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Non esiste, ad ogni modo, una risposta univoca su quale posizione sia più preferibile
in assoluto, ma è possibile definirla solo sul singolo caso, analizzando la situazione
particolare di un’impresa.
Nel primo capitolo vi è una completa analisi dei principali contributi teorici sulla
tematica della standardizzazione della comunicazione nei mercati esteri. In particolare,
sono discusse le strategie di comunicazione più adatte a seconda della tipologia di
impresa, del tipo di prodotto, del mezzo di comunicazione utilizzato, dell’agenzia
pubblicitaria prescelta, delle regolamentazioni sugli annunci commerciali nei differenti
Paesi.
Essendo la comunicazione d’azienda un soggetto molto ampio, è stata posta enfasi
soprattutto sulla pubblicità, argomento rilevante a livello aziendale e di più frequente
trattazione accademica, rispetto ad altri strumenti di comunicazione, quali il contatto
personale.
Oltre alla notevole importanza accademica, la discussione sulla comunicazione
internazionale ha evidentissimi risvolti pratici: l’analisi, in dettaglio, della situazione
pubblicitaria di un Paese permette di avvalorare tale affermazione. Per consentire di capire
quali sono le caratteristiche fondamentali di cui deve essere dotata una strategia di
comunicazione per penetrare nel suo mercato, si delineano i caratteri salienti del Paese,
sotto una molteplicità di punti di vista. Lo studioso oppure l’azienda interessati a lavorare
su questo mercato dispongono così di una notevole mole di informazioni, utili per capirne
lo scenario e poter così attuare la strategia, o la ricerca, più adatta alle proprie esigenze.
La scelta del Paese è ricaduta sulla Cina. Lo Stato asiatico è la principale realtà
economica di questo decennio, caratterizzato da una crescita economica senza pari che
l’ha portato verso i vertici mondiali, a livello economico. L’aumento del suo Prodotto
Interno Lordo è da tempo costantemente su livelli del 10% annuo, il più alto di tutto il
mondo, e la sua importanza economica è tale da prevedere, in breve volgere, una contesa
di questa nazione con gli Stati Uniti d’America, in merito alla leadership economica
mondiale.
Da un punto di vista pubblicitario, l’analisi di questo Paese è certamente affascinante,
perché dispone del maggior numero di consumatori al mondo, con un reddito basso
ma in costante aumento. Ciò che rende ancor più coinvolgente questo tema è il fatto che
la pubblicità è presente nel Paese solo da un ventennio, poiché in precedenza il
governo locale non la consentiva. E’ stato così possibile analizzare lo sviluppo della
9
pubblicità su un mercato che ne era privo, in una situazione politica di commistione tra
dittatura socialista ed apertura economica al capitalismo, con consumatori che si sono
ritrovati da una situazione di penuria di prodotti ad una di disponibilità totale di ogni sorta di
bene, con un crescente consumismo di certe fasce di popolazione che si scontra con
l’indigenza della maggior parte dei restanti abitanti, ancora in una situazione di
arretratezza economica.
La Cina, soprattutto in Italia, è vissuta essenzialmente come un pericolo, perché il
basso costo della manodopera favorisce la vendita dei suoi prodotti, che molto spesso
sono diretti concorrenti della produzione italiana. Le accuse di dumping e di contraffazione
di prodotti sono all’ordine del giorno, ma finora poche imprese hanno saputo sfruttare
invece le opportunità di questo Paese, anziché recriminare esclusivamente sui danni,
inconfutabili, che comporta.
Questo lavoro è un contributo alla possibilità di mostrare la Cina non solo come una
minaccia, ma come un’opportunità per chi saprà entrare correttamente nel suo mercato e
sfruttarne le enormi dimensioni e disponibilità economiche. Già ora in Cina vi è una
popolazione, superiore a quella italiana, che può permettersi un livello di vita e di acquisti
pari a quelli europei. E’ un’occasione che le aziende italiane ed europee non possono
permettersi di perdere, perché la partita economica del futuro si giocherà negli emergenti
mercati asiatici, e soprattutto in India e in Cina.
La possibilità di avere una panoramica sulla comunicazione aziendale in Cina
agevola la preparazione delle strategie migliori per il settore di proprio interesse. La
comunicazione non è sicuramente l’unico aspetto da trattare nell’ingresso nel mercato
cinese, ma di certo non può essere tralasciato perché è tra quelli fondamentali per
ottenere risultati positivi e non divenire uno dei tanti esempi di azioni di
internazionalizzazione fallite.
L’analisi della Cina inizia nel secondo capitolo, ove è presentata una panoramica
generale del Paese, da un punto di vista macro-economico, per chiarire la situazione
ambientale del mercato cinese.
Date le particolarità politiche del Paese - è uno dei pochi ove è ancora vigente un
governo autoritario comunista -, nel terzo capitolo sono spiegate le principali normative
che riguardano il settore della comunicazione, così da offrire una panoramica sulla
legislazione che regola questa materia.
Lo sguardo sul mercato pubblicitario cinese si delinea più accuratamente con il
capitolo quattro, che analizza in profondità i principali mezzi di comunicazione cinesi,
10
contribuendo alla conoscenza della materia anche attraverso dati che difficilmente sono
disponibili al pubblico italiano, quali quelli sui costi pubblicitari e sull’audience dei media.
Per conoscere l’andamento attuale della pubblicità in Cina, nel capitolo successivo è
presentata la spesa pubblicitaria negli ultimi anni, che mostra quali settori ed aziende
hanno effettuato i maggiori investimenti di comunicazione ed i mezzi più idonei per
comunicare con i consumatori cinesi.
Tra le scelte più importanti in una strategia di comunicazione, un posto di riguardo è
occupato da quella che riguarda l’agenzia di pubblicità, fondamentale partner nella
progettazione e nell’implementazione della strategia di advertising. Il contributo proposto
nel sesto capitolo delinea la situazione attuale nell’industria pubblicitaria e dà validi aiuti
nella scelta del miglior partner di comunicazione per la propria azienda.
Per poter decidere quale pubblicità proporre, un passo fondamentale è capire le
caratteristiche del proprio pubblico, quali sono i suoi valori, come reagisce agli annunci
commerciali. Il capitolo sette consente di definire questi aspetti, evidenziando i tratti
salienti del consumatore, le caratteristiche delle pubblicità a costui rivolte e proponendo le
soluzioni pubblicitarie più idonee, secondo il prodotto e altre variabili.
L’ottavo capitolo spiega le strategie di marketing e di comunicazione utilizzate da
un’azienda europea che è riuscita a divenire uno dei leader, nel mercato di competenza, in
Cina, anche attraverso appropriate campagne pubblicitarie.
Infine, dopo l’ampia parte dedicata alla situazione pubblicitaria in Cina, che affianca
informazioni quantitative a parti qualitative e propositive, vi sono le implicazioni pratiche di
marketing che derivano dalle precedenti analisi. E’ importante sì capire il funzionamento
del mercato cinese, ma ancor di più proporsi attivamente in base alle informazioni di cui si
dispone, in modo da comunicare efficacemente con il proprio pubblico e trasferire questo
rapporto positivo a livello di vendite.
La parte teorica del primo capitolo si basa interamente sulla bibliografia presente in
materia, mentre i capitoli specificamente dedicati alla Cina sono frutto sia di precedenti
studi, sia di dati ottenuti direttamente dall’esperienza personale in Cina. Quest’ultima,
finalizzata ad una ricerca sul sistema televisivo cinese, è stato un importante punto di
partenza, per cercare di capire il funzionamento del mondo pubblicitario cinese dal suo
interno e per offrire al lettore un punto di vista arricchito dall’esperienza sul campo.
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Un sentito ringraziamento, innanzitutto, ai miei genitori, per il costante supporto in
questi anni di università.
Un grazie affettuoso ad Elisabetta, per i suoi consigli e per il ruolo di infaticabile
correttrice delle mie bozze di tesi.
Un ringraziamento ai miei amici per tutto ciò che abbiamo condiviso assieme; tra gli
universitari, ricordo particolarmente Alessandro, Stefano, Andrea, Vanessa e Marta.
Un cenno di merito particolare agli amici che ho incontrato a Shanghai che, oltre ad un
ottimo rapporto umano, mi hanno insegnato molto sul piano professionale: Edoardo Noce,
il direttore dell’ICE di Shanghai Maurizio Forte, il vice-direttore dell’ICE di Shanghai
Ferdinando Gueli, Joyce Cheung, Vittoria Xu di Perfetti Van Melle, Steffi Cao di Ogilvy &
Mather, Jenny Low e Julien Lapka di Saatchi&Saatchi.
Fabio Brunello
Bassano del Grappa, 4 novembre 2005
12
CAPITOLO 1
IL DIBATTITO SULLA COMUNICAZIONE INTERNAZIONALE
1.1 LA PRESENZA INTERNAZIONALE DELLE AZIENDE
La capacità di comunicare efficacemente in tutti i mercati in cui si è presenti è ormai
divenuta una caratteristica imprescindibile di ogni azienda che vuole rapportarsi
correttamente con il suo pubblico.
In un Paese estero, per disporre di una presenza di rilievo, e profittevole, si deve
strutturare la propria organizzazione in modo tale da sviluppare una strategia che risulti
adatta alle caratteristiche dei mercati internazionali e non sia solo una semplice
estensione delle strategie utilizzate a livello nazionale.
Nel corso del suo sviluppo oltre-confine, un’azienda attraversa solitamente una serie
di passaggi, in una sorta di ciclo di vita dell’internazionalizzazione. Questi differenti step
sono degli ideal-tipi di sviluppo e non sono necessariamente seguiti da tutte le imprese;
risultano comunque utili per comprendere in quale situazione si trova un’azienda, in un
particolare momento della sua evoluzione.
Sostanzialmente, i principali Autori [De Mooij e Keegan 1991, 7-10; Rispoli 1994, 94-
98] riportano cinque situazioni di internazionalizzazione:
?? azienda domestica
?? azienda internazionale
?? azienda multidomestica
?? azienda globale
?? azienda transnazionale
L’azienda domestica si caratterizza dal fatto che il suo mercato principale è quello
nazionale (talvolta regionale), ha una visione etnocentrica del suo mercato e le relazioni
con l’estero sono scarse, spesso limitate a episodi spot, quali acquisti opportunistici di
materie prime, oppure vendita nei mercati esteri di alcune partite di merce, spesso
affidandosi a degli intermediari. La conoscenza dei mercati esteri è molto bassa,
soprattutto perché l’impresa non è al momento interessata a intrattenere business con altri
Paesi. In un mondo globalizzato quale il nostro, la numerosità di questi tipi d’azienda sta
diminuendo sensibilmente, trovandosi a competere con una concorrenza internazionale; il
loro affidamento al solo mercato nazionale può non essere sufficiente.
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L’azienda internazionale ha nel Paese d’origine il suo mercato principale, ma
intrattiene con l’estero relazioni economiche stabili. Nel corso degli anni, acquisisce una
buona conoscenza del mercato estero, che le permette di sviluppare relazioni profittevoli,
sia nel mercato di sbocco che in quello di fornitura. In questa categoria rientrano la gran
parte delle piccole-medie aziende italiane che intrattengono rapporti con l’estero, di solito
finalizzati all’esportazione dei propri prodotti.
L’azienda multidomestica si caratterizza perché considera ogni mercato rilevante, sia
del suo Paese d’origine sia di altri Paesi, come domestico, nel senso che pone le stesse
attenzioni su ognuno di loro. E’ molta attenta ad individuare le differenze tra i mercati e a
predisporre le offerte adatte ai singoli casi.
L’azienda globale considera, invece, l’intero mondo come un unico grande mercato
domestico, e per questo appronta delle strategie che operano indifferentemente in tutte le
nazioni. E’ una strategia attuabile solo da grandi aziende con interessi in molti Paesi,
anche se una totale estremizzazione di questo concetto (offerta standard del marketing
mix in tutti i Paesi) è di difficile attuazione, e forse non conveniente economicamente.
L’azienda transnazionale può essere considerata il punto d’arrivo della curva di
sviluppo di un’azienda, che si rivolge ai mercati internazionali. Essa cerca di sintetizzare i
lati positivi dei due precedenti modelli: il suo mercato rimane l’intero mondo (o comunque
un numero cospicuo di Paesi) e propone una strategia generale comune, ma declinata per
comprendere le differenze principali tra i vari Paesi. Si cercano quindi di sfruttare
contemporaneamente sia le parti in comune sia le differenze tra le nazioni.
Queste strategie non sono dei passaggi inevitabili e successivi per ogni azienda e
spesso si incontrano delle situazioni intermedie. Inoltre, ogni stadio ha propri vantaggi e
svantaggi ed è la singola azienda che deve capire quale tipo di internazionalizzazione
meglio si adatti alla sua situazione attuale e ai suoi obiettivi futuri di sviluppo. Una visione
schematica è proposta nella fig. 1.1.
La forma prescelta di presenza all’estero influenza fortemente anche la
comunicazione approntata per i diversi mercati di riferimento.
L’azienda domestica è interessata solamente alla comunicazione nel mercato
d’origine e non cura la propria immagine all’estero. Se questo, però, comincia a divenire
interessante, comincia a frequentare le principali fiere estere di settore e, in seguito, a
pubblicizzarsi in riviste professionali e a stabilire i primi rapporti di pubbliche relazioni,
spesso mediate da intermediari locali.
14
Questi ultimi sono invece i principali protagonisti della comunicazione aziendale per le
imprese internazionali, in quanto sono spesso delegati a preparare le azioni pubblicitarie
verso i diversi pubblici cui si rivolge l’azienda estera: consumatori finali, distribuzione, enti
statali, opinion leaders.
globale
TIPO DI
COMUNICAZIONE
locale
- GRADO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE +
Fig.1.1 Relazione tra grado di sviluppo dell’internazionalizzazione di un’impresa e tipo di comunicazione
utilizzata nei mercati non-domestici.
Nella fase multidomestica, il ruolo della comunicazione diventa fondamentale per
potersi correttamente relazionare al mercato. I budget sono stanziati non più con logica
nazionalistica, ma tenendo conto della situazione attuale e delle opportunità di sviluppo di
ogni singolo Paese, oltre che della differente disponibilità dei mezzi di comunicazione.
L’azienda globale opera, invece, una comunicazione che cerca di mantenere il più
uniforme possibile nei diversi mercati, al fine di accreditarsi di un’immagine unitaria ed
ottenere vantaggi da economie di scala pubblicitarie, utilizzando media con caratteristiche
omogenee nei differenti Paesi.
Come nella strategia generale, anche nella strategia di comunicazione l’azienda
transnazionale cerca di mediare tra le esigenze di una comunicazione quanto più globale
e uniformante tra i Paesi, e quelle di adattare il messaggio alle caratteristiche precipue
della cultura e delle usanze locali.
1.2 IL DIBATTITO SULLA COMUNICAZIONE INTERNAZIONALE
Come evidenziato dai differenti approcci di comunicazione a seconda dello sviluppo
dell’impresa, la tematica di quale comunicazione proporre ai mercati esteri è stata molto
domestica
internazionale
multidomestica
globale
transnazionale
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dibattuta in sede accademica. Tuttora le opinioni sono contrastanti e non si è ancora giunti
ad una soluzione concordata e definitiva. L’argomento è sempre presente nelle discussioni
tra gli studiosi negli ultimi venticinque anni e, pur con momenti di maggior o minore voga, è
una tematica che ha avuto una costante evoluzione nel corso del tempo. Gli anni ’90, con
la progressiva formazione di un mercato sempre più globale, hanno anche dato esempi
pratici sull’argomento, che puntualmente molti studiosi hanno rilevato solo negli aspetti
favorevoli ai loro studi. La pratica di utilizzare case histories di successo, quali prove
tangibili della validità della propria teoria, è stata ampiamente utilizzata, anche se alcuni
autori dubitano della sua efficacia probatoria.
La discussione, concernente principalmente l’efficacia o meno di una comunicazione
internazionale standardizzata, non ha solo un elevato valore accademica, ma determina
anche delle notevoli ricadute sulla definizione delle più appropriate strategie operative di
comunicazione che devono essere adottate. Se una comunicazione standard è
effettivamente valida e fruttuosa per l’azienda che l’adotta, essa comporta una notevole
riduzione dei costi complessivi, una semplificazione del processo decisionale ed esecutivo
ed una maggiore efficienza nell’utilizzo delle risorse aziendali. Se questa non è però così
efficace come alcuni sostengono, ed anzi è fonte di danno per l’azienda, i manager che
l’adottano si scontreranno con problemi gravi, quali la creazione di confusione nei
consumatori ed un loro successivo distacco dai beni dell’impresa.
1.2.1 DEFINIZIONE DI STRATEGIA STANDARDIZZATA
Il dibattito su quale tipo di comunicazione internazionale adottare ha origine già (o
forse, è proprio causata) dalle differenti idee che si hanno sulla definizione di
comunicazione standardizzata, soprattutto sul differente grado di omogeneizzazione
necessaria per definire una “pubblicità internazionale standardizzata”. Levitt [1983, 93] la
definì come “selling the same product the same way everywhere” .
Solitamente, le due posizioni estreme per definire un tal tipo di comunicazione sono:
a) si ha una pubblicità standardizzata solamente quando essa è presente in più Paesi
con lo stesso formato e lingua, presente in mezzi di comunicazione paragonabili e
pianificata direttamente dalla sede centrale dell’azienda;
b) si ha una pubblicità standardizzata quando è presente un tema comune o
comunque delle evidenti somiglianze nella strategia comunicativa, anche se questa
viene articolata in maniera differente e autonoma in ogni singolo Paese.
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Tra queste due definizioni estreme, si trovano molte situazioni intermedie. In realtà, una
standardizzazione totale (á la Levitt) in tutti i Paesi del mondo non è possibile, perché i
media disponibili sono differenti e talvolta non paragonabili, non è nell’interesse
dell’azienda promuovere un proprio prodotto in ogni mercato (anche perché in molti di loro
è assente) e non è economicamente conveniente, perché i costi lieviterebbero in modo
spropositato.
Una definizione di “international advertising” [De Mooij e Keegan 1991, 11] che
sembra comprendere in modo corretto queste differenti sfaccettature è:
The formulation of communications vision, intent, strategy and the implementation of
a communication plan, including media and advertising, sales promotion, direct
marketing communication and public relations activities that simultaneously support
the sales of goods and services in more than one country in several parts of the
world.
Questa definizione evidenzia, inoltre, come sia importante anche l’organizzazione di
supporto ad una campagna pubblicitaria (e alle attività connesse) e non solamente la
semplice esecuzione di quest’ultima.
A livello pratico, è molto interessante poi l’osservazione di Duncan e Ramaprasad
[1995, 56]:
While strategy is often standardized, creative executions and themes are only
sometimes standardized, and language and nationality of models are rarely
standardized
che indica chiaramente quali sono le istanze più facilmente globalizzabili (come la
strategia), essendo di carattere generale e teorico, mentre gli aspetti più esecutivi e di
tecnica pubblicitaria risentono fortemente delle caratteristiche del pubblico cui si rivolge.
Ampliando la prospettiva anche a scelte più rilevanti per l’intera strategia di marketing, si è
notato come il nome del prodotto, il posizionamento, il packaging, siano aspetti presenti
con poche varianti tra differenti Paesi e queste siano dovute spesso a obblighi legislativi,
come possono essere particolari regolamentazioni che riguardano le misure igieniche da
adottare sulle confezioni dei prodotti alimentari. Tra gli elementi che più difficilmente si
prestano ad un processo di unificazione, vi sono i sottotitoli, la body copy, il visual
dell’immagine, la selezione dei media disponibili.
La standardizzazione, inoltre, non è utilizzata allo stesso modo verso tutti i Paesi: i
pubblicitari statunitensi tendono a enfatizzare questa caratteristica se si rivolgono a
consumatori europei, mentre l’istanza generalizzante è meno presente quando si
indirizzano ad un’audience asiatica.
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L’internazionalizzazione è, in ogni caso, un processo che si inserisce nel normale
sviluppo di un’azienda e non deve essere affrontato come un mutamento radicale: il
mercato interno e quello estero non esigono, nella sostanza, un diverso approccio
strategico; ciò che varia è il contesto in cui l’azienda opera, ossia i fattori ambientali del
mercato e l’organizzazione stessa dell’impresa [De Mooij e Keegan 1991, 37].
Questa considerazione porta a valutare due differenti atteggiamenti tra i fautori del
messaggio standardizzato:
o standardizzare significa creare ex-novo un messaggio che si pensa valido
per più Paesi
o standardizzare significa invece estendere a Paesi terzi un messaggio che
era stato ideato appositamente per un singolo Paese, spesso quello del
mercato domestico per l’azienda.
La seconda scelta è motivata essenzialmente dal risparmio di costi ottenibile e dalla
possibilità di poter sfruttare un’idea valida su più mercati; questa situazione si scontra,
però, con il fatto che non è automatico che una buona pubblicità in un mercato sia efficace
anche in altri. La scelta della creazione ad hoc di una pubblicità è migliore perché cerca di
tener conto delle differenti esigenze e di focalizzarsi su bisogni universali; vi sono degli
inconvenienti anche in questa scelta, perché si corre il rischio di creare una pubblicità
“neutra” e senza appeal, ideata solo per eliminare le diversità tra più Paesi.
1.2.2 STANDARDIZZAZIONE
Il dibattito sulla standardizzazione nacque già negli anni ‘60 con Elinder [1965] e in
seguito con Fatt [1967], ma i toni della discussione si accesero dalla metà degli anni
Ottanta. Uno scritto di Theodore Levitt del 1983, “The globalization of markets”, può
essere considerata l’opera che innescò i successivi interventi.
In questo saggio, l’autore statunitense afferma che è in corso, e sempre più si
intensificherà negli anni a venire, una progressiva omogeneizzazione dei gusti, dei
comportamenti e delle abitudini delle persone di differenti nazioni. Questo processo, che in
ambito economico può riassumersi con il termine di globalizzazione, è dovuto ad una
serie di fattori, derivanti essenzialmente dagli sviluppi nel campo della tecnologia, che
inducono gli operatori a considerare l’intero globo come un unico grande mercato.
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Tale scritto ha suscitato notevoli discussioni; coloro che sostengono le sue idee,
hanno dato vita alla corrente che propugna una standardizzazione del marketing mix, da
applicare non modificato in più Paesi.
Per i fautori di questa teoria, i principali aspetti che favoriscono tale processo sono:
- maggior facilità di comunicazione (e contatti tra le persone) grazie allo
sviluppo dell’ICT
- diffusione di modelli comportamentali di massa, specialmente di origine
nordamericana
- diffusione di una cultura, specie giovanile, tendenzialmente simile nei
differenti Paesi
- tradizioni locali che hanno diffusione internazionale (es. pizza, cucina cinese,
formaggi francesi, yogurth greco)
- incremento esponenziale del turismo, che porta le persone a conoscersi e a
scambiarsi usi e costumi
Questi fattori di riduzione delle differenze e di maggior facilità di comunicazione sono state
ulteriormente favorite negli anni ’90 con lo sviluppo di Internet e degli altri new media, con
la televisione satellitare, con un progressivo abbassamento dei costi dei mezzi di trasporto
(ad esempio con i voli low cost) che favoriscono l’interscambio culturale.
Certamente si riconoscono le diversità tra i vari Paesi, ma si focalizza l’attenzione
principalmente sugli aspetti in comune, basandosi sulla constatazione che i gusti e le
abitudini stanno progressivamente convergendo verso un modello unico ed universale.
L’esempio, che Levitt indica nel suo articolo, riguarda le aziende giapponesi, che negli
anni ’80 presentarono un prodotto di costo contenuto, di buona qualità, affidabile e
soprattutto unico o con pochissime variazioni per i differenti Paesi; il successo arrise alla
loro strategia ed è, dunque, un valido esempio della correttezza dell’approccio
standardizzante.
Gli argomenti tradizionali a favore di una comunicazione internazionale standardizzata
sono:
?? costo: è possibile realizzare delle economie di scala e ridurre gli investimenti
per la produzione di pubblicità
?? creazione di un’immagine di brand e corporate unitaria a livello globale, per
evitare confusione e duplicazione di sforzi
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?? la crescente globalizzazione dei media, usufruibili da persone di Paesi
differenti
?? semplificazione dell’organizzazione aziendale, specie nella fase di
programmazione ed esecuzione
?? massimo sfruttamento di idee valide e trasmissione di know-how tra le
diverse realtà intra-aziendali
?? tendenza delle multinazionali ad avere un forte controllo centrale
?? utilizzo più efficiente delle abilità gestionali e delle risorse
?? standard unici di qualità per lo stesso prodotto in Paesi diversi
?? migliore capacità di sfruttamento di opportunità globali
?? adattamento alle pratiche del settore di appartenenza
Nei tempi passati si focalizzava l’attenzione principalmente sulla riduzione dei costi e sulle
economie di scala. Al momento attuale, le imprese pongono questi criteri in secondo
piano, a favore della costituzione di un’immagine unitaria o per altre motivazioni, sopra
riportate. Correttamente si ritiene che non è vantaggioso produrre una pubblicità
standardizzata mediocre, al solo fine di realizzare limitati risparmi sui costi di produzione,
non calcolando i danni, nel breve e nel medio-lungo termine, che possono essere causati
da una campagna errata di advertising.
Questo sviluppo verso un modello globale porta, quindi, certi studiosi a propugnare
una progressiva standardizzazione del marketing mix nei vari Paesi: se questi sono
simili tra loro, a livello di cultura e desideri, si può proporre una medesima offerta
commerciale. All’interno di quest’ultima, rientra poi la strategia di comunicazione, che forse
risulta essere la più difficile da adattare, essendo intrinsecamente connessa alla cultura
del luogo. Gli autori a favore di questa posizione affermano che le motivazioni e gli
atteggiamenti del consumatore sono più importanti della sua provenienza geografica: se i
primi sono paragonabili, la terra d’origine ha un ruolo marginale.
Alcune critiche a questa posizione riguardano il fatto che la globalizzazione è un
atteggiamento adatto soprattutto alle nazioni con uno sviluppo di tipo occidentale, mentre
nei Paesi in via di sviluppo tale approccio non sarebbe proficuo. La risposta che viene data
a tale quesito è che, economicamente, è conveniente applicare la standardizzazione
anche in quei Paesi, perché risulterebbe troppo costoso produrre delle pubblicità ad hoc
per mercati che portano uno scarso fatturato all’azienda. Tali considerazioni sono
prettamente economiche e non considerano eventuali risvolti etici quali il cosiddetto
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“colonialismo culturale”, provocato dalle pubblicità occidentali nei confronti dei Paesi in via
di sviluppo. In questo studio, non verrà ulteriormente sviluppato questo punto di vista,
sicuramente interessante, ma al di fuori dell’oggetto di questo lavoro.
L’approccio analizzato viene definito dai diversi autori come universale,
standardizzato, internazionale, comune, uniforme.
1.2.3 LOCALIZZAZIONE
A queste posizioni si oppongono altre scuole di pensiero, che constatano che sono sì
presenti dei fenomeni che investono globalmente le varie persone e con un’influenza
mondiale, ma ritengono che le diversità tra le culture e le situazioni rimangano
comunque enormi e tali da non consentire l’adattamento indiscriminato di una pubblicità a
tutto il globo terrestre. Anzi, questa scuola di pensiero (definita, a seconda degli autori,
individualizzata, non standardizzata, della specificità, della localizzazione, personalizzata)
evidenzia come tra Paesi relativamente simili – ad esempio quelli con un idioma comune –
oppure all’interno di una stessa nazione, sia estremamente raro trovare delle pubblicità
identiche o addirittura che si richiamino a temi comuni.
La posizione di Yoran Wind [1986, 10] indica chiaramente quali sono gli errori cui
vanno incontro i fautori dell’approccio universale:
There are tremendous differences among countries. Ted Levitt correctly stresses
that one should not focus only on differences, one should look for commonality and
similarity; however, one cannot ignore the differences and the need to adapt to them.
Most international blunders stem from instances of cultural insensitivity – lack of
awareness of values, and attitudes – that cause a strategy which is extremely
successful in one country to prove wrong in another.
Gli argomenti contrari ad una comunicazione internazionale standardizzata sono:
?? è presente una forte eterogeneità tra i Paesi, in termini di cultura e modalità
di utilizzo e consumo dei prodotti
?? sindrome del “Not Invented Here”: ciascuna sede locale desidera creare la
propria campagna e provare la sua creatività, per evitare di diminuire la
propria autostima
?? differenze nella disponibilità dei media
?? ostacoli di tipo amministrativo e regolamenti anti-advertising
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?? il pericolo di essere considerati un’impresa straniera e di perdere quote di
mercato o avere difficoltà ad entrare nel mercato
?? differente posizione del prodotto nel suo ciclo di vita, in Paesi diversi
?? riduzione dei vantaggi economici a causa dell’aumento dei costi di
coordinamento
?? scontri intra-aziendali sulle competenze
?? possibilità di produrre una campagna mediocre, per cercare di adattarla a
tutti i mercati
?? minore flessibilità
Gli autori favorevoli alla localizzazione utilizzano anche la motivazione di base con cui
Levitt sosteneva la causa opposta: lo sviluppo tecnologico ha certamente contribuito ad
accomunare popoli e necessità, ma lo stessa ICT ha permesso di produrre beni e servizi
in modo personalizzato, arrivando alla mass customization e quindi alla possibilità di
adattare i beni ai bisogni dei singoli, anziché adattare i singoli ad un unico prodotto
standardizzato.
1.2.4 POSIZIONE INTERMEDIA
Tra queste posizioni dicotomiche, si situa una posizione intermedia, proposta ad
esempio da Kotler, De Mooij e Keegan, Onkvisit e Shaw: questi studiosi riconoscono i
punti forti delle dimostrazioni di entrambi gli schieramenti, ma ritengono che ogni
situazione di mercato e di prodotto è differente dalle altre e non si può quindi dare
una soluzione univoca alla diatriba globalizzazione/localizzazione. Né la
globalizzazione né la localizzazione del messaggio sono errate in teoria, ma nella loro
implementazione si rivelano inefficaci. Inoltre i medesimi ritengono che, per certe tipologie
di prodotti, sia maggiormente proficua una strategia che abbia una core idea unica a livello
internazionale, ma che sia poi puntualmente adattata alle caratteristiche locali. Nelle
astrazioni di questi autori, vi sono due situazioni differenti, dette di prototype
standardization e di pattern standardization; in quest’ultima, si ha solo una linea guida
comune, mentre si adattano elementi di contorno quali sfondo, colori, ambientazioni,
musiche. Nella prototype standardization, invece, si ha una maggiore omogeneità tra le
pubblicità presentate in Paesi differenti; entrambe queste forme, ad ogni modo, non