6
principalmente attraverso l’Analisi di due opere pseudonime:
“Preventivamente definiamo l’esistenza come: il soggetto che agendo sceglie.
Ciò che verrà fatto qui è mostrare la correttezza di una tale definizione,
attraverso l’analisi degli Stadi sul cammino della vita e di alcune parti di Enter-
Eller allo scopo di comprendere come il filosofo danese abbia inteso
l’individualità e la soggettività e in relazione a cosa” (p. 4). Il punto di partenza
è dunque stato la Scelta. D’altronde non poteva essere altrimenti in quanto
Kierkegaard non ha dedicato alcuna opera allo studio diretto della soggettività,
nondimeno quest’ultima è lo sfondo filosofico su cui si staglia ogni altra
ricerca kierkegaardiana. Per tale motivo il concetto di Soggettività è emerso
dalla considerazione che il soggetto sceglie tra alcune grandi possibilità di vita
che secondo il Nostro sono tre: 1) stadio estetico 2) Stadio etico e 3) stadio
religioso. Ad esse sono state accostate le tre figure eminenti che le
rappresentano: il Seduttore, il Soggetto etico, Il cavaliere della fede. Al fine di
determinare le caratteristiche, o proprietà, di quest’ultima figura è stata
improntata una analisi del cavaliere della fede per eccellenza, Abramo, a
partire dall’opera Timore e tremore: “ Definiamo questa figura: «un uomo che
non solo fa tutto in forza dell’assurdo, ma torna nell’esistenza per goderla con
il dono della fede». Diamo chiarezza a questa definizione attraverso la figura di
Abramo così ben delineata da Kierkegaard in Timore e tremore. Egli accetta il
rischio della prova impostagli da Dio, il sacrificio del figlio Isacco; Abramo
accetta il rischio di porsi di fronte a Dio nel silenzio e nella solitudine, come un
singolo di fronte all’Altissimo” (p. 25). Al termine del primo capitolo vi è il
7
tentativo di dare una prima fondazione ontologica all’etica kierkegaardiana. Si
cerca di mostrare la possibilità ontologica delle tre grandi possibilità di vita. La
questione è la seguente: lo sviluppo dell’etica kierkegaardiana si staglia su
precisi presupposti ontologici o è il frutto di analisi metafisiche ed estrinseche
di determinati concetti morali? La risposta mostra l’effettiva derivazione logico
- teoretica dell’etica e della religiosità Kierkegaardiana. Pertanto “il divenire
indica l’essere proprio dell’uomo, vale a dire dell’esistenza. L’Uomo,
qualunque uomo e qualunque esistenza è sempre immersa nel tempo e non vige
esistenza al di fuori di esso” (p. 55); dunque “Il divenire nell’uomo pone
l’eticità dell’esistenza” (p. 56). La religiosità kierkegaardiana invece troverà
fondamento “nella contraddizione ontologica propria dell’ente uomo e nella
sua protensione verso l’avvenire” (p. 60). La Kinesis, la temporalità è
costitutiva dell’umano. Nel capitolo secondo, partendo dal concetto di Kinesis
come “movimento dalla possibilità alla realtà” abbiamo mostrato come la
possibilità stessa sia costitutiva dell’essere umano. Così come il tempo e la
temporalità sono il dubbio ineliminabile di cui è intriso l’uomo, così la
possibilità è inerente all’uomo nella sua essenza. Ma a un uomo consapevole di
essere dinanzi al mare di possibilità - senza che peraltro riesca a definire alcuna
possibilità - non resterà che angosciarsi di fronte al nulla contenutistico della
pienezza della forma della Possibilità. Eccoci giunti dunque all’Angoscia. La
parte centrale del secondo capitolo è una analisi accurata de Il concetto
dell’Angoscia. Le questioni più rilevanti che emergono dai paragrafi centrali (
2.2, 2.2.1) sono due: 1) Rapporto tra Angoscia e peccato e 2) Rapporto tra
8
Angoscia e libertà. Il nesso angoscia - libertà - peccato è riassumibile in tal
modo: “il peccato nasce con libertà perché abbiamo detto che l’uomo, immerso
nel divenire, diviene e muta per libertà; e se questo è vero allora il peccato
dell’uomo è il frutto del suo essere un ente libero per natura” (p. 74).
L’angoscia non è altro che quel vuoto esistenziale causato dalla caduta nel
peccato del primo uomo e di ogni uomo, dal passaggio da uno stato di
innocenza (prima della caduta), e dunque di ignoranza, ad uno stato di
conoscenza in cui ciò che si conosce è la libertà, che null’altro è se non la
stessa possibilità della libertà. Questa ultima ci rinvia alla possibilità della
Libertà, vale a dire alla possibilità della Redenzione che ci porta verso l’essere
assolutamente Libero, Dio. Il capitolo si chiude infatti con tre paragrafi che
approfondendo il concetto di libertà, in relazione all’angoscia, mostrano 1) la
natura contraddittoria dell’ente uomo che da un lato è libero e dall’altro legato
alla necessità della natura 2) la possibilità della redenzione che, secondo
Kierkegaard, può toglierci dalla nostra condizione contraddittoria e
peccaminosa. Per cui “ l’unico atteggiamento che, per Kierkegaard, è
accettabile è la presa di coscienza della propria imperfetta condizione
ontologica a favore di una elevazione del proprio sé verso quell’unico ente
veramente Libero che è Dio” (p. 120).
Giungiamo così al terzo capitolo che tratta della categoria della
Disperazione, in relazione ad alcune parti di Enter – Eller ed all’analisi
puntuale de La malattia mortale . Quest’ultima è un’opera edificante, per cui
ho ritenuto opportuno non tentare alcuna laicizzazione di questa categoria nel
9
corso dell’analisi. Mentre l’angoscia può rivelarci la nostra natura e la nostra
essenza di enti contraddittori ed esistenzialmente vacui, la disperazione prende
la natura umana così com’è e la pone dinanzi a Dio. L’Io così è un processo, è
una diacronicità essenziale imbrigliato nella sua natura antinomica e
paradossale. La disperazione è dunque in primis la categoria dell’impossibilità
dell’Io di auto fondarsi da sé. La questione a cui Kierkegaard cerca risposta
può essere sintetizzata così: Dio è l’Essere della Libertà che “con un dono ha
posto l’uomo così com’è, dandogli la possibilità di ritornare a Lui o di rimanere
imbrigliati nella mondanità” (p. 134-135). Il problema fondamentale de La
malattia mortale è proprio questo. La disperazione è una malattia universale
che, per quanti gradi al proprio interno possa presentare, è inerente all’umano
fin quando il Singolo non decida di gettarsi con fede nelle braccia
dell’Assoluto. Quest’opera edificante che, nello slancio del singolo verso il
trascendente, sembra annullare ogni altra possibilità di vita termina “mettendo
in luce il contrasto primo e ultimo, quello tra Peccato e Fede, che distingue
nettamente chi sta, più o meno volontariamente (o più o meno
consapevolmente), nella disperazione e chi invece la supera buttandosi nelle
braccia dell’assoluto e del trascendente. Ecco lo stato «in cui non c’è nessuna
disperazione: cioè nel rapportarsi a se stesso e volendo essere se stesso l’Io si
fonda, trasparente, nella potenza che l’ha posto»” ( p. 182).
10
1. LA SOGGETTIVITA’ IN KIERKEGAARD
1.1 Soggettività e scelta
Generalmente ogni filosofia esistenzialista possiede il suo quid nella
reazione all’atto filosofico di pura contemplazione che indaga la realtà come
un oggetto esterno a sé e indipendente dal contemplante: la meraviglia
aristotelica che guarda e muove l’indagine verso il mondo e le sue
occorrenze, ritorna su se stessa, getta lo sguardo sull’uomo stesso che l’ha
concepita e si stupisce di quell’uomo che sa di esistere nel mondo, anche se
ne disconosce il motivo, il senso, di questa sua esistenza. Questo è dunque il
primo atto di chicchessia pensatore che voglia e che abbia voluto occuparsi
dell’esistenza; la meraviglia aristotelica in questo suo movimento
ascendente, dal cielo alla terra e dalla terra all’uomo, riecheggia l’invito
socratico: «Conosci te stesso».
L’eco delle parole pronunciate dall’oracolo di Delfi più di duemila anni
fa risuonarono instancabilmente attraverso i secoli: le si poteva cercare di
comprendere ovvero avvilire come un invito fuorviante che non abbia nulla
a che vedere con la ricerca filosofica. I secoli moderni videro un fiorire
mastodontico di cultura intellettuale e filosofica che si atrofizzava in
complessi e articolati sistemi filosofici. Proprio allora al culmine dei tempi,
nel momento in cui «il conosci te stesso» sembrava sperso e dissolto nei
11
massimi sistemi speculativi, nacque un piccolo uomo dallo spirito immenso
che venne a ricordare che per quanto l’umano si sforzi ad ergersi a divino
pur sempre rimarrà uomo imbrigliato -con e nel- mondo e -con e in se-
stesso
2
; ultimogenito di sette figli, nacque a Copenaghen nel 1813 nella
famiglia del ricco commerciante Mikae Kierkegaard: venne chiamato
Soeren. Già nel 1835 questo giovane pensatore chiedeva al suo proprio
spirito: « … E quale vantaggio potrei avere mai dallo scoprire qualcuna di
quelle cosiddette verità oggettive, d’ingolfarmi nei sistemi dei filosofi e di
poterli, al bisogno, passare in rassegna? […]. Quale vantaggio dallo
sviluppare una teoria dello stato?[….] Quale vantaggio avrei io da una verità
che si ergesse nuda e fredda?»
3
E nel 1847 in una delle tante pagine del
diario dedicate a Socrate diceva: « Già con Socrate la difficoltà non è di
capire la sua dottrina ma di capire lui[….]. Così si sbarra il passo a tutta la
speculazione, perché il suo segreto è appunto d’invertire la situazione»
4
Ponendo queste domande Kierkegaard non intendeva dunque chiedersi
quale fosse il vantaggio di occuparsi delle verità oggettive o di una teoria
dello stato perché il suo pensiero manifesta non la volontà di conoscenza
speculativa, che prevede la scissione tra lo speculato e lo speculante, ma in
primis quello della comprensione di se stesso in rapporto a sé medesimo ed
al mondo circostante e questa sua convinzione lo accompagnò per tutta la
2
Questo uso eccessivo delle preposizioni non è una sofisticheria che intende abbellire o
imbruttire i sostantivi Uomo e Mondo. Semplicemente era mia intenzione rendere
immediatamente la complessità dell’indagine Kierkegaardiana che come vedremo in
seguito si svolgerà sempre su quattro piani: quelli dell’immanenza e della trascendenza
dell’uomo in relazione a se stesso e dell’uomo in relazione al mondo.
3
S. Kierkegaard, Diario, Morcelliana, Brescia, 1980, I A 75 .
4
S. Kierkegaard, Diario, cit., VIII A 490.
12
vita: «Prima viene la vita; poi molto o poco tempo dopo (ma dopo) viene la
teoria; non viceversa prima la teoria e poi la vita»
5
. E’ importante rilevare
che il termine vita qui non sta ovviamente ad identificarsi con la vita
esteriore ma assolutamente con la vita interiore. E cos’ è quest’ultima?
L’unità sintetica delle esperienze interiori. E cosa si intende con tale
espressione? L’esperienza interiore- dice Kierkegaard - è una «verità per
me»; e ancora nel passo su citato I A 75: «trovare l’idea per la quale io
voglio vivere e morire».
6
Un ulteriore dubbio avvinghia la questione: l’esperienza interiore è una o
sono molte? Il dubbio si dissolve pensando che l’Idea è l’unità delle
esperienze e che ogni esperienza è «una verità per me» se e solo se rientra
nella mia idea per cui io vivo e muoio. Facciamo un esempio tenendo
presente preventivamente gli stadi della vita così come li trovò Kierkegaard:
estetico, etico e religioso. L’Idea per cui vivere e morire è propriamente la
scelta di uno di questi stadi e le esperienze interiori che sono «verità per
me» sono tutte quelle esperienze che interiorizzo in relazione alla mia scelta
e solo a quella. Kierkegaard si rende conto che nel mondo non c’è il
«soggetto unico trascendentale» kantiano ma vi sono tanti soggetti, tanti
singoli individui che, lo vogliano o no, sono stati gettati qui e che, gli
piaccia o no, devono scegliersi attraverso l’agire e l’azione. Che
Kierkeggard tenga in forte considerazione l’agire lo dimostrano passi diversi
del suo diario. Per ora consideriamone solo uno: «La dialettica nei libri è
5
S. Kierkegaard, Diario, cit., X4 A 528.
6
Evidentemente per Kierkegaard la vita vissuta attraverso le vicissitudini interiori poteva
esser l’unico modo di comprendere l’uomo.
13
solo dialettica di pensiero, ma la reduplicazione di questo pensiero è azione
nella vita »
7
Il filosofo danese guarda all’agire che è conforme al pensiero e che lo
costituisce; e già questo è un altro modo per dire no al pensiero astratto ma
non è questo il momento di occuparci dei rapporti tra il pensiero speculativo
e quello del Nostro danese. Noi qui stiamo cercando di mostrare come
Kierkegaard avesse in cara custodia la soggettività e l’individualità: «Non
esiste in fondo che una sola qualità, l’individualità. E’ il perno di tutto[]»
8
. E
se essa è dunque il fulcro di tutto sarà, anche il centro attorno al quale è
possibile costruire una argomentazione articolata sull’agire dell’uomo.
Preventivamente definiamo l’esistenza come: il soggetto che agendo
sceglie.
9
Ciò che verrà fatto qui è mostrare la correttezza di una tale
definizione, attraverso l’analisi degli Stadi sul cammino della vita e di
alcune parti di Enter-Eller allo scopo di comprendere come il filosofo
danese abbia inteso l’individualità e la soggettività e in relazione a cosa.
Partiamo dalla scelta. Come abbiamo già accennato, Kierkegaard parla e
illustra, in Stadi sul cammino della vita ed in gran parte della sua opera
pseudonima tre stadi che attraversano l’esistenza umana: lo stadio estetico,
lo stadio etico e lo stadio religioso. Il primo è vissuto come stadio
dell’immediatezza, il secondo come quello dell’umano generale, il terzo
come lo stadio dell’eternità, la quale lungi dal poter esser trovata e vissuta -
7
S. Kierkegaard, Diario, cit., VII A 91.
8
S. Kierkegaard, Diario, cit., V A 53.
9
Questa definizione non chiarifica alcunché del pensiero kierkegaardiano, piuttosto è
l’anticipazione analitica di ciò che si intende dimostrare in questo capitolo ed esattamente
in questa sede.
14
nel e attraverso- il mondano, nondimeno deve esser vissuta qui nel mondo e
nella temporalità e propriamente come paradosso
10
che è tale in quanto si
esperisce in rapporto a Dio ed all’eterno. A questi stadi corrispondono i tre
tipi di uomini che li hanno di fatto scelti e che li rappresentano: essi sono
rispettivamente il seduttore, il marito e il cavaliere della fede. Il seduttore
ha come scopo quello del godimento nella seduzione il quale non può che
avvenire nell’immediato per poi esser sostituto immediatamente dalla noia.
Il godimento del seduttore è legato al movimento stesso della seduzione e
non all’oggetto sedotto per cui dal momento in cui la seduzione ha
compimento ecco che il Nostro esperisce immediatamente la noia che,
fondamentalmente, è un primo sentire il nulla
11
. La vita del seduttore
dunque si svolge tra l’edonismo dei piaceri immediatamente esperibili e la
noia, semplice conseguenza dello svanire del piacere.
Andiamo allo stadio etico di cui l’espressione tipica è il matrimonio.
Consideriamo il matrimonio in relazione all’amore. Quest’ultimo è, per
Kierkegaard, un sentimento che si esperisce nell’immediatezza, vale a dire
quando ci si innamora si ha un impeto interiore che ascendendo dalle
strutture più profonde della natura umana viene rivolto ad un‘altra persona,
appunto l’amata. Tuttavia l’amore non è il frutto di una scelta individuale, di
10
Il terzo stadio richiama subito il paradosso Kierkegaardiano perché non esiste altro
modo di vivere lo stadio religioso.
11
E’ possibile definire la noia come l’angoscia del seduttore, o meglio, di chiunque vivi
nello stadio dell’immediatezza. Lungi dal voler determinare qui il concetto dell’angoscia
così come viene definito e trovato da Kierkegaard è possibile, stante una prima definizione
dell’angoscia come paura del nulla, dire che la noia è la prima sensazione di questo nulla.
Non è un caso che Kierkegaard l’abbia definita come il peccato fondamentale in quanto «è
peccato non volere profondamente e sentitamente»; infatti chi si annoia non vuole e non
sente nulla e non sa neanche perché eventualmente volere qualcosa.
15
un movimento soggettivo che decide chi deve esser l’amata; ma se manca la
scelta non è possibile considerare l’amore in senso etico. Ecco cosa fa dire
Kierkegaard al Giovane, protagonista nel dialogo In vino veritas dedicato
all’amore ed alla donna:« Vediamo che cosa succede in amore. Gli
innamorati vogliono appartenersi per l’eternità. Questo lo esprimono in quel
bizzarro modo, abbracciandosi con l’intensità del momento, in cui deve
risiedere tutto il piacere e la felicità dell’amore […]. E tuttavia s’ingannano,
poiché in quel preciso momento la specie trionfa sugli individui, la specie
vige abbassando gli individui al suo servizio»
12
. Ora, è sì vero che
l’individuo partecipa sempre della specie e Kierkegaard ne è perfettamente
consapevole, nondimeno circa il valore etico dell’amore non è possibile dire
alcunché perché, semplicemente, l’etica pretende una scelta, una decisione e
l’amore non lo è. Tuttavia il rapporto matrimonio-amore esiste perché,
benché sia concepibile l’amore da solo, non ha senso un matrimonio in cui
non vi sia l’amore; Kierkegaard dirà che: «il matrimonio è dunque
un’espressione più elevata dell’amore»
13
. E lo è proprio in virtù della
Decisione che si sceglie di attuare nello sposarsi con l’amata. Decidendo,
l’individuo attraverso un atto di libertà forma se stesso verso una direzione
che è quella della scelta di senso e responsabilità nella temporalità in
relazione all’eterno
14
. Per tutto questo è possibile asseverare che «[] il
12
S. Kierkegaard, Stadi sul cammino della vita, BUR, Milano 2006, p. 131
13
Ivi, p. 204
14
Kierkegaard negli Stadi, esattamente nelle Considerazioni varie su un matrimonio in
risposta a delle obiezioni da parte di un marito,parla di decisone negativa e decisione
positiva in relazione al matrimonio La prima riguarda l’eterno e dunque rende infelici, la
16
matrimonio è il supremo telos della vita individuale. »
15
Si è voluto qui
riassumere in poche parole quali siano i punti cardine della vita estetica e
della vita etica. Ma molti e seri dubbi rimangono al termine di questo veloce
excursus: Che rapporto c’è tra la vita estetica e quella etica? Ed all’interno
dell’etica che rapporto c’è tra la Scelta e la libertà? E se l’individuo è un
soggetto come fa a scegliere l’assoluto? E l’assoluto come fa ad essere
soggettivo ed entrare nella soggettività? Insomma sono stati illustrati i punti
cardine dei due stadi atrofizzandone le proprietà; ciò che tocca ora fare qui è
dipanare punto per punto il movimento che intercorre tra le due vite, ed
all’interno di ognuna vedere il movimento delle proprietà che le realizzano.
Torniamo alla scelta, essa è il fulcro del pensiero Kierkegaardiano
attorno al quale tutti i concetti acquistano significato. L’Enter – Eller
descritto nell’opera edita da Victor eremita e composta dalle carte di A e
dalle carte di B indica la Scelta per eccellenza: se la scelta indica
generalmente una qualsiasi messa in atto di una possibilità, la Scelta dell’
Aut- Aut è la Scelta assoluta, quella per la quale si sceglie di vivere o così o
così senza possibilità di mediazione: o si vive esteticamente o eticamente.
Ri-torniamo nuovamente alla scelta. Chi può scegliere, chi può decidere?
Ovviamente l’individuo. La Scelta, comunque la si intendi, è sempre da
rapportare alla vita individuale; e se prima abbiamo asserito che
seconda è la vera decisione perché mostra la forza della sintesi del temporale e dell’eterno
attuata nella scelta di vivere temporalmente qualcosa di assoluto.
15
S. Kierkegaard, Stadi sul cammino della vita, BUR, Milano 2006, p. 206. Più in là
Kierkegaard farà dire al marito in questione che esiste:« una categoria greca che si chiama,
leggermente modernizzata, scegliersi è la mia categoria preferita e si applica bene ad una
esistenza individuale[…].»
17
quest’ultima assume un senso, un significato attraverso le esperienze
interiori allora scegliere, decidere sarà sempre affare dell’interiorità. L’unico
modo che ha la nostra interiorità di rapportarsi alla decisione ed alla scelta è
attraverso la personalità che, in quanto proprio modo d’essere della persona,
permette un tipo di rapporto specifico tra l’uomo e il mondo: nell’istante
della decisione la personalità si riempie di contenuto, appunto quello proprio
della scelta. Da qui però sembra possibile inferire che la personalità trovi il
suo contenuto estrinsecamente da sé, vale a dire che chi sceglie lo fa
guardando al di fuori di se stesso. Ma questo non è possibile! Vediamone
adesso il motivo seguendo le argomentazioni kierkegaardiane contenute ne
L’Equilibrio tra l’estetico e l’etico nell’elaborazione della personalità.
16
Innanzitutto considerando il contenuto del tutto esterno alla personalità si
riproporrebbe il dualismo gnoseologico contemplante-contemplato, il che in
termini etici significherebbe il considerare la scelta come qualcosa di
totalmente estrinseco alla personalità. Ma, Kiekegaard dirà: «La personalità
è interessata nella scelta già prima di scegliere»
17
. Ma se è così allora la
personalità avrà già con sé la Scelta ed il suo contenuto discenderà
16
Esse sono le lettere del marito e giudice Vilhem al suo amico esteta e sono presenti in S.
Kierkegaard, Enter‐Eller, Adelphi edizioni, Milano 1989, tomo V.
17
S. Kierkegaard, Enter‐Eller, cit., tomo V, p. 29. E’ importante qui rilevare la scissione tra
il «che cosa» e il «come» Kierkegaardiano e la superiorità etica di quest’ultimo sul primo. Il
«che cosa» della scelta sembra essere anticipato nel suo «come». Per Kierkegaard il «che
cosa» (contenuto) del «come» (il tipo di scelta) è intrinseco a quest’ultimo, vale a dire che
nel modo in cui vien posta la decisione, il suo contenuto sarà come una sua proprietà. Per
tale motivo possiamo affermare il primato del come sul che cosa, della’atto di scelta con il
quale il contenuto viene ad esser interiorizzato nella personalità.
18
direttamente da essa!
18
. Ma la scelta non potrà discendere direttamente e in
modo immediato dalla personalità perché se è «importante scegliere e
scegliere in tempo» è anche perché è possibile non-scegliersi. Ma la non-
scelta non è comunque una scelta? Per Kierkegaard non lo è ed esattamente
nel senso che «lo scegliere è espressione propria e rigorosa dell’etica»
19
Dunque cos’è il non-scegliersi? E’ propriamente la scelta estetica che si
definisce tale in relazione a ciò che abbiamo appena suddetto perché
propriamente la scelta estetica è il rifiuto della personalità di scegliersi
eticamente.
20
Per tale motivo la scelta etica è propriamente la vera Scelta
della personalità che con grande energia e passione erige a compito della sua
vita la decisione presa in un istante.
Nel giudizio Kiekegaardiano dunque l’Etico è scegliere il bene, di
conseguenza l’estetico sarebbe il male. Esattamente il bene qui consiste
18
Affermando ciò vi è il rischio di cadere in una sorta di determinismo per cui verrà ad
essere eliminata la libertà e ogni suo atto. Non è possibile qui sviluppare una tematica così
complessa come quella del determinismo che, semmai si dimostrasse vero implicherebbe
l’annullamento di ogni libertà umana nel senso che non avrebbe più senso chiedersi se
l’uomo e libero o meno. Non è mia intenzione eludere la questione col dire che
Kierkegaard credeva alla libertà di scelta dell’uomo; quindi che , lo si accetta o no. In
questa sede vogliamo risolvere L’Aut‐ aut tra libertà e determinismo considerando il primo
un problema esclusivamente Etico, il secondo un problema esclusivamente Teoretico. Qui
non si vuole escludere che sia possibile dimostrare che l’uomo sia determinato,
condizionato totalmente e in qualche modo in ogni sua scelta o Scelta, nondimeno la
validità dell’Etica, nonché la sua forza rimarrebbe intatta. Anche se teoreticamente si
stabilisse che la libertà non foss’altro che semplice rapporto di causa‐effetto resterebbe
comunque un residuo etico ineliminabile: la mia stessa sensazione soggettiva della libertà,
della scelta e della responsabilità che mi permetterà di dire sempre che io sono libero e
posso sempre scegliere e che in relazione alla mia scelta avrò la mia responsabilità. In
seguito verrà ripreso il tema della responsabilità con relative argomentazioni. Lo scrittore
religioso Kierkegaard avrà molto da dirci sulla nostra società secolarizzata.
19
S. Kierkegaard, Enter‐Eller, cit., tomo V, p. 32.
20
… e quindi assolutamente. Anticipiamo l’estrema differenziazione tra scelta estetica e
scelta etica. La prima avviene relativamente, solo la seconda è Scelta assoluta. Vediamo
come “assoluto” assuma qui due determinazioni semantiche simili ma non del tutto
coincidenti: decidere in modo assoluto è scegliere di vivere in uno stadio specifico della
vita, nondimeno la Scelta Assoluta indica più specificamente l’ambito etico.