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ABSTRACT
Il presente lavoro di ricerca è stato realizzato in collaborazione con la Regione Toscana,
a seguito della proposta di quest’ultima di realizzare un’indagine sul settore delle acque
minerali, con particolare riguardo al tema dei canoni concessori. Mentre nel resto del
mondo trionfano sulle tavole acque mineralizzate o potabili filtrate, in Italia la bottiglia
di minerale è diventata una “componente” immancabile della lista della spesa con un
consumo pro-capite che ci pone di fronte alle altre economie e con notevoli ritorni
economici per le imprese del settore. Proprio queste ultime sono finite sotto accusa da
parte di associazioni a tutela dell’ambiente, che denunciano come il regime delle
concessioni, sia basato su delle normative vetuste che svendono la preziosa risorsa
idrica attraverso concessioni tacitamente perpetue che non ricompensano l’effettivo
valore della risorsa a svantaggio degli enti territoriali. Nell’impossibilità di stabilire un
canone che possa essere oggettivamente considerato “equo” per la molteplicità di
interessi in gioco, si è proceduto analizzando la normativa di riferimento specifica per le
acque minerali, che appartenendo ai “beni minerari” fanno parte del patrimonio
indisponibile della Regione, con una delicata sovrapposizione di competenze con lo
Stato. Successivamente, il presente lavoro ha analizzato i caratteri principali del settore
dell’imbottigliamento di acqua minerale, osservando come, accanto alla presenza di una
miriade di concessionari a distribuzione su area geografica ristretta e strategia di primo
prezzo, si affianchino otto grandi gruppi del beverage che applicano prezzi di tipo
premium e controllano i due terzi del mercato e puntano forte sulla riconoscibilità del
loro marchio, attraverso consistenti investimenti pubblicitari e soluzioni di packaging
innovativo. Sono proprio questi massicci investimenti che hanno quindi portato gli enti
competenti e i fautori della revisione dei canoni a domandarsi se effettivamente nel
momento in cui ci rechiamo alle casse per pagare la bottiglia stiamo acquistando acqua
o plastica: cercando di dare una risposta, si è quindi raccolto la testimonianza di alcune
imprese del settore in Toscana (Acqua e Terme di Uliveto S.p.A. e Fonte Ilaria S.p.A.),
prezioso contributo a supporto della valutazione dei dati di bilancio delle medesime
società. A tal proposito, il terzo capitolo del lavoro si è concentrato sull’analisi delle
normative regionali (o provinciali) in essere, sia dal punto di vista degli importi unitari
fissati sugli ettari di superficie oggetto di concessione, sui volumi di acqua imbottigliata
e/o sui volumi di acqua emunta, oltre che sui meccanismi di premiazione previsti dal
dettato legislativo. L’analisi effettuata ha evidenziato come il sistema dei canoni
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concessori soffra la mancanza di una normativa nazionale tale da definire con chiarezza
e in maniera omogenea i criteri di determinazione dei canoni concessori, oltre che gli
importi di questi ultimi, alleviando le eccessive inter-regionali. Come visto nel corso del
capitolo, la questione si complica ulteriormente entro regioni quali la Toscana, ove
trovano la loro origine importanti etichette quali Acqua Panna, Acqua Uliveto e Acqua
Fonte Ilaria. Qui, i concessionari, sulla base dei dati raccolti grazie al supporto della
Regione Toscana, beneficiano di canoni medio-bassi e di un sistema di premialità
connesso all’imbottigliamento in vetro, e il contesto è complicato ulteriormente
considerando il decentramento territoriale operato a favore dei Comuni, che dispongono
della possibilità di fissare il canone entro la forbisce stabilita dalla Legge Regionale n.
38/2004, accrescendo le disomogeneità. Una revisione della normativa in essere appare
quindi uno step essenziale verso il raggiungimento di uno scenario caratterizzato da
maggiore equità, che possa così giungere a beneficio non solo delle imprese ed
eventualmente degli enti territoriali, ma anche del pianeta. A tal proposito quindi, il
capitolo conclusivo è stato realizzato tenendo in considerazione l’impegno dell’Unione
Europea nel raccomandare agli Stati Membri (al momento con scarsi risultati)
l’adozione di strumenti di politica tariffaria tali da internalizzare i così detti Economic
and Resource Costs. Affrontando il tema prima da un punto di vista normativo, e
successivamente sotto il profilo della teoria economico-ambientale, si è proposto che la
revisione della normativa Toscana preveda l’introduzione di una misura tale da
quantificare il danno ambientale, incentivando i diretti interessati (differenziati in base
al loro impatto attraverso un intuitivo “semaforo ambientale) ad adottare comportamenti
maggiormente virtuosi. L’introduzione del parametro ambientale (teoricamente
un’imposta Pigouviana) da aggiungere al vigente criterio sull’imbottigliato e al criterio
superficiario volto a remunerare la superficie occupata dai concessionari, dovrebbe
riuscire così a tradurre l’esternalità negativa connessa all’attività economica di
imbottigliamento in un costo a carico degli imbottigliatori / inquinatori. Così facendo, si
cerca non tanto di accrescere gli introiti per i Comuni competenti, quanto piuttosto di
incentivare le imprese ad adottare un comportamento maggiormente eco-sostenibile a
vantaggio del pianeta. Il rispetto dell’ambiente non può quindi prescindere
dall’adozione di comportamenti virtuosi ed essenziali, quali ad esempio l’utilizzazione
del PET riciclato. L’attuale impegno dell’Unione Europea contro le plastiche monouso,
ha condotto all’emanazione di una direttiva che ha vietato l’impiego delle plastiche per i
prodotti per i quali esistono in commercio materiali alternativi riutilizzabili e/o
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biodegradabili, imponendo inoltre che entro il 2025 almeno il 25% della bottiglia sia
fatta di plastica riciclata. Per questo motivo, attraverso gli ultimi paragrafi del presente
lavoro, si è cercato di far tesoro delle nozioni apprese dalle testimonianze dei massimi
esponenti del Consorzio CONAI sulla plastica riciclata, affrontando la possibile
implementazione di un sistema basato sull’rPET. Un futuro che consenta di trasformare
la plastica da rifiuto a materia prima secondaria richiede un’implementazione
impeccabile del cd. bottle to bottle e una conseguente e soddisfacente offerta di rPET.
E’ per questo, che il presente lavoro si conclude nell’auspicio che la revisione della
normativa vigente operata da parte della Regione Toscana annoveri una nuova
premialità ambientale che incentivi (attraverso una riduzione dei canoni) i produttori
all’utilizzo dell’rPET.
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INTRODUZIONE
Quante volte, nel corso della vita ci è capitato di acquistare una bottiglia di acqua
minerale? Centinaia, migliaia o milioni di volte in cui abbiamo compiuto un gesto tanto
semplice quanto inconsapevole, senza mai (o quasi) chiedersi quale sia il mondo che si
cela dietro la bottiglia di acqua, o più precisamente di plastica. Montagne innevate e
jingle pubblicitari dileggiano un consumatore vittima degli strateghi del marketing,
capaci negli anni di “creare” dal nulla la domanda per un prodotto originariamente
commercializzato dalle sole farmacie a scopo terapeutico. L’acqua minerale, utilizzando
le parole del CENSIS, rappresenta “oggi un fenomeno massificato, capillare e
trasversale al genere e all’età”. Normative permissive, monitoraggi sporadici, danni
ambientali e concessioni per l’emungimento dalle falde acquifere svendute da parte
degli Enti competenti a prezzi irrisori, rendono opaca la valutazione di un settore capace
di caratterizzare con la propria firma l’acqua, prodotto per natura e per legge
indifferenziabile qualitativamente. Positivo o negativo che sia il giudizio su un’industria
che comunque in maniera diretta e indiretta occupa circa quarantamila dipendenti, è
ormai lampante l’inadeguatezza dei contributi incassati dagli enti territoriali, proprietari
dei giacimenti appartenenti al patrimonio indisponibile. Normative vetuste, generose e
talvolta paradossalmente svincolate dai metri cubi di acqua captata continuano a
contraddistinguere il regime concessorio Italiano, con introiti che impediscono alle
Regioni e alle Province competenti la possibilità di recupero delle spese sostenute per la
gestione delle concessioni e lo smaltimento dei resi. È per tale inadeguatezza monetaria,
oltre che per il danno ambientale dovuti ai vuoti di plastica dispersi, che il tema delle
concessioni ha oggi acquisito una risonanza che oltrepassa i confini nazionali. Al di là
delle accuse e del malcontento diffuso, gli enti territoriali si stanno rassegnando alla
sopraffazione di normative a loro sfavorevoli, temendo che dalla loro azione correttiva
possa scaturire una reazione altrettanto impetuosa da parte dei produttori di minerale.
Ricercare un valore equo e puntuale di canone concessorio significa quindi frapporsi
entro un intreccio di interessi poco trasparenti, e pertanto è ancora obiettivo utopico. È
per questo, che il presente testo scaturisce dalla richiesta della Regione Toscana di
“accedere una lampadina” entro il tenebroso e lacunoso sistema dei canoni concessori,
identificando le possibili fondamenta di una revisione della normativa regionale locale
che non possono prescindere da un rinnovamento dei parametri di determinazione del
canone concessorio. Giovando dell’ispirazione fornita da parte del Professore di
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Economia Pubblica Antonio Massarutto e dai suoi studi compiuti sul settore
idroelettrico, si è cercato di ridisegnare la vigente normativa facendo perno sui principi
europei del “chi utilizza paga” e del “chi inquina, paga”. Questi appaiono il
fondamento per l’introduzione di un criterio di tipo ambientale cucito ad hoc
sull’effettivo “danno” cagionato all’eco-sistema dall’attività di impresa degli
imbottigliatori. Quantificare gli Economic and Resource Costs è un obiettivo lungi
dall’essere raggiunto nell’ambito della normativa italiana delle acque minerali. Per
questo, attraverso l’introduzione di un modello semplice ed intuitivo, si cerca di fornire
una metodologia di identificazione del danno ambientale del singolo produttore, da
tradurre in un’imposta Pigouviana proporzionale all’esternalità negativa generata. La
tassazione di aspetti produttivi quali la produzione di plastica e la dispersione idrica, a
nostro avviso, si tradurrebbe nell’introduzione di un correttivo efficace ed incentivante,
volto a privilegiare la concretezza e la razionalità economica, a differenza dalle vigenti
ed astratte compensazioni forfettarie che la normativa riconosce col nome di “oneri
diretti e indiretti”. Attraverso il semaforo ambientale proposto, si auspica un sistema di
discriminazione ed incentivazione dei produttori, che oltrepassi l’immobilismo delle
istituzioni, ponga rimedio alla mercificazione dell’acqua e accresca la trasparenza
sull’impiego di una risorsa idrica che oggi scorre tra luci e ombre. Canoni equi ed eco-
sostenibili, dovrebbero quindi rappresentare la ratio su cui elaborare la revisione della
L.R.T. n.38/2004, così da raggiungere e consolidare il buono status delle risorse
ambientali richiesto da parte delle direttive europee. Affinché economia ed ecologia
possano definitivamente muoversi di pari passo verso il raggiungimento di un risultato
socialmente efficiente, saranno però condizioni indispensabili la collaborazione tra gli
attori della filiera e la ricerca da parte degli enti competenti di una maggior
consapevolezza e conoscenza su un bene ad oggi abbandonato in mani private.
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CAPITOLO 1 – Acqua: minerale o
del rubinetto?
L’acqua è l’elisir della vita. Essenziale nella regolazione della temperatura
corporea, l’acqua svolge un ruolo determinante nella gran parte dei processi fisiologici e
delle reazioni biochimiche. Idratarsi è quindi necessità vitale, a patto che ciò avvenga in
maniera corretta. Un diffuso sentimento di diffidenza nei confronti delle acque del
rubinetto, accompagnato da sporadici casi di reti acquedottistiche logore, ha indotto i
consumatori Italiani a prediligere il consumo di acqua in bottiglia, e nello specifico di
acqua minerale. Comparsa sul mercato in boccioni di vetro e con finalità prettamente
terapeutiche, la minerale si è affermata negli anni come un bene a consumo trasversale.
Ne è derivata una crescita a doppia cifra nei consumi della popolazione, a vantaggio di
produttori che sfruttano i giacimenti minerari (appartenenti al patrimonio indisponibile
delle Regioni) in virtù dell’ottenimento di generose concessioni. Merito di una
pubblicità comparativa e incessante, la minerale ha lo status di prodotto essenziale in un
periodo di razionalizzazione della lista della spesa da parte del consumatore, incurante
della macroscopica differenza di prezzo che contraddistingue le acque in bottiglia
rispetto alle acque del Sindaco. Alla luce delle peculiarità di due beni appartenenti al
genus “Acqua”, ma sottostanti ad una differente normativa e ad un differente prezzo, è
domanda lecita chiedersi se la preferenza del consumatore trovi giustificazione in una
qualità superiore dell’acqua o quest’ultimo è semplicemente vittima degli strateghi del
marketing.
1.1. L’Italia e gli Italiani: il secondo mercato al mondo di acqua in bottiglia
L’ormai annoso dibattito sulle maggiori virtù dell’acqua del rubinetto o dell’acqua
minerale si ripropone in maniera incessante, con argomentazioni più o meno veritiere a
supporto dell’una o dell’altra tesi. Ciò che nel concreto viene evidenziato dalle indagini
realizzate dagli istituti competenti è che, o per necessità o più spesso per scelta, il
popolo italiano è assiduo consumatore di acqua minerale, oggetto di imbottigliamento
da parte di centoquaranta stabilimenti diffusi sulla penisola Italica (Mef - Dipartimento
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del Tesoro, 2018)
1
. Vittime di una pubblicità tanto martellante quanto efficace
2
, gli
Italiani sono i secondi maggiori consumatori di acqua al mondo e i primi in Europa
(Censis, 2018), pur disponendo di una rete acquedottistica preferibile rispetto a quella di
altre regioni del globo. L’acqua minerale, a poco a poco, si è affermata come bene
imprescindibile nella dieta mediterranea e nella testa dei consumatori nostrani,
beneficiando di una considerazione differente rispetto a quella esterna, ove la minerale è
percepita come uno sfizio costoso. Per questo pur aumentando annualmente i fondi
pubblici destinati all’ammodernamento degli acquedotti, il consumo di minerale
continua a sposarsi con le abitudini culinarie delle famiglie Italiane, rivolgendosi ad
un’utenza senza limiti di età, di genere e di classe sociale. Il rapporto “Il valore sociale
rivelato dal consumo di acque minerali” condotto da parte del Centro Studi
Investimenti Sociali si è proposto di ricercare i driver alla base del successo delle acque
minerali, ed ha ottenuto i risultati riportati nel grafico 1 (Censis, 2018).
Grafico 1 – Le ragioni alla base del consumo di acqua minerale in Italia
Fonte: (CENIS, 2018)
1 Il rapporto del Dipartimento del Tesoro pubblicato in data 27/04/2018 è stato redatto con dati forniti
dalle aziende e riferiti all’anno 2015.
2 Si veda il paragrafo 2.2.8.
38%
25%
21%
26%
E' buona, mi piace
Fa bene alla salute
E' sicura
E' comoda