2
1.2 : IL DIRITTO ROMANO
Il nostro punto di partenza è rappresentato da un celebre passo del Digesto attribuito ad
Ulpiano in cui leggiamo: “Illud non probabis, dolum non esse praestandum si convenerit; nam haec
conventio contra bonam fidem contraque bonos mores est et nec sequenda est”
1
. Come si può facilmente
intuire la chiave del problema sta tutta nell’espressione “ dolum non esse praestandum”.
Per capirla appieno bisogna preliminarmente analizzare la struttura che assumeva la
responsabilità contrattuale presso i giuristi classici: a carico del debitore, assieme al dovere
di eseguire la prestazione principale di dare o di fare, il contratto imponeva altri obblighi,
per così dire sussidiari, che consistevano nel tenere sicuro il proprio contraente intorno al
verificarsi o meno di certe circostanze le quali potessero rendere impossibile la prestazione
dovuta. Dunque l’adempimento o meno di tali doveri sussidiari veniva in considerazione
solo dove la prestazione principale rimanesse definitivamente inadempiuta e al solo fine di
stabilire se tale inadempimento fosse imputabile al debitore rendendolo quindi responsabile
verso la controparte. In questo contesto “praestare”, il verbo della prestazione, indicava sia
l’oggetto dell’obbligazione principale sia le prestazioni sussidiarie che corrispondevano ai
criteri di responsabilità o alle obbligazioni di garanzia. Esso assumeva quindi il significato di
“rispondere di o per qualcosa” o ancora meglio di “tener sicuro il debitore riguardo a”
2
.
Appare così chiaro come il passo citato vietasse al debitore di non rispondere per il proprio
dolo e di porre in essere una convenzione che stabilisse ciò in quanto essa sarebbe stata
ritenuta immorale. Tuttavia i giudici romani si resero ben presto conto delle difficoltà legate
all’accertamento giudiziale del dolo, in quanto l’indagine volta a determinarlo era
essenzialmente rivolta ad un’ indagine sulla volontà del soggetto, e quindi di uno stato
interiore, mentre i mezzi di cui disponeva il giudice, le prove, riguardavano quasi sempre il
contegno esteriore del soggetto. Così nei casi in cui la responsabilità di una parte era
limitata al solo dolo, vuoi per convenzione delle parti vuoi per la disciplina di quello
specifico contratto ( ad esempio il deposito)
3
, i giudici cominciarono a ricorrere a una
1
D.16.3.1.7.
2
C.A. CANNATA, Responsabilità contrattuale nel diritto romano medioevale e moderno, in
Dig.Disc.Priv.Sez.Civ., vol.17, 1998, Torino, pp.71-72
3
Il fatto che anche nei contratti in cui ad una parte era imposta una diligenza solo minima, in virtù della
mancanza di interesse ( ad esempio al depositario nel contratto di deposito), venisse comunque stabilito
l’obbligo di rispondere per il dolo non fa altro che confermare l’assoluta inderogabilità di quest’ultimo
secondo il diritto romano.
3
casistica di dolo tipizzato considerando certi comportamenti individuati come tali dolosi
per il solo fatto di essere stati posti in essere con certi connotati.
Nacque così, come caso di dolo tipizzato, il concetto di colpa grave, denominata “culpa
lata”, che solo in un secondo tempo, probabilmente dai compilatori del codice giustinianeo,
si staccò da questa concezione per divenire un autonomo grado della colpa comunque
equiparato al dolo secondo l’espressione “culpa lata dolo aequiparatur”
4
.
La regola espressa da Ulpiano venne così automaticamente estesa anche ai casi di colpa
grave in cui pur mancando o non essendo dimostrabile la volontà interna del soggetto di
nuocere volontariamente erano comunque presenti elementi di una tale gravità
nell’inadempimento del soggetto obbligato da rendere comunque obbligatoria da parte
dell’ordinamento una tutela verso colui al quale era rivolta la prestazione.
4
C.A. CANNATA, Responsabilità contrattuale nel diritto romano medioevale e moderno, in
Dig.Disc.Priv.Sez.Civ., vol.17, 1998, Torino, p. 72
4
1.3 : IL DIRITTO INTERMEDIO
I profili della responsabilità che emergono dalla legislazione barbarica appaiono in realtà
adeguati a una società chiusa con scambi commerciali notevolmente ridotti. In quest’ epoca
si assisterebbe comunque ad una crescita particolarmente accentuata della volontà dei
contraenti nei rapporti contrattuali.
Come conseguenza le parti godevano di un ampia libertà nello spostare i limiti della
responsabilità stabiliti dalla legge, libertà che comunque, come emerge dalla legislazione
longobarda e dal codice di Euriciano, si arrestava dinnanzi al dolo da parte di uno dei
contraenti
5
.
Anche nell’epoca dei Glossatori, pur rimanendo lontani dalla costruzione di una disciplina
unitaria in tema di responsabilità, questa rimaneva derogabile dalla volontà delle parti,
seppur nei limiti tracciati molti secoli prima da Ulpiano
6
.
La medesima regola venne mantenuta poi dai giuristi culti e in particolare da Donello che
affermò senza alcuna esitazione che il debitore era sempre tenuto a rispondere per dolo
7
.
La medesima strada fu poi seguita da Vinnen, uno dei maggiori tramiti di diffusione del
pensiero giusnaturalista, e da Pothier, ispiratore delle prime codificazioni, che affermarono
senza indecisioni che la regola generale stabiliva che si rispondeva sempre per dolo e colpa
grave non essendo ammesso il patto contrario
8
.
5
I.BIROCCHI- U.PETRONIO, Responsabilità contrattuale (diritto intermedio), in Enc.dir., vol.39,
p.1061
6
I.BIROCCHI- U.PETRONIO, Responsabilità contrattuale (diritto intermedio), in Enc.dir., vol.39,
p.1063
7
I.BIROCCHI- U.PETRONIO, Responsabilità contrattuale (diritto intermedio), in Enc.dir., vol.39,
p.1065
8
I.BIROCCHI- U.PETRONIO, Responsabilità contrattuale (diritto intermedio), in Enc.dir., vol.39,
pp.1066-1067
5
1.4 : LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE, IL COMMERCIO
MARITTIMO E LE PRIME CODIFICAZIONI
La rivoluzione industriale e la conseguente nascita della classe borghese determinarono
radicali cambiamenti a livello giuridico non solo nell’organizzazione dello stato ma anche
nei rapporti tra i privati.
Il passaggio da un’economia essenzialmente agricola ad un sistema di produzione
industriale capace di produrre beni di largo consumo in grande quantità portò ad un
aumento esponenziale degli scambi e dei traffici commerciali. Di conseguenza cominciò a
ricevere sempre maggior importanza la disciplina contrattuale, specialmente quella del
contratto di trasporto, in virtù della necessità, sentita sempre maggiormente dagli operatori
commerciali, di poter disporre di una definizione dell’obbligazione precisa e completa che
fosse in grado di regolare i casi di eventuale inadempimento e di attribuirne la
responsabilità. In particolare lo sviluppo delle clausole di esonero avvenne parallelamente a
quello dell’industria dei trasporti marittimi dove il frequente verificarsi di eventi dovuti a
caso fortuito e forza maggiore portavano a un’ alta probabilità di inadempimento del
vettore. In Inghilterra, allora prima potenza navale del mondo, grazie al sistema di common
law, tali clausole trovarono il terreno più propizio al loro sviluppo. Infatti nel sistema
anglosassone non si era sviluppata una definizione unitaria e autonoma dell’obbligazione da
cui far discendere un criterio generale di imputazione dell’inadempimento e di conseguenza
era impossibile trarne anche uno riguardante l’esonero o la limitazione della responsabilità.
L’unico principio esistente in materia affermava la responsabilità del soggetto obbligato
contrattualmente anche nel caso in cui la prestazione fosse divenuta impossibile per caso
fortuito o forza maggiore: l’unica via che le parti avevano per tutelarsi da un eventuale
proprio inadempimento era quella di stipulare al momento della conclusione del contratto
un’ excepted clause che le esonerasse da responsabilità al verificarsi di determinati eventi
(Paradine v. Jane, 1647)
9
. Inizialmente tali clausole riguardarono i soli avvenimenti
imprevedibili, i casi di forza maggiore e i pericoli del mare funzionando così come delle
“ricognizioni di fortuito”
10
: successivamente tuttavia si estesero a veri e propri fatti di
9
L.DELOGU, Le modificazioni convenzionali della responsabilità civile, Padova, 2000, pp.48-50
10
Le prime formule usate in Inghilterra in forma di eccezione così recitavano: “the act of God, the King’s
enemies and dangers of the sea excepted”. Dal 1795 la formula usuale fu così ampliata: “the act of God,
the King’s enemies, fire and all and every other dangers or accidents of the seas, rivers and navigation of
what-soever nature and Kind soever excepted”
6
inadempimento intaccando il sistema della responsabilità rispetto alla sua fonte e ai suoi
effetti
11
. Il fatto che tali clausole furono generalmente considerate valide dalla
giurisprudenza inglese costituì la principale spinta per l’adozione delle stesse convenzioni
anche da parte delle compagnie marittime dell’Europa continentale fino ad allora
svantaggiate nella concorrenza con le compagnie britanniche
12
. In proposito appare molto
interessante ai fini della presente ricerca un elenco delle clausole di uso più frequente nei
contratti di trasporto marittimo proposto dal Brunetti nel commentario al codice
commerciale del 1920 in cui sono ricompresse sia clausole che hanno l’esplicita intenzione
di limitare o esonerare il vettore dalla responsabilità per inadempimento sia altre clausole
che pur non perseguendo direttamente questo obiettivo possono comunque portare al
medesimo effettto
13
. Ciò è molto importante, e per i tempi della pubblicazione dell’autore
citato anche molto innovativo, poiché, come avremo modo di vedere nel proseguio del
lavoro, sono proprio queste clausole che spesso vengono usate per mascherare limitazioni
ed esoneri di responsabilità sotto le mentite spoglie di altre fattispecie che danno tuttora i
maggiori problemi interpretativi.
Appartengono al primo tipo di convenzioni innanzitutto le clausole di liberazione generica cioè
quelle per cui si proclama l’esonero da ogni danno risarcibile comunque derivato
14
oppure
da ogni danno che possa essere coperto da assicurazione
15
. Di notevole e di rilevante
importanza pratica erano in oltre la clausole limitanti l’ammontare del risarcimento
16
, quelle
escludenti la responsabilità per il ritardo
17
, e quelle escludenti l’azione in responsabilità del
ricevitore per deficienze di misure e di peso nelle merci caricate alla rinfusa e senza
imballaggio.
Molto usate, e già allora molto discusse, erano infine le clausole liberatorie dalle conseguenze
dell’agire colposo dei preposti, oggi chiamate esonerative per fatto degli ausiliari, che applicate in
11
A.BRUNETTI, Commentario al codice commerciale, vol.6, Milano, 1920, pp. 599-600
12
F.BENATTI, Contributo allo studio delle clausole di esonero da responsabilità, Milano, 1971, p. 10
13
A.BRUNETTI, Commentario al codice commerciale, vol.6, Milano, 1920, pp.601-618
14
ad esempio di uso molto frequente fu la seguente: “free from all accidents, loss and damage of
whatsoever nature or kind and however occasioned”
15
ad esempio la formula: “l’armatore non è responsabile per la perdita o per qualsiasi danno subito alle
merci contro cui il caricatore avrebbe potuto assicurarsi”
16
ad esempio una clausola della Soc.ital. di serv.maritt.: “Pel trasporto di piccoli colli, la responsabilità
della società è limitata ad un massimo di lire 15 per colli fino a 25 kg, di lire 20 per quelli oltre 25
kg…..”
17
ad esmpio una clausola della Worms e C.: “ les armateurs ne garantissent aucun delai de transport et
ne seront tenus en aucun cas à des indemnites pour retards. Les dates indiquees sur ler connaissements
ou dans les circulaires et journeaux ne pourront donner lieu à aucune reclamation en cas de retard, ou
d’empeachment au depart du navire"
7
un primo tempo alle sole colpe nautiche vennero poi estese ad ogni fatto colposo nella
gestione del carico
18
.
Vanno classificate nel secondo tipo di clausole invece in primis le già richiamate ricognitive di
fortuito le quali consacrando l’irresponsabilità per il fortuito e la forza maggiore non
implicavano alcuna deroga al diritto comune della responsabilità. Appartengono a questo
gruppo inoltre le clausole che, senza riguardo alla causale del danno, e quindi senza
distinguere fra rischi che provengano dal caso o viceversa dalla colpa sanciscono
l’irresponsabilità presunta del vettore per determinati danni, provocando un’inversione
dell’onere della prova che ricade in questo caso sul ricevitore che dovrà dimostrare in
concreto la colpa del vettore
19
Possono influire infine sul regime della responsabilità le clausole che subordinano l’azione
di risarcimento al riconoscimento all’arrivo della perdita o avaria mediante constatazioni
peritali o particolari formalità
20
o all’uso di determinate fonti di prova giudiziale per mezzo
delle quali stabilire la misura del dovuto
21
.
Nonostante il sempre più largo utilizzo delle clausole di esonero attuato dai vettori
marittimi furono pochi i modelli legislativi operativi durante l’ottocento che si occuparono
direttamente della materia: la legge 13 febbraio 1893 degli Stati Uniti d’America sui trasporti
per mare (Harter Act), proclamando la nullità delle clausole di esonero portava un
generalissimo richiamo al concetto di colpa grave e alle disposizioni proibitive di legge,
mentre il codice civile germanico al capoverso 276 sanciva la nullità delle clausole sulla
responsabilità nel solo caso di dolo da parte del soggetto obbligato
22
. L’unico caso di fonte
legislativa in cui era presente per intero il principio sancito migliaia di anni prima da
Ulpiano era rappresentato dal codice svizzero delle obbligazioni che all’art.100 dichiarava
18
ad esempio era di uso consueto nelle polizze inglesi la seguente: “barratry, missasance, error in
judgement, negligence or default of pilot, master, mariners or other persons in the service of the ship,
whether in navigation the ship or otherwise excepted”
19
ad esempio una clausola della Soc. ital. di serv.maritt: “la Società non risponde dei danni cagionati dai
topi, dagli insetti, dalla rottura degli oggetti fragili, dal colaggio dei liquidi, qualunque sia il recipiente
entro cui siano contenuti, dagli spicci nei fusti non visibili all’imbarco, dallo spargimento delle merci,
dalla mortalità o fuga degli animali, dalla ruggine, dalla umidità per pioggia od evaporazione d’acqua di
mare, salvo che questi danni dipendano da negligenza o da colpa del capitano o delle persone
dell’equipaggio”
20
ad esempio la clausola che stabilisce che “ nessuna domanda di risarcimento per avarie, perdite o altri
danni sofferti dalle cose caricate sarà ammessa se lo stato delle medesime non sia riconosciuto all’arrivo
in contraddittorio col rappresentante della Società…”
21
ad esempio la clausola che dispone che “ nel caso di avaria o di perdita di cui la Società debba
rispondere, essa sarà tenuta a pagare soltanto in ragione del valore reale ed intrinseco delle cose
caricate risultante da regolari fatture di origine o accertate da relazione di perito giurato, escluso ogni
compenso a titolo di danni per lucro mancato o per aumento di valore”
22
“Die Haftung wegen Vorsatzes hann dem Schuldner nicht im voraus erlassen werden”
8
nullo il patto avente per scopo di liberare preventivamente dalla responsabilità dipendente
da dolo o colpa grave. In Francia, nonostante il Code Napoleon non riproducesse tale regola
e tacesse a proposito dei patti di esclusione della responsabilità sottoponendo nell’articolo
1137 tutti i contratti al medesimo regime di responsabilità con l’unico referente della
diligenza del buon padre di famiglia, la giurisprudenza era ferma nell’applicazione del
principio stabilito da Ulpiano fondando la sua applicazione sull’art.6 del Titolo Preliminare
secondo il quale “ i privati non possono derogare alle leggi che interessano l’ordine
pubblico e il buon costume”
23
.
23
F.BENATTI, Contributo allo studio delle clausole di esonero da responsabilità, Milano, 1971, p. 19
9
1.5 : L’ITALIA SOTTO IL CODICE CIVILE DEL 1865 E LA
DISCUSSIONE SULLA VALIDITÀ DELLE CLAUSOLE DI
ESONERO
L’Italia, sotto la vigenza dell’abrogato codice civile, fu testimone di un vivace dibattito sulla
validità delle clausole di esonero da responsabilità. Infatti il codice del 1865, seguendo la via
tracciata dal Code Napoleon, non conteneva una norma che regolasse espressamente tali
clausole. Fu così compito della dottrina e della giurisprudenza tracciare un quadro generale
della materia che permettesse di regolare i casi in cui erano presenti pattuizioni sulla
responsabilità.
In dottrina era comunque pressoché unanime il consenso sull’invalidità del patto di
esclusione della responsabilità in caso di dolo
24
. La giustificazione principale di tale sfavore
verso il patto ne dolus praestatur era la medesima portata secoli prima dai giuristi romani:
assicurare l’impunità per volontarie mancanze alle contratte obbligazioni veniva ritenuta
cosa immorale
25
. Inoltre emergeva in alcuni autori già la considerazione che dietro al divieto
stabilito da Ulpiano ci fossero ragioni legate all’ordine pubblico dal momento che tale
principio “non sembrava fondato solo su ricordi storici ma sull’essenza stessa delle
contrattazioni sociali”
26
. Un’altra causa d’invalidità del patto sul dolo veniva portata da chi
sosteneva che tale convenzione avrebbe finito per distruggere il vincolo giuridico: infatti,
se incluso nel medesimo atto che dà vita all’obbligazione principale, starebbe in
contraddizione con la volontà di concludere l’obbligazione stessa mentre, se concluso
successivamente a questa, avrebbe il carattere di un patto liberatorio
27
.
Più discussioni si ebbero invece intorno all’estensione del divieto alla colpa grave. Parte
della dottrina, partendo dalla negazione dell’equiparazione tra dolo e colpa grave nel diritto
moderno e giungendo a separare nettamente il volontario e cosciente inadempimento
dall’inadempimento causato da trascuratezza e negligenza, seppure del massimo grado,
giungeva a riconoscere validità al patto sulla colpa grave dal momento che esso non
avrebbe incitato a nuocere impunemente con la propria condotta come il patto esonerativo
24
M.BESSONE, Le clausole di esonero e limitazione della responsabilità, in Riv.dir.comm., 1974, pp.
323-324
25
V.POLACCO, Le obbligazioni nel diritto civile italiano, Roma, 1915, p.389
26
P.COGLIOLO, Scritti vari di diritto privato, Torino, 1913, p.361
27
G.GIORGI, Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano, vol.2,Firenze, 1876, p.76
10
in caso di dolo
28
. Tuttavia la maggioranza della dottrina si pose in una posizione contraria
alla validità del patto con cui si esonerasse il debitore dal rispondere per una condotta
gravemente colposa. La maggior parte dei giuristi dell’epoca giustificarono questa tesi
sull’enunciato dell’art.1124 del codice civile del 1865, secondo cui i contratti andavano
eseguiti secondo buona fede, in quanto questo si opporrebbe ad ammettere che
preventivamente si stipuli l’assoluta immunità per il debitore che ometta persino quel grado
minimo di diligenza il cui difetto costituisce appunto la colpa grave
29
. Veniva giustamente
fatto notare come anche il patto sulla colpa grave, allo stesso modo che quello sul dolo,
portasse il debitore a non prendere nessuna cura riguardo all’adempimento
dell’obbligazione
30
e a non dare alla propria volontà “quell’energia che è richiesta per usare
un certo grado di diligenza”
31
. Erano poi le stesse ragioni che avevano portato i giudici
romani a creare la categoria della culpa lata come caso di dolo tipizzato, cioè la difficoltà a
provare in concreto l’intento doloso del soggetto agente, a spingere per l’invalidità del patto
d’irresponsabilità per colpa grave. Stranamente era proprio uno studioso favorevole alla
validità del patto sulla colpa grave ad evidenziare quest’ultimo aspetto: osservava infatti lo
Scialoja che “non sempre è facile distinguere in pratica il dolo dalla culpa lata, perché la
distinzione si riduce in sostanza nel massimo numero dei casi ad un elemento intenzionale
difficilmente verificabile mediante prova. E per vero di solito la prava intenzione si deve
giudicare dalla qualità esteriore dell’atto; e facilmente si comprende come dal punto di vista
esterno gli atti di culpa lata assomiglino a quelli di dolo. Ora se si ammettesse che il diritto si
debba arrestare di fronte a distinzioni soggettive, dal momento che non si devono applicare
le conseguenze del dolo se l’intenzione non c’è, ne seguirebbe che nella massima parte dei
casi il diritto sarebbe disarmato, e il dolo rimarrebbe esente dalle conseguenze giuridiche
poiché di fronte alla negativa del convenuto ben difficilmente si riuscirebbe a dimostrarne
l’esistenza”
32
.
Altra parte della dottrina, seguendo la via già tracciata per il patto ne dolus praestatur ,
prendeva invece in considerazione la struttura stessa dell’obbligazione: anche il patto sulla
colpa grave distruggerebbe il vinculum iuris essendo incompatibile con la stessa volontà di
28
A.SCIALOJA, Lezioni sul diritto delle obbligazioni, Roma, 1898, p.341 ; DE MEDIO, in nota a
Cass.Torino, 23 agosto 1905, Foro.it, 1906, parte 1, p.25
29
V.POLACCO, Le obbligazioni nel diritto civile italiano, Roma, 1915, p.457 ; A.BRUNETTI,
Commentario al codice commerciale, vol.6, Milano, 1920, p. 620
30
A BRUSCHETTINI, Del contratto di trasporto, in Commentario al codice commerciale, vol.6, Milano,
1924, p.331
31
V.POLACCO, Le obbligazioni nel diritto civile italiano, Roma, 1915, p.459
32
A.SCIALOJA, Lezioni sul diritto delle obbligazioni, Roma, 1898, pp. 338-339
11
obbligarsi e con la coercibilità dell’impegno del debitore
33
.La clausola ne culpa lata praestatur
farebbe quindi perdere al contratto a cui viene apposta “quel carattere di necessità e di
obbligatorietà che distingue un vincolo giuridico da un vincolo di diversa natura”
34
. A
conclusioni non molto diverse giungeva chi vedeva in tali esclusioni di responsabilità la
carenza di uno degli elementi essenziali del negozio, il consenso a vincolarsi in modo
efficace, che rendeva il contratto giuridicamente inesistente in quanto “sarebbe
inammissibile ogni esonero che vulneri l’essenza del rapporto sinallagmatico risolvendosi
nell’annientamento di una delle obbligazioni essenziali delle parti”.
Secondo quest’ultima teoria tuttavia sarebbe valido un esonero da responsabilità anche per
colpa grave purchè esso non colpisca l’essenza delle prestazioni fondamentali del
contratto
35
.
A conferma dell’ampiezza che aveva raggiunto il dibattito sul tema sotto l’abrogato codice e
per rimarcare la grande varietà di opinioni espresse non va dimenticata la posizione di chi
negava validità anche al patto che avesse esonerato il debitore in caso di colpa lieve:
secondo questi autori ne sarebbe andato comunque di mezzo l’ordine pubblico
36
in quanto
sarebbe stata comunque incoraggiata la leggerezza e la noncuranza dei contraenti
37
.
Tuttavia la maggioranza della dottrina si pose a favore del patto di esclusione di
responsabilità in caso di colpa lieve in quanto questo “non dà previa sanatoria all’agire
fraudolento, non conduce alla distruzione del vincolo giuridico, non autorizza alla mala
fede od alla supina negligenza, non lascia infine l’obbligazione priva di contenuto. Il suo
effetto è quello soltanto di rendere meno gravosa la responsabilità del vettore pur
lasciandola sempre sussistere, consentendogli cioè di impiegare una diligenza minore di
quella richiesta”
38
.
Un’ulteriore considerazione in favore della validità della clausole di esonero per colpa lieve
arrivava poi dall’art.416 dell’abrogato codice di commercio, allora unica ipotesi legislativa
che disciplinava le clausole di esonero da responsabilità: dettato in tema di trasporti
ferroviari, in virtù del monopolio allora esercitato dallo Stato e dalle Compagnie
33
G.GIORGI, Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano, vol.2,Firenze, 1876, p.76
34
DI NOLA, Le agenzie di informazioni commerciali e la loro responsabilità civile, in Riv.dir.comm,
1904, parte 1, p.345
35
P.GRECO, Appunti sulle clausole di irresponsabilità nei trasporti marittimi, in commento a Cass.
Regno, 15 novembre 1928, in Annuario dir.comp., 1931,p.751.
36
FERRARA, Teoria del negozio illecito, Milano, 1914, p.217
37
CALUCI, Del contratto di trasporto, in Commento al codice di commercio, vol.4, Verona, 1883, p.333
38
A BRUSCHETTINI, Del contratto di trasporto, in Commentario al codice commerciale, vol.6, Milano,
1924, p.331
12
Ferroviarie, stabiliva la nullità e l’inefficacia delle stipulazioni, anche se di fonte
regolamentare, che escludessero o limitassero le obbligazioni e la responsabilità del vettore
stabilite in vari articoli del codice di commercio con l’unica eccezione per il caso in cui alla
limitazione corrispondesse una diminuzione del prezzo di trasporto rispetto a quello
praticato ordinariamente. Viene giustamente evidenziato come se il patto di esclusione da
responsabilità per colpa lieve fosse considerato da vietare non si spiegherebbe come il
legislatore medesimo lo avesse contemplato nel caso dell’art. 416 del codice di
commercio
39
.
Infine va considerato come nel pensiero dei giuristi dell’epoca qui considerata fosse già
presente il concetto di ordine pubblico come ulteriore limite alla validità dei patti di
esclusione e limitazione di responsabilità che sarebbe stato poi trasposto nel secondo
comma dell’art.1229 del codice civile del 1942.
Viene infatti da più parti sottolineato come anche una pattuizione che escludesse la
responsabilità solo per colpa lieve fosse da considerarsi invalida nel caso urtasse contro
ragioni di ordine pubblico come ad esempio nel caso del trasporto di persone per i danni
all’integrità fisica dei trasportati
40
.
A conferma delle elaborazioni teoriche sull’argomento delle clausole di esonero espresse
dalla dottrina maggioritaria dell’epoca da parte sua anche la giurisprudenza fu ferma nel
sancire l’illiceità delle pattuizioni dirette a esonerare il debitore in caso di dolo o colpa
grave. Massima usata dai giudici infatti fu quella secondo la quale “ se la convenzione
liberatoria da eventuale responsabilità è valida purchè non violi norme proibitive o principi
inerenti l’ordine pubblico o il buon costume, non si sottrae alla sanzione di invalidità nel
caso di esonero da responsabilità per inadempimento derivante da dolo o colpa grave”
41
.
39
A.BRUNETTI, Commentario al codice commerciale, vol.6, Milano, 1920, p. 623 ; V.POLACCO, Le
obbligazioni nel diritto civile italiano, Roma, 1915, p.463
40
V.POLACCO, Le obbligazioni nel diritto civile italiano, Roma, 1915, p.464 ; A.BRUNETTI,
Commentario al codice commerciale, vol.6, Milano, 1920, p. 624
41
Cass.Torino, 23 agosto 1905, Foro it., 1906, parte 1, c.25
13
1.6 : LA CODIFICAZIONE DEL 1942
Con il nuovo codice civile del 1942 si arrivò finalmente alla codificazione del divieto di
esclusioni o limitazioni della responsabilità per dolo o colpa grave.
Recita così l’art. 1229:
“È nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa
grave.
È nullo altresì qualsiasi patto preventivo di esonero o limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto
del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico”.
Si volle così da un lato sancire l’illiceità del patto de dolo non prestando, da tutti comunque
pacificamente riconosciuta, dall’altro estendere tale illiceità anche alla colpa grave rispetto
alla quale, come abbiamo visto, esistevano contrasti in dottrina.
Tuttavia i problemi interpretativi non finirono con la trasposizione del principio nell’art.
1229 c.c. dato che negli anni successivi all’emanazione del codice il dibattito giuridico
spostò il suo obiettivo per andare alla ricerca del fondamento, della ratio della norma.
14
1.7 : LA RATIO DELL’ARTICOLO 1229 COMMA 1° DEL CODICE
CIVILE
Dal 1942 ad oggi, i giuristi che nelle loro opere si sono occupati del problema delle clausole
di esonero e limitazione della responsabilità, non si sono certo risparmiati nel ricercare il
fondamento che stesse dietro alla formulazione del primo comma dell’art. 1229 del codice
civile. Questo nonostante sia stato fatto notare come tale dibattito sulla ratio assuma
massima rilevanza negli ordinamenti in cui non sia presente una norma espressa in tema di
clausole di esonero, in quanto “ proprio muovendo dalla valutazione di queste clausole si
perviene all’individuazione della disciplina ad esse applicabile ”, mentre sia di scarsa
rilevanza pratica nei sistemi, come quello italiano, in cui il principio è espressamente
codificato
42
. Tuttavia non può non riconoscersi il contributo apportato da questa
discussione all’approfondimento del reale significato del primo comma dell’art. 1229 c.c.
specialmente in virtù del fatto che il principio sotteso alla norma può tornare utile
all’interprete nei casi dubbi o in cui debba essere ricondotta alla norma in esame una
fattispecie a prima vista differente.
Va semplicemente menzionata la tesi che, seguendo la via principale tracciata sotto il codice
previgente, poneva in evidenza l’immoralità dei patti sul dolo e la colpa grave in quanto
sarebbe stato eticamente riprovevole che un soggetto potesse sottrarsi alla propria
responsabilità nell’ipotesi di involontaria in esecuzione della prestazione.
L’art. 1229 avrebbe avuto il compito di tradurre “ le esigenze di buon costume che non
consentono di indulgere con il debitore che non abbia portato un minimo di buona volontà
nel suo adempimento ”
43
. In realtà tale teoria, come ben specificato dalla dottrina
successiva, oltre che a peccare di una certa generalità, non dà spiegazione alla clausola che
semplicemente limita la responsabilità senza negarla del tutto, nonché a quella di esonero in
caso di colpa grave “ in virtù dei dubbi che possono essere avanzati circa la
contraddittorietà della colpa grave ai principi morali dell’ordinamento giuridico”: infatti se
l’esonero per colpa grave fosse considerato immorale dall’ordinamento non si spiegherebbe
la deroga consentita dall’art. 1900 c.c. il quale dopo aver disposto che l’assicuratore non è
42
F. BENATTI, Clausole di esonero dalla responsabilità, in Dig.disc.priv., sez.civ., vol.2, Torino, 1988,
p.398
43
G.AULETTA, Limitazione di responsabilità del vettore marittimo, in Riv.dir.nav., 1952,vol.1, p.192
15
obbligato per i sinistri cagionati da dolo o colpa grave dell’assicurato ammette comunque il
patto contrario per i casi di colpa grave
44
.
Al di là di questa voce isolata, la dottrina, pur nella diversità delle opinioni al suo interno, ha
guardato all’art. 1229 c.c. come a una norma che pone dei “ limiti all’autonomia
contrattuale dettati dall’esigenza di conferire veste legale a principi variamente sottesi
all’ordinamento giuridico”
45
fondati sulle regole generali espresse in materia di obbligazioni
e contratti.
Secondo una prima ricostruzione le convenzioni di esonero e di limitazione della
responsabilità in caso di dolo e colpa grave sarebbero contrarie al principio di correttezza e
alla buona fede contrattuale codificati nel nostro ordinamento agli artt. 1175, 1337, 1358,
1366 e 1375 del codice civile
46
. Infatti, sempre secondo uno studioso aderente a questa
posizione, tali patti finirebbero con il “pregiudicare lo spirito di collaborazione che deve
animare i rapporti tra debitore e creditore e che ha la sua espressione tipica nella buona
fede contrattuale”
47
. Tuttavia anche il principio espresso dalla clausola generale di buona
fede è parso, ad altra parte della dottrina, troppo generico e sfuggente per giustificare
l’introduzione della norma in esame
48
.
Esso, nel nostro ordinamento, non opererebbe sul contenuto del contratto né avrebbe di
mira l’eventuale squilibrio tra le prestazioni
49
ma si riferirebbe esclusivamente ai rapporti
precontrattuali e all’interpretazione ed esecuzione del contratto: infatti l’indicazione della
clausola come contraria alla buona fede “potrebbe essere intesa sul presupposto di una
sorpresa o coartazione della volontà del creditore ma non con riguardo a un patto che in
ipotesi sia liberamente e consapevolmente stipulato”
50
.
44
F.BENATTI, Contributo allo studio delle clausole di esonero da responsabilità, Milano, 1971, pp. 30-
31
45
G.ALPA – M.BESSONE- V.ZENO-ZENCOVICH, I fatti illeciti, in Tratt.dir.priv, diretto da Rescigno,
vol. 14, Torino, 1995, p.318
46
G.VISINTINI, La responsabilità contrattuale, Napoli, 1979, p.379
47
E.BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1960, p.106
48
G.ALPA – M.BESSONE- V.ZENO-ZENCOVICH, I fatti illeciti, in Tratt.dir.priv, diretto da Rescigno,
vol. 14, Torino, 1995, p.318 ; F.BENATTI, Contributo allo studio delle clausole di esonero da
responsabilità, Milano, 1971, p.34
49
L.DELOGU , Le modificazioni convenzionali della responsabilità civile, Padova, 2000, p.19
50
M.BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, in Commentario del cod.civ, a cura di Scialoja e
Branca, Bologna, 1979, p.475