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INTRODUZIONE
Il paesaggio è sempre stato nulla più che una sensazione, un’esperienza fuggevole sempre pronta a con-
fondersi e intrecciarsi di volta in volta con il sentimento, con il gusto, con la funzionalità, con la cono-
scenza. Per esistere il paesaggio deve costituirsi in immagine (della realtà); essa si compone come di-
sposizione spaziale degli elementi ritenuti più significativi dal punto di vista morfologico-strutturale
connaturati ad un definito campo concettuale che può andare dall’arte alla scienza; si può parlare di pae-
saggio naturale ma anche di paesaggio urbano; di paesaggio spirituale, ma anche di paesaggio sociale.
Gli studi estetici mettono in luce come nel procedere dalle figure bizantine a quelle dell’ epoca di Giotto, Masaccio,
Giorgine, Carpaccio, Poussin si assista ad una progressiva trasformazione del paesaggio da elemento di sfondo a
elemento di primo piano, studiato con la stessa accuratezza riservata alle figure umane; come con la progressiva
antropizzazione dell’ ambiente naturale che caratterizza le diverse parti di un territorio, all’immagine di una selva
popolata di animali, subentri quella di un paesaggio ricco di identità e significato, godibile anche esteticamente.
Solo con il ‘900 si ha una riunificazione di tutti i fattori modificanti il paesaggio, anche di tipo psicologi-
co, cha hanno contribuito a definire il concetto di paesaggio. Tra i contributi più interessanti di Paul
Klee, ne ritroviamo alcuni sul paesaggio che egli affrontava sotto il profilo del rapporto energia-for-
ma e guidato da un’ottica di un’unica legge che regolasse i fenomeni morfologici e i processi vitali.
Molti sono i provvedimenti che nel corso degli anni sono stati adottati col fine di stabilire le aree di tutela e salva-
guardia ambientale e territoriale; tali porzioni di territorio, però, si identificavano con ambiti particolari e specifici
come il patrimonio architettonico, il patrimonio ecologico, la vita selvatica ed il suo ambiente naturale, partico-
lari tipi di habitat naturali. Tale visione di tutela ha un carattere frammentario, che esclude tutto quel territorio
che non ha una caratterizzazione propria oltre al suolo in sé. Sennonché, negli anni ’90 del V entesimo secolo, gli
Stati Membri del Consiglio d’Europa, constatando che il paesaggio svolge importanti funzioni di interesse ge-
nerale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale e costituisce una risorsa favorevole all’attività econo-
mica, si riuniscono per realizzare quel documento che nasce col nome di Convenzione Europea del Paesaggio.
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Con la Convenzione Europea del Paesaggio(1) viene riconosciuto giuridicamente, non più solo nell’immagi-
nario collettivo, il paesaggio come “componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione
della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità” con l’impe-
gno aggiuntivo di introdurlo in tutti gli ambiti delle politiche di pianificazione, a maggior ragione quelle che
possono avere un’incidenza diretta su di esso. La nozione di paesaggio ivi presa in considerazione, lascia alle
autorità competenti (o addirittura alla comunità di un luogo), l’arbitrio di decidere cosa, di diritto, dovrebbe
rientrare in tale esteso concetto. Nessuna legge pone dei limiti di attribuzione di valore ad una porzione di
territorio; il paesaggio può essere posto sotto tutela e salvaguardia per il suo semplice valore di patrimonio
derivante dalla sua configurazione naturale e/o dal tipo di intervento umano.
L ’innovazione principale della Convenzione è stata quella di fondare il proprio dettato normativo sull’idea
che il paesaggio rappresenti un “bene” , indipendentemente dal valore concretamente attribuitogli. È stata così
affermata una distinzione tra il concetto di paesaggio ed i vari paesaggi che danno forma al territorio euro-
peo. In altre parole, il paesaggio è stato riconosciuto dalla Convenzione alla stregua di una categoria concet-
tuale da riconoscere e proteggere giuridicamente come tale.
Alla base di uno sviluppo sostenibile di un qualsiasi territorio preso in esame, viene posta un’ ottica che ri-
conosce un ruolo attivo ai cittadini e ai membri della comunità appartenente al territorio in oggetto (e a cui
appartiene a sua volta, in un rapporto di intrinseca reciprocità) poiché la qualità del paesaggio influisce senza
dubbio sul successo di politiche anche di tipo economiche oltre che sociale, forte del fatto che offre l’ occasione
all’utente di meglio identificarsi con l’ambiente in cui, vive, lavora e trascorre il suo tempo libero.Come recita
la Convenzione Europea del Paesaggio, “Il campo di intervento delle politiche e dei provvedimenti […] deve
riferirsi alla totalità della dimensione paesaggistica del territorio degli Stati. A tal proposito, la convenzione si
applica all’insieme del territorio europeo, che si tratti degli spazi naturali, rurali, urbani o periurbani.
Essa comprende i paesaggi terrestri, le acque interne e marine. Concerne sia i paesaggi che possono essere
considerati eccezionali, sia i paesaggi della vita quotidiana sia i paesaggi degradati. Non la si potrebbe limita-
re unicamente agli elementi culturali od artificiali, oppure agli elementi naturali del paesaggio: si riferisce
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(1) Documento elaborato col supporto di: la Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale
d’Europa (Berna, 19 settembre 1979), la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio architettonico d’Europa (Granada, 3 otto-
bre 1985), la Convenzione europea per la tutela del patrimonio archeologico (La Valletta, 16 gennaio 1992), la convenzione-quadro
europea sulla cooperazione transfrontaliera delle collettività o autorità territoriali (Madrid, 21 maggio 1980) e i suoi protocolli
addizionali, la Carta europea dell’autonomia locale (Strasburgo, 15 ottobre 1985), la Convenzione sulla biodiversità (Rio, 5 giugno
1992), la Convenzione sulla tutela del patrimonio mondiale, culturale e naturale (Parigi, 16 novembre 1972), e la Convenzione
relativa all’accesso all’informazione, alla partecipazione del pubblico al processo decisionale e all’accesso alla giustizia in materia
ambientale (Aarhus, 25 giugno 1998).
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all’insieme di tali elementi e alle relazioni esistenti tra di loro” .
Le misure e politiche di tutela dovranno potersi riferire a dei paesaggi che, a seconda delle loro caratteristiche
e qualità, richiederanno degli interventi locali diversificati che vanno dalla conservazione più rigorosa alla
creazione vera e propria, passando per la salvaguardia, la gestione e la pianificazione. È fondamentale, inoltre,
che uno strumento giuridico riguardante il paesaggio sia in grado di evolvere parallelamente al suo oggetto
seguendo il carattere variabile dei suoi valori, qualità ed interessi.
“Il paesaggio deve diventare un tema politico di interesse generale, poiché contribuisce in modo molto rile-
vante al benessere dei cittadini europei che non possono più accettare di “subire i loro paesaggi” , quale risulta-
to di evoluzioni tecniche ed economiche decise senza di loro. Il paesaggio è una questione che interessa tutti
i cittadini e deve venir trattato in modo democratico, soprattutto a livello locale e regionale. ” Tale considera-
zione tiene conto dell’idea che i paesaggi evolvono nel tempo per effetto di forze naturali e/o fattori antropici
e che tali elementi si considerano simultaneamente come un continuum.
Il paesaggio è una realtà mutevole, in continua evoluzione; ogni nuova aggiunta comporta un intervento in
una determinata situazione storica. La qualità dell’intervento dipende dalla capacità di dotare il nuovo di
proprietà in grado di instaurare un significativo rapporto di tensione con il preesistente. I paesaggi hanno
sempre subito mutamenti e continueranno a cambiare; per questo motivo, l’ obiettivo da perseguire dovrebbe
essere quello di accompagnare i cambiamenti futuri riconoscendo la grande diversità e la qualità dei paesaggi
che abbiamo ereditato dal passato, sforzandoci di preservare, o ancor meglio, di arricchire tale diversità e tale
qualità invece di lasciarle andare in rovina.
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“Non ogni spazio è paesaggio, ma solo lo spazio che trascende
facendosi luogo. Il paesaggio è uno spazio in cui finito e infinito si incontrano. ”
Rosario Assunto
“…paesaggio come riassunto di tutte le esperienze sensibili. ”
Eugenio Turri
CAPITOLO 1
IL P AESAGGIO
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1.1 IL PAESAGGIO NATURALE
1.1.1 NATURA E PAESAGGIO
La natura, secondo la definizione enciclopedica è “l’insieme del mondo fisico al di fuori dell’uomo o che non
appare trasformato dall’uomo”. Il paesaggio non è quindi la natura, ma è natura modellata dallo sguardo
e dalla mano dell’uomo; esso perciò è “dominio” di qualunque attore che vede nel paesaggio, a modo suo,
un campo d’azione o di ricerca e ognuno si sforza di darne una definizione personale. Il paesaggio è pri-
ma di tutto una nozione culturale, non esiste senza la presenza dell’uomo, nonché una produzione sociale.
Gli elementi della natura – la montagna, l’albero, l’acqua, la pietra, ecc. – impongono all’orizzonte visi-
vo dell’ambiente naturale immagini dotate di forza e significato, custodite da una “forma” a suo modo pa-
esaggistica. Tale forma si configura come equilibrio tra il senso individuale stabilito dall’uomo e la sua
consapevolezza dell’esistenza di un’entità superiore, di un Genius Loci
(1)
che governa i fenomeni naturali.
Esiste, dunque, ancora la natura incontaminata? Forse in qualche lontana parte del globo dove l’uomo, a cau-
se delle estremamente rigide condizioni climatiche e/o morfologiche, non è riuscito a giungervi nemmeno
con lo sguardo. Tutto è paesaggio
(2)
, a partire dai primi monoliti di pietra, ai primordi della storia dell’uo-
mo
(3)
, che configurarono un nuovo sistema spaziale all’orizzonte. Già con quel gesto, l’ordine naturale era
stato modificato per far spazio a una dimensione antropica, pur minima e certamente non invasiva, che è
comunque caratteristica intima della nozione di paesaggio così come la intendiamo noi oggi per distinguer-
la da quella di natura. Possiamo, però, parlare di paesaggio naturale dove l’aggettivo sta ad indicare che la
nostra visione conserva alcuni caratteri di una natura primigenia, quella “madre terra” che originariamente
incontaminata ha partorito l’uomo. È ciò che più si avvicina alla natura, ma non lo è più e mai più lo potrà
essere in quanto partecipe di un tempo che continuamente la segna, la modifica, la caratterizza…la interpreta.
Il paesaggio è una realtà in continuo divenire, affiora nei racconti e nella memoria come una sequenza di im-
magini governate dalla mente di chi ha vissuto l’azione; è perciò mutevole sia in senso sincronico – muta col
e nel tempo – , sia in senso diacronico – muta a seconda delle percezioni. Maurizio Vitta scrive a proposito
del tema del paesaggio narrato nelle vicende dell’antica Grecia: “nella prospettiva dell’analisi storica, il pae-
saggio si conferma dunque, più ancora che nelle opere letterarie, come scrittura. Nella gamma indefinita delle
sue possibili descrizioni, l’immagine paesaggistica oggettiva non muta: il fiume resta fiume, la pianura resta
pianura, i caratteri fisici dei luoghi permangono. Ciò che cambia sono le modalità di rappresentazione, la di-
versa modulazione dei particolari, il gioco dei dettagli e delle vedute d’insieme o, più in generale, i rapporti di
emergenza e dissolvenza tra “figura” e “sfondo” . La narrazione si identifica quasi senza residui nella coscienza
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del vissuto, la quale impone delle scelte. In ciò lo storico, come qualunque altro narratore, si fa attore egli stesso
della vicenda narrata alla quale finisce, in un modo o nell’altro, con l’imporre il proprio punto di vista” .
Il paesaggio, nella nozione contemporanea, è un sistema articolato di relazioni, di compresenze che sottolinea
l’idea di mescolanza e meglio comprende il carattere ibrido che contrassegna il territorio odierno; in essa non
vi è più la contrapposizione tra natura e artificio, tra città e campagna, tra sottosuolo e piano di campagna…
in una visione dall’alto, tutto si fonde in un continuum tentacolare e multiforme. Tutto riconduce alla nostra
percezione.
Nel 1960, Toschi definisce il paesaggio come “l’insieme degli aspetti esteriori e visibili, delle fattezze sensibili
del territorio, nel loro aspetto statico e nel loro dinamismo” . Esso costituisce, dunque, il prodotto di una re-
lazione (percettiva, estetica, culturale,…) fra tale realtà e l’uomo. Dirà il Turri che il paesaggio antropizzato è
una “annessione culturale della natura al mondo dell’uomo” , un mondo rappresentato dalla coscienza dell’io e
di ciò che all’ esterno la circonda.
“Una regione rurale diviene paesaggio qualora sia un tutto coerente e con caratteristiche proprie, ciò che può
verificarsi soltanto a patto che essa divenga l’ esperienza dell’anima umana, a patto che l’anima riconosca nel rit-
mo dell’ambiente rurale il suo proprio ritmo. […] Per ogni popolo e per ogni razza, un ambiente rurale diviene
così il suo peculiare paesaggio”
(4)
.
Il paesaggio imprime dunque nella natura l’immagine e l’ essenza dell’abitato. Ciò richiama, in una prospettiva
più complessa, il concetto di abitare di Martin Heidegger, che lo ha descritto come “quadratura tra cielo e terra” ,
in cui “la terra è quella che servendo sorregge, che fiorendo dà frutti, che si distende inerte nelle rocce e nelle
acque e vive nelle piante e negli animali”
(5)
.
Umanizzando la natura, l’uomo crea così dei paesaggi.
1.1.2 SEGNI, TRACCE E SIMBOLI
Un paesaggio, osservato in un momento in cui in esso tutto è fermo, esprime la sua essenza di spazio marcato
da segni (tali diventano le sue varie componenti), mentre il movimento che si accompagna alla loro presenza ci
distrae dalla percezione del paesaggio come sistema di segni, il quale, in quanto tale, è il risultato di un proces-
so, di una storia, di una serie di eventi accaduti in tempi passati. Ogni paesaggio è il prodotto del tempo lungo,
della storia della natura e della storia dell’uomo…ma tutto ciò è una dimensione invisibile del paesaggio. Non
vediamo gli avvenimenti geologici che l’hanno formato, gli interventi che l’hanno segnato; tuttavia tutti questi
eventi rivivono nelle opere che noi oggi vediamo. I segni visibili e/o invisibili nel paesaggio sono sempre celati
nella mente degli abitanti, nel loro sentimento dello spazio, del tempo, della storia e attengono a una dimensio-
ne del rapporto uomo-ambiente che rimanda al vissuto storico e memoriale.
- 13 -
V a detto che il paesaggio è comunque il risultato di una lettura soggettiva che dà un risalto tutto particolare agli
oggetti che lo compongono tramite meccanismi psicologici di percezione che ci portano a ricercare il modello
estetico che abbiamo nella nostra mente
(6)
.
A tale proposito, Arnheim passa in rassegna le principali motivazioni che hanno col passare del tempo contras-
segnato l’affermarsi di una certa idea di paesaggio-ambiente lungo l’alternarsi delle culture
(7)
:
- Era paleolitica: paesaggio-ambiente come ambito generico della rappresentazione magico-analogica a tutela
soprattutto fisica della comunità.
- Civiltà egiziana: ambito neutro che tende però a rafforzare gli emblemi eretti dall’uomo a difesa dei propri
paramenti esistenziali.
- Civiltà greca classica: paesaggio-spazio che si fa tramite impalpabile tra la comunità umana e l’assoluto ideale.
- Civiltà paleocristiana: si capovolge il valore figurativo dell’ambiente urbano di Roma privilegiando il simbo-
lismo sacro proprio con elementi tratti dalla natura.
- Civiltà orientali: avviene una trasformazione totale degli elementi presi dalla natura in elementi sacro-sim-
bolici che sovraccaricano lo spazio costruito dall’uomo (architetture), innescando un rapporto dialettico tra la
realtà naturale data e l’interpretazione umana di tipo quasi “animistico” .
Sul piano percettivo, l’ elemento che assume forma nel contesto, rimanda al concetto simmeliano di “iconema”
(8)
; ogni paesaggio è una figurazione composita di elementi che si integrano tra di loro sino a dar vita ad un
sistema visivo omogeneo, che è poi espressione di quello che Christian Norberg-Schulz chiama il genius loci,
questa sorta di anima del luogo, spirito permeato di una sua coscienza autonoma e superiore.
La natura costituisce una totalità estensiva complessa, un “luogo” , che a seconda di circostanze locali acquista
una particolare identità. Afferrare il genius loci, lo spirito di un luogo, significa coglierne tale identità specifica.
Il luogo, per Norberg-Schulz, è composto di “spazio” e “carattere” . Il primo termine si riferisce ad uno spazio
geometrico tridimensionale come campo di percezione; la seconda componente riguarda ogni qualsivoglia
presenza reale intimamente connessa al luogo in questione. Il carattere di un luogo è inoltre anche funzione
temporale: muta con le stagioni, il corso del giorno e la situazione meteorologica.
L ’uomo deve esprimere per via di simboli la sua cognizione della natura (se stesso incluso). Questo atto di “sim-
bolizzazione” implica la traduzione di un significato esperito attraverso un altro strumento. Lo scopo diventa
quello di liberare il significato dalla situazione immanente, così che diventi un “oggetto culturale”; l’uomo ha
bisogno di radunare i significati esperiti per crearsi una imago mundi che concretizzi il suo mondo.
Il simbolo guida l’ occhio dello storico e gli impedisce di perdersi nei particolari esteriori, lo aiuta a collegare le
parti con il tutto, ad evidenziare le idee-forza e le direttrici secondo cui si articola e si sviluppa il paesaggio, lo
induce a vederlo come un organismo vivente. Il simbolo si sgancia dall’ esperienza prettamente sensibile; parla
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soprattutto alla mente perché si carica di significati trasposti, è impregnato di cultura e storia. Esso, in un certo
senso, fa da ponte tra reale e ideale, tra visibile e invisibile…tra natura e tessuto culturale. Lo stesso Norberg-
Schulz ribadisce con forza il valore del simbolo, indispensabile per creare punti di riferimento che permettono
all’uomo di identificarsi con un luogo e orientarsi, ”aspetti primari dello stare al mondo” .
Ogni segno è evento. Il paesaggio è un insieme di elementi correlati tra loro anche se, talvolta, estremamente
eterogenei; è una complessità dinamica, è organismo vivente, è coerenza di processi naturali e umani stretta-
mente integrati.
Rosario Assunto, nel cogliere l’ eredità crociata, definisce il paesaggio come “luogo della memoria e del tempo”;
Eugenio Turri, nel 1974, parla del paesaggio intendendolo come “riassunto di tutte le esperienze sensibili”;
l’antropogeografo Fabbri, nel 1984, vede il paesaggio in quanto “struttura dei segni del territorio” .
A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, anche Franco Purini concentra la sua attenzione su questa tematica
delicata nel dare una personale definizione e distinzione tra tutti quei diversi modi di descrivere il mondo in
cui viviamo: natura, ambiente, territorio, paesaggio, ecc. “Il territorio è paesaggio in senso estetico, cioè il pro-
dotto di una comunità insediata che lo ha creato a partire da un supporto naturale; esso è una struttura di segni
stratificata, attraverso la quale il lavoro umano acquista un valore profondamente culturale” .
Tutti quei concetti, di cui spesso abusiamo senza percepirne il valore ed il significato profondo e che usiamo
indifferentemente l’uno al posto dell’altro come sinonimi, sono dunque delle realtà ben distinte tra loro con
precise caratteristiche formali e di contenuto, ma soprattutto di percezione.
Chiarito in precedenza cosa distingue la natura dal paesaggio, non ci resta che riportare le definizioni di am-
biente e territorio appoggiandoci in parte all’immaginario collettivo e in parte all’ esigenza legislativa corrente:
l’ambiente è dunque tutto ciò che ci circonda nel quale è immersa la nostra esistenza, concerne la relazione
tra gli elementi del paesaggio e un soggetto specifico; il territorio è quell’ estensione di terra con caratteristiche
dimensionali, supporto inerte degli interventi antropici legati alle dinamiche umane.
Due concetti, questi ultimi, avulsi da una qualsiasi componente soggettiva o legata alla percezione umana, fa-
cilmente descrivibili in quanto realtà con caratteristiche essenzialmente fisiche e non tanto precise da renderle
immutabili. Il paesaggio è invece il luogo della mutazione, dell’unità e della diversità, ma anche dell’integrazio-
ne, il luogo in cui si instaurano rapporti strutturali e funzionali tra diversi soggetti interagenti che costituiscono
la vera componente evolvente del mondo naturale, dell’uomo e delle sue attività. Tutti questi rapporti nascono,
si sviluppano e continuano ad evolversi e trasformarsi in un processo ininterrotto proprio in seguito a una
complessa e complessiva gerarchia di segni che ogni “agente” interpreta e recepisce in modo assolutamente
soggettivo, per questo motivo il contributo conserverà la medesima caratteristica consentendo una crescita
continua e sempre mutevole.
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1.1.3 IL PAESAGGIO ARCHEOLOGICO. IL V ALORE DELLA ROVINA
Cosa intendiamo per paesaggio archeologico? Tale concetto annovera in sé tutti quei frammenti, testimonian-
ze di un tempo passato, che lottano contro l’azione erosiva e degenerativa del tempo e che desiderano continua-
re a tener viva la memoria di una civiltà, di un evento, di uno step storico fondamentale attraverso cui l’uomo
è passato ed ha segnato la sua crescita, la sua evoluzione. Un frammento di paesaggio diventa archeologia nel
momento in cui si riveste di un significato profondo che trasmette con la sua sola presenza, che evoca con la
sola contemplazione dello stesso, opponendosi all’ erosione del tempo e dei fenomeni naturali che determinano
un continuo cambiamento nelle forme degli oggetti ad essi soggiogati.
George Simmel, filosofo che visse a cavallo tra il XIX e il XX sec., nel suo saggio “La rovina” scritto nel 1911
individua due forze in gioco contrastanti in un paesaggio naturale lasciato in balìa dell’azione del tempo: lo
spirito (l’anima che aspira verso l’alto) e la natura (la gravità che tende verso il basso). Tali forze sono in perenne
lotta per emergere; dove lo spirito interviene, la natura lo contrasta per aggiudicarsi il primato e viceversa in un
interscambio continuo e complementare.
L ’architettura è l’unico ambito artistico in cui riscontriamo un equilibrio che nasconde ogni sforzo della mate-
ria sottoposta allo spirito, ovvero al progetto, al punto che si perde la differenza tra realtà pesante della materia
e armonia della forma. Nelle altre forme d’arte, invece, la materia scompare perché assorbita completamente da
ciò che è “ispirazione artistica” .
Con la rovina questo equilibrio viene meno e appare come la costruzione dell’architettura e, in generale ogni
costruzione dello spirito, sia il mascheramento della “originaria universale inimicizia tra le parti”; attraverso
la rovina, dunque, si rivela che l’intero processo storico dell’umanità è governato dalla volontà della natura di
soggiogare lo spirito e punirlo per aver avuto la presunzione di plasmarla a propria immagine.
L ’ opera di architettura finita esprime, attraverso la materia, la volontà dello spirito il quale si esplicita nel per-
fetto equilibrio delle tensioni naturali esercitate sugli elementi di sostegno. Ma nel momento in cui inizia la
decadenza, la forma originaria viene meno, gli elementi compositivi si separano in una sorta di ribellione tra
le parti come se si sentissero sotto un giogo, non più “autonomi” .
Arrivati a questo punto, Simmel opera una nuova caratteristica distintiva dell’architettura dalle altre arti: men-
tre in pittura se si distacca un frammento, l’ opera d’arte rimane pur sempre quella nella sua essenza originaria;
nell’architettura, quando interviene la rovina, dove vengono a mancare delle parti, si insinuano nuove forme e
nuove forze, quindi nuovi significati e suggestioni. Ecco qui il momento chiave dell’intera trattazione di George
Simmel; la rovina costituisce un’unità unica più importante dei singoli elementi che la compongono: mentre
questi sono ancora unità simboliche che rinviano organicamente al tutto di cui facevano parte, la rovina indica
invece un processo di costruzione simbolica in corso, fondato non più sul valore iniziale espresso dalla forma
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primigenia bensì sulla sensibilità condivisa per quel processo, e che ci consente di provare un “godimento este-
tico” , basato su una suggestione non più condizionata dalla forma stessa.
Questa nuova unità scaturisce dalla fusione tra la finalità umana prima della costruzione e le forze della natura
che l’intaccano; questo ragionamento quindi non è valido nel momento in cui è l’uomo, nella sua attività o
passività, a intervenire nel processo di rovina. In tal caso la rovina non è più suggestiva ma assume carattere di
problematicità.
Tutti quei processi naturali, quindi, – gli stessi che formano una montagna, che plasmano un declivio, che
alterano la materia nel tempo – non fanno altro che conferire un carattere metafisico all’ oggetto prodotto dallo
spirito prendendo il posto di quel carattere per cui è stato costruito l’ oggetto stesso, cioè l’ estetica. È questo il
suo fascino.
Ma c’ è un secondo momento di suggestione individuato in questo processo di rovina, ed è dato dall’ espressione
di quella volontà naturale intrinseca nel mondo di voler riportare tutto ciò che proviene dalla madre terra, e
che ha subito delle modiche nel corso del tempo ad opera dell’uomo, ad essa stessa. Simmel specifica un pre-
supposto per cui anche in questo caso la rovina scateni un effetto estetico in chi la contempla, e cioè il fatto che
nello spirito che ha prodotto l’ oggetto in questione fosse radicata una pretesa di “giudizio” della natura; perciò
l’intervento rovinoso è giustificato dal fatto che la natura stessa sia legittimata a riappropriarsi di ciò che le era
stato sottratto nella forma. Simmel scrive: “la distruzione […] è la realizzazione di un indirizzo collocato nello
strato d’ esistenza più profondo di ciò che è distrutto” .
Simmel salvaguardia il testimone – l’uomo – che può garantire il senso del processo perché può sperimentarlo
e percepirlo; ne è testimone e sperimentatore, e solo se c’ è qualcuno che lo percepisce esso esiste nella realtà.
Per Simmel l’uomo non può appartenere a quello stesso universo di cose. Nell’ esperienza Simmel salvaguarda
comunque chi la compie, come nella dinamica del Sublime, per cui quel sentimento lo si può provare a patto
che sia garantita la distanza di chi lo prova. Il processo di riappropriazione da parte della natura della materia
composta, si limita ad essere uno “spettacolo” che appaga la natura etica dell’uomo. Quel contrasto continuo si
esercita all’interno dell’animo umano, ma non si esplicita con effetti concreti sull’uomo e la sua natura estetica.
“La forma della nostra anima è determinata ad ogni istante dalla misura e dal modo della vicendevole me-
scolanza di questi due tipi di forze. Tale forma non perviene però mai ad una condizione definitiva, né con la
vittoria decisiva di una delle parti né con un compromesso fra di esse. Infatti, non soltanto la ritmicità inquieta
dell’anima non tollera una tale condizione, ma soprattutto dietro ogni singolo impulso dell’una o dell’altra
direzione c’ è qualcosa che continua a vivere… ” Ed è proprio in questo luogo metafisico che risiede il perenne
contrasto tra impulsi etici e impulsi estetici dove oscillano alternativamente attorno a un baricentro senza mai
fermarsi. Sono tanto profonde le energie dell’animo umano al cospetto della rovina che “è insufficiente la rigida
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separazione tra intuizione e pensiero” per comprendere il processo in cui la rovina stessa è diventata forma.
La rovina è per Simmel il rovescio speculare della forma per eccellenza che è l’architettura; proprio perché
specchio rovesciato della dimensione umana, ribalta le regole percettive della forma. La rovina è il compimento
del progetto architettonico proprio perché consente di vedere l’artificialità (pur nella presunzione di apparire
naturale) e allo stesso tempo di sperimentare la naturalezza dell’artificio nel connubio tra architettura e natura.
La massima aspirazione, perciò, di tutte le musealizzazioni per un luogo di memoria collettiva diventa quello
di rendere comprensibile l’intero dal frammento; e risulta oltretutto il compito più arduo in quanto numerosi
sono i vincoli che un luogo ci pone, perché numerosi e non sempre visibili sono i segni di un passato denso e
spesso di eventi di una certa portata emozionale per l’uomo.
“Le rovine esistono attraverso lo sguardo che si posa su di esse. Ma fra i loro molteplici passati e la loro perduta
funzionalità, quel che di esse si lascia percepire è una sorta di tempo fuori della storia a cui l’individuo che le
contempla è sensibile come se lo aiutasse a comprendere la durata che scorre in lui. ”
(9)
1.1.4 LO SPAZIO INFINITO E LO SPAZIO PROGETTATO
In Italia, a partire dalla fine degli anni ’60 già compare in alcuni saggi sul paesaggio italiano, l’approccio di con-
siderare il paesaggio come un’architettura, un’arte, l’arte di dare forma allo spazio; è una sorta di architettura sui
generis che si applica su vasta scala ed ha come materiale da plasmare lo scenario mutevole e multiforme della
natura e come protagonista l’uomo-lavoratore che attraverso il suo lavoro, modella il territorio esprimendo
valori sedimentati in una coscienza collettiva.
La temporalità nelle opere di paesaggio.
Il concetto di tempo e temporalità riveste una componente di rilievo nelle creazioni, essa è duplice poiché può
riferirsi all’artista o alla natura stessa in cui tale creazione andrà ad inserirsi. Tutte le opere ambientali devono
prevedere imprevisti (“time and weather”); per loro natura sono destinate a cambiare e ad essere modellate dal
corso degli eventi. L’opera diventa così un processo dove solo una piccola parte è guidata dall’artista; emerge
quindi la dimensione epica che un progetto di paesaggio possiede nel e per il rapporto tra natura e storia o tra
storia e storia.
Il paesaggio non è più teatro, ma è protagonista: tramite installazioni pensate, l’obiettivo diventa quello di
renderlo visibile come una pelle che già contiene qualcosa ed è fondamentale considerare come il paesaggio
risponderà a queste azioni.
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James Turrel (visual artist) lavora con la Luce e lo Spazio. Egli afferma: “There is no object in my work. There
never was. There is no image within it.” Continua così: “My works don’t illustrate scientific principle, but I
want them to express a certain consciousness, a certain knowing. My spaces must be sensitive to events outside
themselves. They must bring external events into themselves. I think of my works as being important in terms
of what they have to do with us and our relationship to the universe, but not necessarily in scientific terms. I’m
concerned with what my spaces direct their seeing to, and hence what they direct our seeing to. At the same
time, I’m interested in the expression of time. Because, eventhough you may have expressions of our particular
historical moment in, say, the art of Andy Warhol, there are also expressions that go through time, beyond
time, and have a sense of themselves that transcends anyspecific period. That’s the part of art I’m interested in.
This said, however, I do want to be involved with the here and now. I want my art to function in contemporary
terms. ”
Maurizio Vitta, Il paesaggio. Una storia tra natura e architettura, Torino, Einaudi, 2005. Schematizzazione tabellare realizzata in se-
guito a un’analisi e confronto critico dei capitolo III “Lo spazio infinito” e IV “Lo spazio progettato” .