% difficilmente vincerà un seggio in un
collegio con cinque seggi in palio, mentre aumenteranno le probabilità se sono
dieci i posti.
10
1.2.3 SOGLIE ELETTORALI DI RAPPRESENTANZA
La soglia elettorale è una percentuale minima di voto complessivo su base
nazionale, oppure un minimo di seggi vinti nei collegi più piccoli che un partito
deve raggiungere per partecipare all’attribuzione dei seggi ed entrare in
parlamento. Il fine è quello di rendere meno accessibile ai partiti minori la
rappresentanza in parlamento per evitare un’eccessiva frammentazione del
sistema partitico. Le soglie possono essere minime, come quella in vigore in
Olanda dello 0.67%, ma anche di una certa entità, come quella utilizzata in
Germania del 5%. Queste soglie, applicate perlopiù nei sistemi proporzionali,
sono dette “esplicite” (Lijphart 1999, 174) perché previste dalla legislazione
elettorale. E’ importante aggiungere che “anche con l’assenza di una soglia
elettorale esplicita, esiste comunque una soglia effettiva che deriva dalle altre
due dimensioni” (Lijphart 1994, 12), e specialmente dalla grandezza del
collegio. Nei sistemi proporzionali, aumentando la grandezza dei collegi,
aumenta la probabilità dei piccoli partiti di essere rappresentati e questo si
traduce in un abbassamento della “soglia effettiva”. “In altre parole, la soglia
legale e la grandezza del collegio possono essere viste come due facce della
stessa medaglia” (Lijphart 1994, 12).
Sono diversi i problemi per calcolare questa soglia effettiva perché difficilmente
consiste in una percentuale specifica, ma più probabilmente sarà un intervallo di
valori che vanno da una “soglia di rappresentanza” (Lijphart 1994, 25) ad una
“soglia di esclusione” (Lijphart 1994, 25). La prima soglia, se viene raggiunta
dal partito, garantisce la vittoria di un seggio, mentre la seconda può dare la
vittoria di un seggio “nelle circostanze più favorevoli” (Lijphart 1994, 25) ma
non la garantisce.
Oltre a questo problema, ci sono altri inconvenienti come per esempio il fatto
che anche la formula elettorale incide, così come il numero dei partiti che
competono.
Una formula che, in definitiva, può essere valida è la seguente:
T= 75% / M+1
dove T è la soglia effettiva e M la grandezza media del collegio.
11
Con questa equazione, risulta per esempio, che in Spagna, dove si utilizza un
sistema elettorale proporzionale con una grandezza media dei collegi di 6,7, la
soglia effettiva è del 9,7%, anche se non ne è prevista una legale.
Se il rapporto appena descritto è valido per i sistemi proporzionali, per i sistemi
maggioritari possiamo fissare la soglia effettiva al 35%, alla stregua del
ragionamento di Lijphart che la considera una percentuale sufficiente per
rendere possibile l’elezione
7
.
1.2.4 CLASSIFICAZIONE DEI SISTEMI ELETTORALI
Sistema Maggioritario
Questo tipo di sistema solitamente prevede la competizione dei candidati in
collegi uninominali e l’adozione delle formule plurality, majority-plurality alla
francese o del voto alternativo. Non esiste una soglia elettorale “esplicita”,
sebbene quella effettiva sia del 35% (cfr. paragrafo sulle soglie elettorali ).
Gli effetti desiderati da chi adotta questo sistema elettorale sono quelli della
stabilità di sistema e della identificabilità delle alternative di governo a scapito
della rappresentatività.
Sistema Proporzionale
La competizione ha luogo in collegi plurinominali mentre le formule adottate
sono diverse (cfr. paragrafo sulle formule). Può essere prevista una soglia
elettorale “esplicita”, che varia da quella adottata in Olanda dello 0,67%, a
quella tedesca del 5%, mentre quella effettiva dipende dalla grandezza del
collegio (cfr. paragrafo sulle soglie elettorali).
Il sistema PR ha come scopo quello di garantire la rappresentanza in parlamento
del maggior numero di gruppi politici e di forze sociali a scapito della maggiore
7
Questa è una stima di A. Lijphart che considera la percentuale del 35% come “un stima ragionevole
usata per tutti i sistemi maggioritari [dei paesi oggetto del suo studio, ndr]” (Lijphart 1994, 29).
12
stabilità e identificabilità
8
del sistema politico.
Sistemi Misti
Esistono dei sistemi elettorali che non rientrano nelle categoria dei sistemi
maggioritari o dei sistemi proporzionali e che vengono definiti misti, ma sulla
classificazione dei quali, si riscontrano diverse posizioni.
Nella sua disamina Lijphart sostiene, infatti, che “la maggior parte delle formule
elettorali rientra nelle due grandi categorie, quella della rappresentanza
proporzionale e quella maggioritaria, ma [che] alcune di esse si trovano a metà
strada” (Lijphart 1999, 165). Tra queste ultime egli colloca il voto limitato,
usato in Giappone nelle elezioni del 1946 e il voto singolo non trasferibile,
applicato sempre in Giappone dal 1947 fino al 1993; entrambi i sistemi
utilizzano la stessa formula dei sistemi maggioritari-plurality, dato che chi
ottiene il maggior numero di voti viene eletto, ma hanno la particolarità di
adottare dei collegi plurinominali come i sistemi proporzionali. Inoltre nel voto
limitato, l’elettore dispone di un minor numero di voti rispetto al numero di
seggi da assegnare, mentre nel voto singolo non trasferibile l’elettore dispone di
un solo voto.
Shugart e Wattenberg (2001), invece, non considerano misti quei sistemi che
combinano semplicemente elementi del sistema proporzionale e di quello
maggioritario, ma quelli che contemplano due canali di rappresentanza in cui
vengono applicati i due sistemi in maniera distinta. Quest’ultima definizione è
quella che sarà adottata ai fini della nostra analisi.
Secondo i due autori, quindi, i sistemi misti contemplano un canale di
rappresentanza uninominale, dove si applica un sistema maggioritario (nella
maggior parte dei casi nella variante plurality) e un canale di rappresentanza
proporzionale di lista, dove chiaramente si applica un sistema PR. Si ha quindi
un livello di assegnazione di seggi uninominale (nominal tier districts) ed uno
di lista o proporzionale (list tier district) così che l’elettore vota sia per un
8
Si tratta di una generalizzazione nel senso che alcuni paesi con sistema proporzionale sono
caratterizzati anch’essi da una forte stabilità e chiarezza di alternative di governo.
13
singolo candidato, sia per la lista di un partito. Questi tipi di sistemi nascono
con lo scopo di beneficiare degli aspetti positivi dei due sistemi elettorali
maggiori cercando di garantire stabilità di governo senza incidere sulla
rappresentatività. All’interno della famiglia dei sistemi misti ci sono due sotto-
tipi, dei quali il primo tende nei suoi effetti più al maggioritario, “misto-
maggioritario” (MM), e il secondo più al proporzionale, “misto-proporzionale”
(MP)
9
.
La differenza tra questi due sistemi è la presenza o l’assenza di un linkage
(collegamento) tra i livelli di assegnazione di seggi.
Con l’MM un partito ottiene un numero totale di seggi che corrisponde alla
somma dei seggi vinti nei collegi uninominali e dei seggi vinti nella parte
proporzionale in base alla percentuale dei voti ottenuti. I due canali rimangono
paralleli e quindi senza linkage.
Un caso empirico è il sistema elettorale giapponese in vigore dalle elezioni del
1996 alla Camera Bassa dove trecento parlamentari sono eletti con un sistema
maggioritario uninominale di tipo plurality e duecento vengono eletti attraverso
uno scrutinio di lista proporzionale. Ogni elettore dispone di due voti, uno di
collegio e uno di lista e le due “componenti maggioritarie e proporzionali della
elezione sono tenute interamente separate” (Lijphart 1999, 169).
Nel MP il numero totale dei seggi che spettano ad un partito è stabilito in base
alla percentuale di voti ottenuti alle elezioni nel canale proporzionale. Il numero
dei seggi che un partito ottiene a livello di lista è parzialmente determinato dal
numero dei seggi che ha vinto a livello uninominale. Infatti, ai seggi ottenuti
all’uninominale si sommeranno solo quei seggi del livello proporzionale utili
per arrivare al numero totale. Questo sistema è applicato in Germania dal 1956 e
prevede che l’elettore voti sia per un candidato che concorre in un collegio
uninominale e sia per una lista. Il numero totale dei seggi che un partito ottiene
è in funzione della percentuale dei voti ottenuti a livello proporzionale. Da
questi seggi viene sottratto il numero di seggi vinti nell’uninominale e, se
9
La classificazione dei sistemi misti in questa tesi è basata sulla classificazione fatta nel capitolo
“Mixed-Member Electoral System: A Definition and Typology” di Matthew S. Shugart e Martin P.
Wattenberg nel manuale intitolato Mixed-Member Electoral Systems: The Best of Both Worlds? a cura
degli stessi. Nella loro classificazione peraltro gli MP sono definiti MMP (mixed-member proportional)
e il sotto-tipo MM invece MMM (mixed-member majority).
14
avanzano dei seggi, saranno assegnati ai candidati presentatisi nel canale
proporzionale nelle liste del partito medesimo.
Ci possono essere altre differenze sostanziali all’interno dei due sotto-tipi MM e
MP: la percentuale di seggi da assegnare all’uninominale può essere di diversa
entità, del 60 % come in Giappone, del 75% come in Italia o del 50% come in
Germania; la quota di seggi assegnati col proporzionale può variare
considerevolmente, l’elettore può disporre di due voti (uno per ciascun livello)
oppure di uno solo, la grandezza del collegio proporzionale può essere di due o
più seggi o consistere in un unico collegio nazionale, così come si possono
adottare formule PR o maggioritarie diverse nei rispettivi canali di
rappresentanza. Il tema centrale di questa tesi è l’analisi delle conseguenze
politiche prodotte dai sistemi misti, prendendo in esame il caso del sistema
elettorale adottato nel 1993 in Italia e comparandolo con il sistema misto
adottato in Giappone nel 1994.
Dall’inizio degli anni novanta questi tipi di sistema elettorale sono stati adottati
in maniera sempre più consistente: basta ricordare l’Italia nel 1993, il Giappone
nel 1994, la Nuova Zelanda nel 1996, la Russia nel 1993, il Venezuela nel 1998.
Sono stati adottati sia da paesi di lunga tradizione democratica, sia da paesi in
fase di democratizzazione, ma qual è la spiegazione di un uso sempre più
ingente di questo tipo si sistema elettorale? Evidentemente le élites politiche
nella fase di transizione non hanno trovato nelle due maggiori famiglie una
soluzione accettabile per i loro problemi mentre il sistema misto garantiva una
soluzione compromissoria tra il proporzionale e il maggioritario. Come è già
stato detto questa soluzione consiste nel trovare un sistema che garantisca una
chiara identificabilità delle forze politiche in competizione per il governo e la
stabilità di sistema senza sacrificare eccessivamente la rappresentatività delle
forze politico-sociali presenti nel paese.
Per molti casi è ancora difficile constatare se i sistemi misti abbiano prodotto gli
effetti desiderati, dato che il numero di elezioni avvenute con il nuovo sistema
sono state troppo poche perché il sistema politico potesse stabilizzarsi.
Nei casi che verranno presi in esame si può però trarre un primo bilancio
“politico” dell’uso del sistema misto ed in particolar modo si cercherà di capire
15
se il sistema politico abbia raggiunto la piena “efficienza elettorale” (Shugart
2001, 28). Secondo Matthew S. Shugart questa efficienza consiste in “un ideal-
tipo in cui le istituzioni permettono la formazione di maggioranze elettorali
basate su programmi politici comuni (policy-based electoral majorities)”
(Shugart 2001, 28). Si potrebbe definire l’efficienza elettorale, quindi, come il
miglior risultato possibile del compromesso tra maggioritario e proporzionale
descritto in precedenza.
Shugart misura l’efficienza di un sistema politico in funzione di due dimensioni:
la dimensione interpartitica e la dimensione intrapartitica.
La dimensione interpartitica
10
prevede ad un estremo un sistema politico “iper-
rappresentativo” (Shugart 2001, 43) dominato dai partiti, in cui gli elettori con il
proprio voto non scelgono un’alternativa di governo, ma votano il partito che, a
seconda dei risultati elettorali, eventualmente farà parte di una coalizione di
governo. Il sistema elettorale garantisce quindi rappresentatività, ma impedisce
una chiara identificazione delle opzioni di governo.
All’estremo opposto della dimensione interpartitica invece abbiamo un sistema
politico “pluralitarian” (Shugart 2001, 43) in cui il sistema garantisce una
chiara identificabilità delle opzioni di governo a scapito però della
rappresentatività, poiché agevola la formazione di maggioranze monopartitiche
in parlamento che non sono votate dalla maggioranza assoluta degli elettori.
La dimensione intrapartitica
11
invece presenta ad un estremo un sistema politico
“iper-centralizzato” (Shugart 2001, 43) dotato solitamente di sistema PR, dove
le candidature sono decise dalla leadership di partito e che vengono imposte
all’elettore che vota esclusivamente per il partito (specialmente dove le liste
sono bloccate).
All’altro estremo della dimensione intrapartitica si ha un sistema politico “iper-
personalistico” (Shugart 2001, 43) dove i candidati per essere eletti sono spinti
ad instaurare un rapporto molto stretto con l’elettorato, col rischio però, che si
creino dei rapporti di tipo clientelare.
10
Shugart (2001) per stabilire dove un sistema politico si posizioni nella dimensione interpartitica
utilizza i seguenti indici: pre-election identifiability (ID), majority approximation (MA), electoral
linkage (L) e plurality enhancement (P).
11
Per quanto riguarda la dimensione intrapartitica, Shugart usa i seguenti indici: ballot, vote e district.