PREMESSA
Questa tesi nasce come frutto di due esperienze formative all’estero, entrambi
nella capitale spagnola di Madrid. Prima con il progetto internazionale
“Erasmus”e poi con una borsa di studio per tesi all’estero messa a disposizione
dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza, ho avuto modo di
entrare in contatto con questo paese europeo e con l’incredibile espansione che
sta vivendo in questi anni, a qualche decennio dalla fine della dittatura
franchista. Colpita dalla rapidità delle evoluzioni in atto, ho pensato di
approfondire lo studio del fenomeno della decentralizzazione e con esso la sua
canalizzazione attraverso le chiamate “Comunidades Autònomas”,come uno
degli aspetti che forse maggiormente hanno favorito questa crescita.
Mi è stato di grande aiuto il sostegno offerto dall’Universidad Complutense di
Madrid, dalla quale ero stata accolta come studentessa “Erasmus” e che mi ha
consentito, una volta tornata come laureanda, di attingere con il suo tramite a
tutti i fondi bibliografici di cui avevo bisogno per realizzare questo studio.
Svolgere delle ricerche su un materiale in lingua straniera ha comportato
qualche sforzo in più rispetto alla stesura di una tesi normale, ma dopo tutto
credo ne sia valsa la pena.
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CAPITOLO I
PRINCIPI GENERALI DELLO “STATO DELLE AUTONOMIE”
1. La Costituzione spagnola del 1978 ed i suoi antecedenti storici
Il modello statale adottato dalla Spagna si caratterizza fin dagli inizi del secolo
XIX per una forte centralizzazione, in particolare per quanto riguarda la
funzione amministrativa. Il territorio era infatti articolato in strutture municipali
e provinciali che seppure rappresentassero degli embrionali tentativi di
decentramento, in realtà non costituivano espressione di effettiva autonomia. Al
contrario tali entità erano strettamente legate ad un potere centrale dal quale
ricevevano rigide direttive e penetranti controlli, secondo un tipo di
organizzazione che guardava sostanzialmente al modello napoleonico e alla sua
forte gerarchizzazione tra amministrazione centrale e periferica.
Tra i primi passi mossi nella direzione di quello che poi sarà l‟attuale modello
di organizzazione territoriale della Spagna, possiamo individuare almeno due
momenti decisivi nel senso di realizzare una vera inversione di tendenza: il
primo nel 1873, quando venne elaborato un progetto di Costituzione della
cosiddetta “Primera Republica” nel quale si rompeva realmente con il passato
centralista attraverso una riforma ispirata al modello federale. I diciassette “Stati
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regionali” che risultavano dalla divisione del territorio venivano infatti dotati del
potere di darsi una propria Costituzione e di esercitare la potestà legislativa
nell‟osservanza dei limiti stabiliti dalla Costituzione federale, integrandosi con
questi elementi un modello di Stato di tipo federale come del resto lo stesso
articolo 39 sanciva espressamente.
Storicamente più rilevante e carico di conseguenze dal punto di vista politico
fu invece un altro accadimento di poco antecedente all‟inizio della Guerra Civile
spagnola (1936-1939), dalla quale scaturì, con la vittoria del generale Francisco
Franco, l‟instaurazione di un regime dittatoriale sull‟esempio dei passati
totalitarismi europei che si concluse solo nel 1975 con la morte del dittatore. E‟
del 1931 infatti la promulgazione della Costituzione della “Segunda Republica”,
così denominata in seguito al fallimento della precedente, che non solo consentì
la sperimentazione di un primitivo regime democratico seppur destinato ad un
rapido crollo, ma dalla quale ebbe soprattutto origine una prima configurazione
dello Stato spagnolo secondo un modello “composto”, formato quindi da entità
di decentramento che fecero da paradigma per la Costituzione del 1978.
Colpisce l‟originalità della formula organizzativa adottata da questa antenata
della moderna Costituzione spagnola : non si accoglie qui l‟idea di un sistema di
stampo federalista che gli stessi costituenti consideravano non rispettoso della
volontà popolare, ma si opta per un cosiddetto “Stato integrale”, una variante
attenuata del primo in cui le unità di divisione territoriale non godono di
relazioni uniformi con il potere centrale, ma si differenziano per poteri di
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autogoverno ad intensità variabile in corrispondenza con la diversificata
domanda di autonomia presente sul territorio. Era chiaro anche allora come sia
una soluzione centralizzata sia il federalismo avrebbero frustrato le esigenze di
una comunità nazionale come altre in Europa caratterizzata da un‟ eterogeneità
storico-culturale molto marcata, i cui scarsi fattori di coesione sociale, come
debole garanzia dell‟esistenza di uno Stato, non erano sufficienti a contrastare la
necessità di incentrare il sistema giuridico sull‟autonomia, permettendo a
ciascuna regione (intesa in senso lato) di autogestire i propri interessi.
Va inoltre precisato ancora una volta come all‟interno della Costituzione del
1931 fossero presenti alcuni principi fondamentali poi reiterati nel sistema
moderno: tra questi il carattere accidentale e non necessario della costituzione
da parte dei territori regionali in Comunidad Autònoma, ovvero la non
imposizione dell‟autonomia ma l‟offerta di tale possibilità. Non sembra
azzardata infatti la supposizione per cui la lunga epoca della dittatura non abbia
costituito nient‟altro che un‟interruzione lungo il cammino verso l‟autonomia,
l‟apertura di una parentesi all‟interno dell‟esperienza democratica,
caratterizzandosi il regime per un potere centrale monipolizzatore di tutte le
competenze statali, al pari del resto di ogni dittatura, e quindi per l‟abbandono di
qualunque impostazione a favore del riconoscimento di poteri di autogoverno.
Per concludere su questo breve e certamente incompleto richiamo storico, va
aggiunto che secondo un‟opinione della dottrina sia spagnola che italiana la
Costituzione del 1931 abbia in parte influito sui lavori dell‟Assemblea
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Costituente italiana, e questo spiegherebbe le similitudini che accomunano due
modelli di Stato di cui uno più centralizzato dell‟altro, ma comunque entrambi
ispirati al decentramento. Si tratta comunque solo di uno dei vari casi di
influenza reciproca tra Stati europei; d‟altronde la stessa Costituzione spagnola
prende spunto da altri esemplari costituzionali che regolano altri Stati
“composti” europei come la Germania e l‟Austria.
L‟analisi verrà spostata ora sull‟oggetto principale di tale studio, e cioè la
Costituzione del 1978, in particolare quanto all‟organizzazione del territorio e
alla sua unità giuridica fondamentale così come possono considerarsi le
Comunidades Autonòmas. Il processo costituente iniziò nel 1977 quando la
Spagna allora governata da Adolfo Suàrez si trovava in un periodo di transizione
tra l‟uscita da un regime autoritario e centralistico e la creazione di uno Stato
democratico, in quel momento percepito come la meta da perseguire. Si
procedette alla configurazione di un modello transitorio, che prende perciò il
nome di “preautonòmico”, destinato a sfociare poi in quello definitivo. Si
guardò innanzi tutto alle regioni storiche, quelle cioè che ormai da tempo
rivendicavano una propria autonomia in ragione di un‟ identità storico-culturale
che le differenziava dal resto del territorio nazionale, e così alla Catalogna prima
(29 settembre 1977) ed ai Paesi Baschi poi (4 gennaio 1978) furono attribuite
per prime alcune potestà di autogoverno. Successivamente fu la volta della
Galizia (16 marzo 1978) mentre alle restanti regioni (Aragona, Canarie,
Valenzia, Andalusia, Baleari, Estremadura, Castiglia, Asturia, Murzia e
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Castiglia La-Mancha) si attribuirono regimi di preautonomia nell‟arco dei
successivi sei mesi. All‟attuale configurazione della mappa del territorio
spagnolo solo mancavano le zone di Navarra e Madrid; la prima in particolare
per il suo speciale regime chiamato “forale” ricevette una regolamentazione
speciale cui in seguito si farà riferimento. L‟altra modifica apportata fu infine il
distacco delle provincie di Santander e Logrogno dalla Castiglia che avrebbe
portato poi alla formazione della Comunidad uniprovinciale di Cantabria.
Al di là dei dettagli della ripartizione territoriale ciò che più importa è vedere
come ancor prima della promulgazione della Costituzione il processo di
decentralizzazione fosse già cominciato, nonostante gli enti territoriali non
godessero ancora di un reale regime di autonomia e si configurassero solo come
enti ausiliari dell‟amministrazione centrale. Non era del resto pensabile
ridisegnare il territorio nazionale da un giorno all‟altro, una fase transitoria si
rendeva indispensabile benchè l‟eterogeneità della società spagnola fosse un
dato ormai acquisito ed il riconoscimento dell‟autonomia, già sperimentato in
passato, discendesse come conseguenza logica rispetto a questo stato di fatto.
Il problema di come far coesistere all‟interno di uno Stato unico le varie
“nazionalità” spagnole venne affrontato partendo dal convincimento che si
dovesse abbandonare l‟idea di imporre uno schema preesistente per fornire in
cambio un‟ampia possibilità di decentralizzazione, facendo sì che il sistema
permanesse aperto e fossero le regioni stesse a decidere quanto alla propria
costituzione in Comunidad Autònoma. L‟articolo 1.2 dell‟attuale Costituzione
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(entrata in vigore il 27 dicembre del 1978) sancisce del resto che “la sovranità
nazionale risiede nel popolo spagnolo, dal quale emanano i poteri dello Stato”,
attribuendo così le decisioni sovrane alla comunità politica nazionale e con esse
anche il potere costituente, che resta così fuori dall‟ambito dell‟autonomia
politica. Di riflesso nel Titolo X relativo alla riforma costituzionale, si stabilisce
che la modificazione di parti sostanziali della Costituzione richiederà un
procedimento rafforzato culminanate in un referendum, ancora una volta quindi
riservando la decisione all‟insieme del popolo spagnolo; ecco spiegato allora il
perchè la decisione sull‟esistenza e definizione delle Comunidades Autònomas
venga rimessa alle entità territoriali, non effettuando la Costituzione alcuna
previsione specifica nè tantomeno definitiva sull‟eventuale mappa del territorio
spagnolo: si tratta di una decisione determinante per la comunità politica
spagnola, che influisce sulla sua stessa esistenza, e che pertanto non spetta al
costituente ma ancora una volta al popolo, non considerato qui nel suo insieme
bensì relativamente alla parte di territorio occupata.
Emerge da queste disposizioni una presa di coscienza della pluralità, della
coesistenza all‟interno della Spagna di quelle comunità linguistico-culturali nate
con gli antichi regni medievali che la formazione del moderno Stato unitario non
aveva cancellato; è in fondo lo stesso Preambolo della Costituzione a
riconoscere esplicitamente questa realtà quando dichiara la volontà di proteggere
i “popoli” spagnoli nelle proprie “culture e tradizioni, lingue ed istituzioni”. Lo
“Stato delle autonomie” trova quindi la sua ragione d‟ essere nella storia, nel
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fatto ormai consolidato dell‟esistenza di “nacionalidades y regiones” cui si
riferisce l‟articolo 2 della Costituzione, aldilà della discutibile certezza dei loro
confini, sfumati forse dai processi di unificazione verificatisi durante l‟ Anciàn
Règime ed il contemporaneo Stato costituzionale. Un‟ eterogeneità di fondo è
tuttavia innegabile, anche per chi guardasse alla Spagna con gli occhi di un
curioso viaggiatore e non solo con quelli del giurista.
Utilizzando una formula che compare nella dottrina spagnola riguardo alla
tipologia di decentralizzazione cui si ispira la Costituzione del „78, si può
parlare per questo caso di una decentralizzazione come integrazione, frequente
quando si dà il presupposto di un pluralismo culturale e linguistico a livello
territoriale. Questa tesi si contrappone invece alla concezione della
decentralizzazione come razionalizzazione, applicabile ad esempio al caso
statunitense, dove tale tecnica viene utilizzata allo scopo di ottimizzare valori
quali l‟efficacia amministrativa o l‟avvicinamento del potere ai cittadini. In
Spagna non si trattò di questo, ma di rispondere al problema di garantire il
mantenimento dell‟identità di realtà storiche, “nacionalidades y regiones”, enti
preesistenti al processo costituente. E nel raggiungimento di tale obbiettivo si
combinò un meccanismo di decentramento operato dall‟alto verso il basso con
una forte possibilità partecipativa aperta nei confronti delle entità regionali, in
questo senso quindi partendo dal basso nell‟intento appunto di evitare
un‟imposizione quanto all‟applicazione dei regimi di autonomia. Tutte queste
considerazioni giustificano la tempestività con cui si procedette all‟approvazione
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degli Statuti di Catalogna e Paesi Baschi, contestualmente all‟entrata in vigore
della Costituzione e alla ristrutturazione del sistema giuridico, a dimostrazione
di come l‟esigenza di dare risposta alla domanda di autonomia si fosse resa
ormai urgente.
2. L’articolo 2 della Costituzione spagnola. Il concetto di autonomia
Nella carta costituzionale spagnola, subito dopo il riferimento alla natura dello
Stato, proclamato come “sociale e democratico di diritto” e costituito in
monarchia parlamentare (art.1), si ritrova già enunciato quello che è il principio
essenziale, la spina dorsale di tutta la costruzione dello Stato delle Comunidades
Autònomas, ovvero l‟autonomia. La lettera del testo dà tuttavia l‟ impressione
che sia un altro il principio informatore dello “Stato delle Autonomie”. Recita
infatti l‟articolo 2: “La Costituzione spagnola si fonda sull‟indissolubile unità
della Nazione spagnola, patria comune ed indivisibile di tutti gli spagnoli, e
riconosce e garantisce il diritto all‟autonomia delle nazionalità e regioni che la
integrano e la solidarietà tra tutte loro”. Il costituente spagnolo utilizza il termine
“fondare” a proposito dell‟ unità indissolubile dello Stato, sottolinea l‟esistenza
di una Nazione spagnola e come questa sia la patria di tutti...Si avvale in
sostanza di una terminologia di matrice nazionalista in pregiudizio di quella che
è invece l‟idea ispiratrice di uno Stato decentralizzato, ovvero la smitizzazione
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