Introduzione
2
scontare la pena che il giudice ha deciso per il minore, all’interno di una
comunità, ma nello stesso tempo di modificare il suo comportamento antisociale,
per fare in modo che non commetta più reati. Questo intervento non ha quindi il
solo scopo di sanzionare un comportamento criminale ma si propone come
obiettivo principale il cambiamento dell’adolescente, per questo è inevitabilmente
una forma di trattamento.
Solo dopo aver capito cosa può causare il comportamento criminale e qual è il
modo più corretto per interpretarlo possiamo individuare le possibili risposte.
Nel capitolo 3 è presentato ciò che prevede il Nuovo Codice di Procedura Penale
per le violazioni delle leggi da parte di minori, quindi poi le possibili alternative
alla detenzione in carcere, in particolare il collocamento in comunità, presentato
però nello specifico nel capitolo 4. Qui c’è la descrizione di come dovrebbe essere
organizzata una comunità, a livello teorico, partendo dalle diverse tipologie di
modelli organizzativi per passare poi all’organizzazione vera e propria: come
avviene l’inserimento e dimissione, l’allestimento dell’ambiente destinato alla
comunità, interventi socio-educativi e psicologici che ogni comunità dovrebbe
svolgere per raggiungere le finalità che le sono state assegnate, valutazione degli
interventi.
Il capitolo 5 presenta le interviste che ho fatto ad alcuni responsabili di comunità
per minori, questo per vedere come è realizzato nella pratica tutto ciò che viene
descritto teoricamente riguardo all’organizzazione di una comunità per minori.
Sono riportati i contenuti comuni che emergono dalle risposte, e confrontati con le
teorizzazioni del capitolo 4, per vedere se gli aspetti che sono ritenuti importanti,
significativi ed essenziali nell’organizzazione, a livello teorico, di una comunità,
lo sono anche nella pratica. Di seguito ho riportato una tabella (tab. A) che
permette di confrontare le caratteristiche principali di queste comunità.
L’obiettivo della mia tesi è comunque stato raggiunto, nella conclusione ho infatti
cercato di dare una risposta al quesito che ha fatto da filo conduttore a tutto il
lavoro.
Introduzione
3
Tabella A
COMUNITÀ “OPERA
DON CALABRIA” –
Ferrara-
COMUNITÀ
“CASONE DELLA
BARCA” -Sasso
Marconi (Bo)-
“ASSOCIAZIONE
PINOCCHIO”
- Padova -
STRUTTURA
Comunità residenziale
per minori maschi dai 13
ai 18 anni
Comunità residenziale
per minori maschi dagli
11 ai 18 anni
Comunità residenziale
per ragazzi e ragazze
tra i 12 e i 18 anni
OBIETTIVI
Educazione/rieducazione
del ragazzo;
completamento
dell’obbligo scolastico;
inserimento lavorativo;
“sostituzione”
temporanea della
famiglia e successivo
reinserimento nella
famiglia e nel contesto
di appartenenza
Recupero parziale o
totale delle difficoltà
dei minori;
formazione scolastica;
reinserimento sociale e
in famiglia
Rieducazione del
ragazzo;
sviluppo autonomia e
responsabilità;
completamento
dell’obbligo scolastico;
inserimento lavorativo;
reinserimento in
famiglia e contesto di
appartenenza
SOGGETTI
Prevede la presenza di
educatori professionali,
psicologo e pedagogista
(esterni alla struttura),
obiettori e volontari
Conta sulla
collaborazione di
educatori a tempo
pieno, dipendenti
esterni, esperti esterni
(psicologi,
psicoterapeuti,
assistenti sociali),
volontari
L’équipe è costituita da
cinque educatori di cui
uno è coordinatore,
collaborazione di due
psicoterapeuti esterni
per la supervisione
AZIONI
Attività svolte
all’interno ed esterno
della struttura
Attività all’interno
della struttura che
sollecitino
l’apprendimento in
collaborazione con gli
adulti esterni alla
struttura,
prevalentemente
attività di gruppo
Attività progettate per il
gruppo o il singolo
ragazzo in
collaborazione con
l’esterno
4
CAPITOLO 1
LA CRIMINALITÀ MINORILE
Tutte le discipline che si occupano dell’uomo hanno cercato di individuare,
anche se alcune in modo marginale, le cause della criminalità; in particolare il
fenomeno delinquenza minorile può quindi essere studiato mediante diverse
scienze, in modo da comprenderne i problemi diversi (quali la dinamica
psicologica di un determinato reato, la sua frequenza, i tipi di reato all’interno dei
diversi gruppi sociali ).
Data l’estrema differenziazione degli approcci, alcuni compatibili tra loro altri
incompatibili, molti autori hanno classificato le teorie criminologiche a seconda
della disciplina alla quale fanno riferimento. Ritengo più semplice però, data la
difficoltà di introdurre una rigida classificazione in cui ogni teoria possa trovare la
sua categoria, diversificarle lungo un continuum che inizia da quelle centrate
sull’individuo, che tentano di spiegare perché un soggetto con determinate
caratteristiche diventa delinquente, per arrivare a quelle che considerano la
delinquenza come una caratteristica del sistema sociale, (Bandini, Gatti, 1987).
1. LE TEORIE CRIMINOLOGICHE
Partiamo dalle teorie per le quali alcuni tratti di personalità (somatici,
neuropsicologici, costituzionali) predispongono alla delinquenza. Per
esemplificare ne riporto alcune, tenendo conto del fatto che gli autori non
giungono mai a sostenere, che la presenza di queste particolari caratteristiche porti
sicuramente e sempre alla delinquenza, ma che gli individui segnati da tali
caratteristiche hanno maggiori probabilità di altri di divenire delinquenti, e buona
parte della delinquenza può essere spiegata come fenomeno individuale e come
risultato di tali predisposizioni.
MAHRON (1980), ad esempio, ha descritto i tratti più frequenti nella personalità
dei ragazzi devianti: impulsività, problematiche narcisistiche, vissuti depressivi
Capitolo 1 La criminalità minorile
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derivanti da profondi sentimenti di solitudine e inutilità. Distingue così diverse
tipologie di adolescenti devianti :
ξ “Alcuni minori che delinquono sono caratterizzati da impulsività e dalla
imprevedibilità nel ricorso all’azione, tipica dei ragazzi che manifestano
un comportamento antisociale marcato, anche violento. La difficoltà del
controllo dell’impulsività è a tratti consapevole e si esprime in una
autentica preoccupazione.
L’atto delinquente esprime una scarica violenta e improvvisa di tensione
intrapsichica: il pensiero non interviene a mediare fra impulso e
comportamento motorio.
ξ Quando le problematiche narcisistiche dominano la scena, non sono gli
impulsi il motore del comportamento delinquenziale, quanto piuttosto
l’immagine del Sé. Il delinquente narcisistico appare superficialmente ben
adattato e mostra un’immagine di sé adeguata, ciò nonostante spesso
appare agli adulti che lo circondano diffidente, furbo e superficiale nelle
relazioni. Egli tende a negare i propri problemi e solo in apparenza si
impegna nelle relazioni con gli altri; nella delinquenza tende ad usare e
sottomettere gli altri per i propri fini, soprattutto per la regolazione
dell’autostima, che rappresenta il suo autentico bisogno emotivo. Gli atti
delinquenziali non hanno in questi casi la funzione di scaricare la tensione,
non sono espressione di un’impulsività incontrollabile, ma rappresentano
piuttosto il tentativo di raggiungere o mantenere un’immagine di sé
adeguata; l’equilibrio narcisistico può essere ottenuto attraverso
l’appropriazione di oggetti, consumo di sostanze o la messa in atto di
relazioni dominanti.
ξ In altri casi sono i vissuti depressivi a determinare il comportamento
deviante. Il delinquente depresso percepisce il proprio bisogno e chiede
aiuto, in questa categoria rientrano gli adolescenti più simili ai cosiddetti
“delinquenti per senso di colpa” descritti da Freud, individui il cui
Capitolo 1 La criminalità minorile
6
comportamento deviante è finalizzato a sollecitare una punizione
inconsciamente desiderata e nelle cui modalità relazionali è evidente il
bisogno di oggetti a cui attaccarsi ed appoggiarsi”, (Maggiolini, 2000, p.
42).
2. LA PREDISPOSIZIONE INDIVIDUALE ALLA DELINQUENZA
La più antica teoria è quella di CESARE LOMBROSO (1835-1909), che
orientò i suoi interessi verso lo studio della delinquenza, tanto da essere
considerato il fondatore dell’antropologia criminale, (Bandini, Gatti, 1987).
Propose un nuovo modo di affrontare il problema della delinquenza che si
opponeva a quello della scuola classica, iniziata da CESARE BECCARIA nel
XVIII secolo, che presupponeva l’esistenza del libero arbitrio, considerando gli
individui come persone razionali in grado di esprimere una libera scelta, quindi
capaci di scegliere liberamente tra un comportamento conforme alle leggi e uno
deviante. Lombroso affermò invece, la necessità di studiare il delinquente
attraverso una analisi scientifica, quindi analisi delle condizioni oggettive che
spingono l’individuo al delitto. I positivisti vedevano il comportamento umano
come determinato da tratti biologici, psicologici e sociali, e Lombroso affermò
infatti, che “i criminali sono affetti da anormalità fisiche multiple, di natura
degenerativa. Queste inferiorità fisiche caratterizzavano un prototipo biologico
che definì delinquente nato”, (Williams, McShane, 1999, p. 44).
ATAVISMO
“Il delinquente nato mostra in una proporzione del 33%, numerose
caratteristiche specifiche che sono quasi sempre ataviche […] i tratti riscontrabili
tra le popolazioni selvagge sono comuni tra i delinquenti nati. Tali sono per
esempio: la bassa capacità cranica, la fronte ritratta, seni frontali molto
Capitolo 1 La criminalità minorile
7
sviluppati; […] ossa craniche spesse, protagonismo; obliquità delle orbite, alto
tasso di pigmentazione della pelle, capelli crespi e fitti, orecchie grandi. A questo
possiamo aggiungere: anomalie all’orecchio, grande agilità, relativa insensibilità
al dolore, debole sensibilità tattile, acutezza visiva sviluppata, capacità di riaversi
rapidamente dalle ferite, abbrutimento dei sentimenti, precocità nel piacere dei
sensi, notevole rassomiglianza tra i due sessi, alta incorreggibilità delle donne,
pigrizia, assenza di rimorso, impulsività, eccitabilità psicofisica, imprudenza, che
a volte appare sotto forma di coraggio, altre volte come spericolatezza,
trasformandosi quindi in codardia. Inoltre si riscontrano un alto grado di vanità,
passione per il bere e il gioco d’azzardo, passioni violente e fluttuanti,
straordinaria sensibilità verso la propria personalità, una concezione speciale di
Dio e della morale. Si possono riscontrare analogie inaspettate persino nei
piccoli dettagli, ad esempio nelle regole improvvisate delle bande criminali,
l’abitudine del tatuaggio, la crudeltà fuori dal comune dei loro giochi, l’eccessiva
gestualità.”
Fonte: C. Lombroso, L’uomo delinquente, Milano, Hoepli, 1918.
Lombroso prese in considerazione anche fattori psicologici e sociali, ma ebbero
un ruolo marginale perché la sua teoria rimase saldamente vincolata a fattori
biologici, e fu confermata da diverse ricerche che non appaiono però valide alla
luce dei moderni criteri metodologici.
Accanto a Lombroso, che ha una visione deterministica del mondo, occorre
ricordare l’opera di ENRICO FERRI e RAFFAELE GAROFALO, i quali
approfondirono, rispettivamente, gli aspetti sociologici e giuridici del problema
delinquenza, introducendo nuovi concetti come quello di responsabilità sociale e
della difesa sociale.
Si può ritenere che vi siano dei legami tra struttura fisica ed aspetti psicologici
dell’individuo, (Bandini, Gatti, 1987), il punto di vista psicodinamico però non si
basa sulla descrizione di comportamenti osservabili, cerca invece di
Capitolo 1 La criminalità minorile
8
analizzare vissuti ed esperienze soggettive.
Anche il comportamento criminale quindi è stato oggetto di indagine da parte
degli psicoanalisti, lo stesso FREUD ha formulato alcune ipotesi sulle dinamiche
inconsce che possono determinare un delitto. Freud (1916), ha interpretato le
azioni devianti come un modo di esteriorizzare i conflitti interni, ed ha
sottolineato che sono spesso compiute perché la loro esecuzione determina
sollievo psichico, mitigando un senso di colpa di origine edipica. Il senso di colpa
per i desideri edipici sarebbe quindi all’origine delle successive azioni
trasgressive. Il “delinquente per senso di colpa” è la più importante intuizione di
Freud in campo criminologico; secondo l’autore cioè, alcuni individui ricercano
inconsciamente, attraverso il delitto, una punizione come sollievo all’intenso
senso di colpa che provano e che deriva da un irrisolto conflitto edipico.
“Secondo la teoria psicoanalitica il complesso di Edipo è l’amore, in parte
cosciente in parte inconscio, per il genitore dell’altro sesso e la conseguente
gelosia per l’altro genitore. Presenterebbe il suo culmine intorno ai cinque anni; si
ammette che nel maschio tramonti in seguito al complesso di castrazione.”,
(Bandini, Gatti, 1987, p. 82).
Questa interpretazione capovolge il normale ordine di causa-effetto tra delitto e
colpa, in quanto presuppone che il sentimento di colpa non sia la conseguenza di
un reato bensì ne è addirittura la causa.
MELANIE KLEIN formula un ipotesi diversa: ritiene che il Super-Io si sviluppi
dal momento in cui il bambino compie le prime introiezioni orali, e non come
diceva Freud, dopo la fine del periodo edipico, e sarebbe proprio un super-Io
arcaico a sostenere la delinquenza. Afferma che: “i bambini che inconsciamente si
aspettano di essere fatti a pezzi, decapitati, divorati e così via, si sentono costretti
a essere cattivi e farsi punire, poiché la punizione reale, per quanto severa possa
essere, è tranquillizzante a paragone degli attacchi omicidi che essi si attendono in
continuazione dai genitori. Pertanto non è la debolezza o assenza del Super-Io a
spiegare il comportamento antisociale bensì la sua severità opprimente.”,
(ivi, p. 87).
Capitolo 1 La criminalità minorile
9
Gli studi psicologici recenti ammettono la possibilità dell’esistenza di una
personalità criminale. YOCHELSON e STANTON hanno trattato la questione
studiando detenuti portati al manicomio criminale di Washington. La personalità
criminale ha un’opinione di sé sproporzionatamente alta, è egoista e sfruttatrice,
manipola gli altri e amorale; la minaccia e l’attacco all’immagine che il criminale
ha di sé, tendono a causare reazioni violente. Arrivarono alla conclusione che le
cause della criminalità non erano riconducibili a fattori sociali, economici o a
conflitti interni della personalità, ma tutti i criminali nascerebbero invece con
schemi mentali anormali, che influenzerebbero le loro capacità decisionali.
Questa idea era sostenuta anche dalla teoria cognitiva, il cui miglior esempio è
quello proposto da WALTERS e WHITE: sostengono che il comportamento
criminale è il prodotto di un modo irrazionale di pensare, e negano che siano i
fattori ambientali a determinare il comportamento deviante.
Affermano infatti che i criminali presentano schemi mentali simili a quelli dei
giovani adolescenti, caratterizzati cioè da scarso senso di responsabilità, mancato
sviluppo della cognition. Analizzarono gli schemi mentali dei criminali e
scoprirono che, fin da piccoli, presentavano difficoltà croniche ad affrontare i
problemi, e si comportano in seguito sempre come fossero adolescenti; orientano
cioè i loro comportamenti verso obiettivi edonistici a breve termine, che a lungo
sono però distruttivi.
3. PRIVAZIONI AFFETTIVE
Gli autori che si sono occupati di adolescenti devianti ne hanno interpretato
i comportamenti anche in relazione a deprivazioni affettive precoci o carenze sul
versante materno e paterno, difficoltà ad interiorizzare norme e controlli; hanno
infatti evidenziato, alla base dei comportamenti trasgressivi, complessi processi
nella relazione genitore-figlio. Il figlio può mettere in atto nel gesto deviante, i
desideri trasgressivi inconsci dei suoi genitori, impulsi insoddisfatti in quanto
proibiti, ma che trovano legittimazione nell’innocenza infantile, e finiscono per
Capitolo 1 La criminalità minorile
10
essere inconsapevolmente rinforzati. I comportamenti delinquenziali minorili
deriverebbero quindi da lacune nella costruzione del Super-Io, quindi i ragazzi
possono essere ben adattati nei vari contesti sociali, ma il loro Super-Io è lacunoso
come effetto di una lacuna nel rapporto dei genitori con le regole.
Molti autori hanno tentato di individuare le cause della delinquenza giovanile in
fattori relativi all’ambiente familiare che, soprattutto nell’infanzia incide sullo
sviluppo di un soggetto e sulla formazione della sua personalità; per studiare tale
processo, si è trasferito l’interesse dagli elementi della personalità dell’individuo
alle caratteristiche dell’ambiente in cui si sviluppa, partendo appunto da quello
familiare. L’analisi consiste nel ricercare possibili legami tra le caratteristiche
delle figure parentali e dell’ambiente familiare, e la successiva condotta
delinquenziale del bambino. Sono state a questo scopo formulate ipotesi diverse e
condotte numerose ricerche tendenti ad analizzare in che modo influiscano, sulla
formazione della personalità, fattori come la carenza di cure materne, la
privazione paterna, atteggiamento dei genitori e la disgregazione familiare.
Si parte dal presupposto che la personalità del delinquente sia diversa da quella di
un soggetto normale, deriva infatti da situazioni familiari patogene, quindi il
comportamento delinquenziale è l’espressione sintomatica di tali disturbi.
3.1 LA CARENZA DI CURE MATERNE E PRIVAZIONE PATERNA
Sono stati soprattutto gli psicoanalisti a occuparsi delle relazioni tra
genitori e figli nei primi anni di vita, ed a trarre conclusioni sulle negative
influenze della carenza di cure materne. SPITZ in particolar modo descrisse una
sindrome che chiamò “depressione anaclitica”, che si verificava quando un
bambino, che aveva sperimentato un buon rapporto con la madre fino allo
svezzamento, ne veniva poi privato nel corso del primo anno di vita. Ma
conseguenze ben più gravi aveva la privazione totale di cure materne, come
afferma Spitz : “la carenza di rapporti oggettuali rende impossibile la scarica di
pulsioni aggressive, il lattante rivolge l’aggressione su di sé, cioè sull’oggetto che
Capitolo 1 La criminalità minorile
11
gli rimane. Il lattante diventa incapace di assimilare il cibo, subentrano disturbi
del sonno, più tardi questi bambini si arrecano danno attivamente, sbattendo la
testa contro le sbarre del letto, picchiandosi la testa con i pugni, tirandosi i capelli.
Il deterioramento progressivo conduce fino al marasma ed alla morte.”, (Bandini,
Gatti , 1987, p. 61).
In una sua ricerca l’autore seguì bambini in Istituzioni diverse: dei 91 bambini
ricoverati in brefotrofio il 37% morì nei primi due anni di vita; dei 220 bambini
ricoverati in un altro Istituto, nel quale erano allevati dalle loro madri, neanche
uno morì durante i quattro anni di osservazione. I bambini che aveva studiato
erano stati seguiti in Istituto dalle proprie madri, che erano però donne delinquenti
e prostitute, ma le cure ( fisiche, igieniche ed alimentari) esercitate in brefotrofio
erano ottime, quindi il pessimo sviluppo di questi bambini non erano dovuto ad
anomalie ereditarie o mancanza di cure fisiche, bensì alla mancanza di rapporti
oggettuali con la madre e carenza affettiva.
BOWLBY diede un contributo fondamentale allo studio dei rapporti tra la carenza
di cure materne e la delinquenza. Confrontò un gruppo di 44 ladri minorenni, con
un gruppo di 44 ragazzi con altri disturbi, ma della stessa età e stesso sesso, ed
osservò che: il 40% (17 ragazzi) dei ladri aveva avuto, nei primi cinque anni di
vita, un lungo periodo di separazione dalla figura materna, invece soltanto il 5%
(2 ragazzi) dei ragazzi del gruppo di controllo, aveva avuto la medesima
esperienza. Bowlby spiega questo sostenendo che la perdita dell’oggetto d’amore,
porta a rifiutare ogni tipo di legame affettivo per il timore di perderlo nuovamente,
questo crea difficoltà nei rapporti interpersonali e uno sviluppo del
comportamento in senso antisociale. Afferma che il bambino, per tollerare le
inevitabili frustrazioni che subisce nei primi anni di vita, nel soddisfacimento dei
suoi desideri, ha bisogno di una “buona madre” cioè di una figura che non solo lo
nutre, ma lo protegge e ama in modo duraturo e stabile. La madre infatti, in un
primo momento, viene vissuta dal bambino in modo ambivalente cioè da un lato è
la “buona madre”, che lo nutre e lo ama, dall’altro è la “cattiva madre”, perché si
Capitolo 1 La criminalità minorile
12
allontana frequentemente e non è disposta a soddisfare immediatamente i suoi
bisogni.
Alcuni autori, in atteggiamento critico nei confronti di Bowlby che si era occupato
unicamente delle privazioni materne, hanno tentato di correlare la privazione
paterna alla delinquenza. Ad esempio ANDRY (1996), confrontando un gruppo di
ragazzi delinquenti con uno di non delinquenti ed analizzando
contemporaneamente un campione rappresentativo di ogni coppia di genitori,
considerò tre possibili tipi di separazione tra padre e bambino:
- separazione psicologica e fisica;
- separazione psicologica senza separazione fisica;
- separazione fisica senza separazione psicologica.
Inoltre distinse: separazione materna, paterna e doppia.
I risultati dimostrarono che non vi era alcuna sostanziale differenza tra delinquenti
e non delinquenti, per ciò che riguardava carenze dovute a separazione dal padre,
dalla madre o da entrambi i genitori; nell’approfondire la sua ricerca però,
sottolineò l’importanza fondamentale dei rapporti perturbati tra padre e bambino,
nel determinare i comportamenti antisociali; rilevò infatti che il 54% dei
delinquenti affermava che il padre avrebbe dovuto amarli di più, mentre ciò era
affermato soltanto dal 7% dei membri del gruppo di controllo. Tra i delinquenti
predominava infatti l’impressione di essere stati respinti dal padre.
Ma ciò che colpisce di più, e che Andry ha osservato, è che questi padri erano
consapevoli delle loro manchevolezze, ma nello stesso tempo incapaci di porvi
rimedio.
3.2 L’ATTEGGIAMENTO DEI GENITORI
Esistono molte ricerche centrate sull’atteggiamento dei genitori nei
confronti dei figli e sui rapporti affettivi che uniscono i membri della famiglia. In
particolare hanno evidenziato come sia più importante il modo in cui si verifica la
separazione, piuttosto che la separazione in se stessa.