IV
superava il 90%; l’affidamento esclusivo al padre si attesta intorno al 4,1%
nelle separazioni e al 6,5% nei divorzi e cresce con l’aumento dell’età dei
bambini; l’affidamento congiunto riguarda il 10,5% (6238) dei minori
affidati a seguito di separazione e l’8,8% (1699) in caso di divorzio. Da
sottolineare che il ricorso all’affidamento congiunto, in particolare nei
procedimenti di separazione, è aumentato progressivamente passando dal
2,8% nel 1997 al 4% nel 1999 al 9,4% nel 2001. Per quanto riguarda la
frequenza con cui il genitore non affidatario vede i figli, nel 51,2% è
compresa tra due e sei giorni a settimana, solo nel 17,2% dei casi gli
incontri avvengono tutti i giorni. L’assegno di mantenimento medio è di
443,62 euro nel caso di separazione, e di 379,24 euro in caso di divorzio; nel
95% dei casi è pagato dal padre.
Da questi dati emerge chiaramente non solo la notevole estensione che
anche in Italia ha raggiunto il fenomeno della separazione e del divorzio, ma
anche la prassi pressochè univoca di affidare il minore alla madre, con
conseguente recisione del legame paterno e uno “squilibrio di genitorialità”
che, come numerosi studi hanno dimostrato, determina una estremizzazione
del conflitto e l’insorgere nel bambino di una serie di psicopatologie (basti
citare F. Montecchi, Bambini a metà-La tutela dei figli nelle separazioni e
nei divorzi, 1999). E’ di tutta evidenza, pertanto, la necessità di porre a
disposizione dei coniugi una serie di strumenti, normativi e non (come la
mediazione familiare), per agevolarli nel superamento del conflitto e nella
riorganizzazione della relazione tra loro e con i figli.
Uno degli aspetti sui quali è maggiormente sentita l’esigenza di una
riforma normativa è proprio quello dell'affidamento dei figli, essendo
sempre più diffusa la convinzione che è diritto della prole conservare
rapporti significativi con entrambi i genitori e diritto-dovere di entrambi i
genitori mantenere, istruire ed educare i figli, come afferma l’art.30,
1°comma Cost.. Una tale riforma dovrebbe affermare con forza una nuova
cultura della condivisione della responsabilità genitoriale, malgrado il
V
fallimento della coppia coniugale, e il diritto alla bigenitorialità come un
vero e proprio diritto della personalità del minore, non oggetto del conflitto
e strumento di ricatto, ma soggetto di diritto, persona a tutti gli effetti, la cui
opinione deve essere tenuta in debita considerazione quando si decide del
suo affidamento, e cioè della sua vita futura.
Per la verità nel nostro Paese l’affidamento congiunto è stato introdotto
nel 1987 dalla legge di modifica della normativa sul divorzio, ma i numerosi
requisiti richiesti per la sua applicazione (vicinanza fisica delle abitazioni,
bassa conflittualità tra gli ex coniugi, consenso di entrambi) ne hanno
fortemente ridotto l’applicazione. Ciò avviene nonostante numerose
convenzioni internazionali, prima fra tutte la Convenzione di New York sui
diritti del fanciullo del 1989, abbiano sancito il diritto dei minori a
intrattenere regolari relazioni con entrambi i genitori e la maggior parte
degli Stati europei e nordamericani si siano adeguati non solo modificando
le loro leggi, ma cercando di rendere l’affido a entrambi i genitori la regola
da praticare nelle aule giudiziarie. In Germania il Codice civile prevede che
siano entrambi i genitori ad esercitare la potestà genitoriale (sorge) e ad
occuparsi della cura e dell’assistenza dei figli, anche dopo lo scioglimento
del matrimonio: il giudice non deve decidere in merito all’affidamento, che
rimane condiviso, e interviene solo se uno dei due genitori richiede
l’affidamento esclusivo, soluzione residuale da adottarsi con il consenso
dell’altro genitore e del figlio ultraquattordicenne. La Corte Costituzionale
tedesca ha addirittura giudicato incostituzionale l’affidamento a un solo
genitore con sentenza del 3 novembre 1982. In Francia il Codice civile
(come modificato dalla l.8 gennaio 1993) stabilisce che entrambi i genitori
hanno la potestà sui figli anche in caso di separazione e divorzio e una legge
del giugno 2001 ha affermato la necessità di evitare che con la sentenza sia
stabilita un’unica collocazione abitativa per i figli. Inoltre, viene introdotto
l’istituto della mediazione familiare, che può (non deve) essere proposta dal
giudice per facilitare il raggiungimento di un accordo e deve sempre trovare
VI
il consenso degli ex-coniugi. In Inghilterra il Children act del 1989
promuove la condivisione delle responsabilità da parte dei genitori e
considera l’accordo prioritario rispetto alle decisioni giudiziarie. In Svezia,
nel 2000, nel 96% dei divorzi si è disposto l’affidamento congiunto, anche
se il figlio continua a vivere prevalentemente con la madre. Non si può
comunque sottacere che in Spagna nel 95% dei casi i figli restano con la
madre, anche se il Codice afferma che la custodia può essere assegnata
indifferentemente all’uno o all’altro dei genitori, mentre negli Stati Uniti
tale percentuale è dell’85% anche se già nel 1973 l’Alta Corte di New York
ha affermato che l’essere madre non implica di per sé l’essere il miglior
sostegno per il figlio e ben sedici Stati su cinquanta considerino la joint
custody la soluzione preferibile.
In Italia quale sia l’interesse per la materia è testimoniato dal dibattito
che vi ruota intorno e che si sviluppa a diversi livelli: tra gli operatori del
diritto, gli studiosi di scienze psicologiche, coloro che vivono in prima
persona la fine del matrimonio o della convivenza. Pur essendoci voci
discordanti sugli aspetti specifici della riforma, su un punto c’è concordia: è
assolutamente necessario operare avendo come preminente punto di
riferimento il bene del minore e ricordare che oggi, come dice lo psicologo
Henry Biller, “…è sempre maggiore il numero dei bambini che crescono
con la metà di ciò di cui hanno bisogno. E’ probabile che essi saranno solo
la metà di ciò che dovrebbero essere”.
1
PRIMA PARTE
I) SEPARAZIONE, DIVORZIO E AFFIDAMENTO DEI FIGLI
I.1) LE NORME E I CRITERI
Le norme che fissano i principi in merito all’affidamento dei figli in caso di
crisi coniugale sono collocate nella Costituzione (art.30, comma 1), nel Codice
civile (art.155), nella l. 1 dicembre 1970 n.898 come modificata dalla l. 6
marzo 1987 n.74 (art.6, comma 2), nella l. 27 maggio 1991 n. 176 di ratifica ed
esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20
novembre 1989.
1
L’art. 30, comma 1 Cost. afferma che “è dovere e diritto dei genitori
mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”. Tale
concetto è ribadito con ancor più precisione nella Convenzione di New York
agli artt. 9 e 18. Testualmente si dice che “ Gli Stati vigilano affinchè il
fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le
autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e
conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è
necessaria nell’interesse preminente del fanciullo…Gli Stati parti rispettano il
diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi di
intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i
suoi genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del
fanciullo” e “ Gli Stati parti faranno del loro meglio per garantire il
1
Per una ampia rassegna bibliografica si rimanda al termine di questo lavoro. Qui basti
citare: A.C.Moro, Manuale di diritto minorile, terza edizione, 2002, Zanichelli Bologna,
207-218; C.M.Bianca, Diritto civile, tomo 2 La famiglia - le successioni, terza edizione,
2001, Giuffrè Milano, 180-181; 209-217; 270-271; F.Gazzoni, Manuale di diritto privato,
ottava edizione, 2000, ESI, 384-386; 397-399.
2
riconoscimento del principio secondo il quale entrambi i genitori hanno una
responsabilità comune per quanto riguarda l’educazione del fanciullo e il
provvedere al suo sviluppo. La responsabilità di allevare il fanciullo e di
provvedere al suo sviluppo incombe innanzitutto ai genitori del fanciullo
oppure, se del caso, ai suoi rappresentanti legali i quali devono essere guidati
principalmente dall'interesse preminente del fanciullo”.
2
Il criterio della preminenza dell’interesse morale e materiale della prole è
presente anche nella legislazione interna dove ha fatto il suo ingresso con la
legge 1°dicembre 1970 n. 898 (legge che ha introdotto il divorzio in Italia) che
all’art. 6, comma 2 recita “ Il Tribunale che pronuncia lo scioglimento o la
cessazione degli effetti civili del matrimonio dichiara a quale genitore i figli
sono affidati e adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole con
esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”. Con la legge di
riforma del diritto di famiglia (legge 19 maggio 1975 n.151) il medesimo
principio viene introdotto anche in materia di separazione. Norma di
riferimento è l’art. 155, comma 1 c.c. che afferma “Il giudice che pronunzia la
separazione dichiara a quale dei coniugi i figli sono affidati e adotta ogni altro
provvedimento relativo alla prole , con esclusivo riferimento all’interesse
morale e materiale di essa”.
Pertanto, sia in caso di separazione che di divorzio, i rapporti genitori-figli
dovrebbero essere regolati dall’unico criterio del superiore interesse della
prole: l’affidamento è inteso come riorganizzazione di un modello di comunità
familiare in cui il minore possa essere educato e possa realizzare il diritto alla
formazione e alla crescita della sua personalità. Tale criterio è volutamente
vago dal momento che non sembra opportuno predeterminarlo oggettivamente:
la decisione va presa con riferimento a “quel minore”, valutando quella che è la
2
Anche la risoluzione dell’Unione europea per una Carta europea dei diritti del fanciullo
(1992) afferma che, in caso di separazione o divorzio dei genitori, il fanciullo ha il diritto di
mantenere contatti diretti e permanenti con i due genitori che hanno gli stessi doveri
(art.8.13).
3
soluzione migliore in “quel momento”, in particolare considerando la
possibilità di cure, la conservazione di abitudini ed affetti, il benessere
economico, una armoniosa crescita fisica e psicologica. Nella prassi, tuttavia, si
tende ad utilizzare criteri oggettivi soprattutto con riferimento ai genitori e a
considerare colui che è stato causa della rottura non solo “cattivo coniuge”, ma
anche “cattivo genitore”
3
e ad escluderlo, pertanto, dall’affidamento.
4
La giurisprudenza della Cassazione è costante nell’affermare che il giudice
deve attenersi al criterio fondamentale dell’esclusivo interesse morale e
materiale della prole, a fronte del quale la posizione dei genitori si configura
non come un diritto, bensì come un munus. I provvedimenti relativi alla prole
non vanno intesi, nell’ottica della Suprema Corte, come un premio o una
punizione per i genitori
5
e vanno adottati, a prescindere dalla responsabilità per
la crisi dell’unione, tenendo conto della maggiore idoneità materiale,
psicologica ed affettiva dell’uno e/o dell’altro ad assicurare la tutela e lo
sviluppo fisico, morale e psicologico dei minori.
6
La giurisprudenza non
considera rilevante, ad esempio, il fatto che un genitore risieda o intenda
trasferirsi all’estero, il credo religioso professato, la sindrome nervosa da cui è
affetto, non essendo questi criteri validi per assumere un provvedimento che
deve essere adottato con riferimento all’esclusivo interesse della prole,
7
pur se
può comportare una più attenta e delicata valutazione di tale interesse.
3
Nella prassi, quindi, si continua ad applicare la norma ante riforma che accordava
l’affidamento al coniuge “senza colpa”: i criteri che guidano il giudice nella scelta
dell’affidatario sono quelli della personalità dei coniugi, della loro moralità e della condotta
tenuta nel corso della vita matrimoniale.
4
Dell’Antonio, L’affidamento dei minori nelle separazioni giudiziali, Milano, 1982, 34.
5
Anche il Trib. Apostolico Romana Rota, 15 maggio 1989, afferma che l’affidamento va
disposto considerando esclusivamente l’interesse del minore, senza alcun riferimento a
eventuali colpe dei coniugi tali da determinare la fine dell’unione.
6
Tra le altre Cass. civ. sez.I, 25 giugno 1981 n.4127; Cass. civ., 14 aprile 1988 n.2964;
Cass. civ., 11 giugno 1991 n.6621; Cass. civ., 22 giugno 1999 n.6312; Cass. civ., 20
settembre 1999 n.10149; Cass. civ., 19 aprile 2002 n.5714; Cass. civ., 16 gennaio 2003
n.559; Corte app. Roma, Sezione della persona e della famiglia, 12 dicembre 2003
n.5267.Per una rassegna completa si rimanda alla sezione dedicata alla Giurisprudenza al
termine di questo lavoro.
7
Cass. civ., 16 marzo 1991 n.2817; Cass. civ., 17 febbraio 1995 n.1732; Trib. Napoli, 7
luglio 1998; Trib. Roma, 28 marzo 2000.