Introduzione
L'epoca che va dalla seconda metà del II secolo a.C. agli ultimi anni del I
secolo a.C. non fu certamente la più felice per Roma dal punto di vista storico -
politico.
Le agitazioni della repubblica e le successive sanguinose lotte civili innescate
dagli eventi del primo e del secondo triumvirato avevano dimostrato come
l'ordinamento repubblicano, ormai giunto ad una irrimediabile sclerosi dei suoi
principi fondanti, non fosse più in grado di fornire una risposta efficace al corso degli
eventi e come dunque fosse necessario ed urgente un cambiamento etico, politico ed
istituzionale.
Nel 43 a.C., con la morte di Cicerone, se ne andava l'ultimo e più grande
interprete di un'epoca in cui il letterato, civis prima ancora che intellettuale,
concepiva la propria opera a supporto e a coronamento dell'impegno politico e, pur
tuttavia, riusciva comunque ad incidere sulle dinamiche della Storia.
In quello stesso anno, Virgilio, non ancora trentenne, s'apprestava ad avviare la
composizione delle Bucoliche, prima raccolta poetica a lui attribuibile con certezza e,
nonostante ciò, già "opera stilisticamente, artisticamente matura, meravigliosamente
matura"
.
1
Al poeta mantovano, in un periodo storico così difficile, dovette apparire chiara
l'urgenza di un cambiamento non solo politico, ma anche letterario, che fosse a
quello intimamente connesso e che si dimostrasse in grado di riavvicinare la poesia,
ormai caratterizzata dal disimpegno estetizzante dei neoterici, alla realtà
contemporanea.
Così Virgilio si propone di colmare questa distanza sin dall'esordio della sua
raccolta e si trova a riflettere, all'interno dell'opera, su come tale processo debba
essere condotto, proponendo le proprie scelte poetiche come modello e dunque
innalzandosi consapevolmente al ruolo di "classico".
3
A. La Penna, Virgilio e la crisi del mondo antico, in Tutte le opere/Publio Virgilio Marone,
1
versione introduzione e note di E. Cetrangolo, Sansoni, Firenze 1992, p. XI.
Con le Bucoliche egli raccoglie la cruciale sfida del cambiamento e in esse
infonde tutta la propria identità, secondo moduli coerenti con la propria indole, con il
proprio gusto estetico, con il ruolo sociale che lo contraddistingue e con quello che
auspica di rivestire.
Da un punto di vista diacronico la mia analisi assumerà come costante
riferimento il genere letterario; così, nell'ambito della lirica pastorale, tenterò di
rilevare gli elementi di novità che il poeta intende apportare al modello costituito
dalla bucolica teocritea.
Ritengo che sia altrettanto necessario e funzionale un approccio sincronico,
che, muovendosi nel medesimo periodo storico, analizzi la comune riflessione di una
élite intellettuale sollecitata dalle medesime criticità, per evidenziare quali siano,
all'interno di una congruenza di fondo, gli elementi di scarto.
Prenderò quindi in considerazione la possibilità di sovrapporre alla raccolta
virgiliana altre esperienze letterarie, appartenenti a generi differenti, che, nate in
grembo alla medesima temperie storica e socio-culturale, finiscono col rivelare, negli
elementi non sovrapponibili, motivi e spunti dovuti esclusivamente all'autore.
In sintesi, il fine di questo lavoro é cogliere il senso profondamente innovativo
della riflessione storico-letteraria che Virgilio con le Bucoliche intese inaugurare,
quale personale risposta alle esigenze politiche e culturali di un'epoca di grande
cambiamento, essudato di problemi reali ed allo stesso tempo soluzione poetica di
essi.
4
Capitolo I
La prima ecloga: tra il sogno bucolico e le tempeste della Storia.
Desidero iniziare questo mio lavoro sulle Bucoliche analizzando nel dettaglio
la prima ecloga che, certamente non a caso, occupa la posizione inaugurale della
raccolta.
Essa già nella mente dell’autore doveva costituire una soddisfacente sintesi
della poetica che Virgilio intendeva seguire, poiché capace di toccare tutti i temi
presenti nell’intera opera.
Il componimento presenta un quadro della situazione politica e sociale degli
anni immediatamente successivi alla battaglia di Filippi, avvenuta nell’ottobre del 42
a.C.
Tale scontro oppose le forze del secondo triumvirato (Ottaviano, Antonio e
Lepido) ai sostenitori dei cesaricidi e fu da quest’ultimi perso. Nei mesi successivi
alla battaglia, mentre Antonio, rimanendo con una parte delle legioni in oriente,
continuò l’eliminazione dei rivoltosi presenti in quella parte d’impero, Ottaviano
invece si dovette occupare della distribuzione di terre che era stata promessa ai
veterani dell’esercito in congedo, come premio per i servigi resi allo stato. Egli
quindi, dopo che fu creata un'apposita commissione per risolvere la spinosa
questione, procedette all’esproprio di latifondi nel territorio intorno a Cremona e a
Mantova.
"Il poeta avrebbe avuto i suoi patroni nei triumviri agris dividundis Asinio Pollione,
Alfeno Varo, Cornelio Gallo sotto la guida di Ottaviano responsabile delle operazioni di
confisca e spartizione delle terre in Italia."
2
La famiglia di Virgilio possedeva dei terreni nella zona del mantovano e la
critica concorda nel ritenere, anche sulla base di un’interpretazione allegorica della
5
M. Gigante Lettura della prima bucolica in Lecturae virgilianae, I: Le Bucoliche a cura di M.
2
Gigante, Giannini editore, Napoli 1981, p. 36.
prima e della nona ecloga, che gli espropri toccarono direttamente le terre
appartenenti al poeta.
Tuttavia come giustamente scrive il La Penna “le vicende della perdita e del
riacquisto della proprietà sono le più oscure della biografia di Virgilio: biografi e
commentatori antichi attingevano a buone fonti, ma combinavano le fonti con
deduzioni arbitrarie dalle fonti stesse e dal testo del poeta. […] Contentiamoci di
ritenere per certo che Virgilio, dopo avere una volta perduto o corso il pericolo di
perdere la sua proprietà mantovana, l’ha riacquistata o conservata grazie
all’intercessione di qualche grosso personaggio presso Ottaviano; se l’abbia
conservata definitivamente o l’abbia perduta, definitivamente, (magari ottenendo
compensi altrove), una seconda volta, resta incerto.”
3
Inoltre il primo dei carmina bucolici, oltre ad affrontare la questione degli
espropri, che certo colpì notevolmente la sensibilità di Virgilio, assolve una funzione
che grande importanza avrà per il poeta in tutta la sua produzione e cioè quello della
celebrazione della figura di Ottaviano e degli effetti benefici che quest’ultimo ebbe
sullo stato romano.
Ma la prima ecloga è innanzitutto un dialogo fra due pastori, Melibeo e Titiro.
Meliboeus
Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi
silvestrem tenui Musam meditaris avena;
nos patriae fines et dulcia linquimus arva,
nos patriam fugimus; tu, Tityre, lentus in umbra
formosam resonare doces Amaryllida silvas.
Melibeo
Titiro, riposando all’ombra d’un ampio faggio,
studi su un esile flauto una canzone silvestre;
noi lasciamo le terre della patria e i dolci campi,
fuggiamo la patria: tu, o Titiro, placido nell’ombra,
fai risuonare le selve del nome della bella Amarilli.
(Buc. 1, 1-5)
6
Op. cit., p. XIX.
3
Subito Virgilio si preoccupa di far entrare il lettore all’interno dell’atmosfera
bucolica: così Melibeo rivolgendosi a Titiro, con rapido eppure definito tratto, lo
dipinge placidamente disteso sub tegmine fagi (Buc. 1, 1) ed intento a cimentarsi in
una canzone silvestre intonata tenui avena (Buc. 1, 2), con una esile canna lavorata
come un flauto.
Dunque il poeta manifesta la volontà di miscere immagini e suoni, di
coinvolgere diverse percezioni sensoriali; sin dai primi versi la descrizione spaziale
si connota d’informazioni emotive, soccorre il lettore impegnato ad immaginare il
tipo di musica che Titiro intona: un canto dimesso che risuona nel silenzio della
campagna circostante, uno spazio ampio (patulae fagi, Buc. 1, 1) e pur tuttavia
intimo, una selva ritratta come attenta discepola che impari a resonare (Buc. 1, 5) la
melodia di Titiro rivolta alla bella Amarilli.
"Il faggio é quasi la tunica di Titiro, simbolo della campagna che l'avvolge, del suo
regno naturale: albero e uomo, quasi l'uomo che si trasferisce nell'albero e con esso si
identifica."
4
Ed è quindi immediatamente chiaro da questi primi versi uno dei temi
principali protagonisti di questa raccolta di poesie e cioè quello della gioia del canto.
Ma Virgilio va oltre e comunica con chiarezza il motivo di questa gioia che deriva
dal cantare nella campagna; i boschi ascoltano le melodie dei pastori e risuonano di
esse partecipandone i sentimenti.
Il poeta, nel primo intervento di Melibeo, ai vv. 3 e 4, presenta l’argomento
peculiare di questa ecloga e cioè quello della triste vicenda degli espropri. Attraverso
la figura dell’antitesi Virgilio evidenzia il contrasto fra la sorte tragica di un nos,
anaforicamente ripetuto all’inizio dei due sopra citati versi, e quella di un tu (Buc. 1,
1), riferito a Titiro, del quale è ripresa l’immagine presentata nei primi due versi, in
cui è appunto ritratto come impegnato in una performance musicale; mentre Titiro
può continuare a godere cantando nei dolci campi natii, gli altri pastori saranno
costretti a fuggire e ad abbandonare le terre della patria.
7
M. Gigante, art. cit., p. 23.
4