Il buon andamento di ogni azienda è basato principalmente
sulla qualità dei suoi dipendenti; si attenua il riferimento ai
contenuti dei ruoli e delle posizioni lavorative, che da sempre
hanno rappresentato il canovaccio di base della professionalità
individuale: c'è bisogno di risorse umane dotate di determinate
competenze
2
. Il che significa, in parole semplici, che comincia a
prevalere quello che le persone sanno effettivamente fare e il
come lo mettono in opera.
La cultura aziendale non è più un lusso, ma costituisce uno
strumento da impiegare nella gestione. Aziende con una forte
cultura sono in grado di motivare le persone, far sentire loro che
partecipano ad una impresa importante che può riempire di
significato la loro vita: la definizione della missione e della
visione aziendale hanno caratterizzato - nel corso degli anni,
soprattutto in Giappone e Stati Uniti - le aziende migliori.
2
"In uno dei più lucidi saggi che siano stati scritti negli ultimi anni in merito alle doti e
capacità del 'lavoratore del duemila' De Rita (1984) ne proponeva la seguente definizione:
- doti e cultura di continua creatività e innovazione (...);
- doti e cultura di problem-solving, orientate cioè non alla diligente ripetizione di schemi
concettuali e operativi già consolidati, ma al gusto di trovare appigli e strade per realizzare i
propri obiettivi (...);
- doti e cultura di accettazione e comprensione del carattere complesso di ogni sistema (...);
- doti e cultura quindi (...) di tipo 'generalistico', capaci cioè di cogliere interrelazioni e spazi
di complessità, di innovazione e di soluzione dei problemi (...);
- doti e cultura di forte sviluppo dei vari linguaggi e della loro padronanza (...);
- doti e cultura di sensibilità, adatti a cogliere il variare delle situazioni e dei bisogni altrui
(...);
- doti e cultura di comunicazione (...);
- doti e cultura di continua adattabilità al nuovo (...)."
Cfr. ISFOL - Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori,
Competenze trasversali e comportamento organizzativo. Le abilità di base per il lavoro che
cambia, Franco Angeli, Milano, 1993, pagg. 17-18.
E' necessario dunque un ripensamento del ruolo del fattore
umano nell'economia aziendale, anche se "in ogni caso occorre
sempre valutare con la massima attenzione i rapporti esistenti
tra il fattore lavoro umano e l'equilibrio economico, la cui
conservazione ed il cui miglioramento rientrano nel fine ultimo
dell'azienda; ciò allo scopo ultimo di porre nella giusta ottica
della gestione aziendale tutti i problemi interazionari che
sorgono nella combinazione produttiva e, quindi, contribuire alla
loro soluzione, in una visione integrata tra uomini e
organizzazione"
3
.
Le imprese italiane possono costituire il "terreno ideale" per
questo sviluppo qualitativo dell'organizzazione, dato che la
maggior parte di loro sono di medio/piccola dimensione (da un
punto di vista di numero di dipendenti). Le persone
interagiscono fra loro di continuo: operai e impiegati si trovano
quotidianamente a contatto diretto con i dirigenti, i quali sono
spesso anche proprietari dell'azienda (imprenditori). Lo stesso
insieme di situazioni che fino ad oggi ha impedito alle persone
di esprimere il loro potenziale - un sistema di controllo rigido,
scarse deleghe di responsabilità, sfiducia nei confronti dei
dipendenti, trattenimento di informazioni in poche mani -
potrebbe trasformarsi in un punto di forza non indifferente.
Insomma, il contatto tra il vertice e la base dell'organizzazione,
se si verificano determinati cambiamenti nel modo di gestirlo,
può essere la molla che provoca l'apprendimento organizzativo.
Certo, la realtà è ben lontana da questo, comunque è
importante cominciare a compiere i primi passi.
3
Cfr. M. Giannini, V. Turini, La gestione del lavoro umano in economia aziendale, Servizio
Editoriale Universitario di Pisa, Pisa, 1987, pag. 25.
Capitolo Primo
Organizzazione e sviluppo
1 - La cultura ed i valori
"La cultura al plurale, o cultura sociale, non è la media delle
culture individuali di una aggregazione umana, ma è qualcosa
di più e di diverso: è l'insieme dei valori sviluppatisi e consolidati
nel tempo all'interno di un gruppo sociale e sui quali si è
modellato (ma dai quali anche promana, in misura non banale)
il 'know-how' peculiare del gruppo - la sua competenza
distintiva, diremmo, parlando in particolare di culture
organizzative - e nei quali trovano spiegazione i comportamenti
collettivi più caratteristici del gruppo stesso"
4
.
La cultura d'impresa
5
è il ponte che unisce l'individualità
dell'azienda con l'individualità dei suoi membri
6
: "patrimonio di
4
Cfr. P. L. Amietta, Comunicare per apprendere. Dall'impresa organizzazione all'impresa
comunicazione, Franco Angeli, Milano, 1995, pag. 17. In questo modo l'autore parla della
cultura al plurale dopo aver indicato, a pag. 16, cos'è la cultura al singolare: "La cultura vera
della singola persona (...) contiene anzitutto una forte valenza interdisciplinare (...). Colto è
chi possiede nozioni, in campi diversi del sapere (...) in grado di reggere a una prima verifica
di approfondimento specialistico e, soprattutto, in grado di essere usate in modo
combinatorio e induttivamente".
5
"La cultura è appunto il sistema di significati pubblicamente e collettivamente accettati,
operante per un gruppo determinato in un momento determinato". P. Gagliardi, Le imprese
come culture, ISEDI, Torino, 1986, pag. 58.
6
"L'essere umano, infatti, non può rinunciare ad avere degli orientamenti etici, delle linee
guida. Questo non significa, d'altra parte, che un'accurata politica aziendale di trasmissione
dei valori elimini di per sé la presenza di atteggiamenti, abitudini, modelli comportamentali
tipici dei gruppi sociali interni all'organizzazione. Meccanismi di produzione autonoma di
valori alternativi, infatti, esistono ed esisteranno sempre, così come avrà sempre un suo
spazio - qualsiasi provvedimento aziendale si possa attuare - la cosiddetta comunicazione
informazioni, di finalità e di valori costituito dal sapere, dalle
capacità operative, dalle norme proprie di una certa impresa"
7
.
La cultura è specifica di ogni impresa, anzi la cultura
specifica l'impresa contribuendo a conferirle identità e capacità
distintive. Tutte le volte che, a qualsiasi titolo, entriamo in
contatto con qualsiasi organizzazione veniamo colpiti, più o
meno consapevolmente, da una serie di 'immagini' che
l'organizzazione immediatamente ci trasmette. Riusciamo a
cogliere dei segnali che in qualche modo, sia pur
inconsciamente, associamo all'idea di ordine, efficienza,
velocità, ecc. Attraverso la lettura dei simboli noi vediamo un
aspetto, una parte della cultura dell'organizzazione
8
.
La cultura d'impresa comprende: le conoscenze accumulate
nel corso dell'esperienza sul mercato, sulla domanda, sulla
concorrenza, sul sistema delle risorse critiche
9
; le tecniche di
'informale'. Tali fenomeni appaiono più che altro come fisiologici all'interno di
un'aggregazione sociale vasta come può essere un'azienda". Cfr. M. Giuli, Informazione,
formazione, azione. L'apprendimento dei valori aziendali nella società dell'informazione:
problemi e proposte operative, Franco Angeli, Milano, 1990, pag. 55.
7
Cfr. C. Ciappei, Autonomia e assetti d'impresa, G. Giappichelli Editore, Torino, 1990, p. 96.
8
Cfr. M. Ferrante, S. Zan, Il fenomeno organizzativo, Roma, La Nuova Italia Scientifica,
1994, pagg. 95-99.
9
Cfr. R. Normann, Le condizioni di sviluppo dell'impresa, Etaslibri, Milano, 1991, pag. 26:
"Le imprese possono essere considerate sistemi aperti che interagiscono con il loro
ambiente. Differenti tipi di input (materie prime ed energia di vario tipo) sono trasformati in
output (prodotti e sistemi). Possiamo chiamare questo processo di scambio. Il processo di
scambio, tuttavia, non è il solo processo centrale che ha luogo nell'impresa. Le condizioni
interne e le relazioni con lo spazio ambientale cambiano più o meno continuamente; varia la
qualità del processo di scambio; l'impresa allarga il suo spazio ambientale; si avviano nuove
aree d'affari, con processi di scambio nuovi, in spazi ambientali con cui l'impresa non aveva
in precedenza alcun rapporto. Il processo attraverso il quale l'impresa cambia la sua
struttura e le sue relazioni con l'ambiente lo chiamiamo processo di sviluppo o processo di
crescita. Nel processo di scambio l'efficienza si può ottenere realizzando una relazione, la
approvvigionamento, produzione, smercio, finanziamento; le
procedure di programmazione e controllo; le regole di
ripartizione della ricchezza prodotta; le visioni del mondo, le
credenze, i miti, il particolare linguaggio e così via.
In questo senso la cultura d'impresa, assunta in un'accezione
molto ampia, è un patrimonio informativo proprio
dell'organizzazione produttiva, fonte della propria autonomia,
della propria individualità, della propria soggettività. I pensieri,
le logiche di azione, gli interessi, sono inscindibili dalle
operazioni cerebrali delle persone che con l'impresa stessa
hanno qualche contatto; la cultura, come carattere sociale, può
essere considerata "propria" dell'impresa come sistema socio-
tecnico o socio-economico.
La cultura d'impresa si produce, si apprende, si riapprende, si
riproduce nell'avvicendarsi delle componenti umane, che
caratterizzano il divenire dell'impresa. L'impresa con l'ampliarsi
della propria cultura diviene portatrice di proprie finalità e di
propri valori: diviene unità attraverso una propria cultura che le
fornisce il suo principio collettivo di identità.
Molti professionisti si sono chiesti se la cultura altro non sia
che un lusso, fermo restando il fatto che si tratta di una cosa
molto importante, e che l'impresa dovrebbe innanzi tutto badare
a produrre e vendere. La risposta è che ovviamente l'impresa
più favorevole possibile, fra il costo di quanto è immesso nel processo ed il ricavo di quanto
ne deriva. Tutti i mezzi impiegati - il tipo di organizzazione formale, di sistemi di controllo, di
risorse ed il modello in cui sono organizzati ecc. - verranno inclusi nel concetto
onnicomprensivo di "struttura organizzativa dell'impresa". Di conseguenza l'efficienza del
processo di scambio deriva dalle condizioni che l'impresa è riuscita ad assicurarsi nel
proprio "spazio ambientale" - in quella parte dell'ambiente cioè con cui l'impresa ha un
continuo supporto di scambio - e dal grado di successo con cui è stata progettata la struttura
aziendale di supporto al processo di scambio".
deve essere sana sul piano economico e finanziario, ma in più il
suo sistema di valori deve comprendere i concetti più pregnanti
di salute economica, di servizio alla clientela e di motivazione
del lavoro per il singolo membro dell'organizzazione
10
.
Insomma, la cultura è una variabile organizzativa "forte"
11
, in
quanto può spiegare una serie di comportamenti organizzativi
che non derivano direttamente e meccanicamente dal "chi fa
cosa".
E' sorprendente notare quanto poco spazio dedichino le
attuali teorie del management alla questione dei valori e, in
particolare, quanto poco si parli delle aziende come entità
culturali. Delle persone che lavorano alla 3M è stato detto che
sono molto conformisti nelle loro convinzioni di fondo,
addirittura più dei membri di una setta politica estremista che
abbiano subito il lavaggio del cervello. Eppure questa azienda è
10
La cultura può inoltre essere considerata un vero e proprio strumento da impiegare nella
gestione: "(...) The fashionable term for that sort of education these days is reskilling, but the
word is too narrow and mechanistic for me. 'Skills' suggests special technical, knowledge-
based abilities; it does not suggest broad social (or cultural) behaviours, nor does suggest
general managerial abilities. As for the 're-' in 'reskilling', it seems to me to point us away
from the best, most beneficial assumption we can make about our workers and managers:
namely, that they all possess, within themselves, the resources of mind and character that
they need to learn. Only one word describes the process that depends on those resources -
education. (...) Culture is probably the most dramatic of these issues. Time was, not long
ago, when people believed that a culture, even a business culture, was a given. Like the
weather, it was something you couldn't do anything about. Now when managers speak of
their business's culture, as often as not it's to talk about changing it, using it, manipulating it
in some way - to better serve the business. Culture has become a tool". J. Champy,
Reengineering management, HarperBusiness, New York, 1995, pagg. 159-161.
11
"L'organizzazione è un meccanismo di influenza dei comportamenti individuali anche
perché al suo interno operano e agiscono simboli, valori, assunti che, insieme alla struttura,
al sistema dei ruoli, incidono sui comportamenti degli individui". Cfr. M. Ferrante, S. Zan, Il
fenomeno..., op. cit., pag. 103.
conosciuta non per la sua rigidità, bensì per il suo acceso
spirito di imprenditorialità.
Nel mondo accademico si è levato qualche mormorio a
proposito dei valori e della cultura da quando alcuni ricercatori
hanno sollevato il problema. Richard Normann, in Dirigente e
statista, parla dell'importanza della "idea dominante
dell'impresa", e afferma che il "problema più cruciale" in ogni
azienda è quello della costante interpretazione degli
avvenimenti storici e dell'adattamento dell'idea dominante a
quel contesto. E in un libro sulla strutturazione
dell'organizzazione, Henry Mintzberg parla della cultura come
principio progettuale, ma soffermandovisi solo di sfuggita, e la
chiama (con un termine infelice) "configurazione missionaria"
tenendo a darle una sfumatura inopportunamente futuristica.
Ma in ciò non c'è nulla di futuristico: la IBM funziona così da
sempre.
Pare che il principio universale che sta dietro a tutte le
aziende di successo sia:
• crearsi un sistema di valori;
• stabilire quale dev'essere la filosofia dell'azienda;
• sapere di cosa vanno fieri tutti i membri dell'organizzazione;
• proiettarsi mentalmente nel futuro per capire che cosa
ricorderemo con maggiore soddisfazione tra una ventina
d'anni
12
.
12
"La scelta di tali valori dovrebbe chiaramente esser fatta dopo un accurato esame
strategico delle possibilità di sviluppo dell'impresa, delle concrete e verificabili opportunità di
rendere operativi i 'dichiarata' aziendali, nonché della congruenza di fondo tra i valori
proposti e l'attuale caratterizzazione dell'immagine interna dell'organizzazione, pena la
reazione di rifiuto o scetticismo da parte del personale". Cfr. M. Giuli, Informazione,
formazione..., op. cit., pag. 57.
Leggendo testi che descrivono le cause del declino e della
caduta di varie aziende, si capisce che tutto concorre: nuove
scoperte tecnologiche, nuove mode. Non possiamo comunque
essere convinti che questi elementi da soli siano decisivi: il
declino o il successo delle aziende sono spesso legati alla
capacità o meno dell'organizzazione di scoprire e sfruttare
l'energia e il talento di ognuno. Come è possibile aiutare le
persone a individuare una causa comune, sostenere
quest'ultima e garantire che l'orientamento di fondo non vada
perduto nel tempo? La forza dei cosiddetti valori di fondo e la
presa che essi hanno sulle persone, un solido sistema di valori
sul quale fondare politiche e interventi: tutto questo è
indispensabile alla riuscita, ma servirà a poco senza la totale
coerenza con i principi propugnati.
E' legittimo chiedersi se un'azienda può avere successo
senza valori chiari e accuratamente individuati. Una ricerca ha
rivelato che le imprese meno brillanti mancavano totalmente di
orientamenti precisi, oppure si erano prefisse una serie di
obiettivi primari, ma concentravano realmente la propria
attenzione solo su quelli quantificabili (i target economico-
finanziari). Paradossalmente, le aziende in apparenza più
focalizzate - quelle la cui filosofia si fondava in modo più
esplicito sui target finanziari - avevano ottenuto risultati meno
soddisfacenti da un punto di vista economico di quelle
caratterizzate da una definizione degli obiettivi più ampia, meno
precisa, ma incentrata su valutazioni di ordine qualitativo.
Appare chiaro, dunque, che non è sufficiente crearsi un
sistema di valori, quel che conta è il loro contenuto (e in certi
casi anche il modo in cui vengono espressi). La sensazione è
che le aziende fortemente orientate verso obiettivi di carattere
economico-finanziario riescano a motivare e coinvolgere quei
cinque o al massimo cinquanta individui che costituiscono l'alta
direzione, ma di rado forniscono gli stimoli necessari alle decine
di migliaia di persone che si occupano di realizzare, vendere e
sostenere il prodotto ai vari livelli dell'organizzazione.
La cultura aziendale può però essere anche interpretata
come gabbia cognitiva
13
, cioè come l'unico modo adeguato di
vedere, affrontare e risolvere i problemi
14
(è questo il senso di
termini come "deformazione professionale" o "incapacità
addestrata"). Ci sono stati dei casi di organizzazioni che, pur
avendo avuto successo in passato, sono crollate perché
incapaci di spogliarsi della loro cultura, di leggere l'ambiente in
modo diverso, di ipotizzare nuove soluzioni a nuovi e vecchi
problemi. Questo vale per moltissime organizzazioni: il
paradosso consiste proprio nel fatto che chi ha avuto successo,
e quindi è stato capace di fornire le risposte valide in passato, è
di norma più "incapace" di elaborare nuove risposte. Chi
viceversa non ha ancora trovato la soluzione valida dovrà
andare alla ricerca di essa, per prove ed errori, e appaleserà
una maggiore apertura e duttilità. Anche in questo senso
dunque la cultura è una variabile organizzativa forte, un "campo
di fattibilità" delle strategie di comportamento individuali e
13
"... è cresciuto anche il rischio di commettere errori di valutazione non marginali. Ne
possiamo enumerare perlomeno un paio. Il primo è relativo ad una certa 'euforia' che
talvolta capita di osservare (più nella letteratura manageriale, in realtà, che nella prassi), a
proposito della 'progettazione' culturale. Vengono delineati improbabili accostamenti tra il
contesto aziendale - caratterizzato da strutture gerarchiche e finalità economiche - e quelli
delle comunità sociali analizzate nelle ricerche antropologiche". Cfr. M. Giuli, Informazione,
formazione..., op. cit., pagg. 15-16.
14
Cfr. M. Ferrante, S. Zan, Il fenomeno..., op. cit., pagg. 105-106.
collettive. A volte può risultare utile compiere uno sforzo rivolto
a capire che cosa la cultura non è, invece di esaminare quello
che è
15
.
Le aziende giapponesi sono state le prime ad impiegare la
cultura come strumento di gestione. Gli esperti (si è trattato
comunque di una spiegazione che ha retto solo in parte e per
poco tempo), hanno erroneamente spiegato lo straordinario
successo delle industrie giapponesi, sostenendo l'importanza
decisiva dell'insieme di valori e tradizioni etniche e religiose che
consentiva di riportare all'interno di ogni singola azienda una
logica di "clan" fortemente coeso e integrato e dunque meno
propizio, rispetto alle imprese occidentali, a relazioni di tipo
conflittuale tra le parti. Però, quando i giapponesi hanno iniziato
a comprare e gestire aziende nelle più diverse parti del mondo -
utilizzando manodopera locale - le prestazioni delle imprese
non solo non sono diminuite, ma in alcuni casi sono addirittura
aumentate. Stabilimenti che occupano operai, impiegati e
dirigenti in stragrande maggioranza inglesi, ma gestiti secondo
il modello giapponese, hanno ottenuto risultati del tutto simili
alle consorelle che operano in Giappone. Questo significa che
15
Il gruppo strumenti della Bausch & Lomb comprendeva una trentina di diverse linee di
prodotti in concorrenza con i colossi del calibro della Hewlett-Packard. Questo gruppo di
business languiva da circa un decennio quando giunse Jim Edwars dalla IBM. La prima fase
del risanamento fu una brusca ristrutturazione che creò quattro nuove divisioni, con
l'introduzione della struttura organizzativa a matrice. Furono riunite le linee di prodotti
frammentate sotto la direzione di un'unità di business, sfruttando economie di scala e risorse
comuni. Però la disunita famiglia Bausch & Lomb non serrò le file, la confusione crebbe e il
gruppo iniziò a demoralizzarsi; a nulla valsero opuscoli e videocassette. Dopo poco gli utili
trimestrali diminuirono del 32%, ed Edwars rassegnò le dimissioni. Edwars non aveva ben
valutato la realtà dell'azienda: la cultura non scaturisce da ristrutturazioni istantanee, da
direttive di politica aziendale o dalla gestione a matrice. Cfr. C. R. Hickman, M. A. Silva,
L'organizzazione eccellente, Sperling & Kupfer, Milano, 1986, pagg. 57-58.
ciò che più rileva non è tanto la cultura nazionale, ma la
specificità della cultura organizzativa, cioè il "modo" in cui si
fanno le cose all'interno di ogni organizzazione
16
.
Per concludere il paragrafo, è interessante riportare un brano
di Per Luigi Amietta
17
, che ben riassume il concetto di cultura
organizzativa:
"Per concludere il discorso generale sulla cultura organizzativa,
riprendiamone alcuni punti essenziali:
• la cultura organizzativa di qualsivoglia azienda è costituita
dai principi di fondo che una organizzazione ha sviluppato
mentre imparava a gestire i problemi di adattamento alle
condizioni ambientali esterne e di coesione sociale interna.
Le soluzioni sperimentate come valide producono un
patrimonio di sapere organizzativo (know-how) e diventano
norme e valori, non intesi come universali e necessari, ma
come il proprio modo giusto di percepire i fenomeni, di fare
diagnosi, di prendere decisioni, di individuare le soluzioni;
norme e valori, dunque si esprimono in comportamenti non
'giusti o sbagliati' in assoluto ma, piuttosto adeguati o
inadeguati a conseguire i due scopi fondamentali di qualsiasi
organismo: la propria autoconservazione e il proprio
sviluppo;
• esiste sempre, nel concetto di cultura organizzativa una forte
componente ideologica, che porta di solito alla esplicitazione
da parte dell'organizzazione e, in ogni caso alla
consapevolezza da parte dei suoi membri, dei valori, degli
16
Cfr. M. Ferrante, S. Zan, Il fenomeno..., op. cit., pagg. 107-108.
17
Cfr. P. L. Amietta, Comunicare per apprendere..., op. cit., pagg. 21-23.
stili e dei comportamenti tipici o comunque desiderati
dall'organizzazione stessa;
• esiste una dinamica interattiva tra gli elementi che
compongono il quadro culturale di ogni organizzazione:
questa dinamica è particolarmente attiva tra il know-how
(competenza distintiva), i comportamenti e i valori;
• a prescindere da quale dei tre elementi ha dato avvio al
processo, e quindi dal peso relativo iniziale di ciascuno di
essi, la componente valoriale, quando non ha forza traente
iniziale, finisce per assumerla nel tempo. Ciò si deve al fatto
che, usando una metafora marinara, mentre il know-how
rappresenta l'insieme delle tecnologie che consentono alla
nave di tenere il mare e i comportamenti rappresentano le
tecniche attive per questo scopo, i valori rappresentano la
rotta. Sarebbe inutile avere uno splendido scafo e un
equipaggio ottimamente addestrato se non si sapesse dove
andare".
La funzione di una cultura di crescita consiste nel regolare le
idee dominanti ed adattarle ai cambiamenti nella situazione
dell'impresa. Gli ingredienti più importanti sono certe
caratteristiche dei sistemi di potere e di idee dell'impresa (ed in
particolare le tensioni) ed i meccanismi per gestire la tensione
ed il conflitto. In molte imprese di successo è stato possibile
identificare ai più alti livelli centri di potere che rappresentano
idee e valori concreti (ad esempio, un centro di potere appoggia
valori riguardanti l'apprendimento, mentre un altro sostiene
quelli riguardanti la stabilità o lo sfruttamento) con differenti fasi
nello sviluppo di un'area di affari. Di tutto ciò parliamo nei
prossimi paragrafi di questo capitolo.
2 - I protagonisti della vita aziendale ed il cambiamento delle
idee dominanti
In ogni organizzazione esiste un insieme di valori, norme,
credi, concetti che, nel loro insieme, costituiscono una parte
importante della realtà in cui operano i protagonisti
18
- una parte
di quello che chiamiamo il sistema di idee. Gli elementi
incorporati nel sistema di idee sono costituiti da idee, più o
meno conscie, sul ruolo e sui compiti dell'impresa, sulla
struttura organizzativa che ne favorisce l'efficienza, sui vari tipi
di "obiettivi" più o meno formalizzati, idee su ciò che costituisce
un efficiente stile di direzione, sulla motivazione del singolo,
ecc.
Non tutte le idee incluse nel sistema di idee dell'impresa
avranno un'influenza decisiva sul modo in cui questa si
sviluppa. Si dà il caso che la maggior parte delle imprese è
caratterizzata da una continua lotta su quali idee dovrebbero
guidare la loro attività. Le idee che di volta in volta riescono ad
imporsi sono le idee dominanti dell'impresa
19
. Il modo in cui il
management agisce dipenderà da queste e da come è
percepita una particolare situazione. E' molto probabile che il
management possa fallire il suo compito; ad esempio, la
situazione significativa può essere male interpretata, oppure le
idee dominanti possono essere inadeguate per fronteggiare
una situazione complessa. La struttura di potere
20
dell'impresa
18
Per protagonisti intendiamo le persone con potere ed autorità tali da influenzare le idee
dominanti.
19
Cfr. R. Normann, Le condizioni di..., op. cit., pag. 29.
20
Chris Argyris si è occupato dell'impatto che le relazioni interpersonali hanno
sull'organizzazione: per questo, non ha potuto trascurare il peso esercitato dalla struttura di
influenza considerevolmente le potenziali idee di successo, e
viceversa.
L'esempio della cooperativa dei lavoratori può far capire
come le idee, radicate nella mente dei protagonisti di
un'organizzazione, possano impedire il cambiamento
21
.
Il concetto di idee dominanti fa riferimento alla realtà socio-
psicologica prevalente nei gruppi di protagonisti. Questa
semplice formulazione rivela che le idee determinanti non sono
solo il prodotto di valori e processi intellettuali, ma anche di
giochi di potere e di politica.
potere in azienda. "The strategy of power is illustrated by the following 'principles' of formal
organization: 1) There must be clear lines of authority running from the top to the bottom of
the organization. 2) no one in the organization should report to more than one line
supervisor. Everyone in the organization should know to whom he reports and who reports
to him. 3) The responsibility abd authority of each supervisor should be clearly defined in
writing. 4) The accountability of higher autority for the acts of its subordinates is absolute. As
a result of these principles the individual is placed in work situations where he is required to
be subordinate, passive, (...). (...) 1) The only relations that matter between people in
organizations are those defined by the charts and manuals. 2) The behavior of people is
governed by explicit logical thinking. (...) 6) Employees will be more efficient if they are not
required to be responsible for evaluating the quality of their work". Cfr. C. Argyris,
Interpersonal competence and organizational effectiveness, Irwin - Dorsey, Homewood
(Illinois), 1962, pagg. 34-37.
21
" Una grande cooperativa di lavoro voleva aumentare il livello di partecipazione dei soci;
per far questo ricorse alle prestazioni di consulenti esterni. Questi condussero una ricerca e
presentarono i risultati al consiglio di amministrazione. Esposero il fatto che, in fondo,
nessuno lì dentro (dai soci ai dirigenti) credeva veramente nella partecipazione o ne sentiva
effettivamente il bisogno. Negli assunti profondamente radicati nella cultura della
cooperativa c'era una concezione individualistica del lavoro, un fondamentale rispetto per la
gerarchia delle competenze, un'attitudine alla delega ampia e la convinzione che
un'organizzazione tayloristica del lavoro fosse sempre e comunque quella giusta". Cfr. M.
Ferrante, S. Zan, Il fenomeno..., op. cit., pag. 101.