5
pubblicistica di tale bene, la cui tutela è riservata all’Autorità Garante, è
altrettanto incontrovertibile che la concorrenza ha un essenziale risvolto
privatistico: le imprese concorrenti subiscono un danno dal comportamento
illecito dell’impresa in posizione dominante o da un’intesa restrittiva.
Il nodo gordiano riguarda, però, la posizione dei consumatori: possono essi
considerarsi destinatari della tutela antitrust? Possono avanzare pretese di
risarcimento del danno eventualmente subito in ragione di una catena
produttivo-distributiva che termina proprio con il consumatore, “weak party”
per eccellenza del sistema economico?
Nel nostro ordinamento, le soluzioni ai problemi posti non sono state trovate
senza affanni. Il caso fondamentale di cui ci occuperemo, è quello relativo al
cartello tra compagnie di assicurazione (caso “RC Auto”), sanzionato
dall’Autorità Garante per la Concorrenza e per il Mercato nel 2000. I
consumatori, in questo frangente, entravano direttamente a contatto con le
assicurazioni, con le quali stipulavano polizze dai prezzi “gonfiati” (si parla di
“Folgerverträge” dell’intesa illecita). Il carattere tipicamente plurioffensivo
dell’illecito antitrust ha portato centinaia di consumatori a chiedere ai Giudici
di Pace la restituzione del sovrapprezzo anticoncorrenziale pagato. La
questione sulla competenza giurisdizionale è giunta ben presto dinanzi alla
Corte di Cassazione, che si è trovata a stabilire, in modo definitivo, se i
consumatori fossero o meno “soggetti del mercato” e potessero agire in giudizio
per tutelare i propri interessi ai sensi della normativa antitrust (art. 33, co. 2, l.
287/1990). Negare loro la legittimazione ad agire, avrebbe significato denegare
giustizia ad una massa di soggetti individualmente deboli rispetto alla forza
economica delle imprese.
La soluzione adottata dal sistema antitrust statunitense non può, in questo
particolare caso, essere d’aiuto: essa si fonda infatti su una diversa concezione
della responsabilità extracontrattuale, basata sostanzialmente sulla proximity del
danneggiato con l’autore dell’illecito e sulla funzione punitiva e deterrente
affidata, in particolari ambiti, alla responsabilità aquiliana (si pensi soprattutto ai
cd. “punitive damages”).
6
Così, la Corte di Cassazione ha cercato di dare all’illecito antitrust, soprattutto
seguendo la lezione comunitaria del caso Courage, una precisa fisionomia,
statuendo non solo sulla legittimazione ad agire, ma anche sugli altri
presupposti costitutivi dell’illecito, indicati all’art. 2043 c.c.
A detta di molti illustri commentatori, il caso RC Auto avrebbe meritato una
trattazione “collettiva”, sia in termini di economia processuale, che in termini di
efficienza giurisdizionale: da più parti si è constatato, quindi, in questo come in
altri casi
4
, un vero e proprio vuoto normativo. La fattispecie paradigmatica
concerne una lesione plurioffensiva che determina la frammentazione del
danno globale in un fascio di micro-danni individualmente sofferti. La scarsità
del danno individuale costituisce un disincentivo all’azione: difficilmente il
singolo consumatore si attiverà per ottenere in giudizio ristoro, perché, sulla
base di una elementare cost-benefit analysis, il costo del processo supererà
l’eventuale risarcimento
5
. Di qui la necessità della previsione di adeguati
strumenti di tutela collettiva risarcitoria.
È stato un autentico coup de théâtre ad aprire il sipario sull’azione collettiva
risarcitoria nel nostro Paese: in occasione dell’approvazione della Legge
Finanziaria per il 2008
6
, l’errore nella votazione di un senatore di opposizione
ha determinato l’introduzione nella legge della disciplina dell’azione collettiva,
inserita con l’art. 140 bis nel Codice del Consumo.
Il nuovo crea, come detto, ansie e paure; ma è la stessa normativa in questione
a presentare diversi aspetti discutibili, che hanno costretto il nuovo Governo a
rinviare l’entrata in vigore della legge al 1º gennaio 2009
7
, in vista di profonde
modificazioni della disciplina. Mi riferisco, in particolare, ai profili della
4
Si considerino, ad esempio, i casi Cirio, Parmalat, bonds argentini, che hanno coinvolto
migliaia di risparmiatori.
5
M. Cappelletti, L’accesso alla giustizia e la responsabilità del giurista, in Studi in onore di
Vittorio Denti, III, Padova, 1994, p. 278 ss, parla di «povertà organizzativa», riferendosi agli
ostacoli che le parti deboli trovano nell’accesso ad un’adeguata tutela giurisdizionale.
6
Legge 24 dicembre 2007, n. 244 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato», in Gazz. Uff., 28 dicembre 2007, n. 300, suppl. ord. n. 285.
7
D.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133.
Inizialmente, l’entrata in vigore della legge era fissata al 30 giugno 2008.
7
legittimazione ad agire, dell’adesione all’azione collettiva, dell’ambito oggettivo
di applicazione, delle complessità procedimentali, della liquidazione del danno
individuale, della possibile retroattività della disciplina, della sua compatibilità
con l’ordinamento costituzionale e comunitario. Di tutti questi profili cercherò
di rendere conto nel corso della trattazione, dando voce anche agli autorevoli
studiosi che, per primi, hanno esaminato sensatamente la nuova azione
collettiva risarcitoria, soprattutto de iure condendo.
L’ultima parte del mio lavoro è dedicata ad una visione comparatistica del
fenomeno collettivo, attraverso l’analisi dei «modelli puri
8
» che caratterizzano
le esperienze più rappresentative degli ordinamenti di Civil Law e di Common
Law. In generale, si distingue tra due macro-categorie di azioni collettive: da
una parte la Verbandsklage tedesca, l’azione delle associazioni, considerata
“policy oriented”, ed improntata tradizionalmente alla tutela degli interessi
collettivi e diffusi; d’altra parte, la class action nordamericana, archetipo
dell’azione “damage oriented” posta a tutela di diritti individuali omogenei.
Accanto a questi modelli puri, vi sono ibridazioni dei sistemi e tentativi di
ampliare costantemente l’accesso alla giustizia a nuovi soggetti e a nuove
fattispecie: l’ordinamento comunitario si sta muovendo in questa direzione
dopo la pubblicazione, nel 2008, da parte della Commissione del “Libro Bianco
in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme
antitrust comunitarie”, la Germania ha adottato nel 2005 il “processo-modello”
(Musterverfahren) per la tutela collettiva degli investitori danneggiati nel caso
Telekom, il Brasile, infine, è stato il primo Paese di tradizione romano-
germanica ad introdurre nel proprio ordinamento un sistema di azione collettiva
(ação coletiva) a tutela di diritti individuali omogenei.
8
L’espressione è di M. Damaska nel fondamentale I volti della giustizia e del potere (1986), trad.
it., Bologna 1991. Si noti l’assonanza concettuale con l’Idealtypus weberiano: trattasi della
costruzione di modelli ideali come strumenti per l’analisi della realtà. La stessa operazione
viene compiuta da Damaska nell’ambito del diritto processuale.
8
Il nuovo che porta con sé l’azione collettiva risarcitoria disciplinata all’art. 140
bis potrebbe farla sembrare un “mostro”
9
da combattere: penso invece che
parlarne e farla conoscere ai cittadini sia il modo migliore per sconfiggerne la
paura e stimolare l’attività di revisione e di affinamento necessari a far diventare
operativo questo strumento di giustizia.
9
L’espressione “mostro” per designare l’azione collettiva è stata coniata dal giudice della Corte
Suprema americana C.J. Lumbard in Eisen v. Carlisle & Jaquelin, 391 F.2d 555, 572 (2d Cir.
1968). A rendere l’espressione celebre è stato però il saggio di A. Miller, Of Frankenstein
monsters and shining knights: myth, reality, and the “class action problem”, in 92 Harv. L. Rev.,
1979, p. 664 ss. Recentemente Guido Alpa, nel suo intervento successivo alla rocambolesca
approvazione della normativa sull’azione collettiva risarcitoria, ricalcando la terminologia ha
parlato di «“mostro giuridico” da riscrivere integralmente», in il Sole 24 Ore, 17 novembre 2007.
9
C A PI TOL O 1
Consumatori e antitrust nella moderna società di massa
SOMMARIO: 1. Consumismo e consumerismo: il consumatore nella società di massa
- 2. L’Antitrust come strumento di libertà: finalità e funzioni della normativa a tutela
della concorrenza e del mercato - 3. Tutela della concorrenza e protezione del
consumatore: ristabilire il «dialogo fondamentale» - 4. Interessi collettivi e diritti
individuali omogenei: la dimensione plurale delle situazioni sostanziali di vantaggio -
5. Linee generali degli strumenti di tutela collettiva dei consumatori
1. Consumismo e consumerismo: il consumatore nella società di massa
La dimensione sociale del consumo e del suo principale interprete, il
consumatore, ruota attorno a due concetti fondamentali: quello di “libertà” e
quello di “felicità” (o benessere
10
). Alla “libertà” si accosta poi logicamente la
“scelta” del consumatore, come se le due nozioni fossero in sostanza
sinonimi
11
: si può fare a meno di scegliere soltanto nella misura in cui si
rinuncia alla propria libertà. Possiamo dunque compendiare la sintesi del
comportamento ideale del consumatore nel mercato nel principio della “libertà
di scegliere”: l’esempio
12
riportato da Giuliano Amato quale negazione di tale
libertà è dato dalla Cina di Mao, Paese in cui «tutti avevano la stessa camicetta
e la stessa casacca e c’erano solo due colori: il grigio per i papaveri di Stato e il
blu per tutti gli altri». Quando la Cina ha cominciato a cambiare ed è stata data
al popolo la libertà di scegliere, esso ha preferito la varietà di colori delle
camicette, ha preferito «l’imbarazzo della scelta alla sicurezza
dell’omogeneità».
10
L’idea di “benessere” nella sua più larga accezione di “benessere sociale” (gemeines Wohl) è
fatta risalire da A. Cavanna nella sua Storia del diritto moderno in Europa, Milano, 2005, p. 240
e p. 250, al giusnaturalismo illuminista e all’assolutismo illuminato. In particolare, l’etica del
servizio di Giuseppe II d’Austria avrebbe elevato la morale eudemonistica a fondamento delle
politiche pubbliche. La tendenza evolutiva successiva trova concreta applicazione nel welfare
state britannico e nel piano Beveridge del 1942, massima espressione dello Stato “assistenziale”
e della missione “etica” del potere pubblico di liberazione del cittadino dal bisogno. Per
un’ampia ricostruzione dell’evoluzione del welfare state e dei sistemi di sicurezza sociale, si
veda R. Pessi, Lezioni di diritto della Previdenza sociale, Padova, 2006, pp. 3-16. L’ultimo
sviluppo del concetto di benessere sociale si ha con il consumer welfare, il benessere dei
consumatori appunto, e la corrispondente crisi del sistema del welfare state verso l’odierna
configurazione della Risikogesellschaft, la società del rischio. Per quest’ultima mutazione del
concetto benessere sociale, si veda più ampiamente Z. Bauman, Homo consumens. Lo sciame
inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Gardolo, 2007, pp. 90-91.
11
È questa l’opinione di Z. Bauman, espressa in Homo consumens, cit., p. 19.
12
G. Amato, Il gusto della libertà. L’Italia e l’Antitrust, Roma-Bari, 1998, p. 19.