2
popolazioni montane, le quali, oltre al territorio, erano l’altra vera
risorsa da tutelare e sviluppare. Gli aspetti funzionali delle comunità
montane sono in seguito mutati.
Infatti, nel corso di tutti gli anni ’80 e ’90 si è teso a conferire uno
status giuridico alle comunità montane che fosse sempre più vicino a
quello degli enti locali veri e propri, e parallelamente si è assistito ad
un incessante spoglio delle sue funzioni programmatiche a favore
della Provincia, per orientare l’ente “montano”, sempre più alla
riaggregazione dell’azione amministrativa dei piccoli comuni che non
riuscivano a gestire secondo criteri di economicità, efficienza ed
efficacia i propri servizi e l’esercizio delle loro funzioni.
Si è passati, perciò, progressivamente dall’originaria previsione di un
nuovo ente “intermedio” per le zone montane alla costituzione di un
ente di livello locale, flessibile, capace di aggregare istituzionalmente
anche la rappresentatività comunale, essendo un ente rappresentativo
di secondo grado. Si finisce così per prevedere una species particolare
di Unione di Comuni, dalle caratteristiche tipiche e da un peculiare
rapporto con gli altri enti di governo locale.
Si analizzerà in seguito la riforma costituzionale del 2001,
evidenziando sia gli aspetti innovativi riguardanti Comuni, Province e
Città metropolitane, sia il nuovo assetto delle competenze legislative
in materia di enti locali, al fine di verificare se la competenza
legislativa al riguardo è solo regionale o se per alcuni profili è
ipotizzabile anche una competenza statale.
3
Tutto ciò al fine di individuare quali possono essere le linee lungo le
quali si potrà evolvere la normativa riguardante questo ente e quale
sarà il suo ruolo nel nuovo sistema degli enti locali.
In appendice sono riportate alcune tabelle contenenti dati utili a
fornire un quadro delle comunità montane esistenti, delle loro
caratteristiche demografiche, territoriali e funzionali (con particolare
riferimento alla gestione associata di funzioni e servizi).
4
CAPITOLO PRIMO
La legislazione sulla montagna dall’inizio del secolo XX alla
approvazione della legge n. 1102/1971.
1. Legislazione sulla montagna: dall’inizio del secolo XX al
periodo fascista.
Sin dai primi anni del novecento, a causa del crescente sviluppo
urbano ed industriale verificatosi nel nostro paese, si è manifestata
l’esigenza di ridefinire in modo più organico ed efficace l’assetto del
territorio ed in particolar modo, almeno in un primo momento,
l’assetto del sistema idraulico-forestale dei territori montani.
Dopo numerose proposte di riforma ed ancor più numerosi
provvedimenti isolati e non riconducibili ad un piano organico, si
perviene all’approvazione nel 1910 della legge n.277, cosiddetta legge
Luzzatti, la quale dispone l’istituzione, presso il Ministero
dell’agricoltura, della direzione generale delle foreste e del Consiglio
superiore delle acque e delle foreste.
Tale legge è importante, dal punto di vista giuridico, non tanto per ciò
che dispone a livello d’interventi concreti sul territorio (in ogni caso
5
necessari e lodabili), bensì perché si propone di dettare un nuovo
approccio, di stampo statalista, alla risoluzione dei problemi del
territorio. Tale approccio finirà per condizionare, per quasi mezzo
secolo, tutta la produzione normativa sulla montagna.
Successivamente, infatti, interverrà anche la legge n. 134 del 1912 la
quale sposterà la dipendenza delle guardie forestali dalle province allo
Stato.
Probabilmente si riteneva che la formulazione di piani organici di
riassetto del territorio non potesse prescindere dall’affidamento della
gestione di tali finalità alle amministrazioni centrali di settore (cioè, in
linea di massima, al Ministero dell’agricoltura e a quello dei lavori
pubblici), non considerando gli inevitabili problemi di coordinamento
che tale situazione comportava a livello periferico.
Al fine di coordinare la disciplina sulla montagna, nello stesso anno
(1912) le suddette normative, accompagnate da altri provvedimenti di
minore portata, andarono a comporre un corpo organico di leggi,
rappresentato dal regio decreto n.442 assunto a testo unico in materia.
Il T.U. del 1912 resta il punto di riferimento normativo unico almeno
fino all’avvento del regime fascista. Nel 1923, infatti, viene emanato il
regio decreto n. 3267 (noto anche come legge forestale o legge
Serpieri), il quale pur non apportando stravolgimenti all’impianto
strutturale dell’antecedente legge, opera un affinamento degli
6
strumenti amministrativi
1
, nonché un’apertura ad altri soggetti
istituzionali e non, qualora questi si rendessero partecipi del
miglioramento del territorio
2
.
Perno di questo rinnovato spirito legislativo, che si spingerà quasi fino
alla fine degli anni ’30, è l’esigenza di bonifica dei territori montani
quale base per realizzare un sistema di sviluppo agro-economico
nonché di miglioramento paesaggistico.
Lo strumento che si ritenne più idoneo per conseguire tali finalità fu
quello del consorzio tra i proprietari dei fondi, al quale si riconobbe la
personalità giuridica pubblica. Al consorzio veniva affidata, in
concessione, l’esecuzione delle opere di competenza dello Stato ed
anche la redazione (in generale attribuita dalla legge alla competenza
del Ministero dell’agricoltura) del piano generale di bonifica,
contenente “il progetto di massima delle opere di competenza statale”
e “le direttive fondamentali della conseguente trasformazione
dell’agricoltura”
3
. Il consorzio, quindi, si configurerebbe, nelle
intenzioni di Serpieri, come il soggetto cardine di un’attività di
intervento che, attraverso il coordinamento tra opere pubbliche di
competenza statale ed opere private di miglioramento territoriale, che
tendesse a realizzare una bonifica integrale, superando le difficoltà di
1
La legge forestale del 1923 prevede un Comitato forestale con valenza altamente tecnica.
Attribuisce all’amministrazione forestale compiti d’istruzione, propaganda e assistenza nel campo
dello sfruttamento delle risorse montane. Detta regole per la corretta gestione del patrimonio
montano di enti locali o altri enti.
2
Si stabiliscono esenzioni fiscali e contributi a favore di enti e privati singoli o consorziati che
intendano compiere lavori di rimboschimento o miglioramento dei pascoli.
3
Cfr. Serpieri, Fra politica ed economia rurale, Firenze, 1937
7
attuazione legate al carattere molto accentrato del sistema, fortemente
condizionante la capacità di coordinare nel migliore dei modi tali
interventi.
In linea teorica, il coinvolgimento degli interessi della proprietà
fondiaria per lo sviluppo delle zone montane, avrebbe dovuto portare
ottimi risultati.
Tuttavia, l’esperienza empirica ci dirà che il meccanismo del
consorzio non saprà assicurare la connessione tra opere dello Stato e
dei privati e la politica di bonifica, causa anche del mai verificato
afflusso di investimenti,
sia privati, per le trasformazioni agrarie, sia pubblici nei territori
montani.
Nel periodo fascista, dunque, è sostanzialmente confermata la struttura
settoriale e verticale degli interventi, formatasi, come abbiamo visto in
precedenza, nei primi anni del secolo. Si accentua così la
connotazione centralistica che si accompagna alla soppressione delle
rappresentanze elettive locali e al tentativo di diffondere forme di
rappresentanza d’interesse.
8
2. La montagna nella Costituzione.
I noti avvenimenti bellici, che segnano profondamente la società
italiana sia dal punto di vista sociale che istituzionale, portarono
all’approvazione della Costituzione Repubblicana, la quale si occupa
della montagna all’art. 44, ult. co., prevedendo che “La legge dispone
provvedimenti a favore delle zone montane”.
Secondo alcuni
4
il riferimento alle zone montane contenuto nella
Costituzione starebbe ad indicare un indirizzo costituzionale per
interventi non indifferenziati ma determinati in relazione alle
particolari condizioni delle diverse zone montane, mentre altri
5
ritengono che la dizione normativa sia usata “in senso assolutamente
atecnico”.
A conferma di tale lettura si fa riferimento ai lavori dell’Assemblea
Costituente (seduta del 13 maggio 1947) da cui si ricava che l’On.
Gortani, il quale propose l’emendamento, aveva presente un concetto
assai generico di montagna. Tale disposizione appare caratterizzata da
due elementi fondamentali: il carattere programmatico, che vincola il
legislatore ad un’attività legislativa positiva, volta a migliorare le
condizioni territoriali ed economiche delle montagne, e il carattere
settoriale, dato che tali provvedimenti sono riferiti esclusivamente a
“zone montane”, che occorre definire secondo specifici criteri tecnici.
4
DESIDERI C., alla voce Montagna, in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, 1976.
5
MERLONI F., alla voce Montagna, in Enciclopedia Giuridica Treccani, 1988.
9
3. La nascita della c.d. “montagna legale”. La l. n. 991 del
1952.
Mentre le leggi che si erano succedute prima della entrata in vigore
della Costituzione non facevano riferimento ad un concetto unitario di
montagna, il quale veniva “di fatto a coincidere con i boschi, o
meglio, con i terreni soggetti a vincolo forestale, sia esso a fini
idrogeologici o per finalità protettive o igieniche”.
Con la legge 25 luglio 1952 n. 991, c.d. “legge Fanfani”, si afferma un
concetto unitario di montagna che viene a coincidere con i “territori
classificati montani attraverso l’applicazione di criteri uniformi e
meccanici
6
.
La classificazione dei territori montani che avviene applicando
meccanicamente i criteri fissati dalla legge, costituisce il presupposto
per l’applicazione di una serie di provvidenze di cui al Titolo II della
legge n. 991.
Uno strumento di cui si avvale la legge n.991 è la delimitazione e
classificazione tecnico-giuridica del territorio in “comprensori di
bonifica montana”, che comprendono quei territori montani per i quali
6
MERLONI, Montagna, cit. p. 1.
Cfr. MERLONI, i criteri per la individuazione dei territori montani sono indicati in questa
legge: l’art. 1 della legge (come modificato dall’art.1 della l. 30 dicembre 1957, n. 657) prevede
che vengano considerati “territori montani i Comuni censuari situati almeno per l’80% della loro
superficie al di sopra dei 600 metri di altitudine sul livello del mare e quelli nei quali il dislivello
tra la quota altimetrica inferiore e la superficie del territorio comunale non è minore di 600
metri, sempre che il reddito imponibile medio per ettaro, censito, risultante dalla somma del
reddito dominicale e del reddito agrario, determinati a norma del r.d.l. 4 aprile 1939, n. 589,
convertito nella l. 29 giugno 1939, n. 976, maggiorati del coefficiente 12 ai sensi del D.lg. 12
maggio 1947, n. 356, non superi le Lit. 2400”.
10
si ritiene opportuno un intervento a causa del particolare degrado
fisico o dissesto economico.
L’iniziativa per tale classificazione tocca a chi ha un proprio interesse
su quello specifico territorio (maggioranza dei proprietari, ente
interessato o corpo forestale dello Stato) e la classificazione avviene
con decreto del Presidente della Repubblica promosso dal Ministero
per l’agricoltura e le foreste in concerto con i Ministri del tesoro e dei
lavori pubblici.
Nei singoli comprensori devono essere istituiti dei “consorzi di
bonifica montana”, tra i proprietari dei terreni, per loro iniziativa o per
iniziativa degli enti pubblici interessati
7
. Ogni comprensorio deve
essere oggetto di un “piano generale di bonifica”, redatto dal
consorzio stesso o, in sostituzione, dal Ministero dell’agricoltura e
foreste, d’intesa con quello dei lavori pubblici, se il comprensorio
interessa il territorio di due o più regioni.
Il piano è di fondamentale importanza poiché contiene il progetto di
massima per la realizzazione delle opere sul territorio, e la sua
approvazione ha l’effetto di determinare quali sono le opere pubbliche
da realizzarsi, e di conseguenza di determinare quali sono le opere di
competenza dello Stato.
7
In caso di inerzia è previsto un potere sostitutivo in capo al Presidente della Repubblica che
interviene d’ufficio su proposta del Ministero per l’agricoltura e le foreste, d’intesa con il Ministro
per i lavori pubblici.
11
L’esecuzione di tali opere è obbligatoria, spetta al consorzio dei
privati (o, in sostituzione, agli altri soggetti con interessi diretti o
indiretti su quel territorio come comuni, province, enti e loro forme
consorziali) e viene conferita a mezzo di concessione amministrativa.
Dunque, la prima legge organica, emanata in riferimento alle nuove
disposizioni costituzionali, non presenta grande originalità per quanto
attiene le forme organizzative di intervento, mutuando dal passato lo
strumento del consorzio, per la gestione delle opere da realizzare, e
l’interesse dei privati come fonte principale dell’iniziativa volta alla
valorizzazione paesaggistico-economica del territorio. Si distingue,
invece, dalle precedenti disposizioni, per aver definito in maniera
tecnico-giuridica il territorio montano, grazie all’adozione di metodi
formali di classificazione dei territori montani al quale provvede un
organo di natura prettamente tecnica (la commissione censuaria)
secondo criteri normativamente previsti. Si dà vita, così, al concetto
giuridico di “montagna legale”, attribuito alla competenza
amministrativa di un’amministrazione di settore (direzione generale
delle foreste del Ministero dell’agricoltura e foreste poi denominata
direzione generale per l’economia montana), che ha il compito di
presiedere e coordinare,con strumenti programmatici (i piani di
bonifica), tutte le attività di risanamento economico-geologico e di
gestire i fondi dei quali è prevista l’erogazione.
12
Vengono così sottolineati, dalla normativa del 1952, due elementi
fondamentali la cui connessione tra loro genera la vera novità
apportata al sistema: a) l’acquisizione, da parte dei territori montani,
di una propria rilevanza all’interno dell’ordinamento giuridico, che
avviene in maniera formale ed indifferenziata; b) la realizzazione di
una nuova forma di gestione settoriale, incentrata sul concetto
giuridico di “montagna”, e di derivazione centralistica, esecutiva di
una politica montana di tipo assistenziale.
13
4. Nuovi interventi legislativi sulla montagna: i “consigli di
valle” e i “piani verdi”.
Al fine di potenziare gli strumenti esecutivi necessari per conseguire
le finalità dettate dalla precedente normativa, il legislatore, nel 1955,
emanò con il D.P.R. n.987, una serie di disposizioni che, non solo
introdussero nell’ordinamento nuove figure istituzionali prima
inesistenti, ma fornì l’occasione per far fiorire un dibattito riguardante
tutto il sistema dei poteri locali e il loro riassetto.
Si è visto in precedenza come il forte spirito centralistico della
legislazione in materia di valorizzazione delle zone montane, aveva
condizionato, e non poco, i risultati effettivi ottenuti sul territorio,
degenerando, a volte, nella paralisi totale delle attività gestionali e
finanziare dedicate a tale scopo.E’ in tale ambito che interviene il
d.P.R. n. 987 del 1955, il quale prevede il decentramento dei servizi
del Ministero dell’agricoltura e delle foreste, e a tal fine la facoltà di
costituire dei consorzi a carattere permanente, denominati comunità
montane o consigli di valle, tra comuni compresi in tutto o in parte nel
perimetro di zone individuate secondo criteri economici e geografici
dalle commissioni censuarie provinciali o centrali a seconda della
valenza provinciale o pluriprovinciale della zona considerata
8
.
8
La costituzioni di tali enti è obbligatoria solo se richiesta da almeno 3/5 dei comuni interessati
rappresentativi di almeno il 50% della superficie della zona .
14
I consigli di valle dovevano servire a dislocare meglio sul territorio
montano gli interventi di miglioramento tecnico ed economico, ed in
particolare furono ad essi attribuiti compiti specifici inerenti il
compimento di studi per la preparazione degli interventi nella zona
montana interessata, compiti di redazione dei piani di bonifica
montana, compiti di promozione dei consorzi di prevenzione e di
bonifica montana, nonché numerose altre mansioni riguardanti la
costituzione di aziende speciali per la gestione tecnica delle risorse
naturali derivanti dal territorio e la gestione, programmazione e
coordinazione dei fondi e dei programmi di investimento a favore dei
consorzi dei comuni compresi nella zona
9
.
Anche se questi enti furono accolti da grande entusiasmo, per le
potenzialità che esprimevano in qualità di “nuovi centri di interesse
locale”, ben radicati nella realtà di zona e ben consapevoli delle
condizioni di vita del posto, essi non riuscirono a ritagliarsi lo spazio
istituzionale necessario a concretizzare tali potenzialità. Sicuramente
una causa di questo fallimento fu la ormai cronica impossibilità di
disporre, realmente, di poteri e di risorse finanziarie indispensabili per
sostenere il carattere esecutivo dell’ente, ma forse, cosa ancor più
grave, fu la forzata dipendenza alla quale erano soggetti i consigli di
valle nei confronti di altri enti, organi e centri di potere, come risulta
9
Consorzi di comuni compresi nelle zone dei bacini imbriferi, cosiddetti consorzi BIM.
15
anche dalla composizione della sua rappresentanza
10
che, seppur
espressiva dei centri di potere effettivamente esistenti nella zona, era
poco garante degli esclusivi interessi dei comuni coinvolti.
Il “sistema montano”, dunque, aveva a disposizione sì, una nuova
figura amministrativa, ma le sue funzioni di programmazione erano di
fatto nulle e “sacrificate” a compiti di coordinamento e di impulso.
In ogni caso però, l’introduzione nel nostro ordinamento del consiglio
di valle, romperà la struttura verticale e settoriale del sistema anteriore
e risulterà il “germe originario di una nuova concezione
dell’organizzazione statale, concepita con struttura non uniforme, ma
differenziata secondo le reali esigenze, tenendo conto della
comunanza di caratteristiche ambientali, e di interessi economici”
11
,
che si esprimerà in una forma amministrativa all’avanguardia per quel
tempo, e di riuscita applicazione anche in settori diversi da quello
della montagna, vale a dire la forma consortile.
In sintesi si può dire che il consiglio di valle lascia trasparire
l’utilizzazione di più figure giuridiche: quella consortile, di cui
abbiamo appena detto, che lo connota come ente associativo, e quella
“dell’ente istituzionale autonomo, sia sotto il profilo
10
L’organo collegiale deliberativo dei consigli di valle era raramente costituito dai soli
rappresentanti dei comuni associati, essendo spesso prevista la presenza di deputati e senatori
di estrazione locale, rappresentanti di organi periferici dello Stato, consiglieri provinciali,
pubblici funzionari, etc.
11
LUCIFREDI-COLETTI, Decentramento amministrativo, Torino 1956, p.494
16
dell’interpretazione degli interessi sia sotto quello dell’imputazione
dei rapporti”
12
.
Innovazioni più salienti alla normativa montana, per snellire e rendere
più efficienti i compiti di diversificazione e realizzazione degli
interventi saranno introdotte agli inizi degli anni ’60 con i cosiddetti
“piani verdi” (L. 2 giugno 1961, n.454 e L. 27 ottobre 1966, n.910).
In un periodo storico in cui, sulle spinte dell’integrazione europea del
mercato, si ricercavano nuovi metodi di “modernizzazione” del
sistema agricolo in Italia, appariva necessario un intervento legislativo
che riguardasse le aree da valorizzare. Si pervenne così alla
concentrazione aziendale e settoriale, e quindi anche zonale degli
investimenti, al fine di aumentare produttività e competitività di
queste zone penalizzate dalle condizioni ambientali.
Si ridefinì il rapporto tra ente e consorzio, assumendo il primo come
soggetto regolatore di una molteplicità di attività concernenti
l’agricoltura compresa la bonifica montana, con compiti di
“valorizzazione economica-sociale”, capace di intervenire (se
autorizzati), anche nei comprensori del secondo, con compiti di
“valorizzazione”, qualora l’azione dei consorzi si limiti all’esecuzione
di opere pubbliche o non possa ritenersi sufficiente ai fini della
valorizzazione economica-sociale dei comprensori (piano verde del
1961).
12
DALFINO, in Le comunità montane nel sistema dei poteri locali, Cacucci, 1988, p. 67.